Bulevard Of Broken Dreams

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;Ebony Julien
view post Posted on 2/5/2010, 21:04




Ok, qua è la prima ff che posto in questo luogo dove ci sono le figlie di Wilde ovvero quelle che con una semplice OS ti fanno assumere questa faccia: :-tet:
Il primo capitolo è abbastanza noioso e serve solo per la presentazione della protagonista, il vero svolgimento arriva nel secondo, ah, dimenticavo: quello che menzionerò su Justin B. non è per offendere le fan, ma comprendetemi, in qualche modo mi dovrò pur sfogare

Bulevard of Broken Dreams



PROLOGO
Tutti vorrebbero vivere a Bulevard, un quartiere meraviglioso, c’è tutto quello che una famiglia berlinese potrebbe desiderare: ottima scuola privata, grandi palazzi con uffici e case,ma tutto non è come sembra Bulevard in realtà non è solo questo: è dolore, famiglie disagiate o scosse da una grave perdita, dove se non guadagni più di 1.600 euro non sei nessuno, ma soprattutto non potrai mai realizzare i tuoi sogni.infatti Bulevard è soprattutto questo, sogni infranti che però trovano sempre la speranza di farcela, dove nulla è perduto, dove è la passione quello che conta, dove è la forza di volontà è questo che crede Jessica, perché lei vuole farcela, perché lei vuole arrivare a suonare dove non avrebbe mai pensato, però forse non ce la farà, come sua madre, come sua sorella, loro hanno lasciato che i loro sogni si infrangessero. Jessica vive a Bulevard, ma lei dice che abita nella Bulevard dei sogni infranti

Capitolo 1


“Non ho mai fatto proggetti solo sogni, progettare non serve a nulla, visto che ci sarà sempre qualcosa che te li smonterà” scrisse questa frase sul diario dell’ anno scorso, era ed è tutt’ ora era la sua filosofia di vita. Si avvio in cucina, sono le sette, si deve preparare la colazione e devo fare tutto in fretta; scaldò il caffè ed il latte, accese la tv sintonizzata su MTV, stavolta non cambiò il canale dove si sfornano solo pop-star costruite a tavolino che cantano solo “o amore mio non smetto di pensarti un secondo, ti prego perdonami”, <<infatti ecco uno di quella categoria: Jusin Biber, stranamente al posto di essere moro e tenebroso è biondo con la faccina pulita.>> Versò il caffè bollente ed il latte nella mia tazza di Barcellona, è nera e di forma strana: triangolare ed un manico che tecnicamente non lo è perché non si puo’ prenderla con due dita perchè ti si sfila e cade, le piaceva perché si distingue proprio perché ti rende impossibile quasi tutto. Si portò la tazza alle labbra e la staccò per ridere di quei geniacci dell’ industria musicale, fino ad un anno fa facevano i ragazzi tutti impiastrati di ombretto e con lo sguardo sempre corrucciato, invece oggi sono tutte con visino pulito e il sorriso stampato sulla faccia. Appoggiò la tazza ormai vuota nel lavandino e mi dirigo verso il bagno.

