Vuoi sapere dove si trova l'eternità?

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Shynee
view post Posted on 27/3/2010, 14:49




Perdona il ritardo della risposta, ma sono stata davvero incasinata in questi giorni e non ho potuto dedicarmi molto ai passatempi.
Dunque.

CITAZIONE
Mi dispiace per gli eventuali errori grammaticali: sicuramente sono stati una svista (quando capita che mi viene voglia di leggere i capitoli passati mi accorgo di aver fatto delle castronerie immani e mi imbarazza che voi dobbiate vederle) oppure è possibile che sia tutta colpa della mia ignoranza grammaticale (probabile anche questa seconda opzione). Nei capitoli seguenti però ho fatto più attenzione e spero che se troverai ancora queste miei errori di sorvolare con pazienza. Sono imperfetta. xD

Ti capisco perfettamente, anche io rileggendo ciò che ho scritto in passato leggo degli orrori e mi verrebbe voglia di mordermi le mani. Ti confesso che ho dato una sbirciatina anche ai capitoli successivi (benedetto EFP) e alcune cose le hai evitate.

CITAZIONE
razie al cielo non ho mai provato un dolore così profondo, devastante, come quello di Lyric. Ho provato dolore nella mia vita di appena venti anni ma non è un dolore paragonabile con quello della mia protagonista. Ciò che voglio dire che (grazie di averci pensato) fortunatamente io non ho mai dovuto affrontare qualcosa del genere.

Non stavo affermando che per descrivere così bene il dolore della protagonista, tu stessa hai provato qualcosa del genere sulla tua pelle, stavo solo dicendo che per rendere così bene una situazione, sicuramente conosci il dolore e sai amplificarlo nella misura giusta, in linea con le strutture psicologiche dei personaggi.

CITAZIONE
Per me funziona così, non sto tanto a rifletterci, i sentimenti che voglio scrivere solitamente vorticano sempre nella mia mente e una volta che sono davanti alla pagina, sapendo cosa succederà in quella scena, scrivo di getto una bozza che correggo un mucchio di volte (nel senso che cancello battute, riscrivo descrizioni), con un mucchio di aggiunte e poi esce la scena finale. Solitamente quando si fa silenzio e leggendo una parte dentro me non si agitano più quei sentimenti e quelle scene, quando sono in pace. xD
Ti capita mai?

Sì, decisamente XD Ti capisco appieno. Grazie della risposta al commento esauriente, e ci vediamo nelle prossime puntate, sperando di riuscire a commentare sempre, visto che non lo faccio mai nemmeno se mi pagano
 
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Gillian Kami
view post Posted on 28/3/2010, 21:09




Salve a tutte voi ragazze.
Sono di ritorno da Barcellona e ho adosso cinque giorni e quattro notti di bagordi con i miei compagni di classe xD E' stata una figata assurda ma purtroppo, a causa di questo mio viaggetto, non sono riuscita a postare il capitolo promesso martedì. Perciò lo posto adesso e quello previsto per martedì lo posterò invece giovedì, così avrete dei giorni per leggerlo con calma. Nelle settimane che verranno posterò ogni martedì, così come avevo detto.
Vi lascio allora al quinto capitolo sperando che vi piaccia.
Baci!

_____________________________

Capitolo 5: Cominciamo da qui.


Percepiva il blu profondo e l'azzurro cristallino.
Gli spruzzi di immacolato bianco che accompagnavano le pennellate d'argento.
Percepiva la delicatezza dei colori che danzavano sulla tela, in un impercettibile ed illusorio movimento.
Incantevole.
Era uno dei dipinti più ipnotici che avesse mai visto e il guardarlo gli provocava una strana sensazione.
Era così magnetico.
L'aveva notato solo dopo una attenta panoramica, dettata dalla sua incorreggibile curiosità, alla stanza in cui era entrato. Non capitava spesso di essere invitato nella camera di una ragazza, nessuna delle sue precedenti amiche l'aveva mai fatto e, poiché finalmente aveva avuto la possibilità di scoprire quali segreti una adolescente dovesse custodire per impedire l'accesso nel proprio territorio, Bill si riteneva più che giustificato nel suo interesse.
La prima cosa che aveva constatato era la straordinaria grandezza di quella camera da letto, la sua in confronto era minuscola, seguita subito dalla sensazione di estraneità di quando ci si trova per la prima volta a contatto con qualcosa di assolutamente nuovo. C'era una grande finestra con alti vetri che lasciavano che lo spazio fosse illuminato dalla fioca luce di quel pomeriggio di novembre, all'esterno di questa si trovava un balconcino con dei vasi ( pieni di fiori a cui non sapeva assolutamente dare il nome per via della sua completa ignoranza riguardo) e all'interno, davanti alla finestra, incastrata in una fenditura apposita c'era un largo davanzale adornato da un paio di grossi e paffuti cuscini.
Di fronte alla finestra, qualche metro distanziata da essa, aveva posto una scrivania di legno scuro dall'aria antica, sopra di essa uno scrittoio con tanti fogli sparsi in apparente disordine e una serie notevole di matite consumate dall’uso.
Era una camera da letto ordinata e pulita anche se non si sentiva nel regno di un fanatico dell'ordine, i libri di due scaffali della camera, per esempio, non erano tutti perfettamente posizionati, alcuni erano discostati e altri erano completamente fuori posto.
Inoltre si poteva notare alcuni scatoloni in un angolo che sembravano ancora sigillati e in attesa di trovare un posto dove stare.
Sul liscio pavimento di parquet erano disposti due grandi tappeti indaco, uno al fianco del letto mentre l'altro al centro della stanza. Il letto era a due piazze e sopra di esso erano appoggiati un paio di grandi volumi aperti che Bill notò fossero degli album di fotografie. Pensò che Lyric li stesse guardando prima del suo arrivo.
Poi la sua attenzione passò sui muri, accorgendosi che erano piuttosto spogli: niente fotografie appese ne poster di qualche cantante o attore famoso, ebbe la sensazione che fossero stati lasciati apposta senza alcun tipo di orpello.
Proprio mentre aveva appoggiato il suo zaino vicino ad una delle gambe del letto lo aveva visto.
Per qualche motivo sentì una sensazione famigliare percorrergli la schiena, come se avesse già provato lo strano e fulmineo interesse che in quel momento lo aveva immobilizzato in una silenziosa e assorta osservazione. Bill sbatté le ciglia nere un paio di volte cercando di ricomporsi e capire perché quel quadro lo stesse così ammagliando.
Era appeso al muro di fronte al letto ed era l'unica cosa che adornava le pareti, era piccolo e per nulla appariscente, solitario nel suo essere una tela piena di colore su una monocromatica parete pastello. Sembrava un quadro dipinto per non essere notato, sembrava che fosse fatto per nascondersi e celare il suo fascino.
Man mano che passavano i secondi Bill non spostò di un centimetro lo sguardo dal quadro e non smise di provare quella famigliare sensazione. Era sicuro di star provando una specie di dejà-vù.
Fu proprio mentre se ne stava ancora in piedi di fronte al quadro, con le iridi perse in qualche misterioso pensiero e la posa rigida in una concentrazione assoluta che lo trovò Lyric. Era andata a prendere qualcosa da bere in cucina e aveva lasciato Bill nella sua stanza giusto il tempo di scendere al piano inferiore.
Quando entrò nella sua camera aveva trovato il ragazzo completamente perso davanti a qualcosa. Non si era accorto che lei era ritornata. Lyric si chiese perché fosse così assorto mentre appoggiava il vassoio con il tè freddo sul comodino di fianco al suo letto. Fatto ciò cercò di scoprire cosa tenesse Bill così fuori dal mondo.
Stava osservando il suo quadro.
Lyric si lasciò sfuggire un sospiro leggerissimo dalle labbra mentre si appoggiava sul materasso.
“Snow and Midnight.” Bill si girò verso di lei corrugando leggermente la fronte.
Lyric appoggiò la schiena sulla ringhiera di legno del letto, abbracciandosi le gambe con le braccia. “Neve e Mezzanotte.” ripeté in tedesco “È il suo nome.”
“Ah...” Bill si girò nuovamente verso il quadro. Effettivamente era un nome adatto, riproduceva proprio una nevicata a mezzanotte. Non ci aveva fatto caso, fino a quel momento aveva prestato attenzione solo ai colori.
“Questo quadro è...” iniziò Bill volendo commentare in qualche modo il dipinto però non sapeva come terminare la frase. Restò sospesa.
“Vuoi del tè freddo?” Lyric cerco così di sfuggire un discorso qualunque che continuasse a comprendere quel quadro. Ci aveva pensato molto prima di appenderlo sul muro di fronte al letto e il fatto che alla fine avesse deciso di farlo non significava che ne volesse parlare.
Era un ricordo di sua madre Eleonor, un bel ricordo.
Così caro e importante che aveva pensato di poterlo tirare fuori dagli scatoloni. Ma per un singolo ricordo che riusciva a portare alla luce del sole ce ne erano altri centinaia ancora impacchettati. Testimoni di ciò c'erano i box di cartone che in un angolo della camera aspettavano di liberare tutti gli oggetti al loro interno.
Per la prima volta in sei mesi, quella mattina di novembre, era riuscita a guardare gli oggetti che si era portata dietro da Boston senza provare una pesante angoscia. Ci era riuscita senza neanche versare una lacrima e di questo si era sentita particolarmente orgogliosa. Era riuscita anche a guardare gli album di fotografie senza tremare e provare troppo male. Era riuscita a guardare il volto di sua madre riprodotto sulla carta accompagnandosi solo da malinconia.
Quella stessa malinconia che Bill poteva intravedere in quel momento, qualcosa che preferiva mille volte di più della tristezza a cui era abituato.
Lyric chiuse gli album di fotografie e li sistemò sul comodino poi gli richiese se volesse del tè.
Bill sorrise, dimentico del dipinto ed interessato solo dalla possibilità di parlare finalmente con lei “Certo, grazie.” esclamò.
Allora Lyric gli fece segno di accomodarsi sul letto. Bill si avvicinò al materasso e togliendosi le scarpe vi si sedette sopra senza tante cerimonie. Lyric gli porse un bicchiere ghiacciato mentre con l'altra mano ne prendeva uno per lei. Quando entrambi ebbero dimezzato il contenuto del bicchiere si guardarono nuovamente.
“Allora, come stai?” chiese lui spostandosi verso il comodino per sistemare il bicchiere sul vassoio. Lyric gli tese una mano per evitare che stropicciasse tutte le coperte nell'arrivarvi (salvandole da quel movimento inconsulto). Bill ignorò l'aiuto e imperterrito gattonò sopra al piumone, l'obbiettivo finale era potersi sedere contro i cuscini e quindi di fianco a lei, non c'entrava niente un suo eventuale desiderio di fare da solo qualcosa.
Compiuta l'operazione agognata e sistematosi la schiena su un morbido cuscino di piume le rivolse un ennesimo sorriso. Lyric restò a fissarlo con le labbra sospese in una frase non pronunciata prima di emettere un soffio leggero dal naso e distendere il viso in un mezzo sorrisino di divertimento.
“Che c'è?”
“Nulla.” fu la risposta ma allargò quell'impercettibile ricciolo agli angoli della bocca “Constatavo l'impressione che ho sempre avuto su di te.”
“Cioè?” Bill sbatté le folte ciglia e spalancò le pupille come un cucciolo. La curiosità lo mordeva come un leone. Quale impressione aveva sempre avuto su di lui?
Lyric lo tenne per le corde bevendo silenziosamente dal suo bicchiere, senza mai guardarlo. Arricciò nuovamente le labbra “Nulla di particolare.” esordì “Ho sempre pensato che fossi particolarmente strano e indubbiamente buffo.” spiegò la ragazza. Quando si voltò per vedere la reazione di Bill si ritrovò davanti una faccia immobile.
“Si è irrigidito?” Lyric mosse gli occhi da destra a sinistra, cercando intorno a sé il motivo di tale immobilità ma non trovandolo disse “Ho detto qualcosa di male?”
“Strano e buffo?” domandò il ragazzo pronunciando le parole con una certa cautela.
Lyric annuì usando anche lei la stessa identica cautela, senza sapere però a cosa servisse.
“Posso capire lo strano.” esclamò “Voglio dire se fossi normale non mi piacerebbe neanche guardarmi allo specchio alla mattina e constatare che al mondo uno come me non esiste da nessuna parte nel creato.” Bill partì in quarta, con la solita velocità che avrebbe usato con Tom “Strano è un complimento ma buffo...” roteò gli occhi prima di scuotere la testa e lamentare “...buffo non è un complimento!”
Lyric non disse una parola perché trattenne a stento una risata. In quel momento Bill era buffo ma forse era meglio non fargli notare la cosa.
“Buffo è Georg quando fa quella sua assurda risata da sciacallo evirato...” fece un'imitazione in diretta della citata risata costringendo così Lyric a stringersi le labbra per non scoppiare “Buffo è come si veste mio fratello anche se lì si può parlare più che altro di mancanza di gusto estetico...” si corresse, facendo una smorfia al pensiero di come si vestiva Tom “Bhè, lui è più buffo quando si mette a fare quegli insensati gesti da rapper, hai presente?” ed anche qui ci fu il mimo dei gesti, Lyric si porto una mano davanti alla bocca “Ci sono un mucchio di cose buffe ed io non rientro di certo tra queste. Io non posso essere buffo.” nel dire quest'ultima cosa Bill si esibì in una serie di movimenti di braccia in segno di costernazione.
Lyric esplose in una fragorosa e liberatoria risata “Oh God! You look likes a jelly-fish in this moment...”
“Cos'è che mi piacerebbe? Meduse...ho capito male, vero? Non hai detto che mi piacciono le meduse.”
Lei proseguì nella sua risata “No...ah-ah...ho detto che sembravi una medusa, non che ti piacciono le meduse” si asciugò le lacrime agli occhi e poi fece l'imitazione di Bill.
Questa volta fu il suo turno di ridere “No! Daiii, non ho sembravo così stupido!”
“Oh sì invece!” Lyric continuava a ridere “E poi è vero: sei indubbiamente buffo.”
Bill invece smise “No. Sono simpatico, non buffo.”
Anche Lyric smise di ridere “Certo sei simpatico però anche buffo.”
Il ragazzo stava per ribattere ancora una volta ma si fermò. C'era qualcosa che lo colpì sul momento, qualcosa di diverso, qualcosa che non aveva ancora visto.
“Tu sorridi.” pronunciò mutando completamente tono e fissandola con un'espressione un po' troppo sorpresa. Tutte le persone sorridevano, ogni giorno, dovunque ma in quel momento gli pareva di trovarsi dinanzi ad un fenomeno completamente differente.
Quella era la prima volta che la vedeva sorridere.
Lyric si bloccò nella posizione che aveva sorpreso il suo nuovo amico e si portò la mano alla bocca.
Stava sorridendo.
“Strano.” pensò.
Quella era effettivamente la prima volta che sorrideva da tanto tempo “Credevo di non saperlo più fare.” a questo pensiero rispose espandendo un pochino di più quel suo sorriso.
“Già.” fu l'unica cosa che le uscì in risposta all'affermazione di Bill. Poi per evitare di esagerare lo ritirò lentamente.
Aver ritrovato così improvvisamente la capacità di compiere un'azione apparentemente semplice non significava che fosse facile per lei compierla. Sorridere significava principalmente provare felicità, allegria, gioia e leggerezza ma Lyric non sentiva di avere tutte queste cose. Un pochino, forse, ma non eccessivamente.
Però era piacevole scoprire di poterlo tirare fuori ancora una volta.
Bill la guardò mentre in silenzio, dentro di lei, si susseguivano tutti quei pensieri e quando la vide calma sorrise anche lui. Era contento.
“Bello, no?” disse lui, scandendo le parole con calma. Lei gli rivolse un'occhiata interrogativa.
Il silenzio che c'era tra di loro non faceva male, completamente diverso da quello con sua nonna. Le piaceva che non ci fosse bisogno di così tante parole.
“Poter sorridere assieme ad un amico.” fece il sornione “Anche se i suddetti amici sono...citando le parole di una persona....completamente diversi.” con questo voleva affermare che alla fine aveva avuto ragione lui ad insistere. Se non l'avesse inseguita quattro giorni prima ora lei non avrebbe sorriso.
“Tu sei un tipo del genere vero?” Lyric lo prese in contropiede con quella domanda “Aver ragione ad ogni costo, no? Sei incredibilmente testardo non è così?” aveva uno sguardo indecifrabile, tanto che Bill ebbe timore di aver usato le parole sbagliate, poi lei si bloccò. Sembrò pensare a qualcosa e solo dopo una approfondita meditazione di un minuto, nel quale fece passare il dito lungo la parte superiore del bicchiere, facendo vibrare il vetro, aprì nuovamente la bocca.
“È un bene, almeno per questa volta, che tu sia nato così tremendamente testardo.” appoggiò il bicchiere sul comodino, quello di fianco all'altro lato del letto “Rifammi la domanda dell'inizio.” i suoi occhi blu si spostarono al quadro appeso sul muro, un po' distanti e vacui.
L'acqua era un po' troppo profonda.
Bill la osservava mentre cercava di capire a quale delle sue domande si stesse riferendo. Il mare di quell'acqua forse era ancora troppo lontano, ci sarebbe arrivato un giorno.
“Lyric come stai?” ecco, questa era la domanda. La prima volta l'aveva fatta per sapere come andava dopo due giorni che rimaneva a casa per la febbre ed uno per riprendersi completamente. Era una domanda lecita e molto normale.
Il significato della domanda, in quel momento, era di sicuro un altro. Riguardava tutto quello di cui Bill non sapeva ancora nulla. Si riferiva al suo animo, alla sua tristezza.
“Sto bene” Lyric girò il capo verso di lui “Non è un -sto bene- perfetto. No, non puoi pretendere che sia un -sto bene- assoluto.” prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi. Bill la guardava mentre cercava di farsi tranquilla. Quali fossero gli sforzi che doveva fare, quali fossero i significati che contemplavano un tale sforzo per non abbattersi Bill non li poteva sapere però lo sentiva. Apprezzò.
“Ci sono cose di cui ho terrore, di cui ho una paura atroce.” teneva le palpebre serrate per non lasciarsi sfuggire il coraggio che la spingeva a parlare. La bestia nera doveva sapere che questa volta era proprio una dichiarazione di guerra, ricominciava a combattere.
Ci aveva pensato molto, tutto il tempo che era rimasta a casa in quei tre giorni. Ci aveva riflettuto e aveva deciso. L'amicizia che Bill le offriva doveva fondarsi sulla verità. Per questo lo aveva chiamato a casa sua con la scusa di farsi passare gli appunti persi delle lezioni. Per questo in quel momento stava dicendo cose a cui nessuno aveva ancora rivelato. Rischioso esporsi così ma voleva fidarsi.
“La mia vita, tutta quella che è stata la mia vita fino ad ora è cambiata. Devi capire questo. È importante.” prese un altro respiro, non doveva agitarsi. Bill sarebbe scappato dalla paura se l'avesse vista andare in crisi respiratoria “Ho passato molto tempo rimpiangendo quella vita. Soffro. Fa male.” strinse il labbro inferiore in una leggera morsa di agitazione.
Bill vedeva il suo capo abbassato, i capelli ondulati lungo i lati del suo viso come a nasconderla. Vedeva le sue mani posate sul grembo che stringevano il maglione di lana rossa che indossava. Vedeva le dita instabili e il petto che andava su e giù, sempre più veloce. Vedeva che non era facile, in nessun modo.
Lui sentì ancora il desiderio di comprenderla ma anche quello di non metterla a disagio.
Le posò una mano sulla testa.
“Avrò pazienza.” fu ciò che uscì dalla gola di Bill.
Si avvicinò all'orecchio di lei per sussurrarglielo. Come se fosse un loro segreto.
Quando Lyric aprì le palpebre delicate incrociò l'ambra scura delle sue iridi.
L'aria dalla bocca di Bill soffiò dentro il suo orecchio, un suo respiro “Non c'è bisogno che tu mi dica tutto adesso. Se fa così male affrontare tutto in una volta non voglio che tu continui. Non mi devi nessuna spiegazione.” fece una pausa in cui la mano posata sulla testa di lei si scostò “Il tuo - sto bene- mi basta.”
Lyric sospirò come per liberarsi da un qualche peso.
“Ho sempre ritenuto che le decisioni, come i cambiamenti, non dovessero essere repentini...” le parole di sua zia Freia quando erano venute a Magdeburg presero forma. Non devono per forza essere repentini.
Lyric si sentì più leggera.
“Non c'è nessun sbaglio nel volere restare attaccati a qualcosa...” non era un errore ricordare ancora la sua vita passata, quel altro mondo “Ciò che conta è capire in piena consapevolezza quando è il momento di mutare tale attaccamento.” stava cominciando a pensare di cambiare quell’attaccamento.
Poteva farlo, ne era in grado. Sicuramente. Però non così velocemente. Perché correre?
“Quindi anche se adesso non riesci a cambiare arriverà il momento in cui desidererai farlo...”
Desiderava farlo? Sì, certo però...
“Non c'è fretta.” concluse a voce Bill quello che lei stava cercando di formulare nella sua testa. Lyric tremò per il tenue formicolio provocato dal fatto che le parlasse all'orecchio.
“Quando farà meno male e sentirò di essere pronta ti dirò tutto ciò che mi aveva portato ad essere così intrattabile quando ci siamo conosciuti. Riuscirò a dirti di mia madre, mio padre, mia nonna e la mia vita a Boston. Riuscirò a non spaventarmi.” parlò lei allontanando i loro volti.
“D'accordo. E intanto che aspettiamo che tu mi dica queste cose io ti racconterò di me, Tom, i miei genitori e la mia vita a Magdeburg. Così non ti sentirai la sola ad avere un passato alle spalle.” Lyric sorrise. Per la seconda volta in quella giornata sorrise.
Bill rispose allo stesso modo “Allora stai bene?”
“Già, sto bene...”
La bestia nera per una volta rimase in silenzio.

