Ammetto che quello che succederà al supermercato è banale e scontatissimo. Riguardo al discorso in spagnolo, ho utilizzato in parte un taduttore e mi scuso per i verbi coniugati male.
Capitolo 2
Quando arrivò al supermercato un’ ondata di calore e di profumo di pane la investì.Il supermercato era grande, c’ era di tutto dalla cosmetica a dei distributori di pasta fai da te.
Camminò zigzagando tra i corridoi per raggiungere il banco frigo e prendere uova e latte; intanto un po’ più in la un ragazzo si affrettava alle casse e non volendo andò ad urtare Jessica versandole buona parte del latte (evidentemente chiuso male) sulla camicia e facendola cadere
“Ma sei deficiente o cosa?” le sbraitò contro
“Scusa, ma…”
“Scusa un cacchio!Ma ti sembra normale andare addosso alle persone e rovesciargli li latte addosso?” dopo aver posato la bottiglia semi vuota di latte, si alzò e guardò meglio il ragazzo che a primo impatto a Jessica sembrò una ragazza: aveva i lineamenti delicati, i capelli tirati indietro e gli occhi coperti da dei Carrera scuri e vestiti molto particolari.
“Wow questa è strana forte” Pensò.
Intanto molti clienti si erano fermati a guadare la scena formando un anello interrotto solo da due corridoi, Jessica si girò e vide tutta la folla che si era formata e disse a tutti i presenti con tono tutt’ altro che dolce:
“Che guardate?Al posto di stare li impalati perché non muovete le chiappe e andate a chiamare un commesso per ripulire il danno che la qui presente” disse indicando il ragazzo/ragazza “che mi ha rovesciato latte e uova addosso”
“In realtà sarei un uomo” Jessica si voltò di scatto e nel suo volto comparì un espressione di una persona a cui stavano raccontando una bugia benché sapesse la verità.
“Ceerto, allora io sono Naomi Cumpbell”
“No, non so scherzando” continuò serio
“E io non ti credo”
Poi un inserviente arrivò con mocho e secchio pieno di detersivo e si mise a pulire.
“Immagino che ti vorresti scusare per il danno inflitto alla mia camicia, no?”
“E tu per la tua scortesia”
Jessica aveva un orgoglio forte e sibilo uno “scusa” molto debole
“Idem”
“Tanto per una scusa reciproca: ti va un caffè?”
“Buona idea” concluse il moro che Jessica trascinò via dal supermarket lasciandola confezione di uova e una di pane in cassetta che evidentemente era del ragazzo.
Dopo una buona mezzoretta che avevano girato tutta Bulevard e i quartieri vicini il ragazzo esplose:
“Ma si puo’ sapere dove stiamo andando?E’ mezzora che mi fai guidare e abbiamo sorpassato duemila bar!”
“Taci, la il caffè fa vomitare anche ai ratti”
Il ragazzo diresse gli occhi al cielo e pregava qualsiasi cosa che stesse la sopra per non indurlo in un omicidio
“Accosta qua” disse la ragazza indicando un piccolo locale sulla destra, era un piccolo palazzetto tutto in vetro, a due piani, si vedeva tutto e l’ arredamento era molto moderno.
“Come mai siamo finiti qua?” chiese il ragazzo
“Perché qua si fa il caffè più buono di tutta la Germania”
Entrarono, le vetrate erano pieni di dipinti pop-art di molti artisti tra cui Madonna, Bob Marley o i Kiss che ricoprivano le pareti dove vi erano addossati dei tavoli di legno con la base in metallo e le sedie in plastica nera o trasparente
“Sediamoci la” disse il ragazzo indicando un tavolo sotto una vetrata raffigurante la copertina dell’ ultimo album: Celebration.
Dopo un silenzio imbarazzante Jessica proferì parola:
“Hem, qual è il tuo nome, visto che ci siamo scontrati, ti ho fatto girare per tutta Bulevard, i quartieri vicini e mezza Hernichton e non so neanche il tuo nome”
“Mi chiamo Bill, tu?”