Uscì di casa alle sette meno dieci minuti.
“Ciao mamy, ciao Blak” Blak era il suo gatto nero che aveva sempre l’ abitudine di salutare come se fosse una persona, inutile dire che era nero come la pece e che in casa sua non no si respirava aria di superstizione. Uscì di casa, la scuola era poco lantana da casa e ci si poteva andare col bus, intanto si avvicinò alla fermata .
“Bon jour!” una voce alta la fece sobbalzare, si girò appena e scorgo la figura di Mattew: il suo migliore amico sin dalle elementari, era molto simpatico… fino a quando non ti faceva sobbalzare per gli spaventi
“Non tanto buono dopo il tuo saluto”
“Oh, Jess non fare la permalosa, sai che è il mio marchio di fabbrica”
“Il tuo marchio di fabbrica è far saltare sulla Luna le persone di prima mattina? In modo che ti atterrino con un calcio sullo stinco?” disse mimando il gesto, lo fece così bene che quasi lo colpì, ma a quanto pare era sempre stata più lenta di lui a schivare colpi o oggetti
“Calma rasta d’ oro, se ti scaldi ti si squaglia la maschera”
“Ha-ha molto divertente troll di due metri”
“Andiamo, il calesse per la prigione è arrivato” si avviarono al bus con le porte spalancate, quando lei entrò si sedette sull’ ultimo sedile, infondo, vicino al finestrino e appoggiò la tracolla tra le sue gambe magrissime e accostò la testa vicino al finestrino, per quanto sia breve il tragitto era piacevole osservare scenette di vita quotidiana: anziani seduti sulla panchina o a leggere il giornale o a rimembrare la loro giovinezza passata, corrieri grassi e multi tatuati che scaricano giornali freschi di stampa , giovani trentenni già realizzate nella vita che vanno al lavoro con tailleur di Gucci o Prada, uomini single che vanno a fare spesa malgrado non distinguano una banana matura da unamarcia. Bulevard era proprio un quartiere meraviglioso, per gli altri, per lei non tanto.
La voce morbida dell’ autista annunciò: “prossima fermata: Università Dams“ <<ecco la mia fermata>> pensò. Pendé la tracolla e si avviò alle porte del Dams. La studiava scienze dello spettacolo e della musica, in poche parole escludendo la trigonometria e francese è un sogno sottoforma di tortura scolastica. Uno squillo di campanella avvertì tutta la massa di studenti di entrare, alla prima ora aveva Guida alla critica letterale e cinematografica.
Salì al secondo piano e si avviò all’ aula immensa e piena di scene di film e una lavagna elettronica.
Si sedé al penultimo banco vicino alla finestra, da la si vedeva la strada e il cielo che aveva una strana sfumatura: color indaco, le piaceva molto quando il cielo si tinge di quel colore, da l’ idea del crepuscolo; si mise ad osservarlo immersa nelle sue sfumature e a riconoscere strane figure nelle nuvole quando ad un tratto un richiamo la riportò alla realtà:
“Jessy, Oi Jessy?” la voce di Franziska la fece ritornare nel mondo terreno, nel mondo dove se non segui le regole e cerchi di volare ti riportano subito giù.
“Che c’è?” Franziska piegò la testa in direzione della porta facendo oscillare i lunghi capelli rossi: il prof Bursh entrò in classe, <<in poche parole si riconosce da un cadavere di marmo solo perché respira>> pensava sempre quando entrava. Dopo un alzata di gruppo ciondolante e un fiacco “Buongiorno” si cercava di seguire la lezione.

Si era fatto fino alle sei del pomeriggio, <<odio il lunedì tutti riprendono la vita frenetica ma non gradualmente, di botto e questa è una cosa che odio>>. Sull’ autobus non ce la fece neanche a spiccare parola, ma Franziska si e parla interrottamente, e pure anche lei oggi ha avuto teoria musicale
“Jessica, ma mi stai ascoltando?”
“Hum, si, scusa stavo facendo il resoconto della giornata, mi sa che oggi non ce la faccio ad andare in palestra”
“E chissà che sarà mai, oggi abbiamo fatto solo la metà delle ore che fanno I bambini cinesi in una fabbrica”
“Si, ma c’è una differenza: io non sono Cinese!” osservò, dopo un paio di anni che Jessica conosceva Franziska non riusciva a capire dove prendeva tutta quell’ energia
“Non capisco dove trovi tutta questa energia.” Continuò, poi avvicinandosi all’ amica le chiese a bassa voce dandogli leggere gomitate “Non è che ti fai, he?”
“Zitta tu!” poi ad un tratto il telefono di Jessica squillò:
“Pronto ‘ma?”
“Ciao tesoro, volevo dirti che stasera non torno”
“Si”
“Non ci si droga!Metti giù quella siringa!” urlò Franziska vicino al telefono in modo che la madre dell’ amica poteva sentire”
“Deficiente!” Disse chiudendo la conversazione e tentando di infilargli un dito in un occhio mentre tutti gli altri passeggeri guardavano le due ragazze con uno sguardo inceneritore, Jessica notò l’ espressione di una vecchietta che le guardava infastidita, poi si ricompose e disse con un accento inglese
“Credo che ci stiano guardando, darling”lei adorava questi momenti spesi a ridere con gli amici, per lei erano gli unici momenti belli della vita.