****



Intervallo di metà mattina: i ragazzi dell'istituto erano riversi nel cortile scolastico malgrado il freddo disumano che c'era all'esterno e Tom attendeva in fila di potersi prendere un caffè alla macchinetta.
Tutto perfettamente normale, a parte il suo umore nero.
Ragione di una tale infelicità?
Meglio non pensarci, perché se lo faceva gli salivano ancora di più i nervi.
“Ci vogliamo muovere là davanti?” brontolò rivolgendosi alla lumaca che impediva alla fila di scorrere. Come era possibile che fosse così difficile scegliere da una macchinetta? Uno deve pensarci prima, così al momento del suo turno evita di far perdere tempo al resto dell'umanità.
Tom sbuffò, odiava aspettare.
Appena ebbe la certezza che non sarebbe riuscito a prendersi quel benedetto bicchiere di plastica pieno di quello che chiamava surrogato di caffè prima del suono della campanella, Tom lasciò perdere e cominciò a camminare in direzione della sua classe.
Dopo pochi metri qualcuno ticchettò sulla sua spalla. Si voltò.
“Kaulitz...” salutò cordiale una voce femminile.
Tom non rispose subito al saluto, invece di quello si adombrò sul volto.
“Hörderlin...”gracchiò il rasta mettendosi le mani in tasca e assumendo la posa di quando discuteva con i bulli che gli rompevano le scatole. Lei non fece caso alla freddezza con cui le si rivolse, ci era abituata. Sostenne il suo sguardo accigliato senza alterarsi a sua volta.
“Ti stavo cercando.” cominciò lei.
“Ah sì? Motivo?” chiese Tom nascondendo la curiosità. Lei che veniva a cercare lui? Non era mai accaduto fino a quel momento. Di solito si evitavano come la peste e quando per qualche ragione si ritrovavano insieme nello stesso luogo (per la cronaca la maggior parte delle occasioni erano causate da Bill che a quanto pare non riusciva a demordere dall'idea di farli diventare amici) non spiccicavano l'uno con l'altro non più di tre o quattro parole. In generale si limitavano a salutarsi e basta.
“Avrei bisogno di parlarti.” rispose Lyric con leggerezza come se non volesse dare importanza alla cosa. Tom mosse la testa in un lento assenso “Uhm...ok, dimmi pure.”
“Non qui, c'è troppa gente.” Lyric si guardò attorno “E poi è un discorso lungo...” Tom la vide abbassare il capo e subito tornare ad alzarlo, mostrando così quella che sembrava indecisione.
“Ho saputo che sei stato nuovamente punito per aver risposto male al tuo professore di matematica.” un angolo della bocca di Tom si piegò all'ingiù.
“Me lo ha detto Bill.” spiegò Lyric. Tom si fece l'appunto mentale di ricordare a Bill che certe cose doveva tenersele per sé.
“Ho saputo anche che per rimediare ti hanno ordinato di risistemare l'intero archivio della biblioteca scolastica.” anche l'altra estremità delle sue labbra fece una smorfia. Era uno strazio farsi ricordare la situazione da lei.
Questo era il motivo del suo nervosismo e per questo aveva la luna storta. Infondo era ormai un'abitudine per lui rispondere senza peli sulla lingua a quei boriosi vecchi artritici e i professori dovevano averci fatto il callo. Ma a quanto pare qualcuno era ancora dell'idea di poterlo 'raddrizzare'.
“Ci sarò anche io.” questo gli fece smettere di lanciare maledizioni mentali al professore di matematica.
“In che senso?”
“È anche la mia punizione.” un leggero rossore si materializzò sulle gote della ragazza. Tom fece mente locale “È per aver fatto rissa con la Barbie-Gruguer la settimana scorsa?” Lyric sospirò.
“Sì, è perché ho picchiato Barbie-Gruguer. Comunque credo che sia perfetto, che ne dici?”
Il ragazzo fece spallucce “Se lo dici tu.” nessuno dei due stava più guardando l'altro. Dopo qualche secondo Lyric decise che poteva andarsene e liberare entrambi da quel silenzio imbarazzante “Ok. Allora ciao, Kaulitz.”
“Hörderlin...” mentre seguiva con lo sguardo la schiena di Lyric che si allontanava spedita, una vocina beffarda risalì da un angolo fastidioso del suo cervello “Mi sa che sei veramente un'idiota. Decisamente anche tu ti fai dei giganteschi viaggi mentali, non solo Bill. Sei veramente stupido.”
“Oh ma vaffanculo!” imprecò rivolgendosi a se stesso.
“Comunque sia te la prendi troppo.” in quel momento suonò la campanella.

****



“Sei sicura?”
“Ti dico di sì, andrà tutto bene. Non angustiarti.”
“Angustiarmi? Mi chiedo spesso come ti escano certe parole.”
“Dici che parlo come una vecchia di settant'anni?”
“No, come una di cinquanta.”
“Ah-ah. Quanto sei divertente.”
“Comunque, sul serio, credi che andrà tutto bene?”
“Guarda che non ho intenzione di uccidere tuo fratello. Ritornerà a casa con tutte le ossa intere.”
“Ma non mi interessa Tom!”
Lyric soffocò una risata per evitare che la professoressa la sentisse e li richiamasse dal loro bisbigliare. Quando Bill aveva certe reazioni spontanee le veniva sempre da ridere.
“Mi riferivo al fatto che puoi anche evitare se non ne sei sicura.” Lyric cercò di decifrare l'espressione del suo compagno di banco “Non è che hai i sensi di colpa perché pensi di avermi costretto a prendere questa decisione?”
Bill scosse la testa in modo poco convincente “No, no...bhè un pochino. Forse mi sento in colpa per avervi costretto a frequentarvi.”
“Bill, prima di tutto questa cosa di parlare con Tom lo decisa completamente da sola. Secondo, è vero che in questa settimana ci hai costretto a parlarci ma ti assicuro che non è servito a niente. Prima di poter fare una cosa del genere ci dobbiamo chiarire. Come abbiamo fatto io e te.”
“Io e te non ci siamo chiariti.”
Bill assunse l'aria da furbo “Tu sei scappata da me e io per ripicca ti ho inseguita. Ti ho urlato addosso tutto ciò che pensavo e tu avevi fatto lo stesso. Noi due abbiamo evitato i chiarimenti e siamo passati al livello successivo.”
Lyric parve perplessa, doveva ancora abituarsi a capire i ragionamenti di Bill “Dove stai cercando di andare a parare?”
“Al fatto che non è come tra me e te. Questo è diverso. Tu e Tom vi state antipatici.”
“Anche tu mi stavi antipatico.”
fu la volta di Lyric di fare la faccia da furba. Soffocò un'altra risata vedendo la bocca spalancata di Bill “Questo mi sembra di avertelo già spiegato.”
“Sì, lo so ma non ci sono ancora arrivato del tutto.”
“Lo sospettavo.”
“Tu sei complicata.”
Si difese Bill.
“Anche tu.” Ribatté lei.
Bill rimuginò un secondo “Gli vuoi spiegare perché ti sta antipatico?”
“Plin-Plon. Risposta esatta, vince un orsacchiotto di peluche.”
“Grazie ma ne ho già uno comodamente sistemato in camera mia. È color lavanda e si chiama Bernice, è un regalo di mia nonna. Ne ha uno anche Tom, però il suo è verde vomito e di nome fa Karina.”
Lyric dissimulò la risata con un colpo di tosse. La professoressa da qualche minuto ormai stava guardando nella loro direzione.
“Non ti assicuro che dopo averci parlato diventeremo amici inseparabili. Non è neanche un mio obbiettivo primario. Lo faccio solo perché mi sento in colpa per avergli detto certe cose e di averlo trattato in un certo modo. Lo faccio perché voglio avere la coscienza apposto.”
Bill la vide farsi pensierosa per un secondo. Il blu diventare distante.
Lyric si girò a guardarlo “E comunque tu ci tieni che andiamo d'accordo.”
Bill sorrise “Grazie.”
“Kaulitz alla lavagna!” la professoressa lo beccò in fragrante “Non tollerò che si parli durante la lezione. Verrà qui e risolverà il problema numero diciotto. Spero per lei che abbia seguito.”
Bill fissò il suo libro di matematica chiuso. Ovviamente non sapeva neppure a che pagina fossero.
Lyric cercò di non scoppiare a ridergli in faccia.

****



“...allora il vostro compito sarà sistemare i documenti in ordine alfabetico. Avete fino alle quattro, se non riuscirete a completare il lavoro in tempo dovrete ripresentarvi anche domani al termine delle lezioni. Mi sembra di avervi spiegato tutto quello che dovete fare. Vi è tutto chiaro?”
Le teste di tre studenti annuirono con particolare 'entusiasmo' alla domanda della bibliotecaria. Una in particolare era più 'felice' delle altre nel trascorrere tre ore della sua vita in una minuscola stanza piena di polverosi libri ammuffiti. L'unica cosa che desiderava era fare tutto ciò che la punizione richiedeva e volare come polvere al vento appena avesse finito. Non avrebbe permesso a se stesso di dover ritornare l'indomani in quella specie di cella di reclusione.
“Perfetto. Se è così allora mi ritirò nei miei uffici, se avete bisogno di qualcosa venite pure a chiedermelo e se poi avete bisogno di andare in bagno potete andarci, però venite a chiedermi il permesso prima.” detto questo la signora dalla folta capigliatura bruna tacchettò fino alla porta dall'altra parte della stanza senza più dare attenzione ai tre ragazzi in punizione.
Uno stridulo lamento uscì fuori dalla bocca di uno dei tre.
“Oh accidenti! Perché diavolo sono costretta a restare qui?! In questo momento potrei essere in giro a fare shopping con mia madre invece che...” l'insofferente faccia di Doris Gruguer squadrò i due compagni di prigionia “...sistemare documenti con voi due.”
Tom stava per rincuorarla del fatto che non era l'unica a pensarla in quel modo e che se fosse stato per lui avrebbe evitato qualunque tipo di passatempo che prevedesse la sua simpatica presenza ma Lyric lo precedette.
“Doris, sinceramente credo che nessuno in questa stanza sia molto felice di stare qui quindi evita futili lagne e mettiti a sistemare questo archivio. Inoltre vorrei farti presente che se tu avessi tenuto chiusa la tua dannata bocca ricoperta di gloss ora non dovremmo scontare nessuna condanna. Almeno per quanto riguarda noi due, lui avrebbe comunque dovuto cogliere il frutto del suo crimine.”
Tom la guardò di sottecchi domandandosi se fosse normale che una quattordicenne usasse un simile linguaggio. L'aveva sempre detto che era strana. Comunque, a parte le parole, il concetto di quello che voleva dire lui era stato espresso chiaramente.
A quanto pare, però, Doris Gruguer aveva così poca intuizione che ritenne bene di continuare con le sue proteste “Ma come osi?! Quella che ci ha fatto finire in questa situazione sei tu! Sei tu che hai cominciato a picchiare per prima...”
Tom vide Lyric chiudere gli occhi e prendere un grosso respiro, la sentì mormorare a denti stretti “Per le giuste motivazioni, oca.” al rasta venne da ridere.
Intanto l'altra ragazza continuava a starnazzare “Inoltre non ti ho mai dato il permesso di rivolgerti a me con il mio nome. Per te sono Gruguer, capito Hörderlin?” Tom pensò che tra qualche secondo avrebbe assistito ad una replica della rissa di una settimana prima. Si sistemò sulla sedia per gustarsi appieno una litigata tra femmine.
Lyric deluse le sue aspettative poiché non fece nessuna mossa per azzannare il collo della bambolina bionda. Alzò solo le palpebre e trapassò con uno sguardo il visetto zuccheroso di Doris. Il blu scuro delle sue pupille divenne quasi minaccioso.
Tom rimase a fissarla.
“Sarà meglio per te comprendere una cosa prima che continui a dire una idiozia dopo l'altra.” parlava con molta calma e chiarezza, non aveva nessuna alterazione nella voce “Tu sei l'ultima persona che si possa permettere di lamentarsi tra noi due. Innanzitutto a provocare la rissa sei stata tu. Se non fossi così decisa a dimostrarti la più grande stronza della scuola, per aver detto quelle cose avrei potuto abbonarti la scusa che ami fare la gallina. Ma tu non fai altro che dimostrare che sei subdola e perfida.” la bionda tentò di dire qualcosa in sua difesa (anche se non ci sarebbe stato molto da dire visto quanto fosse palese che Lyric avesse ragione) ma l'altra ragazza non le permise di farlo “Quindi la colpa di tutto ciò che è successo è solo e completamente tua. E io ti chiamo come mi pare, Doris. Poiché a prova contraria questo è il tuo nome e tu puoi perfettamente chiamarmi Lyric. Io sono così magnanima da sorvolare su una tua eventuale richiesta di permesso. Non credo che dobbiamo per forza essere così formali.”
In quel momento Doris Gruguer divenne paonazza per la rabbia.
“Tu non ti rendi conto con chi stai parlando.” la intimidì la Gruguer. Tom alzò gli occhi al cielo, ma quanto poteva rompere una persona prima di capire di aver perso su tutta la linea?
“Sei tu quella che non sa con chi sta parlando.” Lyric nella sua serietà fu ben più atterrante di lei “Io sono diversa da te, odio dover andare in giro e sfruttare il mio nome e la mia posizione per avere vantaggi e privilegi. A te invece piace da matti farti riverire e adulare per via del cognome che porti e della famiglia che hai dietro le spalle. In questo siamo diverse, a me non piace per niente.”
“Però se vogliamo usare come metro di giudizio i nostri nomi per vedere chi deve permettersi di rispettare chi, allora voglio farti presente la tua reale posizione rispetto a me.”
Tom fu incuriosito della cosa e rizzò le orecchie per sentire bene.
Lyric odiava fare certi discorsi, le sembrava di parlare con la voce di sua nonna Cassandra. Era lei quella a cui piacevano questo tipo di rivendicazioni.
“Tu lo sai perfettamente chi è la mia famiglia, lo sai perché in nessun altro caso avresti potuto avere certe informazioni su di me se la mia famiglia non facesse parte del tua stessa classe sociale.” a Lyric venne una leggera nausea “Domani, al ritorno da Berlino, mia zia Freia parlerà con tuo padre per sistemare la nostra faccenda e ti assicuro che suderà freddo. Mia zia non l'ha presa bene quando le ho spiegato ciò che è successo.”
“Non capisco cosa stai dicendo...” era evidente che la Gruguer stava pensando alle possibili ripercussioni. Che avesse fatto il passo più lungo della gamba?
“Gli Hörderlin sono proprietari di una serie di banche, gli stessi Hörderlin che possiedono la banca che ha fornito quell'ingente prestito di cui tuo padre aveva bisogno per evitare il crack finanziario alla sua attività. La stessa attività che ti permette di vantarti.”
Gruguer sbirciò imbarazzata il volto di Tom.
Lyric la vide e cercò di rassicurarla “Te lo già detto: non sono come te. Adesso non mi metterò a gridare ai quattro venti i tuoi problemi personali. Non sono meschina come lo sei tu, non ci trovo niente di divertente nell'esserlo.”
La sfrontatezza della bionda era del tutto sparita, al suo posto c'era solo grande disagio. Si sentiva umiliata.
“Scusate...credo che ora...ecco...andrò in bagno.” in un nano secondo e a testa china Doris scomparve dalla stanza. Alla sua defilata Lyric sospirò.
E con lei aveva finito, ora c'era da fare un altro discorso e questa volta molto più complicato. Erano da soli e questo significava parlare in santa pace.
La cosa non la entusiasmava per niente.
Tom sorprendentemente scoppiò a ridere con la sua voce sguaiata.
“Mi spiegheresti cos'hai da ridere ora?” Tom non rispose e proseguì schiacciando la faccia sul tavolo.
Lyric gli lanciò un'occhiataccia.
Per ignorarlo cominciò a sistemare i documenti di cui in teoria avrebbero dovuto occuparsi. Erano pur sempre in punizione e lei non ci teneva per niente a dover tornare il giorno dopo nel caso non avesse finito. Fece strisciare sul tavolo una pila di documenti, posizionandoli davanti alla faccia ancora ridente di Tom. Sembrava che non riuscisse ad esaurire la sua ridarola.
Dopo un tempo apparentemente lunghissimo finalmente Tom decise di tornare a darsi un contegno e iniziare a lavorare. Prese in mano i fogli che Lyric gli aveva messo di fronte e senza parlare iniziò a ordinarli, sul volto c'era uno di quei sorrisi che lei trovava irritanti.
Passò un'ora, di Doris Gruguer neppure l'ombra, senza che i due si rivolgessero la minima parola. Entrambi erano rimasti seduti, uno di fronte all'altro, volutamente in silenzio e senza il minimo contatto. Dopo un'altra mezz'ora, passata come l'ora precedente, avevano già finito il di sistemare l'archivio. Ora non ci sarebbe stata nessuna scusa. Era arrivato il momento di parlare.
Lyric fissò il legno scuro del tavolo, rimirando soprappensiero i piccoli fori che l'usura del tempo aveva provocato. Stava cercando in tutti i modi di ritardare la conversazione che lei stessa aveva voluto.
Le sue budella si contrassero.
“Sii sincera. È tutto quello per cui sei qui. Volevi solo essere corretta.”
Quando decise di cominciare davanti a sé comparve l'immagine di Tom Kaulitz stravaccato sulla sedia, con la faccia del tutto tranquilla e come sempre sprizzante di sicurezza. Stava aspettando solo lei, pronto al varco.
Lyric alzò un sopracciglio incapace di decidere se essere come sempre infastidita dalla cosa oppure leggermente contenta che non fosse ostile.
“Pronta?” chiese Tom con ironia, mostrando i denti in un sorriso che tentava di essere rassicurante ma che più che altro pareva beffarsi di lei. Lyric passò oltre, annuì.
“Ok, dimmi...” lui spalancò le braccia come se aspettasse di ricevere qualcosa.
“Tu ed io non andiamo molto d'accordo.”
“Questo mi sembra palese.” Le labbra di Lyric si stirarono in una posizione rigida. Era bello sentire che fosse così accondiscendente, naturalmente era una constatazione ironica.
“Noi due siamo poco cortesi l'uno con l'altro perché per qualche ragione ci stiamo antipatici a vicenda.” Tom fece roteare gli occhi, sempre con un'aria divertita. Lyric lo guardò male.
“Non esattamente.” disse lui “però continua, siamo qui perché ti sei preparata un bel discorsetto...”
“Io...” osservò il viso di Tom, cercando per la prima volta di andare oltre a quella sfacciataggine e comprendere veramente cosa c'era in lui che le faceva ribollire il sangue dal fastidio.
Come sempre il verdetto era uno solo, sempre lo stesso.
Quello che voleva dirgli in quel momento.
Solo perché aveva ritrovato da poco la piacevole sensazione di essere un pochino in pace con il mondo non voleva dire che indorare la pillola con un po' di educazione avrebbe cambiato le cose.
“Oh, al diavolo!” esclamò la ragazza battendo una mano sul tavolo “Chi se ne frega di essere gentile! Tu al momento non lo sei affatto, perché mai dovrei esserlo io?”
Tom ridacchiò “Su, allora avanti. Come al tuo solito sputami addosso tutta la collera glaciale e togliamoci di dosso il pensiero. Anche se non lo do a vedere sono curioso di sapere ciò che hai da dirmi.”
Lyric per la prima volta davanti a Tom fece un sorriso sfottente quanto quello di lui “Sono qui a parlare con te per una semplice ragione. Volevo essere corretta e togliermi di dosso il senso di colpa...”
“Ah-ah, solita roba da femmine complicate.”
“Già, solita roba da persone con un po' di sensibilità.”
“Solo perché non sono carino e zuccheroso come Bill non significa che non sia sensibile.”
“Tuo fratello non è carino e zuccheroso. E poi non metterlo in mezzo al nostro discorso. Qui parliamo di te e me.”
Ed ecco che i preliminare si erano appena conclusi.
Tom ghignò con piacere.
“Te e me? Uhm...cosa c’è tra me e te?”
Lyric passò dal aver la bocca semi-aperta ad averla completamente chiusa in pochi secondi “Ma ti diverti a comportarti sempre così?”
“Uhm…qualche volta, quando mi capita, penso di esagerare ma in linea generale mi piace.”
Lyric lo guardò incredula poi fece un sorriso leggermente sghembo “Ho fatto lo stesso discorso a Bill.” Nel dirlo si sistemò la schiena sulla spalliera della sedia. Aveva preso la decisione di restare calma per tutto il tempo. Infondo poteva resistere dal desiderio di schiaffeggiare quel faccino.
“In questi giorni abbiamo parlato un pochino.” L’immagine del suo gemello che correva via dalla sala prove o dalla sala di registrazione durante quella settimana percorse le strade dei pensieri di Tom.
“Gli ho spiegato perché all’inizio lo evitavo come la lebbra.” Lyric gli puntò gli occhi addosso “Voglio fare la stessa cosa con te. Per questo sono qui.”
“D’accordo, non stare troppo tempo a usare giri di parole. Non c’è bisogno, sii diretta. Colpisci.” Tom incrociò le braccia al petto. Era dannatamente curioso di quello che sarebbe uscito fuori, voleva proprio vedere come avrebbe spiegato il suo comportamento la prima volta che si erano scontrati. Voleva capire cosa ci fosse nella sua faccia straffotente di così tanto fastidioso da farla arrabbiare ogni volta che si incontravano.
La prima volta lui si era incavolato a morte perché quella ragazza era spuntata dal nulla intromettendosi in faccende che non erano sue. Inoltre l’aveva fatto perché la sua faccia sprizzava, testuali parole di Lyric, troppa sicurezza. Non gli era piaciuto per niente e non si sentiva pentito di averle gridato addosso tutto ciò che in quel momento gli era passato in testa.
Quella volta si era sentito usato da una sconosciuta come valvola di sfogo per qualcosa in cui lui non c’entrava per niente.
Il modo in cui, un mese prima, Lyric l’aveva guardato era stato odio puro e semplice.
Forse lei non se ne era accorta ma lui l’aveva notata prima della rissa con quello sfigato di Klaus Hengel e compagno. Aveva visto il suo sguardo perso mentre se ne stava seduta, o meglio, rannicchiata su quella panchina del parco. Tom aveva visto quello sguardo perso divenire furioso ed irritato una volta incontrata la sua figura e di questo si era sempre sentito infastidito a morte.
Essere guardato con quell’odio represso, come se fosse stato lui la causa dei suoi problemi, non l’aveva trovato piacevole. Per questo si era incazzato con lei.
Aveva sempre pensato che le persone che scaricavano i loro sentimenti negativi su chi gli stava attorno, conosciuti o non, senza affrontare di petto i problemi erano decisamente i più insopportabili.
E Lyric era stata insopportabile.
Poteva essere la resa dei conti, forse se avesse capito le sue ragioni avrebbe trovato un modo per andarci d’accordo.
Forse voleva solo le scuse ufficiali. Bill in questo era stato più indulgente.
“Tu per caso sai perché io e la Gruguer ci siamo picchiate la settimana scorsa?” questa domanda lo colse un po’ di sorpresa. Naturalmente ogni singolo studente del loro anno sapeva ogni cosa, la scuola è un fantastico luogo per i pettegolezzi.
“Perché la Barbie si è messa a starnazzare troppo sui fatti tuoi, senza averne nessun diritto?” Lyric annuì. Già la scuola era il nido perfetto per covare i gossip.
“Sai anche cosa ha detto?” ovviamente Tom lo sapeva ma non era così privo di tatto, aveva un cuore. Non disse nulla, Lyric abbassò il capo “I miei genitori sono entrambi morti e quindi ciò che ha detto Doris è vero, sono orfana.”
“Quando comincia a parlare del passato diviene malinconica all’improvviso e le si incupisce lo sguardo. Il suo blu diventa così scuro che sembra sia calata notte.”
La voce di Bill come suo solito sbucò, una delle tante frasi che il fratello diceva quando si parlava di lei “È come quando tu diventi triste o scoppi a piangere, mi viene solo voglia di abbracciarla finché non sta meglio.” Tom in quel momento gli diede ragione.
“Per lei è ancora tutto molto difficile. Se parla di sé però sono contento, anche se devo vederla così. Cerca di combattere i suoi demoni.”
“Persi mio padre quando avevo solo nove anni mentre mia madre mi ha lasciato sette mesi fa.” Lyric ingoiò una grande quantità d’aria prima di proseguire “Non c’è stato nessuno.” La ragazza scrollò le spalle “Nessuno che mi abbia aiutato quando il fatto accadde. Nemmeno zio Victor, il mio preferito e il fratello più vicino a mia madre, seppe starmi accanto nel momento del bisogno. Non c’era stato proprio nessuno.” La sua voce si incrinò appena per un secondo ma bastò per bloccarla.
“Senti non occorre che mi dici proprio tutto quanto. È la tua vita privata…”
Lyric gli rivolse il palmo della mano destra per interromperlo, proseguì “Non sono mai andata particolarmente d’accordo con la famiglia di mia madre. A parte mio zio Victor il resto dei parenti è costituito da altezzosi snob, arroganti ed arrivisti. Sempre lì a compiacersi della propria ricchezza e della propria posizione.” Tom percepì il fastidio che provava Lyric nel condividere il proprio sangue con simili persone “Una volta ho persino chiesto a mia madre se non avessero fatto uno sbaglio all’ospedale affidandola alla famiglia Alysei. Lei sosteneva che infondo non erano così male, è sempre stata troppo buona.” Un esile movimento delle labbra fece intuire al ragazzo che lei aveva fatto una specie di sorriso.
Scomparve subito.
“Come ti dicevo non sono stati vicini a me e anche se zio Victor aveva provato a lottare per avere il mio affidamento alla fine si è arreso.” Il sinuoso aroma della rabbia avvolse un poco la sua voce “Chiunque si arrenderebbe se dovesse scontrarsi con Cassandra.”
“Cassandra?”
“Mia nonna.” Spiegò in un sussurro come se avesse parlato un pelo più forte quella donna sarebbe comparsa dietro alla sua schiena.
“Ehm…tua nonna?” Tom si toccò il percing al labbro “È lei, non è così? Quella che hai visto in me.”
Lyric sbatté le palpebre un paio di volte “Non credevo che avessi dell’intuito.” Lo disse senza alcun fine di fare una battuta.
“Grazie. A volte se ne stupisce persino mia madre.” Tom la mise sullo scherzoso ma Lyric tornò immediatamente ad ombrasi.
“Lei mi odia.” Lo disse come se fosse una cosa da poco conto. Una cosa di cui era perfettamente consapevole.
“Ed è brava a dimostrarlo. Con me è sempre stata tremendamente gelida. Sempre a guardarmi come se non fossi come voleva lei, come se non fossi abbastanza.” Ogni singola parola fu detta senza provare emozioni, rinchiudendoli in qualche luogo in cui non facessero troppo male.
“E poiché mia nonna mi odia tutto il resto della famiglia Alysei mi tratta allo stesso identico modo.” Una scintilla beffarda illuminò quello specchio d’acqua che erano i suoi occhi.
“Perché?” Tom non riusciva a credere che i parenti di lei potessero trattarla male solo perché la nonna non la poteva sopportare. Lyric fece spallucce.
“Perché quando mia nonna passerà a miglior vita lascerà a questo mondo un mucchio di soldi e con mucchio intendo cifre da otto o nove zeri. Naturalmente questo vuol dire compiacere in tutti i modi possibili l’imperatrice delle nevi, ergo devono odiarmi anche loro, pur non avendo nessuna ragione per farlo.”
“Uh.” Tom riuscì ad assemblare solo quell’imbarazzante e per nulla chiaro verso.
“Un mese fa ero davvero a pezzi e quando ci siamo incontrati stavo appena toccando il fondo. Quando ti ho visto con quella faccia così…così piena di sicurezza in te stesso mi è montata la rabbia dentro. Ho visto mia nonna e ho desiderato prenderti a randellate con qualcosa.”
Lyric si sistemò una ciocca di capelli prima di immobilizzarsi ed aspettare la reazione di Tom. Il suo discorso lo aveva fatto e era anche andata oltre. Non avrebbe detto più di quello che la sua mente poteva reggere. Sperò che Tom si dimostrasse intuitivo anche in quel momento e non le chiedesse di spiegarsi con maggiori dettagli.
Non lo avrebbe fatto.
“Wow. Sei complicata.”
“Ma tu e Bill condividete lo stesso cervello?” lo disse divertita poiché Tom aveva detto la stessa cosa che aveva detto Bill quando era stata la sua volta di ricevere spiegazioni.
“Mia madre e Georg sostengono che ci siamo spartiti equamente i neuroni quando siamo stati generati e per tanto pensiamo spesso la stessa cosa.”
“Ok, cercherò di abituarmici.”
Tom si morse il labbro inferiore, diventando pensieroso.
Infondo una spiegazione l’aveva ottenuta, non poteva pretendere di restare arrabbiato con lei per quello screzio appena risanato. Non c’erano scuse per continuare ad essere scortese.
“Ti chiedo scusa.” La voce calda di Lyric interrupe i suoi ragionamenti “Per quella volta un mese fa e tutte quelle che sono seguite. Forse se non ti avessi trattato così male tu non ti saresti comportato di conseguenza.”
Ok, ora non aveva proprio altra scelta. Gli aveva persino chiesto scusa in modo diretto. Tecnicamente non doveva più provare rancore nei suoi confronti.
“Tu sei un idiota. Diglielo! Digli perché sei tanto scocciato che lei sia diventata amica di Bill!”
Tom scosse la testa per scacciare quella voce petulante dal suo cervello.
“Senti vattene all’inferno e restaci. Qui faccio a modo mio.”
Lyric lo guardò di sottecchi chiedendosi perché avesse assunto quella espressione corrucciata. Sembrava in pieno dilemma amletico.
“Cazzi tuoi ma poi non venire a piangere lacrime di coccodrillo.”
“Oh Cristo santo vuoi tacere?!”
“Tom?”
Il rasta le porse una mano e sulla faccia fece comparire un sorriso, sincero.
“Ricominciamo da capo, va bene?” le indicò la mano che penzolava verso di lei “Tom, piacere. Quindi saresti la nuova amica di mio fratello?”
Che cominciasse tutto nuovamente da lì. Così si sarebbe tolto certi pensieri dalla testa.
Lyric gliela strinse, mostrando a Tom per la prima volta un vero sorriso “Lyric, piacere. Tu devi essere il fratello un po’ scemotto di Bill, non è così?”
Prima che potesse rispondere la vocina dentro la sua testa decise di lasciarlo in pace ma prima di farlo gli lasciò un ultimo messaggio “Lo sai perfettamente che sarà un casino. Lo sentì fin nelle ossa. Andrà tutto a puttane.” Tom la ignorò.