“Strano nome Bill per un maschio” osservo ridendo, Bill era tutto meno che divertito, strano a dirsi, ma contrariamente a come diceva nelle interviste gli seccava ancora essere scambiato per una donna, “Comunque mi chiamo Jessica” disse porgendogli la mano, non era colpa sua se diceva sempre e comunque quello che pensava, era più forte di lei e quante note, rapporti in presidenza aveva ricevuto alle medie solo per aver detto al prof di italiano che per lei non andava bene che avesse assegnato dei compiti in più ad una alunna che aveva avuto la colpa di chiedere l’ evidenziatore e tanti altri casi simili. Bene o male dicesse anche cose sgradevoli era più forte di lei, doveva sempre dire quello che pensava. I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Bill “è strano pure il nome Jessica per un maschio” disse stringendole la mano e poi si mise a ridere sommessamente
“Ok, siamo pari” poi la voce del cameriere li interruppe:
“Avete già ordinato?”
“No, per me un cappuccino. Tu cosa voi?” domandò il ragazzo
“Caffè freddo perfavore”
Poi cellulare di Jessica iniziò a squillare
“Scusa è mio…mà?”
“Jessica donde estas?”
“Estoy a una cafeteria a Hernichton”
“Son las siete y media, puede ir a casa?”
“Por qué?”
“Estoy preparando la cena y tieneis que comprar las patatas”
“Qué estás preparando?
“Te lo expeco más adelante”
E un pò seccata disse “Hasta mamma” e chiuse la conversazione
Discorso tradotto:
“Jessica dove sei?”
“Sto in un bar a Hernichton”
“Sono le sette e mezza, puoi tornare a casa?”
“Perché?”
“Sto preparando la cena e devi comprare le patate”
“Cosa stai preparando?”
“Te lo spiego dopo”
“Arrivederci mamma”
“Sei spagnola?”
“Io no, sono nata qua, mia madre è cilena, e no, non è lei che mi ha imparto lo spagnolo, con lei l’ ho solo perfezionato”
“Chi te lo ha imparato?”
“Un corso pomeridiano di lingue alle medie” Bill sollevò lo sguardo fino a prima fisso sul tavolo e alzò un sopracciglio come per dire che non credeva a quello che Jessica stava dicendo
“Hey, che ti aspettavi?La tenerissima madre che insegna lo spagnolo alla sua pargola che poi andrà a vivere nel vecchio paesino in cui vi abitano i nonni vivendo nella gioia della famiglia?Quella roba la lascio ai libri e ai film.Quasi tutto quello che so fare l’ ho più o meno imparato da autodidatta, l’ unica cosa che mi hanno imparato è stato il basso e il pinoforte”
“Sai suonare il piano?”
“Si, ma solo qualche accordo”
“Non lo suono più potrebbe evocare troppi dolori e troppi ricordi” voleva aggiungere, ma cambiò la frase: “preferisco il basso” troppi dolori evocavano quei tasti color avorio, e non riguardava minimamente l’ amore…o almeno l’ amore che si ha per un ragazzo, tutto gravitava intorno all’ amore che una figlia aveva per il padre e l’ ipocrisia delle persone
“Sono vostri i caffè freddo e cappuccino?” chiese una giovane cameriera
“Nostri, grazie”
Presero il caffè e il cappuccino velocemente e poi in macchina chiacchierarono del più e del meno, arrivati davanti al supermercato dove era accaduto l’ incidente Jessica chiese a Bill di lasciarla la. Dopo aver soddisfatto le richieste della madre e aver comprato del latte tornò a casa, pregando qualsiasi cosa fosse lassù di non farle incontrare un’ altra persona come Bill: in certi momenti distratto e con il passo molto veloce.
Suonò al campanello e la madre aprì la porta con fare gioioso, Jessica la squadrò da capo a piedi: aveva un vestito più elegante dei suoi soliti jeans e magliette di chissà quale marca stratosferica, era vestita con un tubino nero e il brillante che le aveva regalato il padre di Jesica; i capelli erano sciolti e le onde castane ricadevano morbide sulle spalle
“Cosa hai intenzione di fare vestita così?Non è che andiamo al sushi-bar?”
“No cara, oggi conoscerai una persona”
“Chi?”
“Lo scoprirai quando verrà, ora vatti a cambiare che sembri una senza tetto!”