Quando tornò a casa trovò Blak che si faceva le unghie sulla poltrona di pelle rossa
“E tu che stai facendo?” gli domandò strappandolo via dalla sua beneamata poltrona e con un miagolio di protesta e si divincolò dalla stretta della padrona e corse subito sul suo cuscino. Se c’ era una cosa dei gatti che piaceva molto a Jessica era proprio il loro spirito libero e indomabile, certo, certe volte avrebbe preferito avere un cane che almeno non scappava quando lo rimproveravi, ma sebrava che quasi tutta la razza canina ce l’ avesse con lei. Andò in cucina per fasi un panino, ma si accorse che mancava la mozzarella e c’ era solo un uovo in frigo, ques’t ultime erano l’ unico piatto che sapesse cucinare in cui non ci volessero tre tentativi prima di avere un cibo commestibile.
Prese il portafogli e si recò al supermercato più vicino, era più o meno mezzo isolato di distanza dalla palazzina.
 
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vamp-girl
view post Posted on 3/5/2010, 19:57




Se ho ben capito, Jessica ha i rasta biondi e dei sogni non ancora realizzati.
Non hai nominato suo padre. Ce l' ha?
Il riferimento al prof Bursh è molto simpatico.
Che accadrà al supermercato? Continua.
 
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;Ebony Julien
view post Posted on 3/5/2010, 20:14




Il padre verrà dopo, sto già provvedendo a menzionarlo nel 3° capitolo (che devo ancora scrivere, ma che la mia testa sta già costuendo)
 
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;Ebony Julien
view post Posted on 12/5/2010, 19:59




Ammetto che quello che succederà al supermercato è banale e scontatissimo. Riguardo al discorso in spagnolo, ho utilizzato in parte un taduttore e mi scuso per i verbi coniugati male.

Capitolo 2



Quando arrivò al supermercato un’ ondata di calore e di profumo di pane la investì.Il supermercato era grande, c’ era di tutto dalla cosmetica a dei distributori di pasta fai da te.
Camminò zigzagando tra i corridoi per raggiungere il banco frigo e prendere uova e latte; intanto un po’ più in la un ragazzo si affrettava alle casse e non volendo andò ad urtare Jessica versandole buona parte del latte (evidentemente chiuso male) sulla camicia e facendola cadere
“Ma sei deficiente o cosa?” le sbraitò contro
“Scusa, ma…”
“Scusa un cacchio!Ma ti sembra normale andare addosso alle persone e rovesciargli li latte addosso?” dopo aver posato la bottiglia semi vuota di latte, si alzò e guardò meglio il ragazzo che a primo impatto a Jessica sembrò una ragazza: aveva i lineamenti delicati, i capelli tirati indietro e gli occhi coperti da dei Carrera scuri e vestiti molto particolari. “Wow questa è strana forte” Pensò.
Intanto molti clienti si erano fermati a guadare la scena formando un anello interrotto solo da due corridoi, Jessica si girò e vide tutta la folla che si era formata e disse a tutti i presenti con tono tutt’ altro che dolce:
“Che guardate?Al posto di stare li impalati perché non muovete le chiappe e andate a chiamare un commesso per ripulire il danno che la qui presente” disse indicando il ragazzo/ragazza “che mi ha rovesciato latte e uova addosso”
“In realtà sarei un uomo” Jessica si voltò di scatto e nel suo volto comparì un espressione di una persona a cui stavano raccontando una bugia benché sapesse la verità.
“Ceerto, allora io sono Naomi Cumpbell”
“No, non so scherzando” continuò serio
“E io non ti credo”
Poi un inserviente arrivò con mocho e secchio pieno di detersivo e si mise a pulire.
“Immagino che ti vorresti scusare per il danno inflitto alla mia camicia, no?”
“E tu per la tua scortesia”
Jessica aveva un orgoglio forte e sibilo uno “scusa” molto debole
“Idem”
“Tanto per una scusa reciproca: ti va un caffè?”
“Buona idea” concluse il moro che Jessica trascinò via dal supermarket lasciandola confezione di uova e una di pane in cassetta che evidentemente era del ragazzo.