***



Amburgo.
Giugno 2009.



Era una sera di fine giugno. Due giorni dopo sarebbe iniziato il tuor estivo del nuovo album e non avrebbe avuto neanche un attimo di respiro per pensare con tranquillità al passato.
Il che, sotto un certo punto di vista non autolesionista, era un bene per la sua serenità mentale.
Gustav sosteneva con fervore che era del tutto normale che lui fosse così tormentato e si tormentasse da solo. Il lato leggero e privo di ombre per lui l’aveva preso tutto quel pagliaccio di Tom durante la divisione in due parti dello zigote che li aveva prodotti.
Aveva un modo tutto suo di consolare le persone, decisamente il suo caro amico batterista vedeva il mondo nel modo più realistico possibile.
Bill fissò la sigaretta accesa che teneva tra le dita, non era riuscito neanche a fumarne metà ed ora se ne stava lì a bruciarsi le dita. Il rosso luccicante del tabacco che veniva consumato era l’unica luce che illuminava il buio della sua stanza. Aveva preferito spegnere tutto e restarsene seduto sul proprio letto fissando il vuoto.
Come suo solito non perdeva il vizio di cercare a tutti i costi il melodramma romantico.
Se non fosse stato troppo orgoglioso si sarebbe dato del patetico da solo.
Era completamente solo nell’appartamento, il resto dei suoi conviventi aveva deciso di darsi alla pazza gioia della vita notturna prima di iniziare a lavorare. Il che significava che sarebbero tornati solo verso le cinque del mattino, se non venivano arrestati per qualche motivo.
Per questo insieme al duo di scapestrati incalliti c’era naturalmente Gustav, il che significava che per loro fortuna (di Tom e Georg) non sarebbero stati arrestati.
Bill poteva quindi starsene ad incupirsi in modo teatrale senza dover sentire ridere o gridare atrocità ogni due secondi.
“Se lasci andare la sigaretta in quel modo ti brucerai le mani.” Una risata soffiata arrivò alle sue orecchie.
Bill sorrise mesto al vuoto di fronte a sé.
“E poi io odio il fumo, lo sai.” Continuò quella voce con una leggera inflessione contrariata.
Bill spiaccicò la punta della sua sigaretta sprecata sul posacenere del comodino “Contenta?” domandò alzando un sopraciglio. La voce mugolò un assenso.
Bill espirò un grande e profondo respiro dai suoi polmoni mentre distendeva le sua gambe per intero sul materasso.
“Ti fa male.” La voce ritornò a parlare, il che diede uno strano piacere al ragazzo.
Le allucinazioni erano piacevoli.
“Cosa? Il fumo?” domandò pur sapendo a cosa si riferisse.
“No.” Bill voltò il capo alla sua destra trovandosi a faccia a faccia con un mare infinito “Vedere me.”
Un sorriso molto dolce si materializzò sul viso della ragazza “Parlare con me che sono nella tua testa ti fa più male che bene.”
Aveva una gran voglia di appoggiare la propria fronte sulla spalla di lei ma si trattenne. Era molto realistica però era pur sempre un’illusione.
“Però mi piace.” Fu l’unica cosa che Bill disse in sua difesa.
“Il fatto che ti piaccia non significa che ti faccia bene. Se Tom venisse a sapere che parli da solo ad un’immagine fittizia del tuo cervello che cosa penserebbe?”
Una risata amara gorgogliò dalla sua gola “Che sono il solito coglione.”
La mano di una Lyric sedicenne si protrasse verso una sua guancia mentre il suo sguardo percorreva il viso di lui con una luce amara nelle iridi.
“Non dovresti stare attaccato alla mia immagine. Tra due mesi compi la bellezza di venti anni, dovresti lasciare perdere le cotte adolescenziali e cercarti qualcun’altra.” Come la Lyric vera, quella immaginaria parlò in modo molto realistico e pratico. Suggerendogli la soluzione più conveniente per tutti.
Naturalmente per la logica di Bill stava parlando a vanvera.
“Te lo già detto. Io ti ronzerò attorno fino all’ossessione.”
Entrambe le mani di Lyric si posarono sul suo viso, avvicinò il suo.
Bill cercò di ricordarsi che era tutto finto.
“Ma tu sei già ossessionato. Non va bene. Non va bene per niente.” La fronte di lei si aggrottò “Bill, io ti ho lasciato. Significa che non ti volevo più.”
“Non è vero!” strinse i denti.
“Sono andata dall’altra parte dell’oceano pur di non vederti più.”
“Non è vero!” strinse i pugni.
“Come fai a dirlo?”
Era bella.
Davvero. Nessuno avrebbe potuto dire il contrario. A sedici anni, quando si erano lasciati e lei era andata via, aveva solo iniziato ad essere bella.
Poteva solo immaginare come fosse ora che aveva vent’anni. Sicuramente, si diceva, doveva essere rimasta bella. Forse anche di più. Di certo i suoi occhi non dovevano essere cambiati. Quelli dovevano per forza essere rimasti così stupendi.
Persino ora che fissava un ricordo richiamato alla luce non poteva evitare di ammirarli. Persino dentro un’allucinazione lui non poteva fare a meno di essere affascinato come il più imbambolato dei pesci. Pensava che era qualcosa di simile alle fan che riuscivano ad averlo a pochi metri di distanza.
Anche loro sentivano il cuore lacerarsi da un’emozione troppo forte.
“Lo dico perché quello che ti è uscito fuori è solo la mia paura. Tu non saresti così crudele da dirmi certe cose. Non me le hai dette nemmeno per liberarti di me quel giorno all’aeroporto. E poi sei solo un ricordo.”
Il mare blu si illuminò d’improvviso di mille luci brillanti “Testardo fino alla fine, eh?”
“A quanto pare…” un pollice di quella Lyric immaginaria era salito a toccare i contorno degli occhi di Bill, facendoli socchiudere al suo passaggio delicato. Il suo viso sempre più vicino.
“Trovami e fammi cambiare idea. Sconvolgi la mia vita ancora una volta.” Ormai parlava ad un centimetro dalle sue labbra, sempre tenendo il volto di Bill tra le mani. Lui cercò di non distruggere troppo in fretta quella visione.
“Te lo prometto.” Bill lo sussurrò proprio mentre le loro labbra si univano nel più delicato ed evanescente dei baci. Neanche un secondo per assaporare l’illusione del calore e del brivido che scorreva in ogni centimetro del suo corpo che era tutto finito.
Riaprì gli occhi molto lentamente, cercando di non rimanerci troppo male quando una volta aperti non avesse visto più nulla.
Era tornato tutto come prima.
I rumori della strada fuori dalla finestra e il buio intorno a lui.
Lei invece era tornata dentro la sua memoria.
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Gillian Kami
view post Posted on 1/4/2010, 21:32




Come avevo detto oggi, che è giovedì xD, posto il sesto capitolo della storia, se pensate che stia andando troppo di fretta ditemelo, ma volevo per forza postare questo capitolo proprio oggi. Non ho molte cose da dire al momento perché sono terribilmente occupata con altre faccende, quindi lascio velocemente il capitolo 6 sperando che vi piaccia. Un mega bacio a tutte le persone che stanno leggendo!!!
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Capitolo 6: Ciò che sta diventando importante.