Sua madre non tollerava il modo di vestirsi di Jessica, odiava quelle canotte dai colori sgargianti, i pantaloni larghi e i cappellini portati all’ incontrario, per la madre sua figlia doveva vestirsi seguendo il decalogo del glamour, del bon-ton e quant’ altro. Insomma, si doveva omologare alla massa di ragazze urlanti per uno tutto muscoli e niente cervello.
“Ceeerto!” disse la figlia Passando tra la madre e lo stipite della porta e si ritirò in camera, si chiuse la porta alle spalle e sospirò. Voleva scappare dalla finestra. Non voleva conoscere questa persona per cui mia madre si era vestita elegante e dopo tanto tempo si era messa il brillante che le aveva regalato suo padre, Aveva un brutto presentimento che si faceva sempre più forte.
“Jessica esci!” la voce di sua madre era così forte e piena di felicità, e malgrado le dividessero un corridoio abbastanza lungo e una porta di legno Jessica sobbalzò
“Dio, lo so che non faccio una scappatella in chiesa da molto, ma se ci sei, fai che un alieno mi trovi e che con un raggio laser mi teletrasporti in un pianeta fuori dalla cintura di Orione” Si guardò per un ultima volta allo specchio, non le sembrava vero di aver riesumato la camicetta bianca con i bordi neri sulle spalle, vita e metà gomito che le aveva regalato sua zia e dei jeans skinny, non ci voleva credere che il suo lato da “brava figlia di papà” represso e nascosto.
Uscì dalla sua camera, percorse il corridoio e andò in salone, la si ritrovò sua madre e un uomo seduto sulla poltroncina di pelle che accarezzava Blak che sembrava gradire. Poi la madre e l’ umo si alzarono e la madre annunciò:
“Jessica questo è Georg, Georg, questa è mia figlia Jessica” la figlia lo guardò alzando un sopracciglio e protese una mano con i muscoli tesi
“Piacere” disse con il tono tendente al basso
“Il piacere è il mio” Georg diede una stretta forte e sorrise, a primo impatto era un uomo sicuro di se. Poi un silenzio imbarazzante interrotto solo dal sonaglio dentro la pallina di Blak che giocava incurante di tutto
“Andiamo, ho preparato il pollo arrosto”
“Ma io avevo già prenotato al Monnaie”
“Monna che?” disse Jessica con il tono di chi ha appena sentito tutta la messa in latino
“E’ un nuovo ristorante che ha aperto qua in zona”
rispose prontamente la madre, faceva l’ infermiera e non era sempre occupata tutta la giornata e quando non era occupata girava per la città con quelle quattro galline dicasi anche vicine di casa che si vantavano continuamente che la figlia faceva questo e quell’ altro
“Aspettate un attimo che mi vado a preparare la borsa” continuò
“E io vado a prendere la giacca”
“Niente borsa?” commentò Georg un po’sul sarcastico
“Per un burro di cacao e un cellulare non serve chissà quale borsa” e riandò in camera.
Aprì le due ante dell’ armadio, non c’erano poi così tante giacche, prese la giacca nera con i bottoni al petto, estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e si diede l’ ultima guardata allo specchio, non si riconosceva affatto.
Tornarono a casa verso le dieci e quarantacinque. A Jessica non le era piaciuto il ristorante, e si era stancata di sentire la madre parlare e Georg fingersi interessato, inutile dire che stavano insieme
“troppa roba sofisticata, troppi piatti in lingue straniere lunghi da cucinare che costano una cifra, ma al confronto lo sputo di uno scoiattolo è più grande” Si buttò sul letto e fece (come di rito) i punti della giornata: “uno, ho conosciuto uno che sembra una donna, due, il nuovo tipo di mia madre non mi ispira fiducia, ha detto di avere due figli.Tre non ho intenzione di conoscerli” dopo questo prese il prese il pc da sotto il letto e entrò nel suo blog e scrisse un intervento, su l’ incontro di nuove persone.
Alla fine si buttò sul letto, non aveva neanche la voglia di leggere, riuscì solo a prendere la prima maglietta che le capitava sotto mano e i primi jeans larghi che si trovò sull’ letto, per il resto non spense neanche la luce e si addormentò come un orso in letargo.