Dopo una buona mezzoretta che avevano girato tutta Bulevard e i quartieri vicini il ragazzo esplose:
“Ma si puo’ sapere dove stiamo andando?E’ mezzora che mi fai guidare e abbiamo sorpassato duemila bar!”
“Taci, la il caffè fa vomitare anche ai ratti”
Il ragazzo diresse gli occhi al cielo e pregava qualsiasi cosa che stesse la sopra per non indurlo in un omicidio
“Accosta qua” disse la ragazza indicando un piccolo locale sulla destra, era un piccolo palazzetto tutto in vetro, a due piani, si vedeva tutto e l’ arredamento era molto moderno.
“Come mai siamo finiti qua?” chiese il ragazzo
“Perché qua si fa il caffè più buono di tutta la Germania”
Entrarono, le vetrate erano pieni di dipinti pop-art di molti artisti tra cui Madonna, Bob Marley o i Kiss che ricoprivano le pareti dove vi erano addossati dei tavoli di legno con la base in metallo e le sedie in plastica nera o trasparente
“Sediamoci la” disse il ragazzo indicando un tavolo sotto una vetrata raffigurante la copertina dell’ ultimo album: Celebration.
Dopo un silenzio imbarazzante Jessica proferì parola:
“Hem, qual è il tuo nome, visto che ci siamo scontrati, ti ho fatto girare per tutta Bulevard, i quartieri vicini e mezza Hernichton e non so neanche il tuo nome”
“Mi chiamo Bill, tu?”
“Strano nome Bill per un maschio” osservo ridendo, Bill era tutto meno che divertito, strano a dirsi, ma contrariamente a come diceva nelle interviste gli seccava ancora essere scambiato per una donna, “Comunque mi chiamo Jessica” disse porgendogli la mano, non era colpa sua se diceva sempre e comunque quello che pensava, era più forte di lei e quante note, rapporti in presidenza aveva ricevuto alle medie solo per aver detto al prof di italiano che per lei non andava bene che avesse assegnato dei compiti in più ad una alunna che aveva avuto la colpa di chiedere l’ evidenziatore e tanti altri casi simili. Bene o male dicesse anche cose sgradevoli era più forte di lei, doveva sempre dire quello che pensava. I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Bill “è strano pure il nome Jessica per un maschio” disse stringendole la mano e poi si mise a ridere sommessamente
“Ok, siamo pari” poi la voce del cameriere li interruppe:
“Avete già ordinato?”
“No, per me un cappuccino. Tu cosa voi?” domandò il ragazzo
“Caffè freddo perfavore”
Poi cellulare di Jessica iniziò a squillare
“Scusa è mio…mà?”
“Jessica donde estas?”
“Estoy a una cafeteria a Hernichton”
“Son las siete y media, puede ir a casa?”
“Por qué?”
“Estoy preparando la cena y tieneis que comprar las patatas”
“Qué estás preparando?
“Te lo expeco más adelante”
E un pò seccata disse “Hasta mamma” e chiuse la conversazione

SPOILER (click to view)
Discorso tradotto:
“Jessica dove sei?”
“Sto in un bar a Hernichton”
“Sono le sette e mezza, puoi tornare a casa?”
“Perché?”
“Sto preparando la cena e devi comprare le patate”
“Cosa stai preparando?”
“Te lo spiego dopo”
“Arrivederci mamma”


“Sei spagnola?”
“Io no, sono nata qua, mia madre è cilena, e no, non è lei che mi ha imparto lo spagnolo, con lei l’ ho solo perfezionato”
“Chi te lo ha imparato?”
“Un corso pomeridiano di lingue alle medie” Bill sollevò lo sguardo fino a prima fisso sul tavolo e alzò un sopracciglio come per dire che non credeva a quello che Jessica stava dicendo
“Hey, che ti aspettavi?La tenerissima madre che insegna lo spagnolo alla sua pargola che poi andrà a vivere nel vecchio paesino in cui vi abitano i nonni vivendo nella gioia della famiglia?Quella roba la lascio ai libri e ai film.Quasi tutto quello che so fare l’ ho più o meno imparato da autodidatta, l’ unica cosa che mi hanno imparato è stato il basso e il pinoforte”
“Sai suonare il piano?”
“Si, ma solo qualche accordo” “Non lo suono più potrebbe evocare troppi dolori e troppi ricordi” voleva aggiungere, ma cambiò la frase: “preferisco il basso” troppi dolori evocavano quei tasti color avorio, e non riguardava minimamente l’ amore…o almeno l’ amore che si ha per un ragazzo, tutto gravitava intorno all’ amore che una figlia aveva per il padre e l’ ipocrisia delle persone
“Sono vostri i caffè freddo e cappuccino?” chiese una giovane cameriera
“Nostri, grazie”
Presero il caffè e il cappuccino velocemente e poi in macchina chiacchierarono del più e del meno, arrivati davanti al supermercato dove era accaduto l’ incidente Jessica chiese a Bill di lasciarla la. Dopo aver soddisfatto le richieste della madre e aver comprato del latte tornò a casa, pregando qualsiasi cosa fosse lassù di non farle incontrare un’ altra persona come Bill: in certi momenti distratto e con il passo molto veloce.