I pensieri sono molto più complicati di ciò che diciamo ad alta voce.
Se ne stanno chiusi dentro i muri della nostra mente e là rimangono fino a che non decidiamo di tirarli fuori. I pensieri sono entità incorporee che esistono e sono innocui quel che basta a permetterci di avere dei segreti. Quando decidiamo di dargli vera vita, però, mutano natura e divengono insidiosi. Questo perché non si è certi di ciò che gli altri proveranno nel venirne a conoscenza.
Questa è la ragione che spinge le persone a tenere per sé certi pensieri piuttosto che altri, questo è il motivo per cui non esponiamo mai tutto ciò che ci frulla nella testa.
Sono l’unico legittimo diritto che ci consente di essere un po’ codardi.
Finché restano solo nostri, i pensieri, sono solo rapidi impulsi elettrici. Non possono ferire ne emozionare. Non possono mentire ne dire la verità.
Non posso uccidere ne rendere felici.
Finché rimangono dove sono possono solo tormentarci oppure sollevarci dal peso di dover trovare del coraggio. Naturalmente ciò che possono o non possono fare dipende in tutti i casi dai nostri desideri e anche con quelli non è semplice districarsi.
E i suoi desideri?
Cosa chiedevano? Cosa gli dicevano di fare?
Cosa volevano?
Era difficile dare una risposta, era difficile perché persino i suoi desideri erano decisi ad essere in un perenne stato di confusione. Sotto un certo punto di vista poteva scordarselo il concetto di ordine mentale.
Le sagome di un paio di rughe stizzite lambirono silenziosamente la sua fronte, facendo assumere ai suoi tratti facciali un'espressione infastidita. Scosse la testa come uno che stava sopportando da troppo tempo una zanzara che insistentemente gli stava girando attorno.
Ecco. Questa era proprio la faccia di Bill mentre camminava con lo zaino in spalla e le gambe che si muovevano frettolosamente verso l'uscita della scuola.
Temeva di non arrivare in tempo per salutarla.
Si fermò pochi secondi davanti ad una delle finestre del secondo piano che davano sul cortile principale, percorrendo velocemente lo spazio circostante alla ricerca della sua amica. Un'onda di sollievo palpitò nel suo petto quando riuscì a scorgerla, seduta su una delle panchine di pietra disposte sotto gli alberi. Ricominciò a camminare.
Infondo lei gli aveva detto che lo avrebbe aspettato quindi non c'era nessuna ragione per cui essere così affrettato.
Eppure accelerò il passo. Non si poteva mai sapere quale tipo di imprevisto potesse capitare nei pochi minuti che lo dividevano nel raggiungerla, qualunque cosa poteva succedere e con tutta probabilità tale cosa gli avrebbe impedito di darle il saluto.
Naturalmente era un'idea assolutamente fantasiosa nata nella sua mente e ciò giustificava certi suoi comportamenti. Tom aveva preso a dire che era totalmente ammattito quando si trattava di lei.
Bill non sapeva se il gemello dicesse certe cose solo per dilettare il mondo con le sue batuttine o fosse realmente consapevole di quello che diceva. Fino a quel momento avevano evitato entrambi di porre risposte alle domande che scorrevano così vicine alla superficie della realtà. Come suo solito Bill aveva lasciato che il suo vizio di facilitarsi la vita avesse la meglio sul senso di correttezza.
Lui non era mai stato il tipo di persona a cui riusciva facile non essere un po' egoista.
Fino a quel momento, nella sua breve e giovane vita, ciò che era sempre contato molto più di tante altre cose era stato il suo sogno.
Il suo sogno era la musica. Lui desiderava a tal punto quella vita, quel futuro da non aver mai nascosto la determinazione mostruosa che lo accompagnava. Per quel sogno era sempre stato disposto a fare qualunque cosa, a combattere in tutti i modi, a sotterrare chiunque e qualunque cosa. L'egoismo era un riflesso di quella determinazione.
Ovviamente ne aveva sempre avuto un po' dentro di se di egoismo e Bill trovava facile comportarsi seguendo quella parte poco virtuosa della sua persona.
Come precedentemente detto, lui aveva il vizio di essere egoista e ciò gli permetteva di vivere più facilmente. Perciò aveva sempre trovato naturale evitare quei discorsi con Tom, inoltre neanche il fratello aveva avuto la spina dorsale di tirare fuori tutti i pensieri che si annidavano così bene sotto il coperchio. Anche lui aveva deciso di facilitarsi la vita.
I suoi pensieri, così rumorosi e fastidiosamente esaltati come il loro proprietario, saltarono ancora una volta nel silenzio imposto della sua mente. Si strinse la mascella, battendo il palmo della mano contro la sua fronte. Di solito quei pensieri lo colpivano sempre quando lui meno se lo aspettava, cercavano sempre il momento più propizio per un colpo basso in piena regola. Bill gli ordinò di starsene immediatamente zitti.
Si immaginò che quelli gli rispondessero con una pernacchia prima di darsi alla fuga nella macchia, tornando temporaneamente nell'ombra prima del prossimo attacco.
“Stupidissimo cervello...” pensò mentre la sua gamba varcava finalmente l'ingresso della scuola e un luminoso sole d'aprile accarezzava con calore le sue guance. L'aria limpida della primavera appena sbocciata attraversò i suoi polmoni e la felicità di essere uscito dalla sua prigione lo fecero sorridere.
Mancavano pochi passi e l'avrebbe raggiunta.
Pensò al modo migliore per sbucarle accanto, pregustando col pensiero il momento in cui avrebbe scandito il suo nome ad un centimetro dal suo orecchio, facendola così spaventare. Questo gli sarebbe riuscito visto che quando lei era soprappensiero era completamente in un altro mondo. Inoltre lei aveva lo sguardo abbassato su di un tomo tenuto sopra alle gambe incrociate. Non avrebbe neanche notato che si sedeva al suo fianco. A pochi metri dalla panchina finalmente Bill cominciò a rallentare.
Come le avrebbe fatto presente la sua presenza? Forse poteva sedersi e poi avvicinare il suo viso giusto la distanza di sicurezza per chiamarla. Oppure avrebbe potuto ticchettare su una spalla e poi appoggiare infantilmente una guancia su questa.
Non fece niente di queste cose, si limito a seguire il proprio corpo che era istintivamente partito senza che lui gli desse alcun comando. Si fermò in piedi dietro di lei. Qualche secondo e vide un suo braccio allungarsi e le sue lunghe dita raggiungere delicatamente i boccoli d'ebano al lato della sua faccia, percorrendoli poi nella loro lunghezza.
Pronunciò il suo nome molto piano “Lyric...”
Lei alzò di scatto la testa e si girò. Un sorriso raggiante lo accolse a braccia spalancate.
“Bill!” esclamò con voce luminosa.
“Scusa se ti ho fatto aspettare.” disse il ragazzo mentre ordinava a se stesso di non indugiare troppo tra i suoi capelli. Farle capire che ne aveva una fissazione quasi ossessiva (paragonabile solo a quella che aveva per i suoi di capelli) era l'ultima delle sue intenzioni.
Bill fece precipitare al suolo il suo zaino e si sedette sulla panchina di pietra mentre Lyric chiudeva il libro che prima stava studiando con grande attenzione.
“Non è stata una lunga attesa.” lei sorrise gentilmente “Allora, Herz ti ha fatto un predica coscienziosa sul perché che non devi continuare a seguire così insensatamente la strada della rockstar?”
Bill sbuffò irritato al ricordo di quello che era avvenuto mezz'ora prima. Fu una risposta più che eloquente che naturalmente fece ridere Lyric d'allegria. Una cosa che le avrebbe sempre messo il sorriso sulle labbra erano le espressioni del volto di Bill, era sicura che non sarebbe riuscita a scordarsene neanche una. Tutte egualmente così uniche.
“Ti assicuro che questa volta è stato peggio del solito, credevo che mi avrebbe legato con una catena pur di farmi stare lì fino alla fine del suo discorso! Urgh...” il suo rantolo di ribrezzo fece scaturire un'altra gioiosa risata nell'amica “Mi chiedo perché mi abbia dovuto torturare quando io volevo solo il dannato permesso che avevo richiesto.”
“Suppongo che pensi che tu sia ancora recuperabile.”
“Uhm?”
“Beh, mi sembra ovvio. Tu rispetto a Tom.” Lyric fece una pausa per rimirare la perplessità negli occhi di Bill “Il preside con lui ci ha rinunciato, con te pensa ancora di poter fare qualcosa o almeno è quello che crede.”
“Oh!” esclamò con tono sarcastico “Beh mi dispiace distruggere le convinzioni di un vecchio ma sono molto più irrecuperabile di Tom. Io non ho proprio vie di ritorno. Non mi convinceranno mai a preferire la scuola alla musica.”
Lyric e Bill scoppiarono in una risata.
Non c'era quasi più nessuno a scuola, di fatti le lezioni erano terminate quaranta minuti prima. Ciò significava che aveva sprecato trenta minuti della sua vita a sentire il vecchio fargli una paternale solo per poter ricevere infine un cavolo di permesso. La burocrazia era uno schifo.
“Quanto tempo starai via questa volta?” chiese Lyric quando le risate cessarono. Bill non poté evitare di aprire il volto ad un'espressione di pura esaltazione.
“Un'intera settimana!” batté le mani alla velocità della luce, facendole rumoreggiare in un clap-clap frenetico “Starò lontano dall'inferno per ben una settimana!” uno dei suoi sorrisi spacca mascella comparì sul suo volto.
“Dove andrete?” domandò lei diventando stranamente meno entusiasta di un secondo prima.
Sapeva perfettamente che sette giorni non erano tanti ma non riusciva a provare quella ingrata sensazione di afflizione.
Bill sembrò accorgersi di quel repentino mutamento ma non chiese nulla perché conoscendo Lyric non sarebbe riuscito ad estorcerle niente senza il suo consenso.
“Ad Amburgo. Andremo a registrare le versioni migliorate delle precedenti canzoni e contemporaneamente inizieremo con le ultime che abbiamo creato.” gongolò ancora un pochino nel dire quelle cose, la prospettiva di passare giorni interi senza vedere la scuola e nel contempo immergersi nel suo elemento lo rendevano più euforico di quanto già normalmente non fosse.
Lyric assecondò l'umore di Bill sorridendo sinceramente contenta per tutti loro ma l'aver ricevuto conferma di una separazione così lunga rendeva il futuro di quel sabato ancora più esasperante. Sentì il suo cuore sussultarle nel petto.
Socchiuse gli occhi.
Per quanto fosse migliorata in quei mesi, grazie alla compagnia di Bill e di tutti gli altri, il lato debole di se stessa non aveva intenzione di abbandonarla. Aveva ancora giornate no in cui diventava intrattabile e irraggiungibile a chiunque e momenti di panico scaturiti dai ricordi ancora così vicini di quasi un anno prima.
Riusciva a parlare di sua madre senza tremare, riusciva a parlare della sua vita passata senza agitarsi, riusciva persino a pensare al passato senza versare nemmeno una lacrima eppure certe cose non aveva ancora la stabilità per affrontarle.
Ciò la infastidiva abbastanza.
Sentì il calore famigliare di una mano intrecciare le proprie dita con le sue. Ebbe un altro sussulto al petto ma questa volta aveva un'origine diversa. Era piacevole.
“Va tutto bene?” cosa poteva rispondere quando Bill sfoderava quella voce realmente preoccupata e quegli occhi così ipnotici.
Lui aveva fatto veramente troppo per lei.
Lui l'aveva salvata troppe volte senza mai chiedere nulla in cambio, detestava doverlo fare impensierire in quel modo. Mostrare con estrema evidenza che Bill era la sua ancora di salvezza era da veri egoisti.
Infondo non era poi tanto diversa da sua nonna, usare gli altri che le stavano attorno per stare bene riusciva molto semplice anche a lei. Strinse un po' più forte la mano di lui esibendo il più falso e riuscito dei sorrisi rassicuranti.
No, non lo avrebbe fatto preoccupare.
Non doveva per forza trascinarlo sempre nei suoi problemi. Bill doveva pensare a realizzare il sogno che inseguiva da tutta la vita.
Lyric lo avrebbe sostenuto in questo per ringraziarlo di tutto quanto.
Voleva che fosse felice, la persona più felice del mondo. Così da bilanciare tutto il debito che aveva nei suoi confronti. Non sarebbe stata lei ad ostacolarlo, in nessun modo, nemmeno con i suoi sentimenti.
Per aiutarlo in questo avrebbe fatto qualunque cosa, persino mentire.
“Sì, tutto a posto. Stavo solo pensando che dovrò restarci da sola all'inferno.” Bill non parve molto convinto. “Sul serio, Bill. Era solo questo e poi mi stavo rimproverando di essere un po' troppo egoista.”
Questa volta ci cascò in pieno. Bill scosse le loro mani intrecciate come a negare.
“Nono, non sei per niente egoista. Questo non è uno dei tuoi difetti. Tu pensi sempre troppo agli altri, per questo credo che se ti lasciassi fare saresti persino in grado di morire in solitudine, se questo significasse non far soffrire qualcuno.”
Lyric lo fissò con il grande desiderio di confidargli ogni cosa ma si trattenne con molta bravura.
Ci teneva che Bill partisse senza che si preoccupasse per lei.
Ci teneva veramente.
“L'egoismo non è uno dei miei difetti...” Lyric puntò intenzionalmente a cambiare discorso “quindi quali sarebbero i miei difetti?”
Bill fece uno di quei sorrisi maliziosi, uno di quelli che piacevano tanto alla popolazione femminile della scuola ma che nessuna avrebbe mai ammesso di adorare.
Fortunatamente Lyric non ne subiva troppo l'effetto.
“Beh, come tutti hai dei difetti e non starò qui ad elencarteli. C'è ne uno però che mi piace.”
“Ne hai uno preferito?” Lyric si sorprese.
“Di te, sì.” Bill rise vedendola tenere le labbra leggermente aperte dall'incredulità. Il sole in quel preciso momento illuminava una parte del suo volto, così da permettergli una visione nitida dei suoi occhi completamente accesi dalla curiosità. C'erano un mucchio di cose che gli piacevano di Lyric, in cima alle prime cinque si trovavano quegli specchi di oceano.
“Non tenermi sulle spine...” protestò Lyric mollando il nodo tra le loro mani e dandogli poi un colpetto sul palmo della sua. Bill fece un altro di quei sorrisi.
“Mi piace quel difetto enorme che tende a farti tenere tutto dentro e che poi ti porta a implodere.”
“Eh? Perché?” in quel momento Lyric aveva la stessa faccia di Bill quando gli aveva dato del buffo.
“Beh perché sono piuttosto narcisista.”
“Non è una risposta molto normale.” Bill ridacchiò
“Perché quando esplodi sono sempre l'unico che riesce a farti tornare normale. Quel difetto mi piace molto.”
Lyric parve cercare qualcosa con cui ribattere però pensandoci su non aveva detto niente di sbagliato. Le rimase solo da alzare gli occhi al cielo “Non è molto normale neanche questa come risposta però suppongo di dovermi accontentare.”
Bill rise di nuovo sotto i baffi ma smise quasi subito.
“A parte gli scherzi, sei sicura di non volermi dire niente? Anche se mi piace molto starti accanto quando sei del tutto intrattabile preferisco mille volte di più che tu non scoppi affatto.”
Quando diceva certe cose, in quel modo, Lyric era così sicura che Bill le volesse bene.
Ciò la faceva sentire sempre dannatamente bene.
La rendeva assolutamente dipendente e questo le faceva chiedere se era possibile essere intossicati dalla presenza di qualcuno.
'Intossicati' era sbagliato.
Assuefatta? No. Non era il termine giusto neanche questo.
Era più corretto definire ciò che sentiva come un bisogno costante.
“Non ci vediamo dal giorno della tua partenza, credo che avremmo molte cose di cui parlare.”
Il ricordo della telefonata di due giorni prima con suo zio Victor fece capolino in quell'istante. Naturalmente Lyric non diede a vedere che ci stava pensando.
“Inoltre ho un messaggio da parte della nonna.”
No, non glielo avrebbe detto subito.
Avrebbe aspettato che finisse il lavoro e che la cena che aveva da trascorrere con suo zio fosse passata. Per lui era più importante passare quei sette giorni unicamente pensando a cantare bene. Lei non sarebbe stata il suo disturbo.
Questa volta fu veramente un'espressione rassicurante a donarle calore al volto.
“Effettivamente ci sarebbe una cosa.” Lyric si protese verso di lui, circondando le sue spalle con le braccia e stringendolo in un abbraccio che ammetteva essere più per se stessa che per Bill.
Lui ricambiò “Metticela tutta ad Amburgo.” gli mormorò all'orecchio prima di posare la fronte contro la pelle calda del suo collo.
Bill chiuse gli occhi. Sfiorò con le punta delle dita il velluto nero della chioma di Lyric, cercando di cacciare via l'eco dei pensieri molesti che stavano caricando verso di lui.
“E Tom?”
A quanto pare uno di quei pensieri riuscì a sfuggire al suo controllo, Bill grugnì in protesta mentre aveva le labbra premute contro la spalla di Lyric. Lei non se ne accorse.
Il momento però venne interrotto.
“Siamo in un luogo pubblico e per di più alla luce del sole. Certe cose potreste aspettare di farle in un posto più appartato.” In quel momento Bill desiderò ardentemente di non avere un gemello.
“Parli del diavolo e spuntano le corna...”
Entrambi si staccarono dall'abbraccio con molta calma, per nulla imbarazzati. Lyric poi si rivolse a Tom con il solito ghignò di sfida che le spuntava quando Tom intendeva mettersi a discutere con lei.
Tom ricambiò allo stesso modo.
“Non credo di poter accettare una tale ramanzina da uno che pochi minuti fa si stava limonando Jessica Wagner sotto le scale anti-incendio, inoltre un abbraccio tra due amici non è osceno come scambiarsi la saliva attraverso un contatto ravvicinato di lingue.”
Il ghigno divertito del rasta si allargò mentre un suono basso gli uscì dalla gola: una risata ironica.
Diede una sbirciata di sottecchi a Bill per carpire se il gemello avesse intuito la ragione del suo divertimento.
Naturalmente amici non era il titolo più giusto per ciò che erano quei due. Per quanto gli riguardava erano due finti tonti fatti e finiti, forse neanche tanto finti, andava benissimo dire due tonti.
Ancora più corretto era la definizione di uno che tergiversava (questo era Bill) mentre l'altra era, beh, solo molto difficile da capire.
Tom piegò le gambe per abbassarsi alla stessa altezza di Lyric, osservando però il suo viso dal basso “Mi stavi forse spiando?” lo disse con fare molto divertito, la domanda in tutti i sensi alludeva a qualcosa di preciso. Lyric, ormai abituata a quel tipo di riprese a doppio senso, si mantenne calma e rilassata. Vagamente allegra per il fatto che Tom non la smetteva mai di punzecchiarla.
“No. È che appena mi sono seduta sulla panchina ti ho visto di sfuggita mettere le mani addosso alla tua ignara vittima e cimentarvi in un nuovo tipo di esercizio per l'apnea.”
Il rasta rise “Oh, Jessica Wagner è stata tutto fuorché una ignara vittima! Direi che è stata una complice molto più consenziente di quello che credi. Diciamo pure che il piano malefico per conquistare il mondo era partorito dalla sua mente.”
Lyric ticchettò contro la fronte del ragazzo come a controllare se c'era dentro qualcosa al suo cranio o, come presumeva, lo spazio fosse irrimediabilmente sprecato dal vuoto “Tu dirle di no, vero? Potevi aspettare anche tu di essere in un luogo più appartato e non venirmi a dire che le scale anti-incendio lo sono.”
Tom lanciò un altro sguardo verso Bill, lo vide ridacchiare anche lui “Dammi una sola buona ragione per cui avrei dovuto rifiutare?”
“Lo sai che Tom è in pieno fervore ormonale.” rispose Bill al posto di Lyric. Lei rise mentre Tom con un movimento veloce si mise a sedere sulla panchina, tra loro due.
“E poi dovevo pur passare il tempo mentre aspettavo che Bill prendesse quel cavolo di permesso.”
“Di cui dovevi occupartene tu!” gli fece notare il fratello, l'altro fece finta di non averlo sentito.
“Limonare con Jessica Wagner era per te il modo migliore di passare il tempo?” chiese lei guardandolo con una strana espressione negli occhi. Bill sgranò impercettibilmente i suoi.
Ne Tom, ne Lyric lo notarono.
“Allora, prima di tutto qualunque maschio adolescente...anzi no...qualunque maschio di qualunque età e orientamento sessuale trova che baciare qualcuno sia il modo migliore del mondo per passare il tempo. Secondo, se era una domanda implicita sul fatto che non sia venuto a farti compagnia e aspettare insieme l'arrivo di Bill, ti assicuro che l'avrei fatto volentieri se non ti avessi vista così concentrata a leggere quel libro. Non volevo disturbarti, una volta tanto.” ammise Tom.
Lyric scosse la testa, nascondendo in modo stentato un sorriso. A volte si chiedeva se Tom dicesse certe cose solo per farla ridere o fosse realmente consapevole di quello che intuiva. Doveva ricordarsi di non sottovalutarlo troppo.
Certe cose che non voleva dirgli in nome di quella sincera amicizia che era nata tra loro aveva paura che lui potesse scoprirle. Che lui le sapesse già.
Voleva proteggere anche quel legame dai suoi desideri egoistici.
“Quindi è stata un premura nei miei confronti?”
“Già-già nelle più nobili delle mie intenzioni.” confermò lui annuendo con convinzione.
Lyric scambiò un'occhiata poco convinta a Bill e poi rise.
Il suono di un clackson catturò la loro attenzione. Una gigantesca macchina nera si era materializzata dinanzi ai cancelli della scuola e Tom come suo solito non poté evitarsi di sgranare le pupille come un bambino davanti a una torta gigante di cioccolato ricoperta di panna, la visione della cadillac di Lyric gli provocava sempre una contenuta esaltazione.
“Oh accidenti! Non mi ero accorta che fosse così tardi.” Lyric saltò in piedi, prendendo la tracolla dei libri che aveva abbandonato a terra.
“Devi già andare?” chiesero all'unisono i gemelli. Tom con sorpresa mentre Bill con delusione.
Lyric annuì, restando in piedi di fronte a loro, indecisa “Ho le lezioni private di francese e latino tra venti minuti e se arrivo in ritardo la professoressa mi farà una testa così sul fatto che bisogna rispettare gli orari prestabiliti.”
“Una che è imbottita di soldi come te li va a sprecare in lezioni private di latino e francese. Mi sembra al quanto fuori di testa.” Tom rimostrò la sua contrarietà.
“Prima di tutto a me piace studiare lingue, anche se una di queste è morta...” precedette quello che Tom stava per dire “inoltre credo di poter decidere da sola come spendere il mio denaro.” Lyric fissò qualche secondo le punte delle sue scarpe “Poi non faccio solo questo. Le lezioni di lingue sono perché devo per forza finire i corsi che avevo cominciato un anno fa, odio tenere in sospeso qualcosa poi c'è il mio corso...oh accidenti! A forza di parlare con te sto perdendo ancora più tempo.”
Tom parve contento della cosa “Di sicuro non sono io che come al solito deve fare la saccente e spiegare sempre tutto per benino. S-c-e-m-a.” scandì l'ultima parola con molta attenzione, senza dimenticare di mettere un accento di derisione in ogni lettera.
In tutta risposta Lyric gli diede un colpetto in testa scandendo a sua volta la parola idiota poi rivolse la sua attenzione a Bill.
Lyric era tormentata dalla prospettiva che quello sarebbe stato l'ultimo saluto prima di una separazione di sette giorni. Cercò di farsi coraggio e pensare che infondo il sabato sera a cena con suo zio Victor non poteva andare così male. Qualunque cosa sua nonna avesse recapitato come messaggio non doveva per forza essere tremendo.
“Cercate di fare i bravi ad Amburgo e fate un buon lavoro, d'accordo? Ed evitate di tormentare troppo Georg e Gustav.” mentre lei augurava questo entrambi i gemelli si erano alzati dalla panchina.
“D'accordo mamma.” rispose Tom senza perdere un secondo la sua indistruttibile aria da spaccone “Faremo i bravi, anche se non ti assicuro di poter trattare bene Georg. Lui se le va a cercare.” nel dirlo si avvicinò a lei per abbracciarla. Lyric rispose senza esitazioni. Dietro di loro Bill rimase immobile.
Quando quei due si divisero Lyric fece un passo verso Bill per poter stringerlo a sua volta, poiché lui fece lo stesso identico passo verso di lei, con il medesimo obbiettivo, si scontrarono a mezza via. Rimbalzarono leggermente quando i loro corpi si toccarono.
“Bill...”
Il ragazzo mugugnò tra i suoi capelli per farle capire che l'ascoltava “ci vediamo tra sette giorni...” Bill sorrise lasciando libero un sospiro che giunse fino all'orecchio di Lyric.
“Promesso.” disse di lui, appoggiandole un caldo bacio sulla guancia. Si staccò da lei consapevole che non poteva trattenerla in eterno.
Le curve della bocca di Lyric si velarono di molta dolcezza quando incontrarono gli occhi un po' liquidi di lui. Gli accarezzò una guancia con un piccolo sbuffo simile a quelli che si fanno alle gote di un bambino paffutello, prima di voltarsi verso la sua macchina e cominciare a correre.
Una volta salita in auto, ebbe il tempo di un ultimo saluto con la mano prima di sparire dalla loro vista a grande velocità.
Mentre l'ultimo scorcio del fanale posteriore della cadillac scompariva Tom si girò a guardare Bill con un'espressione indecifrabile.
“Che c'è?” domandò lui sentendosi infastidito da quel modo di osservarlo.
Tom si corrucciò a sua volta per il tono della domanda “Niente.”
“Allora perché mi guardi così?”
“Così come?”
“Come se fossi stupido.”
“Io non ti sto guardando come se fossi stupido, ti sto guardando...” Tom cercò la definizione migliore ma non trovandola rimase zitto per parecchi secondi.
“Allora?” Bill gli diede un pugno su un braccio. Tom strinse le mascella in una specie di ringhio muto.
“Niente...mi sono sbagliato...ti sto proprio guardando come se fossi stupido.”
Bill roteò gli occhi sibilando un “Cretino.”
Con lo zaino in spalla cominciò a camminare verso i cancelli, suo fratello lo seguì a pochi passi di distanza. Una volta allontanatesi dagli edifici scolastici Tom riaprì nuovamente la bocca.
“Secondo te Lyric troverà prima o poi un ragazzo? Non ci metteranno molto a notarla e prima che riusciamo a capirlo non sarà più libera...” Bill si fermò di scatto, voltandosi verso il fratello in un movimento innaturalmente veloce.
I suoi mille pensieri fastidiosi esplosero all'unisono dentro il suo cervello.
“Cosa diamine vorresti dire?” Tom vide in Bill uno sguardo assolutamente sconvolto.
Ne fu stupito.
Sgranò a sua volta le pupille, così che l'uno sembrava il riflesso dell'altro.
Non avevano mai fatto questo discorso, non gli era mai balenato nel cervello di poterlo fare visto che sia da parte sua e che da parte di Bill c'era il chiaro desiderio di tacere qualunque cosa al riguardo.
Però questa volta non era riuscito a trattenere la domanda che lo assillava quasi sempre.
Perché diamine quel deficiente non si dava una mossa? Perché di certo non poteva uscirsene fuori con la storia che era tutta una sua impressione. A malapena non lo notavamo gli estranei, figuriamoci lui che era il suo fratello gemello. Forse gli altri non se ne accorgevano subito e non lo vedevano con immediatezza visto che Bill riusciva a darsi comunque un margine di contegno ma Tom, in tutto ciò che riguardava l'altro Kaulitz, non era di certo ceco.
Come la guardava sempre, come le sue espressioni fossero così diverse e uniche solo per lei, come le parlava e come si combatteva per non lasciarsi andare, tutte queste cose, ogni cosa, era troppo evidente per lui che era nato e cresciuto assieme a Bill.
Tom sistemò la bretella dello zaino sulla spalla, anche se non c'era motivo per farlo.
Voleva un bene incomparabile a Bill. Assolutamente imparagonabile.
Era suo fratello. Il suo gemello. Era la persona più cara che avesse al mondo.
Qualsiasi cosa lo riguardasse, riguardava anche lui.
Qualunque cosa, sia la più grande delle idiozie o la più piccola delle preoccupazioni.
Quindi era naturale che gli importasse sapere perché si comportasse da idiota e non si facesse avanti. Infondo non si poteva trattare di timidezza, l'aveva già fatto altre volte. Neanche di paura di un rifiuto visto che Lyric non sembrava così contraria, anche se dubitava che quella avesse avuto il minimo pensiero al riguardo.
Allora cos'era? Cosa era diverso dalle altre volte.
“Oh sì, certo! Il finto tonto è solo Bill. Quanto sei coglione. Lo sai da solo cosa c'è di diverso.”
“Tom!” Bill lo richiamò dal suo silenzio. Era stato più zitto del dovuto.
Ora sul volto del moro c'era come nota d'ansia, aggiunta a quelle precedente di shock.
Tom si stupì anche di questo.
“Bill, che c'è?” chiese confuso.
“Io...” pronunciò piano l'altro “...no, sei tu che dovresti dirmi che c'è! Cos'era quella tua uscita di prima?”
“Lo sai...lo sai molto bene. Tergiversi molto più di lui e lui sa che stai tergiversando anche tu. Ma infondo sai anche quale è la cosa più giusta da fare. Quindi...”
Tom fece spallucce “Eh? No, niente.” scosse il capo “Rimuginavo sul fatto che se accadrà mai, forse, diventerà meno isterica se ci sarà qualcuno a distrarla. Non credi?” gli rivolse due occhi molto innocenti, così tanto da convincerlo.
Bill deglutì della saliva, bagnando la gola che era diventata secca.
Borbottò una specie di verso sconnesso “Boh...lo vedremo quando accadrà, comunque è l'ultima cosa a cui sta pensando in questo momento. È ancora troppo presto per queste cose.” increspò la bocca “Non è ciò che vuole.”
Tom annuì per far capire che aveva capito. Forse era solo questo a bloccarlo, ragionamenti piuttosto logici. Eppure Bill ci stava un po' troppo male per i suoi gusti.
Comunque a Tom non piaceva la situazione.
Comunque Tom non capiva tutto.
Ovviamente non ci arrivava.
“Ah, beh se le cose stanno così. Andiamo che dobbiamo preparare le valige e poi dobbiamo uscire con Andreas.” Tom recuperò il suo solito fare entusiasta prendendo per una spalla il fratello. Bill sorrise timidamente “Se questa volta vi azzardate a farmi fare un'altra figura di merda perché vi fate beccare mentre comprare palyboy giuro che smetterò di chiamarti Tomi.”
“Non dire così che mi spezzi il cuore, fratellino!” il rasta si portò una mano al petto in modo teatrale.
Bill rise “Oh certo, certo. Fratellone.”
Mentre proseguivano a camminare e scherzare come loro solito in mezzo alla strada, il sole proseguiva a splendere vivace in quel giorno di aprile, incurante delle vicende che le persone affrontavano sulla terra che lui illuminava.

***



“Non venirmi a dire non ci sia qualcosa sotto. Non prendere in giro la mia intelligenza.” dall'altro capo del telefono una voce maschile trattenne con garbo una risatina sottile. Freia cercò di farsi presente che quell'uomo era più astuto di quanto si poteva pensare.
“Freia non dovresti pensare che abbia un secondo fine in mente. Avevo solo molta voglia di rivedere mia nipote e visto che ho alcuni affari da compiere in Europa questa settimana ho pensato di approfittarne” il suono basso e profondo della sua voce avrebbe potuto benissimo convincere qualcuno a buttarsi da uno scoglio nell'oceano in tempesta.
E non era per niente una esagerazione.
Victor Alysei era nato con il dono sopranaturale di un carisma senza paragoni, chiunque lo avrebbe seguito in mezzo alle fiamme se soltanto lo avesse chiesto. Era quel tipo di uomo in grado di conquistare la fiducia di qualcuno senza dover mettere mano a qualche sotterfugio o stratagemma.
Si sapeva imporre agli altri, forse persino meglio di quanto sapesse fare sua madre, quindi lo si poteva definire molto più pericoloso.
Ne lei, ne Lyric si erano aspettati quell'invito a cena. Nessuna delle due avrebbe mai pensato di dover affrontare un Alysei così presto.
Sarebbe stato meglio che Victor avesse continuato a relazionarsi con la nipote solo attraverso telefonate ed e-mail, come di fatto facevano da ormai quattro mesi. Non poteva aspettarsi che un incontro teté-a-tetè si rivelasse rilassante e semplice. Lui faceva ancora parte di quella famiglia che aveva ridotto ad uno zombie la nipote che ora aveva a cuore come una figlia.
“Certo potrei anche crederti, mi costerebbe molto poco darti fiducia ma, sai, non posso sapere cosa succederà quella sera e tu rimani comunque il figlio di quella donna.” Freia sentì un'altra risatina trattenuta e per il fastidio picchiettò le sue unghie sulla lucida superficie della sua magnifica scrivania d'ufficio, un pezzo antico che aveva comprato durante un'asta di Christie's.
“Dal modo in cui lo dici sembra quasi che tu ti riferisca al diavolo.” Naturalmente Victor si stava divertendo molto più di Freia. Lui era il tipo d'uomo che trovava divertente sentire qualcuno rivolgergli parole d'astio nei confronti di sua madre. Si immaginava sempre la reazione che avrebbe potuto avere lei se fosse venuta a conoscenza di ciò.
“Ci sarebbe qualcosa di diverso?” questa volta l'uomo rise apertamente. La sorella del suo defunto cognato somigliava molto a lui. Di certo avevano lo stesso identico sentimento nei confronti di sua madre.
“Beh mia madre non ha ne un paio di corna, ne una coda e credo che il tridente sia l'arma che userebbe di meno. Opterebbe immediatamente per una bella spada affilata, così che la morte dei suoi nemici sia rapida e indolore.”
Freia, in un'altra occasione, avrebbe apprezzato l'ironia ma quello non era uno di quei casi. Lasciò che calasse il silenzio, così da far intendere la serietà della situazione.
Non aveva fatto una chiamata intercontinentale solo per ascoltare battutine, lei voleva dare un avvertimento.
Victor comprese e aspettò pacato che lei parlasse.
“Alysei, l'unica ragione per cui questo sabato ti permetterò di incontrare nostra nipote è che lei ha accettato. Lei voleva incontrarti, al di là di tutti i suoi dubbi e di tutte le sue parole, anche se dovrai dirle qualcosa di spiacevole per conto di tua madre. Te la farò incontrare perché lei lo desiderava ed io voglio solo permetterle di realizzare i suoi voleri.”
“Perché pensi che dovrà per forza essere spiacevole?”
“Fammi finire.” lo interruppe “Non mi interessa assolutamente sapere cosa hai da riferire, quando arriverà quel momento mi farò da parte per lasciarvi della privacy. Sarà poi Lyric a decidere se farmi partecipe oppure no. In tutti i casi non è ciò di cui mi importa.” Freia fece scattare i suoi occhi verso una cornice appoggiata sulla sua scrivania, sfiorando i contorni della immagine che essa custodiva “Potrà anche essere vero che vuoi solo rivederla e che il messaggio di tua madre non sia nulla di drammatico però mi permetterai di non avere nessuna fiducia al riguardo. Infondo siete quella parte della sua famiglia che la ridotta in uno stato terribile. Ancora adesso, qualche volta, urla ancora nel sonno. Quando sono venuta in america un anno fa, Lyric si stava spegnendo...”
Freia si fermò un secondo per raccogliere più determinazione nella voce “Ora invece è cambiata, è tornata a sorridere. È felice. Pur avendo perso la madre, pur trovandosi sola a soli quattordici anni, anche se in un modo imperfetto lei riesce a vivere. Non sopravvivere, vivere, riesci a comprendere quello che dico? È stupenda, Victor.”
E se loro avessero cercato di fare qualunque cosa per trascinarla nuovamente nella voragine da cui era risalita, allora Freia avrebbe scatenato l'ira di Dio per impedire una cosa del genere. A costo di provocare una faida tra famiglie, lei l'avrebbe protetta persino dalla metà del suo stesso sangue.
“Posso solo immaginarlo.” l'uomo sorrise amaramente e Freia non poté immaginare la dolcezza del sentimento che lo creava “Sapevo che sarebbe migliorata stando un po' lontana dall'ambiente degli Alysei. Per questo un anno fa ti avevo chiamato.”
Freia si strinse il profilo del naso con il pollice e l'indice della mano destra. Era vero. L'unica ragione che l'aveva portata in America era stata l'inaspettata chiamata di Victor Alysei quel giorno d'ottobre. Era stato lui ad informarlo che c'era assoluto bisogno d'aiuto. Era stata sua la proposta di diventare la tutrice legale di Lyric. Ma a parte ciò a Victor non doveva assolutamente niente.
“Io le voglio bene. Molto più bene di quanto una zia possa permettersi di provare per una nipote. Mi sono tenuta troppo tempo lontana da lei e sua madre in passato. Sono stata molto sciocca e ho lasciato che i miei sentimenti allentassero un legame importante ma ora persino io sono cambiata.” prese un grosso respiro cercando di scacciare il tremore che faceva capolino “Lyric è tutto ciò che mi rimane di mio fratello Sebastian. È ciò che mi ha lasciato da proteggere. Per lei sono disposta persino a dichiarare guerra alla vostra famiglia, il che equivale quasi ad un suicidio. Quindi...”
“Va bene. Ho capito.” Victor si era mantenuto tutto il tempo tranquillo, come se ciò che Freia dicesse non avesse la minima influenza su di lui “Stai tranquilla. Sarà solo una cena di rimpatriata in cui incontrerò mia nipote. Nulla di più e nulla di meno.” mentiva, spudoratamente. Ma perché agitare un leone quando dorme?
“Bene. Starò in guardia e vedremo se sarà così. Io ho detto tutto ciò che mi premeva farti sapere, se tu non hai niente da aggiungere concluderei la chiamata.”
Un'altra di quelle risate gorglianti si fece sentire “D'accordo. Allora ci vediamo sabato. Arriverò a casa vostra verso le venti.”
“Arrivederci Victor.” fu la risposta poco entusiasta di Freia.
Stava per interrompere la discussione posizionando il telefono al suo posto quando Victor la fermò.
“Freia, si ricordi che non è l'unica a questo mondo a voler bene a Lyric.” la donna notò il cambiamento. Le stava dando del lei. Era molto serio.
“Si sorprenderebbe nello scoprire chi e quante persone tengono a lei. Anche se non può comprendere ci sono persone che non hanno altra scelta che comportarsi in una certa maniera. I sentimenti sono molto più difficili di quanto uno possa credere, così come le varie situazioni che vengono a scontrarsi con tali sentimenti.” Freia lo percepì come un rimprovero alla sua poca sensibilità, come se le stesse dicendo che non ci aveva capito niente di loro.
“Anche io voglio bene a Lyric. È tutto ciò che mi rimane di mia sorella Eleonor. È una persona che ho promesso di proteggere, per quanto le difficoltà siano ardue, anche se vorrei solo preservare gli ultimi frammenti che mi rimangono...” si bloccò perché stava dicendo troppo. Victor questa volta rise della sua debolezza. Freia ne fu turbata.
“Cosa...?”
“Arrivederci Freia.” il suono della linea libera le diede una bruttissima sensazione.
Dall'altra parte del mondo, in un imponente ufficio al piano più alto di un grattacielo di New York, Victor Alysei fece girare la comoda poltrona di pelle nera verso l'ospite che aveva assistito a tutta la chiamata. Un vero caso del destino che sua madre Cassandra fosse stata nella stanza quando Freia Hörderlin l'aveva chiamato.
Anche se non ci fosse stata, l'avrebbe informata comunque in un secondo momento.
Il blu ghiacciato che la donna davanti a sé aveva al posto degli occhi lo guardava penetrandogli dentro.
“Preservare gli ultimi frammenti che mi rimangono?” la donna ripeté ciò suo figlio aveva detto con una evidente nota di biasimo. Victor sistemò la schiena contro la spalliera della poltrona esibendo un ghigno di scusa “Scusa, mamma. Mi dispiace di aver descritto ciò che senti senza il tuo permesso. Un errore, perdonami.”
Cassandra non mostrò di essere così contrariata “Cerca di trattenerti, Victor.” ogni volta che sua madre pronunciava il suo nome era come se sembrasse sul punto di dargli una specie di ordine. Ci era abituato. Il calore materno vero e proprio l'aveva sempre avuto solo per Eleonor.
Ma comunque gli voleva bene.
Lui la conosceva molto meglio del resto dei suoi fratelli. Sapeva ciò che sentiva meglio di quanto Amelia e Vincent riuscissero a fare.
Sapeva il perché di certi comportamenti e la ragione di tanta freddezza.
Sapeva riconoscere un cuore costretto in un dilemma. Lo sapeva perché anche lui si trovava nella stessa situazione. Solo che ognuno di loro aveva preso vie diverse.
Le perdonava certe cose perché comprendeva la sua scelta.
Ognuno doveva pur reagire a suo modo.

***



_ Questa sera, nella piazza principale, ci sarà l’annuale spettacolo di fuochi d’artificio. Mi pare di avertene parlato una volta. Vuoi venirci? Daiiiiiiiiiii….per favore! Ti supplico! Ti scongiuro! Non puoi lasciarmi in balia di Georg e Tom, ho dovuto sopportarli entrambi per una settimana intera nella stessa casa. Ho bisogno di disintossicarmi.
Fallo in nome della nostra amicizia.
Ps: sono tornato prima del previsto e poiché mi sono ricordato all’ultimo momento di questo evento ho pensato che fosse una buona idea andarci insieme.

_ D’accordo. Per me non ci sono problemi, anche se arriverò sul tardi. Vado fuori a cena con mia Zia Freia e non so quando potrà finire. Se ti va bene aspettarmi, dimmi pure dove vuoi che ci incontriamo.
Sono felice che siate tornati.

_ Ok! Yeaaaa…allora ci troviamo davanti alla fontana della piazza adiacente a quella principale. I fuochi inizieranno intorno alla mezzanotte, avrai tutto il tempo per arrivare. Quando ci sei mandami uno squillo.
Ps: ti ho preso una cosa ad Amburgo.
Salutami tua zia e buona cena! Un bacio.


Rilesse ancora una volta i messaggi che si erano appena scambiati lei e Bill, sorridendo dell'entusiasmo che l'amico dimostrava per ogni cosa.
L'idea di poterlo incontrare subito dopo la cena con zio Victor la tranquillizzò un poco, facendo scendere la sua ansia a livelli più umani. In quella settimana si era consumata ogni giorno al pensiero che la cena del sabato fosse così vicina. A forza di vederla così tesa sua zia Freia aveva anche insistito per farla rimanere a casa ma Lyric aveva rifiutato dicendo che se non fosse andata a scuola avrebbe perso una grande fonte di distrazione.
Prese un grosso respiro lasciandosi cadere sul materasso morbido del suo letto e chiuse gli occhi per un tempo lunghissimo, sentendo i battiti di un cuore troppo agitato fare da sottofondo al freddo tatto dell'agitazione che passeggiava sulla sua pelle. Mugolò un “Urgh” sentendo un crampo strizzarle lo stomaco, riaprì gli occhi e si rimise a sedere.
Osservò il quadro che sua madre le aveva regalato, sbattendo le ciglia mentre le sue sinapsi si ricollegavano tra loro. Dopo un tempo più lungo del precedente decise che sarebbe scesa al piano di sotto per attendere l'arrivo di suo zio.
Prima però si diede un'occhiata al grande specchio a figura intera appeso ad una delle pareti della camera. Chissà quale sarebbe stato il commento di sua madre se l'avesse vista indossare quell'abito da sera, dopo tutto era stato uno degli ultimi regali che le aveva fatto prima di morire.
Sfortunatamente il cancro l'aveva colpita prima che ci fosse stata un'occasione per indossarlo e anche se c'erano state, Lyric era rimasta accanto alla madre in ogni momento della malattia.
Un sorriso triste si riflesse sulla superficie limpida dello specchio.
Era un bel vestito, sua madre aveva sempre avuto dell'ottimo gusto riguardo l'abbigliamento. Lyric ricordava come tutte le donne dell'alta società di Boston facessero a gara per superare il primato d'eleganza che sua madre Eleonor deteneva senza particolari sforzi. Ad ogni evento pubblico o privato che fosse Lyric ricordava gli sguardi di invidia e al con tempo di ammirazione che venivano rivolti a sua madre ogni qualvolta faceva la sua comparsa. Ricordava soprattutto le occhiate di divertimento che lei ed Eleonor si scambiavano, quei messaggi silenziosi tra madre e figlia in cui Lyric vedeva una persona che di quello che pensava l'altra gente non gliene importava proprio niente.
Sua madre era sempre stata ai suoi occhi una creatura speciale e credeva che tutti la pensassero allo stesso modo. Si poteva dire che l'espressione “nata con la camicia” fosse stata creata per lei e così ne era convinta Lyric.
Di certo Eleonor Alysei-Horderlin non era stata la donna perfetta e di sicuro non si era avvicinata alla perfezione ma per quello che riguardava Lyric nel suo ideale di futuro c'era il desiderio di essere un come lei. Sicuramente nel coraggio e nella gentilezza, nella determinazione per i suoi ideali e per i suoi sogni e soprattutto nel calore che riusciva a sprigionare.
Ripensava a tutte queste cose mentre passava una mano lungo le pieghe dell'ampia gonna di organza bianco ghiaccio, estremamente morbido e fluente al suo passaggio.
Il taglio del vestito era all'imperiale: il bustino di velluto nero trapuntato da piccolissime perle candide con la sua semplice scollatura quadrata le avvolgeva il giovane petto non ancora del tutto sviluppato, lasciando completamente scoperte le spalle. Qualche centimetro più in basso, a dividere in due sezioni distinte le due parti del vestito e i due tessuti principali, c'era un nastro di seta che si allacciava dietro la schiena in un fiocco. Ciò che le piaceva maggiormente, però, era la gonna formata da due strati di leggera organza che le arrivavano a due centimetri dal ginocchio.
Indubbiamente era uno dei suoi abiti preferiti.
Con un altro grande respiro uscì finalmente dalla sua stanza, tenendo tra le mani lo scialle di cashmere avorio che avrebbe usato per coprirsi. Tacchettò maldestramente sulle scarpe nere più per l'agitazione che per una sua inesperienza con i tacchi e raggiunse il salotto.
Qui restò a sedere sul divano, stringendo uno dei braccioli con estrema forza, tanto da creare la sagoma delle sue dita strangolatrici sul tessuto rosso fuoco del mobile. Immersa nel silenzio e fissa in modo troppo guardingo verso le lancette dell'orologio.
Come avrebbe dovuto reagire nel rivedere zio Victor?
L'avrebbe abbracciato oppure sarebbe rimasta distante in un gelo da glaciazione?
Tutte le domande che si fece non ebbero più molto peso una volta che se lo ritrovò davanti, non contarono più nulla perché alla fine Lyric reagì d'istinto.
Quando alle venti spaccate (zio Victor era sempre stato l'uomo più puntuale dell'universo) il campanello di casa suonò Lyric saltò sull'attenti come se avesse avuto una molla sotto al sedere e si posizionò in piedi con il cuore che martellava a tutta velocità.
Sentì il passo regolare dei mocassini di vernice del maggiordomo Karl andare ad aprire, come suo compito, dietro di lui gli altisonanti tacchi a spillo di sua zia Freia. Ascoltò lo scambio educato tra suo zio e sua zia (riconoscendo la voce dell'uomo Lyric aveva stritolato lo scialle con estrema violenza) e poi come se si fosse risvegliata improvvisamente da uno stato di inattesa catalessi lo vide sorprendentemente dinanzi ai suoi occhi.
Immotivate lacrime punzecchiarono la base dei suoi occhi. Si sentì molto sciocca.
Il particolare e smaliziato sorriso di Victor Alysei accolse il primo sguardo di sua nipote dopo lungo tempo, un tempo talmente lungo che sentivano entrambi essere passati anni.
Il tempo di una vita passata.
“Bonsoir ma petite dame.” suo zio Victor la salutò nel solito modo di sempre, come se non fosse passato giorno senza che le avesse parlato in quel modo, inchinando elegantemente il capo come un vero gentiluomo d'altri tempi. Lyric si cullò nel piacere di riscoprire quel loro personale rituale e sorrise smagliante, ogni ansia scomparsa.
Prese i lati della gonna e fece un inchino, abbassando la testa e rialzandola in un movimento leggiadro.
“Bonsoir oncle Victor.” disse lei con un voluto accento francese un po' troppo marcato. Zio Victor rise gioiosamente e si avvicinò alla nipote, la tirò su con entrambe le braccia e l'abbracciò con tutte le sue forze.
Lyric rise con la medesima allegria, quasi come una bambina.
Freia, che si era tenuta in disparte, osservando la scintillante felicità della nipote pensò che infondo non era stata una brutta scelta accettare l'invito. Lì lasciò da soli il tempo di far preparare la macchina.
Intanto, in quella stretta famigliare, Lyric riconosceva sempre più lo zio adorato di sempre. L'uomo che quando da bambina piangeva la cullava. L'uomo che le aveva insegnato ad andare a cavallo e le aveva spiegato il concetto di noblesse oblige. L'uomo che era stato non solo uno zio ma anche un padre.
In quel momento lo aveva ritrovato.
“Allora...” disse suo zio lasciandola andare e guardandola dritta negli occhi “Prima di tutto buon compleanno.”