Suonò al campanello e la madre aprì la porta con fare gioioso, Jessica la squadrò da capo a piedi: aveva un vestito più elegante dei suoi soliti jeans e magliette di chissà quale marca stratosferica, era vestita con un tubino nero e il brillante che le aveva regalato il padre di Jesica; i capelli erano sciolti e le onde castane ricadevano morbide sulle spalle
“Cosa hai intenzione di fare vestita così?Non è che andiamo al sushi-bar?”
“No cara, oggi conoscerai una persona”
“Chi?”
“Lo scoprirai quando verrà, ora vatti a cambiare che sembri una senza tetto!”
Sua madre non tollerava il modo di vestirsi di Jessica, odiava quelle canotte dai colori sgargianti, i pantaloni larghi e i cappellini portati all’ incontrario, per la madre sua figlia doveva vestirsi seguendo il decalogo del glamour, del bon-ton e quant’ altro. Insomma, si doveva omologare alla massa di ragazze urlanti per uno tutto muscoli e niente cervello.
“Ceeerto!” disse la figlia Passando tra la madre e lo stipite della porta e si ritirò in camera, si chiuse la porta alle spalle e sospirò. Voleva scappare dalla finestra. Non voleva conoscere questa persona per cui mia madre si era vestita elegante e dopo tanto tempo si era messa il brillante che le aveva regalato suo padre, Aveva un brutto presentimento che si faceva sempre più forte.

“Jessica esci!” la voce di sua madre era così forte e piena di felicità, e malgrado le dividessero un corridoio abbastanza lungo e una porta di legno Jessica sobbalzò “Dio, lo so che non faccio una scappatella in chiesa da molto, ma se ci sei, fai che un alieno mi trovi e che con un raggio laser mi teletrasporti in un pianeta fuori dalla cintura di Orione”
Si guardò per un ultima volta allo specchio, non le sembrava vero di aver riesumato la camicetta bianca con i bordi neri sulle spalle, vita e metà gomito che le aveva regalato sua zia e dei jeans skinny, non ci voleva credere che il suo lato da “brava figlia di papà” represso e nascosto.
Uscì dalla sua camera, percorse il corridoio e andò in salone, la si ritrovò sua madre e un uomo seduto sulla poltroncina di pelle che accarezzava Blak che sembrava gradire. Poi la madre e l’ umo si alzarono e la madre annunciò:
“Jessica questo è Georg, Georg, questa è mia figlia Jessica” la figlia lo guardò alzando un sopracciglio e protese una mano con i muscoli tesi
“Piacere” disse con il tono tendente al basso
“Il piacere è il mio” Georg diede una stretta forte e sorrise, a primo impatto era un uomo sicuro di se. Poi un silenzio imbarazzante interrotto solo dal sonaglio dentro la pallina di Blak che giocava incurante di tutto
“Andiamo, ho preparato il pollo arrosto”
“Ma io avevo già prenotato al Monnaie”
“Monna che?” disse Jessica con il tono di chi ha appena sentito tutta la messa in latino
“E’ un nuovo ristorante che ha aperto qua in zona”
rispose prontamente la madre, faceva l’ infermiera e non era sempre occupata tutta la giornata e quando non era occupata girava per la città con quelle quattro galline dicasi anche vicine di casa che si vantavano continuamente che la figlia faceva questo e quell’ altro
“Aspettate un attimo che mi vado a preparare la borsa” continuò
“E io vado a prendere la giacca”
“Niente borsa?” commentò Georg un po’sul sarcastico
“Per un burro di cacao e un cellulare non serve chissà quale borsa” e riandò in camera.
Aprì le due ante dell’ armadio, non c’erano poi così tante giacche, prese la giacca nera con i bottoni al petto, estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e si diede l’ ultima guardata allo specchio, non si riconosceva affatto.