***



La cena stava andando meravigliosamente bene.
Quasi era incredula davanti a tanta inaspettata perfezione. Per questo stava aspettando da un momento all'altro il trabocchetto del diavolo. Se Lyric era ormai persa nella felicità del ritrovo, Freia rimaneva cautamente sull'attenti.
Lo zio di Lyric aveva prenotato uno dei ristoranti più lussuosi che si trovano nel dintorni di Magdeburg, in cui una persona con una unica cena poteva vedersi sfumare metà dal proprio stipendio, e con prenotazione non si intendeva un tavolo.
Aveva affittato per una sera l'intero locale. Ciò irritò particolarmente zia Freia che trovava tali dimostrazioni d'ostentazione veramente inadeguate. Però non disse niente perché quella era la sua serata e lei non doveva pensare a queste piccolezze.
Uno zio poteva permettersi di fare un regalo simile per il quindicesimo compleanno della nipote preferita, comprensibile volerle dare il meglio quando se lo si poteva permettere ad occhi chiusi. Per l'intera serata Freia cercò di mantenere un umore amorevole, soprattutto in nome di Lyric più che di qualunque regola di etichetta nei confronti dell'ospite.
Come detto stava andando tutto tremendamente bene.
Piatti buonissimi, servizio impeccabile e un'orchestra di quattro archi che aveva accompagnato la cena con la musica e che aveva suonato qualunque pezzo balenasse nella mente di quei due. Aveva notato che Lyric e Victor avevano richiesto i loro pezzi preferiti di musica classica, il che significava che in passato quei due avevano trascorso molto tempo insieme. In un momento della serata aveva anche provato un po' di gelosia, pensando che quell'uomo faceva parte della vita di Lyric da molto più tempo di lei. Però scacciò quel pensiero molto in fretta, perché si disse che aveva tutto il resto della sua vita per farne parte.
Il tempo era dalla sua parte.
Dopo che la gigantesca torta di compleanno venne mangiata la cena era arrivata ormai agli sgoccioli e Freia se ne sentì enormemente sollevata. Non provava una reale antipatia per Victor, era sempre stato il suo Alysei preferito (dopo Eleonor) quando Sebastian era ancora vivo, ma al momento non riusciva proprio a fidarsi.
“Perdonami se ho monopolizzato la serata.” disse Victor senza sembrare seriamente dispiaciuto, le verso un po' di merlot rosso nel calice di cristallo. Freia assottiglio gli occhi, portandosi alla bocca il vino, certa che almeno non avrebbe avuto il coraggio di avvelenarla con tanti testimoni al seguito.
Sbuffò interiormente riflettendo sul fatto che se mai avesse avuto il desiderio di ucciderla avrebbe potuto benissimo pagare qualcuno al suo posto. Non era il tipo da sporcarsi le mani di persona.
Con la coda dell'occhio guardò la sedia vuota di Lyric, era andata in bagno.
“Non preoccuparti. Sapevamo entrambi che questo era il tuo grande spettacolo. Sono venuta solo come spettatrice.” Victor si mise a ridere allegramente per poi posizionarsi a guardarla con un sorriso ammagliante. Freia si ricordò in quel momento perché Victor fosse uno degli scapoli d'oro più ambiti dell'alta società.
“Lyric deve aver preso da voi Hörderlin il suo sarcasmo.” Freia non parve assecondarlo visto che alzò teatralmente un sopracciglio. Victor ghignò ancora più divertito “Comunque sono contento che Lyric stia così bene.”
“E vorrei che lo restasse."
“Ancora convinta che sia in missione per conto del male incarnato?”
“Tue testuali parole.” ribatté seccamente.
“Però avevi detto la verità.” Freia lo guardò con una muta domanda.
“Riguardo al fatto che fosse felice. È veramente stupenda.” Nel dire questo nei suoi occhi azzurri Victor fece risplendere la luce calorosa dell’affetto. Era felice che fosse felice.
Freia si ritrovò a sorridergli in modo sincero per la prima volta.
“Non è tutto merito mio, anzi, credo proprio che il mio aiuto nella sua ripresa sia stato minimo.”
“Davvero?”
“Sul serio. Ad aiutarla veramente sono stati i suoi nuovi amici…” si fermò perché indecisa se parlargli di qualcosa che di fatto erano affari di Lyric. Bevve un pochino di vino dal suo bicchiere, dicendosi che non doveva essere un problema riferire di una cosa così piccola “In particolare è stato il suo attuale migliore amico a cambiare la situazione. Non so di preciso cosa si siano detti, sai Lyric è riservata e questo deve averlo preso da voi Alysei…”
Victor colse l’irriverente battuta e ne rise “Già, rispettiamo il concetto di – i panni sporchi si lavano in casa-… che vuoi farci siamo una vecchia famiglia di origine puritana.” Alla donna sfuggì uno sbuffo di divertimento. Doveva ammettere che quell’uomo non aveva perso il suo naturale sarcasmo riguardo la sua famiglia.
“Comunque è soprattutto per la compagnia di questo ragazzo che lei ora è così. Sono molto in debito con lui.”
“Uhm…allora significa che lo sono anche io.” Una espressione molto criptica lo animò, chissà a cosa stesse pensando in quel momento “Come si chiama?”
“Bill Kaulitz. È un ragazzo molto intraprendente, al momento lavora attivamente per coronare il suo sogno di sfondare nel mondo della musica con la sua rock band. È appena stato ad Amburgo a registrare le sue canzoni.”
Era stata una fortuna che Lyric avesse conosciuto un ragazzo simile, uno che dimostrava un tale amore per tutto ciò che era la vita non poteva che essere la cura ideale per lei. Freia ne era convinta.
Victor strabuzzò gli occhi, sembrava che si stesse divertendo un mondo “Rock band? Oh santo cielo! Se mia madre venisse a conoscenza che sua nipote frequenta un tale persona le si accapponerebbe la pelle...”
“Beh non sono fatti della signora Alysei, questi.”
“Ti sbagli, per lei lo sono, infondo stiamo parlando della vita di Lyric.”
“Non so mai cosa pensare di quello che ti esce dalla bocca. Ho sempre la sensazione di non capire veramente ciò che mi stai dicendo.”
Victor prese il suo calice e lo alzò per farle capire che voleva fare un brindisi “Mettiamola così: metà di quello che dico è la più pura verità, l’altra metà sono solo calcolate menzogne. Sta agli altri capire la differenza.” Freia fece tintinnare i vetri, così che il liquido rosso Borgogna oscillasse all’interno dei calici “Questo non mi tranquillizza per niente.”
“Non sarà tanto orribile.” Se ne uscì lui con non chalance.
“Però sarà orribile?” A Freia non piacque il verso che aveva preso la conversazione.
“Non ti dispiace vero se l'accompagno io all'appuntamento con i suoi amici?” non le piacque quella improvvisa serietà nella sua voce. Era la stessa che lei usava quando, dopo un po’ di atmosfera scherzosa, si arrivava al punto culminante di una importante trattativa.
Il momento che decideva il destino dei suoi sforzi e di coloro che lavoravano per lei.
“Non hai l'auto.” fu la prima risposta che le venne in mente.
“Lo fatta portare un'ora fa. È parcheggiata qui fuori.”
“Non sai arrivarci.” si attaccò ancora alla prima cosa che le balenava nella testa.
“Ho il gps. Non preoccuparti e poi sei stata tu a dire che nel momento cruciale ci avresti lasciato della privacy, non vorrai rimangiarti la parola?” scacco matto.
Freia si arrese “D'accordo ma...”
“Non preoccuparti. Io le voglio molto bene.” Lyric era tornata.
Si sedette al suo posto con un sorriso molto entusiasta, ricambiato da uno sinistramente innocente di suo zio.
Freia fu catturata dall'insano desiderio di prendere di peso Lyric e scappare.

***



“Tomiiiii!!” il lamento squillante di Bill venne udito in quel momento da tutte le persone intorno a loro, alcune lo guardarono stupiti, altre (come Georg) ne risero.
“Ma ti sei rincretinito?” Tom gli diede un’occhiataccia, sapeva benissimo che quando lo chiamava in quel modo significa che si stava lamentando con lui e poiché lo conosceva molto bene sapeva anche per quale motivo si stesse lagnando “Avresti dovuto spiegarti meglio quando mi hai chiesto di prendertene uno o meglio ancora avresti potuto muovere le tue chiappe!”
Bill lo guardò nel suo solito modo. Quel misto di sconvolto e allibito che gli faceva spalancare gli occhi e arrossare le guance, così da rassomigliare verosimilmente ad un bambino piccolo in punto di scoppiare in un pianto spacca-timpani.
“Tu!” il gemello più piccolo punzecchiò il proprio indice contro la spalla del rasta, quasi come se Tom avesse pronunciato un ingiuria blasfema “Sei. Un. Idiota!”
“Te lo avevo detto che dovevi farti spiegare bene cosa voleva…” Georg parlò con la solita allegria che gli veniva vedendo i gemelli battibeccare come due vecchie pensionate tormentate dagli acciacchi dell’età. Naturalmente come al solito nessuno dei due gli diede ascolto.
Gustav imperterrito, ormai conscio di aver sviluppato una pazienza da Budda, masticava le sue patatine fritte come se a pochi centimetri da lui non stesse succedendo niente.
“Mi spieghi cosa cavolo non va in quello?” Tom indico lo spiedino di frutta ricoperto di cioccolato croccante che suo fratello gli aveva chiesto di acquistare per suo conto e che al momento era il motivo per cui il suddetto fratello ce l’aveva con lui.
“Mi sembra ovvio: queste non sono fragole!”
Tom sbatté le ciglia. Aveva capito bene?
“Ma tu avevi detto che volevi la frutta ricoperta di cioccolato, non che volevi le fragole in particolare.”
“Mi sembrava ovvio che io per frutta intendevo le fragole. A me la banana e l’uva fanno schifo!”
“…”
In quel preciso istante Tom fu tentato dal grande desiderio di fargli ingoiare lo spiedino. Il rasta chiuse gli occhi e con una grossa falcata diede la schiena a suo fratello, intenzionato a non dargli più neanche un briciolo della sua attenzione.
“Tomiiiii!!” un altro ululato lamentoso uscì dalla bocca di Bill.
Era insopportabile.
“Tomi un corno!” non aveva appena deciso di non cagarlo più? Il sangue caldo aveva avuto la meglio sul suo buon senso. Come sempre.
“Se ci tieni tanto a mangiare delle dannate fragole, vai a prendertele da solo!”
Bill assunse un muso supplichevole “Ma io devo stare qui ad aspettare Lyric…”
No, ora Tom non si sarebbe accontentato di fargli mangiare in un solo secondo lo spiedino, ora avrebbe voluto anche tirargli un pugno nello stomaco per avuto il coraggio di dire una cosa del genere con quell’espressione fastidiosa sul volto.
Tom si bloccò, come se fosse indeciso se saltargli addosso oppure no.
A fermare un’eventuale fratricidio ci penso Georg “Su Tom! Ci andiamo insieme a prendere le fragole per Bill. E intanto ci prendiamo anche due birrette, ok?” nel dire questo gli portò una mano sulla spalla, sorridendo sornione.
Tom annuì senza aprire bocca.
“Oh, grazie Georg!” Bill batté le mani cambiando nuovamente umore, mutevole peggio di una donna in menopausa, pensarono sia Georg e Tom “Prendine una anche per Lyric…”
“Agli ordini capitano!” Georg fece simpaticamente il gesto tipico dei soldati “Vuoi che ti prenda qualcosa anche a te?”
Gustav, completamente fuori da quello che era appena accaduto, scosse la testa “Nulla. Al massimo mi prendo qualcosa dopo.”
“Ok, Gus! Bene, bene…forza Tom, allo stand dei dolciumi ho appena visto passare il magnifico didietro di una ragazza…”
Tom si mise le mani in tasca “ Mi sembrava troppo strano che tu fossi diventato improvvisamente così gentile. Comunque lascia perdere! Non te la darà mai…”
“Ah no? Perché mai?” lo guardò con un’espressione allegra. Tom fece uno di quei sorrisi maliziosi, che al pari di quelli di suo fratello piacevano alla popolazione femminile (solo che lui poi la sfruttava questo debole nei suoi confronti) .
“Beh perché appena una ragazza vede me non mi può togliere gli occhi di dosso, naturalmente.”
“Ah sì? Ma quanto sei spaccone mio caro segaiolo seriale.”
Fortunatamente si erano allontanati abbastanza da permettere a Gustav e Bill di non sentire la risposta di Tom, però doveva essere stata una risposta con le rime visto che poi Georg aveva cominciato a rincorrere il rasta, già in fuga dentro la fiumana di gente accorsa all’annuale festival.
Bill sperò caldamente che al ritorno non si mettessero a fare lo stesso giochetto, le sue fragole avrebbero potuto cadere e in quel caso poi sarebbe stato costretto ad ucciderli.
“Cosa tieni nel sacchetto?” Gustav gli rivolse la domanda mentre masticava le sue patatine, per questo Bill per qualche secondo fu perplesso. Quando infine capì si mise a gongolare come uno scemo, dondolandosi sulle gambe “È un regalo per Lyric.”
Gustav fermò a mezz’aria una patatina per via di così tanto entusiasmo poi ebbe un lampo d’intuizione.
“Ecco, cosa hai preso quella volta, quando siamo andati in centro ad Amburgo. Infatti mi chiedevo perché fossi entrato in un negozio del genere.”
Si era ricordato di come lo avesse bloccato in mezzo al marciapiede e gli avesse chiesto di entrare in quel negozio. Si ricordò soprattutto la sensazione di pentimento per aver accettato di accompagnarlo a fare un po’ di compere mentre gli altri due dormivano beatamente nell’appartamento messo a loro disposizione.
Quel giorno aveva giurato a se stesso di pensarci due volte prima di dire di sì a Bill per una proposta di shopping.
Bill sorrise ancora più apertamente, stringendo la mano intorno alla plastica gialla della sportina. Era stato fortunato a trovare quel negozio visto che aveva pensato di essere perduto. Aveva creduto che non avrebbe trovato nulla di adatto da regalarle per il compleanno ma ringraziando il cielo qualcuno aveva deciso di dargli una botta di culo.
Si sarebbe dannato per sempre non le avesse portato qualcosa.
Era il primo compleanno di Lyric che passavano insieme e per nulla al mondo si sarebbe permesso di non farle almeno il regalo. Non capiva perché lei non ne avesse parlato durante quella settimana, attraverso i vari messaggi che si spedivano per via cellulare ma in ogni caso lui lo sapeva da tempo.
Aveva buona memoria riguardo a queste cose.
“Come mai hai scelto quello?” domandò Gustav.
“Beh, a lei piacciono quel tipo di attività…” mentre diceva queste cose lanciava alcune occhiate verso la fontana al centro della piazza, aspettando che lei comparisse da un momento all’altro.
“Davvero?”
“Sì, non sai che fissa assoluta che ha per tutto ciò che riguarda quelle cose. Si è iscritta ad un corso, due mesi fa…” prima di poter finire la frase ogni suo neurone ebbe una violenta depennata e si scollegò. Gustav lo vide imbambolarsi come un bambolotto di cera e per qualche secondo si chiese se non stesse male, seguendo poi la direzione dei suoi occhi vide cosa stesse fissando.
Lyric era arrivata, però non era sola. Se ne stava seduta tranquillamente sul bordo della fontana conversando con allegria con un uomo all’incirca sui trenta anni.
Erano entrambi vestiti elegantemente, soprattutto il signore, sembrava uno di quei modelli platinati appena usciti da una pubblicità.
“Tu sai chi è quell’uomo?” solo quando formulò quella domanda si accorse che Bill era già partito in quarta verso l’amica.
“Zio Victor mi vuole bene, sì, mi vuole bene.” Da quando era scesa dalla macchina si ripeteva ad intervalli regolari questa cantilena. Come se fosse il sutra di una preghiera tibetana in grado di scacciare i demoni da una persona posseduta. Come se potesse essere la promessa del fatto che qualunque cosa lui stesse per dire o fare non le avrebbe fatto male.
Non dopo averla abbandonata quasi un anno prima. Non dopo averla lasciata sola.
“Lui mi vuole bene, certo, mi vuole bene.” Ora che se ne stava seduta alla fontana, in attesa che Bill comparisse da un momento all’altro, e parlava così allegramente con suo zio lo sentì quasi subito.
Il suono di una lama silenziosa che le accarezzava la pelle, la sensazione di una ferita che stava per aprirsi. Sentiva che l’ansia dell’intera settimana, in quel preciso istante, dopo una serata magnifica, stesse tornando.
Capricciosa e litigiosa, la risata della sua vecchia bestia nera si fece sentire.
Lyric strinse i denti, cacciandola infondo a se stessa.
L’aveva sempre saputo che per quel verso non le sarebbe piaciuto rivedere suo zio. Lo sapeva perfettamente.
“Zio Victor ti vuole bene…” questa volta a parlare dal fondo del suo subconscio non fu la sua voce mentale, no, quella era la voce di sua madre.
Sospirò, lei dopo tutto si fidava di lui.
“Lyric.” Il modo in cui lo disse le fece capire che il momento era arrivato. Alzò lo sguardo dai suoi piedi, accorgendosi solo in quel momento di averli abbassati da parecchi minuti. Un sorriso triste e tirato nascose i suoi reali sentimenti.
“Allora, cosa dovevi dirmi da parte della nonna?” diretta, naturalmente in questo era uguale ad Eleonor, pensò Victor sedendosi affianco a lei sulla pietra rosata della fontana.
Guardò distrattamente la folla di persone che a qualche decina di metri da loro rumoreggiava chiassosamente intorno a bancarelle di cianfrusaglie e stand di cibarie. Era un’atmosfera allegra, tipicamente da festival di una cittadina di provincia. Decisamente quella vita sotto molti aspetti era diversa da quella che Lyric aveva vissuto a Boston.
Peccato che lei rimanesse una Alysei.
Zio Victor si voltò verso di lei, spostandole una ciocca di capelli dal volto. Nel chiasso di tutte quelle persone, lui si avvicinò al suo orecchio per dirle tutto in una volta sola, per non dover ripetere ogni cosa.
Certamente era l’ultima cosa che Lyric aspettava di sentirsi dire.
Naturalmente, presa come era dal significato di quelle parole, non riuscì a controllare l’andamento del suo respiro. Il panico l’aveva immediatamente catturata.
Quando poi suo zio concluse il discorso le mise tra le mani un sacchetto di broccato rosso sangue chiuso da un filo d’orato, Lyric ansimava. La ragazza fissò completamente in trance il piccolo pacchetto, con la sensazione di essere stata presa in giro.
Lo lasciò cadere a terra e poi si alzò di scatto guardando suo zio con confusione. Doveva apparire come qualcuno a cui avessero appena detto che sarebbe morto presto.
“Tutto bene?” l’uomo si mantenne estremamente calmo.
Si aspettava che lei reagisse in quel modo.
“Tutto bene? Ma che razza di domanda è?!” Lyric digrignò i denti cominciando a scuotere la testa, in un impeto di completa isteria gli lanciò addosso lo scialle che gli ricopriva le spalle “Detesto il tuo modo di scherzare…lo detesto veramente tanto. Non posso credere che la nonna dica sul serio!” pestò il tacco nero delle sue scarpe sulla pietra del suolo, desiderando di farci un buco dentro.
Zio Victor sospirò, ancora assolutamente calmo, in quelle situazioni aveva il sangue freddo di sua madre. Era il figlio che le assomigliava di più dopo tutto.
“Sai perfettamente che la nonna non scherza mai.” Si alzò da dove era seduto e la fronteggiò in tutta la sua altezza. Le appoggiò nuovamente lo scialle sulle spalle “Lyric, non precluderti fin da subito le possibilità che potresti trovarti davanti. Hai tempo prima di darmi una risposta.”
“No. Questa è la risposta.” Lyric lo disse con rabbia, sapendo che lui avrebbe riprodotto esattamente il suo tono a quella donna “Non parlare di possibilità quando è stata lei a distruggerle tutte. Cos’è? Senso di colpa?!”
“Può darsi e anche se lo fosse non è ciò che conta.”
“Ah no? Allora cosa conta?” Lyric gli strinse senza rendersene conto la giacca.
“Capire, suppongo.” Victor lanciò un’occhiata dietro alle spalle di Lyric.
Lei non se ne accorse perché pensava solo che lo avrebbe preso a pugni.
Lo avrebbe preso a pugni se avesse significato far chiudere quella dannata bocca della verità.
“Chiamami quando avrai deciso.”
Si abbassò per lasciarle un bacio dolce sulla guancia, Lyric però in quel momento non aveva più tanto voglia di essere gentile con lui “Aurevoir ma petite dame.”
Non lo guardò neanche mentre si allontanava da lei in pochi passi.
Il sacchetto rosso sangue era così sinistro sotto alla luce dei lampioni, lei si abbassò per riprenderlo in mano ma si bloccò. Si sentì mancare l’aria.
“Tua nonna vuole che torni in America questa estate. Vorrebbe parlare con te.”
Sentì mancarle l’equilibrio, la forza dei muscoli cedere e un vuoto aprirsi.
“Bill…” chiamò il suo nome mentre il respiro rantolava.
“Sono qui.” Una mano calda strinse la sua “Al tuo fianco.”
Con molta lentezza si voltò per vedere il viso a cui apparteneva quella voce. Gli sfiorò con le punta delle dita il profilo della guancia per essere certa che fosse vero.
Sì, era Bill.
Il sollievo che sentì pioverle dentro fu una sensazione molto forte. Sentì il sangue tornarle al volto.
Sarebbe stato troppo melodrammatico saltargli addosso e farsi abbracciare?
Troppo da deboli?
Per qualche inspiegabile ragione ci pensò Bill a mettere a tacere i suoi dubbi. L’avvolse tra le sue braccia.
Lyric inspirò con un grande fiotto il suo odore e per un poco si lasciò cullare.
“Hai visto tutto?” domandò Lyric mentre affondava il viso contro il collo dell’amico. Bill annuì, un po’ dispiaciuto per aver spiato tutta la scena.
Non sapeva quello che si erano detti, si era fermato abbastanza lontano da non sentire i loro discorsi però aveva compreso che quell’uomo doveva averla sconvolta. Doveva essere così visto l’evidente stato di confusione in cui riversava Lyric. Sembrava essere tornata come al loro primissimo incontro.
Quando se ne era andato Bill lo aveva squadrato con molta rabbia prima di correre verso di lei.
“Quello era mio zio Victor.”
Bill provò ancora più fastidio. Lo zio preferito di Lyric si era permesso di farla sentire così male, come aveva potuto?
“Vuoi raccontarmelo?” Lyric scosse la testa.
No. Non in quel momento, sarebbe stato troppo pesante.
Lyric si staccò leggermente per poterlo guardare in volto. Lo avrebbe preoccupato più di quello che era in quel momento se fosse scoppiata a piangere. Il groppo che aveva in gola sarebbe esploso se ne avesse parlato subito.
Molto meglio lasciarsi coccolare da quel calore così piacevole e rassicurante.
“Va bene.” Ciò che contava era non farla intristire ancora di più, tutto il resto poteva andare a farsi fottere. Bill sciolse il loro abbraccio e, pensando al modo migliore per riportarle il sorriso, le mise in mano il sacchetto di plastica gialla che si era portato dietro.
“Beh, volevo che fossi un po’ più allegra però questo non posso certo tenerlo io per sempre.” Lyric tirò fuori dalla busta un pacco rigido avvolto in carta da regalo blu.
Ne fu sorpresa.
“Come facevi a ricordarti?”
“Io ricordo tutto quello che ti riguarda.” Rise con allegria “Beh, buon compleanno!”
Mentre glielo augurava dietro la sua testa scoppiarono in cielo i primi fuochi d’artificio della serata. Milioni di scintille dorate illuminarono l’oscurità della notte. Un coro di “ooooohh” si levò a poca distanza da loro. La gente si era messa ad acclamare.
Lyric strappò la carta in pochi secondi mentre il buio andava via ad intermittenza per via dei fuochi.
Quando riuscì a capire cosa fosse, fu ancora più sorpresa.
“Non ti piace?” domandò Bill, non capendo l’espressione sul volto dell’amica.
Le prese un boccolo tra le dita, incapace di starle fisicamente troppo lontano.
Non quando sembrava così triste.
Un po’ di luce che ricominciava a splendere.
Lyric sfiorò il coperchio di legno della scatola.
“Grazie.” Un fuoco d’artificio verde brillante puntò la luce contro un suo timido sorriso “Grazie di essere qui.”
Se avesse potuto fermare il tempo lo avrebbe stoppato in quel preciso istante. Mentre il resto del mondo scorreva lontano da loro e lei era al fianco dell’unica persona che riusciva a farla sorridere sempre.
Proprio quando si rendeva conto che per quanto debole, vicino a lui, sentiva che combattere non sarebbe stato poi così difficile.
Quando i fiori di fuoco danzavano in un cielo di minuscole stelle e Bill le dava un bacio sulla fronte.
Se il mondo fosse stato perfetto avrebbe dovuto fermarsi proprio in quell’istante.