Tornarono a casa verso le dieci e quarantacinque. A Jessica non le era piaciuto il ristorante, e si era stancata di sentire la madre parlare e Georg fingersi interessato, inutile dire che stavano insieme “troppa roba sofisticata, troppi piatti in lingue straniere lunghi da cucinare che costano una cifra, ma al confronto lo sputo di uno scoiattolo è più grande” Si buttò sul letto e fece (come di rito) i punti della giornata: “uno, ho conosciuto uno che sembra una donna, due, il nuovo tipo di mia madre non mi ispira fiducia, ha detto di avere due figli.Tre non ho intenzione di conoscerli” dopo questo prese il prese il pc da sotto il letto e entrò nel suo blog e scrisse un intervento, su l’ incontro di nuove persone.
Alla fine si buttò sul letto, non aveva neanche la voglia di leggere, riuscì solo a prendere la prima maglietta che le capitava sotto mano e i primi jeans larghi che si trovò sull’ letto, per il resto non spense neanche la luce e si addormentò come un orso in letargo.
 
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vamp-girl
view post Posted on 12/5/2010, 21:12




La Vamp ha uno strano presentimento: che Georg sia il padre naturale dei gemelli Kaulitz?
Ho notato che Jessica ha un po' lo stile di Tom per cui:
- o Bill si innamorerà perdutamente di lei perchè gli ricorda suo fratello;
- oppure Tom troverà in lei la sua versione femminile e cederà per la prima volta all' amore.
Chissà se ho intuito esattamente!
Posta presto, sono curiosa.
 
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;Ebony Julien
view post Posted on 6/6/2010, 20:20




Capitolo 3


Jessica si svegliò di soprassalto per il rumore della sveglia
“Ma porco cane!” disse mentre cercava di interrompere il suono del cellulare-sveglia. Si tolse le coperte da dosso e infilò le infradito nere e si diresse in bagno per lavarsi. Quando ebbe finito si infilò i vestiti che si era prefissata la sera scorsa e si legò i lunghi rasta con uno di quei maxi elastici che teneva sempre nel cassetto di un mobiletto vicino allo specchio e quasi non si dimenticò il basso a casa quando stava per uscire la madre la fermò
“Jessica, siediti, non hai neanche messo qualcosa sotto i denti”
Odiava quando la madre faceva la ultra responsabile. Allungò una mano su una mela rossa le la mozzicò e con la bocca piena la salutò rischiando di sputare buona parte della polpa.
Arrivata alla fermata chiacchierò con Franziska del più e del meno con diversi intervanti di Mattew.
“Oggi è martedì, no? Perché non affittiamo 2012?”
“Meglio di no, poi fai quei sogni strani con noi in mezzo. Come quella volta quando avevi visto Titanic per la 5° volta e te lo sei sonata con gli alieni di Avatar, il tuo gatto e io che sono un cameriere vestito di bianco” osservò Mattew, era vero, lei quando guardava un film con qualsiasi tragedia che era realmente accaduta o che poteva accadere dopo un po’ di giorni ci faceva dei sogni al limite della fantasia
“Quello è solo pechè l’ avevo visto per la 5° volta” si giustificò alzando la testa e incrociando le braccia
“Se, se, poi se fai sogni strani sulla fine del mondo noi non li vogliamo sentire” disse Franziska
“Tanto ve li mando via sms o li leggete sul blog”
“Intanto andiamo, che se ci invii un sms riguardante i tuoi modi in cui ci assillerai con il sogno come la professoressa Kramp. Povera Suzie” la professoressa Kramp era la docente di storia della drammaturgia tedesca e inglese del ‘900
“Povera, solo per una battutina gli ha fatto quasi riassumere metà del libro”.

Durante il viaggio in autobus discussero sul film da vedere, Jessica insisteva su 2012, Mattew con Avatar e Franziska con Grease
“Ma perché non ci possiamo vedere un film tranquillo senza spari, alieni e catastrofi naturali?”
“Perché io odio i musical!” ripeté per l’ ennesima volta Mattew.
Intanto Jessica li osservava, dopo la sbroccata di ieri al super market non le andava di litigare, viaggiare in macchina e non fare niente le metteva sempre sonno, ma per questo breve tragitto ce la poteva fare.
Quando arrivarono davanti all’ entrata Franziska e Mattew stavano ancora discutendo, ad un certo punto Jessica si intromise
“Basta cacchio! Ma non vi fermate mai?” domandò con l’ aria seccata per poi spostarsi nel posto più vicino alle porte.

Le ore passarono velocemente mentre Franziska si stava scervellando per trovare un film che andasse bene per tutti e tre, lei dopo l’ università voleva diventare direttrice di una casa discografica, quindi si intendeva di cosa piaceva alla massa, per molti era impossibile che la figlia di un’ avvocato matrimoniale e un professore di matematica, che non avevano niente a che fare con il mondo dell’ industria musicale. Ma lei voleva farcela. Aveva buon gusto per scegliere qualsiasi cosa, ecco perché molte volte Jessica le chiedeva aiuto per un look “figo”, certe volte aiutava anche le ochette della facoltà di storia del costume, ma solo per qualcosa in cambio. Perché se da Franziska ricevi a Franziaka sei costretta a dargli.
Durante l’ ora di “Teorie e pratiche postcoloniali del cinema e dei media” non riuscì a trovare nessuna opzione che andasse bene per tutti e tre, Jessica era una a cui piacevano i film storici con un po’ d’ horror, a Mattew l’ horror puro e la fantascienza, Franziska era un tipo più romantico attratta dalle storie tipo Giulietta e Romeo, le storia e che Jessica riteneva stupide e senza un filo d realismo, per lei l’ amore non poteva essere per sempre, e non ci si poteva uccidere per amore.
Mattew si prestava a copiare gli appunti senza capirci un granché tra una pausa e l’ altra guardava Alessa, la ragazza più bella di tutto il corso, aveva i capelli castano scuro con qualche riflesso nero, un viso a cuore e labbra perfette, ne troppo grandi ne troppo piccole. Per Mattew era il canone di bellezza perfetto.
Jessica giocava col tappo della penna e ascoltava ben poco della lezione; aveva gi occhi persi nei quadretti del quaderno e pensava cosa stessero facendo le grandi star della musica e del cinema in questo momento, lo faceva sempre e in quell' ora pensava cosa stesse facendo Skin, ma per quanto si spremesse non riusciva a focalizzare cosa stesse facendo; come se avesse i super poteri.

Dopo il laboratorio musicale Jessica tornò a casa per posare lo strumento e dare da mangiare al gatto, la madre faceva il turno pomeridiano e quindi non c’ era. Dopo scese giù al boxe sotto la palazzina e prese la sua Yamaha e si avviò alla carto-libreria dove lavorava, non per sostenere la madre nelle spese, ma per sostenere le sue. La madre l’ aveva sempre educata all’ essere indipendente e a guadagnarsele le cose, così un giorno sarebbe andata via di casa senza chiedere niente a nessuno.

“Buon pomeriggio colonnello” disse Jessica, il «Colonnello» era il titolare della carto-libreria, lo chiamava così per via della sua passata carriera di militare in Francia contro Hitler.
“Anche a te” disse distrattamente per dare un resto ad una signora
“Hello Meredith” Meredith era la commessa a tempo pieno. Si infilò il gilet rosso da lavoro e si mise dietro il bancone
“Jessica mi vai a prendere «Il codice DaVinci» nel magazzino?”
“Subito”.
Entrò nel magazzino dove c’era la riserva di libri, la vi era sempre un odore di stampa che le piaceva molto, ci sarebbe rimasta per ore. Dopo aver preso il libro ed essere uscita dal magazzino per consegnarlo a Meredith le ore passarono lentamente. Certe volte capitava che c’ era un momento di vuoto per poi riempirsi velocemente di clientela. Jessica stava mettendo apposto i bigliettini d’ auguri quando il campanellino sopra la porta tintinnò.