 
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Gillian Kami
view post Posted on 6/4/2010, 12:17




Salve! Vi lascio al capitolo 7 e scappo velocemente via perché devo studiare, domani ho una verifica di Scienze dell'alimentazione e non ho aperto il libro xD Un mega bacio e a chi vuole mi lasci dei commenti, ciaoooO!

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Capitolo 7: Feelings

- “Ciò che vorrei per Lyric?”
Eleonor sorrise a sua madre con l'espressione più dolce che potesse esistere.
“Che fosse felice dopo tutto e sopra ogni cosa.” calò le palpebre stanche mantenendo però sul viso quella espressione delicata, mentre dei raggi lucenti la sfioravano, tendendosi dai vetri della finestra.
Era l'ultima cosa che pregava a Dio di realizzare.
Era il suo ultimo desiderio.-


***



Il vento camminava in mezzo agli alti alberi e al suo passaggio le foglie delle fronde ridevano fruscianti, salutando l'invisibile signore. L'erba intanto, vestita di un verde brillante, si vantava della sua bellezza con la luminosa luce del sole mentre le nuvole bianche si rincorrevano in un mare azzurro come se fossero la spuma delle onde.
Era proprio un bel sogno e poi quel luogo esisteva veramente. Apparteneva alle proprietà di sua madre Eleonor, ci avevano passato spesso i week-end quando la madre era ancora viva.
Lyric ammirò quel paesaggio e si lasciò penetrare dalla profonda pace che quel luogo le aveva sempre dato.
Per qualche motivo sentiva che ritrovarsi lì avesse un significato.
Una folata d'aria improvvisa le fece volare i capelli di lato, togliendole momentaneamente la visuale. Con un gesto della mano sistemò i ciuffi scomposti dietro le sue orecchie. Quando ritornò a vederci qualcuno si era posizionato davanti a lei, seduta sul verdeggiante prato.
Il primo istinto disse a Lyric di correre incontro a quella figura e stritolarla in un abbraccio ma una voce dentro di lei le disse che non ce ne sarebbe stato bisogno, non poteva scomparire in fumo bianco, quello era già un sogno.
Rimase ferma e senza proferire parola restò a guardarla.
Non c'era più dolore. Non c'era più tristezza.
C'era solo un tenue tepore.
Lyric le sorrise per dirle che sentiva solo questo. Per dimostrarle che non doveva più preoccuparsi.
Ora andava, davvero, tutto bene.
Sua madre Eleonor arcuò uno dei suoi eleganti sopraccigli domandandole silenziosamente se stesse dicendo sul serio.
Lyric annuì piano, con tutta la sincerità di cui era in grado.
“Ne sono contenta.” la voce di sua madre era sempre la stessa, la sua memoria ne aveva serbato il timbro vellutato e leggermente basso che solo a lei apparteneva.
Lyric vide Eleonor girarsi alla sua sinistra e fissare il riflesso dei raggi solari sull'acqua blu del piccolo lago in lontananza.
“Verrai a trovarmi?” le chiese sua madre ritornando a guardarla. Sul volto c'era il sorriso solare che la caratterizzava.
“Certo.” rispose la figlia ricambiando quella sua incrollabile allegria.
Persino quando era arrivata allo stadio più grave della sua malattia, Eleonor Hörderlin, non aveva mai perso quell'aria perennemente serena. Come se l'ingiustizia del mondo non fosse qualcosa che l'avesse toccata personalmente.
Eleonor si alzò da dove era seduta e le si avvicinò in pochi passi. A qualche centimetro da lei si abbassò per ritrovarsi nuovamente alla stessa altezza “C'è qualcosa che vorresti dire, non è così?” il sole risplendeva in modo folgorante sui boccoli castano scuro di sua madre, il colore nero lo aveva ereditato da suo padre, e le ricordò di quando qualche volta si offriva di pettinarli davanti al grande specchio della toletta, in camera sua.
I sospiri del vento intorno a loro assomigliavano al suono di sollievo che Lyric sentiva di portarsi dentro. Lei guardò la madre, permettendo che i loro sguardi si legassero strettamente in un abbraccio che non aveva bisogno di un contatto fisico.
Il blu incantato si specchiò nel medesimo colore, in quegli occhi che aveva preso da lei.
“Sì, c'è qualcosa che vorrei dire ma non a te.” disse infine Lyric dando vita ai ragionamenti che in quel ultimo mese l'avevano un po' ossessionata. Eleonor imbronciò le labbra ma quasi subito ritornò a sorridere. Le accarezzò una guancia.
“Va bene! Allora fai ciò che senti, dì ciò che ti preme e poi vai avanti.” Eleonor alzò gli occhi verso il cielo seguendo con lo sguardo il volo di alcuni uccelli selvatici e Lyric pensò con nostalgia ai giorni che passavano insieme immersi in quella tenuta, i giorni in cui credeva che sua madre fosse l'essere più indistruttibile del mondo.
La madre del sogno poi l'abbracciò e Lyric ricambiò chiudendo gli occhi, inspirò la memoria che aveva del profumo di Eleonor. Era la sensazione di un calore che non la faceva più soffrire, era come se stesse rincuorando il passato del fatto che non ce l'avesse più con lui.
“Lyric...”
“Sì?” la voce della madre, la sua voce era qualcosa che non avrebbe riavuto indietro. Però era sua come ogni singolo attimo di vita che avevano passato insieme.
Andava bene anche questo premio di consolazione.
Ora comprendeva che si poteva accontentare di così poco...di così tanto.
“Ti voglio bene.” Lyric la strinse ancora più forte, sentendo il guizzò repentino del panico farsi strada dentro di lei ma l'allontanò. Il tempo della bestia nera era finito.
Ora basta. Al suo posto era nato un nuovo desiderio.
Tra qualche settimana lo avrebbe definitivamente rinchiuso in una gabbia nella sua oscurità e poi avrebbe gettato via la chiave.
Madre e figlia si lasciarono molto lentamente, come per impedirsi di essere troppo scioccate da una tale separazione. Ad un tratto ogni cosa diventò ancora più luminosa di prima, come se avessero aumentato l'intensità della luce del sole.
Il sogno stava giungendo agli sgoccioli.
Eleonor strinse la mani di Lyric dentro le sue “Sii felice.” sussurrò.
Passò un secondo nel silenzio con le immagini che diventavano sfuocate ed incorporee, Lyric restò immobile mentre l'eco di ciò che le aveva detto la madre si espandeva nelle profondità della sua coscienza. Quella frase non faceva parte del sogno, gliela aveva detto veramente nel mondo reale.
Lo ricordava perfettamente: era il giorno prima della sua morte.
Le aveva fatto un lungo discorso quella volta, forse perché sentiva di non avere più tempo e forse perché certe cose devono essere dette prima che scoppi la testa per quanto cerchiamo di trattenerle. In ogni cosa quel “Sii felice” se lo ricordava benissimo.
Era stato il suo ultimo augurio. La sua ultima richiesta.
Dopo un anno, per quanto non fosse stato facile, la risposta che sentiva di voler dare alla madre era cambiata da quella volta.
Lyric aprì gli occhi per constatare di essere nella sua camera a Magdeburg mentre la luce fievole del mattino spuntava all'orizzonte, nel suo eterno inseguimento della amata notte. Sbatté gli occhi spaesata come capita di solito a chi si risveglia così improvvisamente dal mondo dei sogni e per un paio di volte si guardò attorno per essere assolutamente certa di trovarsi nella realtà.
Quando questo quesito trovò conferma, con un movimento molto lento si mise seduta. Coni di luce si facevano strada tra le fessure delle tende della finestra e formavano piccole chiazze circolari sul pavimento della stanza. Lyric fissò i granellini di polvere che svolazzavano dentro quei riflettori naturali, pensando al sogno che si era appena svolto.
“Sii felice.”
La ragazza chiuse gli occhi prendendo un grande respiro poi si voltò verso il comodino alla sua destra per vedere che ore fossero. La sua vecchia sveglia, un pezzo d'antiquariato che le aveva regalato a natale zia Freia, indicava appena le sei e mezza.
In un lampo di pochi secondi si rese conto di quella consapevolezza che a poco a poco aveva cominciato ad ingranare dentro di lei.
Lyric allungò un braccio per prendere il sacchetto di broccato che un mese prima suo zio gli aveva lasciato per conto di sua nonna. Da quando ne aveva scoperto il contenuto lo teneva sempre vicino al suo letto, così da poterlo guardare prima di andare a dormire.
Lo aprì e lo rivoltò delicatamente sulla mano per ritrovarsi a stringere il freddo materiale di cui era fatto l'oggetto. Con la punta dell'indice ripassò i contorni del disegno che era inciso sulla cassa anteriore, eleganti incisioni sull'argento brillante che disegnavano un astro solitario del firmamento e la scritta che descriveva il motto della famiglia Alysei.
Era un orologio da tasca in puro argento unico nel suo genere, lavorato dai migliori esperti nel settore, ne esistevano poche copie al mondo, giusto il numero dei componenti della sua famiglia. Sulla cassa posteriore di solito era inciso il nome del Alysei a cui apparteneva quello specifico orologio e tradizionalmente veniva dato in regalo a tutti coloro che in famiglia compivano la maggiore età, come simbolo di appartenenza e di eccellenza.
Infatti si era stupita quando aveva scoperto di cosa si trattava.
Dopo pochi minuti di osservazione, Lyric, però si era accorta che quello non era l'orologio riservato a lei (anche se aveva ammesso sinceramente a se stessa che non si sarebbe aspettata di riceverlo neanche per il suo diciottesimo compleanno).
Quello era l'orologio che era appartenuto a sua madre.
Lyric pigiò il pulsante che apriva in un clic l'orologio e osservò le lancette in oro che rimanevano ferme sopra i numeri scritti in caratteri romani. Aveva trovato l'orologio bloccato sull'ora di un anno prima, indicando esattamente l'istante e il giorno in cui la sua proprietaria aveva smesso di far battere il suo cuore al ritmo degli ingranaggi minuziosi dell'apparecchio.
L'orologio era fermo sul momento in cui la morte era andata incontro ad Eleonor Hörderlin.
“Sii felice.”
Lyric smise di guardare l'orologio e si voltò verso la finestra della camera.
Il tempo aveva continuato a scorrere anche se quell'orologio aveva smesso di contare. Un anno era passato da quell'addio a cui non aveva avuto desiderio di partecipare.
L'alba che si accendeva sfavillante ricordò a Lyric che quello stesso giorno, un anno prima, sua madre se ne era andata.
Era l'anniversario della sua morte e dopo dodici mesi, la consapevolezza che quel giorno ricordava la sua morte, stringeva la mano alla consapevolezza che il tempo di andare avanti era giunto.
Lyric prese a smanettare con l'orologio, spostando le lancette. Quando queste indicarono lo stesso orario della sua sveglia toccò un altro pulsante e i secondi ritornarono a passare.
“Sii felice.”
Lyric rimase immobile nella solitudine della sua stanza mentre il resto del mondo si svegliava.
Il ticchettio dell'orologio che teneva in mano scandiva di nuovo il tempo.

***



Le luci artificiali delle lampade al neon gli stavano dando più fastidio del normale.
Ovviamente questa poca sopportazione non era dipesa dall'effettiva presenza delle luci, no, naturalmente sarebbe stato da pazzi incazzarsi solo perché quelle stupidissime lampade gli davano fastidio agli occhi.
Il fatto che desse la colpa a loro era solo un modo per coprire la vera ragione del suo umore.
Nel giro di qualche secondo, il piede di Bill, andò a dare un calcio contro la base degli scaffali in metallo. Il suono del colpo inflitto riecheggiò placidamente per qualche secondo, aveva contenuto la forza per evitare di farsi male, per poi smettere in un silenzio privo di testimoni.
Prima di compiere quella azione, all'apparenza di schizzofrenia violenta, si era guardato bene di trovarsi completamente da solo. Aveva persino distanziato Tom per non dover dare spiegazioni di quella fuoriuscita di rabbia.
Lo sfogo però non era abbastanza per accontentare il suo desiderio di spaccare quello che gli stava intorno. Avrebbe fatto meglio a rimanere a casa per potersela prendere con i muri della sua stanza piuttosto che contenersi all'interno del minimarket.
Ora si chiedeva anche perché avesse accettato di accompagnare Tom a fare la spesa per la cena. Lo sapeva perfettamente che in certe condizioni era del tutto sconsigliato che lui uscisse.
Ma che cavolo gli era saltato in mente?
Diede un altro piccolo calcio allo scaffale dei dolciumi, con cui solitamente aveva un rapporto idilliaco, prima di afferrare senza neanche guardare la prima grande busta di robaccia zuccherosa. Con il muso di un gatto furioso si incamminò per raggiungere Tom nel reparto delle verdure.
Arrivatovi Bill si bloccò in mezzo alle casse della frutta e per un inspiegabile motivo si mise a fissare una bambina che correva nella sua direzione.
Avrà avuto cinque anni ed era vestita con un delizioso vestitino di cotone rosso. Sgambettava allegra agitando in una manina un orsetto bruno di peluche e nell'altra un cestino confezionato di fragole. Sorrideva gioiosa con gli occhi chiari che mostravano la medesima infantile felicità e i capelli biondo scuro che svolazzavano leggermente. Ogni boccolo della infante saltellava in alto, soffice e fluttuante.
Mentre veniva superato da quella specie di fatina di dimensioni umane, Bill sentì il desiderio di afferrare il cellulare e chiamarla.
Il suono della plastica che veniva accartocciata dalla sua mano indicò però che la sua volontà aveva trattenuto con forza quel istinto problematico.
Seguì con lo sguardo la bambina finché ella non raggiunse la madre, a cui chiese con entusiasmo se poteva portarsi a casa le fragole. Mentre guardava il leggero colore rosato che comparve sulle gote della piccola una volta ottenuta la risposta desiderata, Bill sentì la mano prudergli, come se avesse voluto agire da sola.
La infilò subito dentro la tasca dei suoi jeans e smise immediatamente di osservare quella piccola personcina ridere così gioiosamente. Il suo umore era stato nuovamente contaminato.
Non poteva mostrarsi sempre così assolutamente preso da ciò che la riguardava, persino quando tecnicamente era un corso un litigio tra di loro pensava a come stesse.
Inoltre era il 22 Maggio.
Avrebbe potuto, dovuto, mettere da parte la divergenza temporanea tra di loro e starle accanto in quel giorno ma una parte di lui gli impediva di farlo. Questo perché quella parte sapeva che continuando in quella direzione sarebbe caduto nella follia totale (presumendo che non ci fosse già dentro.)
E lei avrebbe potuto accorgersene.
La scintilla che aveva scatenato la lite di quattro giorni prima era nata dall'unione di vari elementi, tra cui l'aver accettato quella verità.
Trovò finalmente Tom davanti alla cassa delle carote mentre questi ne infilava una manciata dentro ad un sacchetto. Senza proferire parola si avvicinò al carrello e ci buttò dentro con un po' troppa forza la busta di caramelle gommose che prima aveva arpionato.
Tom lo guardò di sottecchi passandosi la lingua sopra il percing del labbro per poi dirigersi a pesare gli ortaggi senza fare nessun commento.
Al suo ritorno trovò il gemello che fissava minaccioso delle zucchine.
“Uhm...” grugnì il rasta, roteando gli occhi con un'espressione di insofferenza sul volto.
Quella storia stava andando un po' troppo per le lunghe e per quanto fosse dotato di una certa dose di pazienza la sua riserva di tolleranza stava giungendo al limite.
Nessuna persona normale, in una situazione standard, avrebbe sopportato ciò che aveva dovuto soffrire lui quindi se fosse scoppiato a sua volta sarebbe stato del tutto legittimo.
Bill nel suo meglio era insopportabile e in quei quattro giorni era stato particolarmente bravo.
Tutta colpa di lei, ovviamente, lo sapeva.
“Troppa influenza su di lui.” pensò Tom guardando la curva leggermente ingobbita delle spalle fraterne. Se ora quei due erano solo amici e reagivano con così tanta intensità quando sarebbero diventati qualcosa di più cosa avrebbe dovuto aspettarsi?
“Quando, non se. Di questo passo perderò su tutta la linea.”
Per quel pensiero la fronte del rasta si riempì di pieghe contrariate simili a quelle di suo fratello. La parola perdere, in tutte le sue sfaccettature, in tutto ciò che implicava, lo irritava.
Perdere e farsi male per ciò che provava.
Perdere e avere paura per ciò che voleva tenersi stretto.
Perdere e temere di essere tenuto fuori.
In qualunque modo guardasse la faccenda era come se fosse stato già scritto, il ruolo di Tom Kaulitz in questa storia non sarebbe stato quello principale.