“Via St. Sebastian n. 23. Si è questo” disse Bill guardando il negozietto che si trovava davanti: era un edificio con i mattoni rossi a vista e una vetrina sulla fincata dove vi erano molti libri di tante categorie differenti e un’ altra più piccola con tante penne, borse e quaderni sparsi sulle mensole. In alto vi era una scritta blu: K' arte. Dal 1960” Bill vi entrò facendo tintinnare il campanellino sopra la porta bianca. Le mura del negozio erano contornate di libri e alla sua destra vi erano due banconi bianchi e una fotocopiatrice, sulla sinistra uno scaffale dove vi erano tutte borse e zaini e più avanti un tavolo di legno dal design moderno; dietro vi era un uomo anziano, alto, calvo e con l’ aria corrucciata. Poi guardò più giu. Eccola, stava sfogliando una rivista e masticando un chew-gum. Poi si avvicinò al lei.
Jessica alzò gli occhi e incontro la faccia del tizio dell’ altra volta, Bill
“Ciao, cosa ti serve?”
“Nulla di questa roba. Guarda queste” disse estraendo delle foto da una borsa di Dior dell’ ultima collezione. Jessica si sporse dal bancone per guardarla
“Porti una borsa?!” disse con gli occhi sgranati ”Ok, mi hanno sempre detto che una persona non si giudica dal primo impatto. Ma se Bill non è una femmina allora è al 100% checca”
“Lo dici come se fosse una cosa orribile” Odiava quando la gente si stupiva di quando portava una borsa, o si metteva lo smalto e la ragazza davanti a lui già gli dava su i nervi quando si erano scontrati e aveva sbraitato poco simpaticamente se un inserviente si decideva a pulire. Poi le porse una fotocopia delle foto. Jessica le guardò perplessa, le fotografie ritraevano lei e Bill che conversavano al bar, lei che saliva nella sua macchina e che lo salutava davanti al market vicino casa.
“Ma che caz…? Aspetta un attimo” disse per poi correre al pc fisso vicino a lei. Poi si collego a internet e digitò su Google «bill kaulitz senza trucco.» quando si visualizzarono le immagini della prima pagina disse rivolgendosi a Bill: “Vieni qui” poi quando la raggiunse dietro il bancone gli tolse occhiali da sole e cappellino poi con un gesto povero di grazia femminile accostò il volto di Bill al monitor e osservò la foto e la sua faccia. Poi si accorse di tutto ”Certo che era lui, come mi sono potuta sbagliare. Dai, stessi occhi, stesso naso e stesso neo sotto il labro inferiore”
“Ammetto di avere una memoria pessima e certe volte non riconosco neanche mio nonno” disse sarcasticamente “ma non pensavo di non poterti riconoscere”
“Ha-ha” disse anche lui con fare sarcastico
“Comunque, cosa vorresti da me?Se intendi pubblicarle fa pure, tanto a me mica cambia la vita”
“Tu non immagini quanto”
“Ma fammi il favore, ho la faccia coperta metà da i capelli e un po’ dal colletto della giacca”
“Ma sai, ci possono essere al massimo due ragazze a Berlino con i rasta per lo più biondo platino” osservò il ragazzo
“Comunque fa come ti pare, se sarò perseguitata dai paparazzi ho i miei metodi e le mie amicizie”
“E non voglio sapere che persone sono” ad un tratto la voce del colonnello li interruppe:
“Jessica tu e il tuo amico volete anche del tè oppure torni al lavoro?”
“Trenta secondi che gli devo lasciare una cosa!” disse rivolgendosi al colonnello “Questa è la mia mail e il mio numero di cellulare, chiamami questa sera dopo le otto” disse porgendogli un bigliettino
“Ok, allora ci si sente”.

Bill uscì dal negozio e si diresse alla macchina quando tornò a casa si infilò sotto la doccia e dopo un po’ di relax e del riso alla cantonese a domicilio chiamò Jessica.
“Pronto?”
“Ciao Jessica, sono Bill”
“Come mai hai chiamato così tardi?”
“Guarda che tu mia avevi detto di chiamarti verso le otto”
“Appunto, non dopo le nove e mezzo”
“Non perdiamoci in chiacchiere, ho deciso che le foto non si pubblicheranno”
“Guarda che potrebbe essere un’ ottima opportunità per fare un po’ di scoop e far accrescere la tua fama”
“Ma chissene fotte della grana e della fama, sono già famoso ai limiti, ho una quantità di soldi che basta per noleggiare un lunapark per il giorno del mio compleanno, credo che mi possa bastare”
“Come dissi prima: fai come ti pare. Buona notte”
“Anche a te”
Quando chiuse la comunicazione non volle neanche pensare lontanamente a quella ragazza maleducata, menefreghista e egocentrica di nome Jessica. Guardò la tv e cercando di cuocere dei pop-corn per microonde con insuccesso e in fine si recò al letto.
 
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