A volte si stupiva del suo egoismo e altre volte pensava che doveva essere il suo modo di difendersi dal mondo. Lyric faceva lo stesso con lui o almeno voleva credere che l'imperfezione che voleva attribuirle era dovuto proprio all'egoismo.
Una volta usciti dal minimarket e incamminatosi entrambi verso casa, Tom rivolse a Bill un'occhiata pensierosa, quella di chi sta affrontando il dilemma se iniziare o no un discorso, con la paura di portare tutto in una picchiata folle contro il suolo. Chi ha capito la metafora può intuire cosa stesse provondo in quel momento.
Si decise per saltare dall'aereo. Al massimo si sarebbe sfracellato contro una parete di roccia.
“Ne avrai per molto?” iniziò con circospezione, una domanda più innocua di quella che avrebbe potuto osare.
Bill, senza guardarlo, seppe immediatamente dal tono della voce dove aveva intenzione di parare “Direi fino a quando lei non si deciderà a parlarmi o almeno è quello che suppongo.”
“Supponi?” suonò più ironica di quello voleva ma non se ne pentì, quando Bill si impuntava era molto buffo, almeno in quella situazione “Credo, purtroppo per te, che non ci sia scritto da nessuna parte che sia lei a dover venire da te. Se non ho capito male hai iniziato tu.”
“E con questo?!” il ragazzo lasciò cadere a terra la busta della spessa e si fermò.
Ecco, appunto, la roccia contro cui si sarebbe schiantato.
Era spuntata fuori un po' troppo in fretta.
Tom abbassò gli occhi sulla massa informe del sacchetto e poi appoggiò la busta che teneva lui, vicino a quella abbandonata.
Gli occhi di Bill gli stavano dicendo che non ci poteva arrivare, non poteva capire quello che era successo e per questo Tom sentì il desiderio di dargli una testata “Vuoi dirmi che non è stata tutta colpa tua?!” uscì il riflesso del tono di Bill.
“No! Chi diamine ti ha detto che ho iniziato io?”
“A parte averlo sentito da tutti quelli della tua classe, che per la cronaca hanno assistito al tutto, Andreas! Eri così impegnato a sclerare che non ti sei accorto che era lì con te.”
“Prima di tutto non dovresti ascoltare le stronzate di quei coglioni e poi Andreas non può aver capito come era andata veramente la situazione. Quando vuoi venire a conoscenza dei fatti vieni direttamente da me a chiederlo e non ti affidare alle voci di corridoio!”
“Ma io te lo chiesto, sei tu che non hai proferito parola! Idiota! Poi mi spieghi per che cazzo mi stai urlando addosso quando sto cercando solo di aiutarti?! Deficiente!”
“Ti urlo addosso perché sono cazzi miei se non voglio ancora parlarle! Cretino! Sono fottuttissimi cazzi nostri se noi abbiamo litigato! La risolvo come mi pare la situazione! Non devo fare capo a te!”
“Sono anche cazzi miei se mio fratello rompe le palle per quattro giorni di fila diventando la quinta essenza della depressione! Sono fottuttissimi cazzi miei se voi avete litigato perché l'umore nero di entrambi devo sorbirmelo io! Se non sai come risolvere i tuoi problemi abbi l'intelligenza di farti aiutare!”
Bill e Tom avevano finito per scoppiare senza preavviso. Il modo in cui, in quel momento, si stavano guardando rivelava un mucchio di cose che pretendevano di uscire.
Lì per lì avrebbero potuto rivelare qualunque cosa.
“Inoltre non mi piace, non mi piace per niente come stai facendo sentire lei...” Tom respirava velocemente ma non era niente in confronto al respiro accelerato di Bill “Lei è anche amica mia. Ricordati che non sei l'unico a cui ci tiene. Se la fai sentire male mi sembra ovvio che voglia capire cosa le hai fatto. Non sei il solo a pensare a ciò che sente.”
“Non hai l'esclusiva su di lei.” recepì il moro, quello era indubbiamente il messaggio sotterraneo delle parole di Tom. Naturalmente non ne fu stupito.
Entrambi stavano facendo passi da giganti. Uno dei due alla fine sarebbe uscito fuori con lei e quel momento sarebbe stato un vero casino. Per questo non si affrontavano mai, non così apertamente, non in modo così evidente.
Tom si era arrischiato molto con quelle parole e di questo Bill ne era fermamente convinto.
Bill strinse la mascella e distolse lo sguardo dal gemello. Non così presto, non così in fretta. Da poco era arrivato a capire ciò che provava, se le cose fossero andate di quella velocità avrebbe perso un mucchio di cose.
Allo stesso tempo però sentiva che era quasi inevitabile, uno dei due avrebbe cantato dopo tutto.
“È complicato, Tomi.” aveva usato il suo nomignolo affettuoso, questo significava che aveva ammesso una tregua “È vero, ho iniziato io questa cosa, ma ti assicuro che le ragioni per cui lo fatto sono giustificate.”
“Mi sembra di capire che non hai intenzione di dirmele.”
“Esatto.”
“Ok.” Tom guardava il profilo del gemello, così simile al suo. Quel volto che aveva visto maturare con lui fin dalla più piccola età, sembrava così lontano.
No, decisamente non capiva.
Era davvero così diverso dalle altre volte?
Cos'era diverso dalle altre volte in cui si era innamorato?
Il cuore di Tom perse un battito.
“Innamorato?” quella parola gli fece un bruttissimo effetto.
Lo sapeva, lo aveva intuito da tempo, molto prima di quel tonto, allora perché ebbe la netta sensazione di capire solo in quel momento la portata dell'affare.
Una domanda si diffuse in un sussurro dentro la sua testa “Quanto sei innamorato di lei, Bill?” e sentì i passi del panico farsi strada tra la folla rumorosa dei suoi sentimenti. Che finalmente lo avesse ammesso a se stesso? Se era così, forse lo scoppio era dovuto al fatto che Bill non sapeva come comportarsi?
La roccia contro cui era andato a scontrarsi era molto più dura di quello che si aspettava.
“Allora cosa farai?” mentre queste parole uscivano dalle labbra di Tom entrambi ebbero la sensazione che stesse parlando di tutt'altra cosa. Bill si trattenne per poco dal chiedergli “In futuro?”
“Naturalmente noi faremo pace, tra me e lei non c'è altra strada.”
Crudele...
In quel preciso istante, in piedi davanti alla persona più importante, Bill si sentì crudele. Ma non lo stava facendo di proposito, era stato come il ringhio di un lupo che avvertiva altri lupi di stare alla larga.
Tom capì l'antifona e si esibì in uno dei suoi sorrisi ironici. Quel colpo basso gli aveva fatto capire che Bill stava camminando su una stretta corda da equilibrista, non era sicuro di niente al momento.
Meschino...
In quell'altro preciso istante, guardando negli occhi la persona più importante, Tom si sentì veramente meschino. Perché in un meandro pieno di tenebra della sua testa pensò cinicamente di farlo cadere da quella corda.
“Naturalmente, se lo dici tu allora mi fido.” si abbassò per afferrare una delle borse di plastica della spesa, celando tutto il tempo il suo sguardo sotto alla visiera del suo capello “Però fai pace in fretta, per favore. Non riesco più a sopportarti in questo prolungato umore nero, nemmeno laccarti accuratamente le unghie di nero ti ha sollevato, come invece è successo altre volte.”
Bill si lasciò sfuggire un sorriso divertito, il fratello sapeva sempre regalargli l'allegria. Riprese anche lui la busta della spesa.
“Non preoccuparti, entro sta sera credo che la chiamerò. Mi sono stufato anche io di questa situazione, è solo che prima voglio trovare le parole giuste per spiegarmi.”
Tom annuì senza proferire altra parola.
Camminarono parlando con molta meno tensione e di argomenti che non includessero la figura di Lyric, tutto questo prima che passassero davanti al muro ocra di una casa. Bill rallentò impercettibilmente sentendosi scosso da una sensazione famigliare.
Come se si fosse trovato davanti al bellissimo dipinto appeso sulla parete della camera di Lyric, si sentì avvolgere dalla nebbia di un ricordo. Ora capiva perché quel quadro gli avesse fatto provare un dejà-vu.
Era la stessa sensazione che aveva provato quando l'aveva vista per la prima volta.
Lo ricordava, quel pomeriggio di Ottobre, mentre passava da quella parte di ritorno da un appuntamento con una ragazza. Un pomeriggio normale, come qualunque altro. Camminava un po' di fretta, diretto a raggiungere casa al più presto.
Per puro caso aveva spostato i suoi occhi in direzione di quel muro, assolutamente un caso.
Sulle prime non aveva fatto veramente attenzione a ciò che gli stava davanti, era come se avesse dovuto focalizzare una lente prima di poter distinguere in modo nitido quella persona raggomitolata per terra.
Quando poi si era accorto che ciò che stava guardando era una ragazza si era fermato incuriosito.
Gli era parsa immobile come una statua ma le sue orecchie avevano sentito il suono fievole di un pianto soffocato.
Ricordava di come si fosse fermato per due minuti buoni, indeciso se andare da lei e chiederle se avesse avuto bisogno di aiuto oppure andarsene con discrezione facendosi così gli affaracci suoi. Ricordava il desiderio di sapere cosa le fosse successo per renderla tanto triste.
Ricordava di quando quel desiderio non era stato che una mera curiosità. Solo una piccola, insana curiosità nei confronti di quel suo dolore che l'aveva resa fragile e bisognosa.
Con il passare del tempo quel desiderio così poco nobile era mutato, non c'era più la curiosità. Da tempo desiderava che lei fosse felice e non solo perché aveva allontanato la sofferenza, Bill voleva che fosse felice perché al suo fianco c'era lui.
Tom smise di camminare notando che il gemello non gli stava più accanto, si girò per vedere cosa stesse facendo e trovandolo fissò verso quel muro sospirò leggermente.
Lo ricordava anche lui quel pomeriggio di Ottobre, quando, con il ritorno di Bill a casa, gli aveva raccontato della piccola rissa con quel pallone gonfiato di un bullo. Quello che era andato in giro a sparare cazzate su Bill e poi l'aveva anche minacciato di picchiarlo se si fosse fatto di nuovo vedere a scuola truccato con la matita nera.
Ricordava il cambiamento di espressione nel fratello quando era arrivato alla parte dello strano intervento della ragazza invasata. Ricordava di come fosse corso a per di fiato fuori di casa appena finito di raccontare tutta la storia e quel “coglione!” gridato a squarciagola
 
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Gillian Kami
view post Posted on 15/4/2010, 20:38




Scusate il ritardo ragazze, ma tra il concerto e la scuola non ho avuto il tempo di postare. In ogni caso spero che sia andato tutto bene ai vostri concerti, al mio mi sono rotolata dalla felicità più totale.
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Capitolo 8: Alysei.


“Eccomi.” fece una pausa e si abbassò verso la lapide mentre un angolo della sua bocca si inclinava dolcemente.
“Come ti avevo detto sono venuta a trovarti.” non si sarebbe mai aspettata di sentirsi così calma, aveva pensato alla possibilità di potersi incupire appena entrata nel cimitero ma invece non era accaduto niente del genere.
Era serena, vagamente contenta.
Un'altra ragione per ringraziare Bill di averle inculcato in testa una visione più positiva del mondo.
Lyric alzò gli occhi per qualche istante, seguendo la scia bianca di un aereo appena passato sopra la sua testa, poi riabbassò il capo con il lieve sorriso ancora sulle labbra.
“Avrei voluto che fosse venuto anche lui, così ve lo avrei presentato.” nel dire ciò si voltò momentaneamente verso la lapide accanto, quella di suo padre.
“Sono certa che vi sarebbe piaciuto, soprattutto a te, papà. È il tipo di ragazzo che ti saresti divertito a prendere in giro ventiquattro ore su ventiquattro. Lui si sarebbe fatto prendere dall'ansia credendo di non piacerti e tu avresti continuato a trattarlo così solo per il gusto di farlo stare sulle spine.” rise, immaginandosi l'esilarante possibilità di quei due chiusi insieme nella stessa stanza “Però sareste andati d'accordo alla fine...”
Lyric accarezzò il viso ritratto di Sebastian Hörderlin. Gli occhi di suo padre, colorati di un nocciola molto intenso, la guardavano attraverso la fotografia.
Li aveva sempre amati quegli occhi pieni di calore.
“Già, a quanto pare sono dannatamente felice. Riesco persino a parlare con voi senza scoppiare in un collasso isterico. Decisamente Bill vi sarebbe piaciuto da matti.”
Scosse la testa per la completa assurdità del suo discorso ma rise con ancora più allegria di prima.
Chissà se la nonna lo avrebbe notato tutto quello splendore che la circondava, magari si sarebbe accorta di avere di fronte una persona completamente diversa da quella che conosceva.
Magari avrebbe capito che la vera Lyric era sempre stata anche questo lato ottimista ed energico.
Forse se Cassandra le avesse chiesto il perdono avrebbe potuto anche concederglielo.
Ma non ci contava troppo.
L'orgoglio era sempre stato un pezzo forte nella sua famiglia, sua nonna poi ne possedeva più di chiunque altro membro. Sarebbe stato più probabile vedere gli unicorni galoppare per le strade di Boston piuttosto che assistere allo spettacolo di sua nonna che chiedeva scusa.
“Ma comunque è meglio che sia qui da sola, voglio proprio farle vedere quanta acqua sia passata sotto i ponti, dovrà ammettere che il piccolo torrente sta diventando un fiume amazzonico. Sì, lo so, metafore dementi.”
Rise ancora presa da quella sensazione di leggerezza.
Doveva proprio essere il sollievo di non sentirsi più così male quando si trattava dei suoi genitori.
Il suo animo ora era davvero così leggero? Evidentemente era proprio così che stavano le cose.
Tolse la carta con cui erano avvolti i fiori che aveva portato e la depose accanto alle sue gambe mentre con l'altra mano infilava i crisantemi scarlatti nel vaso apposito.
Era sempre stato il colore preferito di sua madre.
Fatto ciò rimase per parecchio tempo in silenzio, seduta di fronte alle due lapidi, con la testa che vagava senza animosità.
Si ricordò inspiegabilmente delle passeggiate autunnali che lei e suo padre facevano ogni volta che, tornata a casa dalla scuola, lui aveva un poco di tempo da dedicarle dal lavoro. In quelle occasioni le era sempre piaciuta la stretta forte, ma al tempo delicata, del palmo paterno quando camminavano mano nella mano. Era come affermare che sarebbero stati inseparabili.
Per Lyric era sempre stato l'uomo migliore del mondo, il suo superman personale, invincibile. Pronto a coccolarla come se fosse un grande tesoro ma in grado anche di farle capire la differenza tra un'azione sbagliata e una giusta.
A otto anni era così innamorata della sua persona che, come qualsiasi bambina, aveva dichiarato che un giorno se lo sarebbe sposato.
Naturalmente Sebastian le aveva spiegato che ciò non era possibile, perché aveva già promesso alla mamma che sarebbe stato suo per sempre e un uomo vero le promesse le mantiene costi quel che costi, le aveva detto.
Lyric per ripicca allora aveva giurato sulla testa del suo pony Fairy-Wing (un pupazzo a forma di cavallo che doveva essere da qualche parte nella soffitta della casa di Boston) che se non avrebbe avuto lui, allora sicuramente si sarebbe innamorata di un uomo come lui.
Ricordò le lacrime agli occhi dei suo genitori per le risate e di come suo padre le avesse poi fatto un leggero sbuffo sotto il mento “Come me? In che senso?” aveva domandato in quell'occasione. Una allora Lyric di otto anni era rimasta a labbra serrate per qualche minuto, cercando delle parole per spiegarsi. Incontrando lo sguardo di sua madre ebbe una scintilla d'ispirazione “Non lo so, però vorrei tanto essere guardata come la mamma.”
"E come viene guardata?” Lyric sorrise con i denti da latte ben in vista.
“Come se ci fosse solo lei.” aveva risposto con sincerità.
Naturalmente suo padre era scoppiato a ridere un'altra volta ma non della risposta in sé, più che altro per aver constato ancora una volta quanto sua figlia e sua moglie si assomigliassero.
e donne Alysei non si battono mai, era la prima regola che qualunque uomo intenzionato ad amarne una avrebbe dovuto conoscere. Sebastian lo aveva imparato da tempo.
“Se troverai qualcuno che lo fa, allora, me lo dovrai per forza presentare. Credo che diventerebbe mio genero.”
“Genero? Che cos'è un genero? Si mangia?”
“Dipende, tesoro. Potresti anche mangiartelo di baci ma nel caso te ne venisse mai voglia non farlo davanti a tuo padre. Farebbe male al mio stomaco.”
“Ok.”
aveva pronunciato con convinzione, sgranando gli occhi al pensiero di suo padre preso dal mal di pancia per una cosa del genere.
“Allora non mangio nessuno con i baci, così la tua pancia non si fa la bua.” glielo assicurò lei, portandosi una mano sopra al cuore come a prometterlo, anche se non capiva come fosse possibile desiderare di mangiare qualcuno a forza di baci.
“Ecco, brava!” aveva commentato Sebastian ritenendo giusto mettere un minimo di freno a qualunque pensiero riguardo alla questione “ragazzi”. Ovviamente era di nuovo scoppiato a ridere.
Era sempre stato un tipo molto gioviale e amichevole, in un modo più eclatante di sua madre. Era stato un uomo a cui era piaciuto davvero essere venuto al mondo.
“Mi dispiace essermi allontanata così tanto da ciò che mi avevi insegnato, papà. Ma vedrò di rimediare.”
Lyric aveva aperto di nuovo bocca, ricominciando a parlare a senso unico con i suoi genitori. Si riferiva al fatto che c'era stato un tempo in cui pensava che vivere fosse qualcosa di così inutile e superfluo, un pensiero per cui suo padre l'avrebbe sgridata sonoramente.
Il rumore di un altro aereo che volava sopra di lei le fece alzare il capo per seguire ancora una volta la scia dei motori. Sembrava che qualcuno avesse fatto gocciolare della tempera bianca e candida sopra a della carta azzurrina.
Un po' di vento si alzò, cominciando a sussurrare tra i fili dell'erba.
Lyric tornò a guardare le due lapidi e questa volta un altro pensiero si fece avanti per parlare.
“C'è qualcosa...” si avvicinò, appoggiando una mano sull'incisione del nome di sua madre “C'è qualcosa che non riesco a capire. Forse sono io che mi faccio troppi problemi ma da un po' di tempo sento che c'è qualcosa di diverso.”
In modo molto lieve qualcosa nella sua testa frusciava come seta sotto la pelle. Un'intuizione che non aveva ancora un'identità precisa stava cercando di trovare una voce con cui farsi sentire e lei provava a tendere l'orecchio per ascoltarla.
Ma non ci riusciva.
Era lì a pochi centimetri dalla sua mano però Lyric non riusciva proprio ad afferrarla.
“Sta cambiando...” lo sussurrò pianissimo perché voleva a tutti i costi tenere quell'idea indefinita, che tanto indefinita poi non era, dentro di sé.
“Forse...è già cambiato...” si corresse senza ancora dare un soggetto a quelle sue frasi.
Tanti volti cominciarono a susseguirsi come in un vortice e per ognuno di loro attribuì dei ricordi, delle ragioni, delle parole, dei sentimenti. Tante persone, ugualmente importanti.
Eppure c'era qualcosa di diverso.
Sentì le guance scaldarsi mentre il cuore perdeva qualche battito.
Tanti volti, uno dopo l'altro, così semplici da riconoscere e da descrivere. Loro erano sentimenti comprensibili.
Poi l'ultimo viso, quello lasciato alla fine della coda.
Ecco il punto.
Un sentimento diverso, un sentimento che era cambiato.
“Sono passate due settimane da quando ho cominciato a chiedermelo ma sono sempre al punto di prima. Chissà se riuscirò mai a capirci qualcosa. In momenti come questi ci vorrebbe proprio la tua presenza, mamma.”
Quel viso due settimane prima era stato molto vicino, tremendamente vicino.
C'erano stati altre occasioni in cui i loro volti si erano trovati nella stessa situazione, forse non così vicini però quasi, ma quella sera di due settimane prima era stato molto diverso.
Quella volta aveva pensato a qualcosa di completamente nuovo per lei.
Qualcosa che non l'aveva mai toccata così intimamente.
Era stata la notte prima della sua partenza per Boston, in quell'occasione Bill e gli altri tre scapestrati erano venuti a trovarla a casa per una specie di festino d'addio. Passata ormai la mezzanotte zia Freia non aveva avuto remora nel buttarli fuori di casa (infatti per l'intera serata avevano fatto più casino in quattro di qualunque rave party a cui Freia Hörderlin avesse mai partecipato nella sua giovinezza ).
Bill si era trattenuto qualche minuto in più, solo con lei, e in quel lasso di tempo erano rimasti seduti sui gradini delle scale davanti alla porta di casa.
Avevano parlato dei progetti di entrambi in quel mese di separazione. Lyric aveva infatti deciso di prolungare la sua permanenza negli Stati Uniti perché suo zio Victor aveva espresso il desiderio di passare un po' di tempo con lei e in questo, sorprendentemente, si era ritrovata d'accordo.
Però erano dovuti arrivare i saluti definitivi.
Era tardi e Bill abitava a parecchi quartieri di distanza da casa sua. Inoltre gli altri tre, che lo attendevano ai cancelli, avevano abbastanza diritto di pretendere di andare a dormire.
Si erano alzati entrambi contemporaneamente, rimanendo fissi verso le tre sagome a dieci metri da loro.
“Allora fai un buon viaggio e appena puoi chiamami.”
“Certo. Se non riuscirò a chiamarti, ti spedirò delle e-mail e se non riuscirò a contattarti con quelle userò dei piccioni viaggiatori.” Bill aveva riso, voltandosi verso di lei.
In quell’istante aveva pensato che le sarebbero mancati tutti.
Gustav, con quella sua immancabile essenza fatta di correttezza, calma, silenzio e dolce affetto dimostrato con semplicità e riguardo. Un amico con cui parlare delle più piccole cose, anche le più banali, senza temere di non essere ascoltati o capiti. Il tipo di ragazzo a cui si potrebbe affidare ad occhi chiusi la propria vita, perché al mondo non si potrebbe trovare nessuno in grado di dimostrarti più fedeltà e fiducia di quel sedicenne biondo, leggermente timido e tendente al mutismo ma con il più grande cuore che si possa trovare nel creato.
E poi Georg.
Con lui non c'erano mai sforzi ne finzioni, era in grado di farle passare il tempo con il sorriso (o il riso) a fior di labbra senza mai stancarla. Ed oltre quella scorza di adolescente casinista e amante del divertimento c'era il bravo ragazzo, il fratello maggiore che nel momento del bisogno è sempre lì a sostenerti anche se non l'hai chiesto. Quello che ti appoggia un braccio attorno alle spalle e con determinazione ti difende a spada tratta mantenendo quella sua leggerezza nei modi, con quella allegria viva e contagiosa. Conoscendoli, con il passare dei mesi, Lyric aveva scoperto di adorarli e in questo era ricambiata da loro.
E poi c'era Tom (con cui qualche volta si scontrava ancora, piccolezze di poco conto, più che altro un rimbeccarsi innocuo tra amici.)
Lui rappresentava un legame oltremodo importante. Quando parlavano tra di loro era come essere accanto a qualcuno in grado di comprenderti. Sotto allo spaccone fissato con le ragazze e con un ego enorme capace a volte di divorarlo, esisteva il Tom sorprendentemente dolce, quello che le voleva bene come se fosse stata sua sorella.
Quel Tom pieno di umana profondità (seppur così ostinatamente nascosta o forse così poco conosciuta dallo stesso possessore) che spesso Lyric aveva intravisto dietro ai gesti più insignificanti.
Lyric sapeva di essere la prima vera amica femmina che Tom avesse mai avuto e questa era una delle motivazioni per cui le piaceva il loro legame. Lei era la prima creatura di sesso femminile, oltre a sua madre, a cui avesse concesso di avvicinarsi quel che bastava per conoscerlo. Questo significava aver abbassato le difese che si era eretto, averle concesso una grande possibilità. Sotto un certo punto di vista Tom era il suo più grande amico e questo poteva pensarlo perché Bill, ormai, era qualcosa che andava oltre a quella descrizione.
Lui sarebbe stata la persona che le sarebbe mancata di più.
A morte, letteralmente mancata a morte.
Qualcuno glielo avrebbe dovuto proprio spiegare questo rompicapo.
Mesi addietro non sapeva neanche che esistesse un Bill Kaulitz al mondo, eppure, dopo così poco tempo, quel ragazzo le aveva sconvolta la vita. Era diventato punto immoto e allo stesso tempo incognita della sua esistenza. Se qualcuno le avesse chiesto cosa rappresentava per lei, Lyric non sarebbe riuscita ad esprimersi se non con la parola tutto.
Esagerato direte voi ma non sempre si può comprendere la verità.
Arrivati ad un punto in cui si considera qualcuno il baricentro della propria, personale, gravità cosa ci si può inventare per descriverla? Se qualcuno diventa talmente importante da farci ritenere superfluo il chiedersi del perché l'abbiamo elevata a tal punto, non significa forse che non ci importa più dei motivi ma ci interessa solo che quella persona ci stia accanto?
Questo era Bill.
Quell'agglomerato di vita non privo di difetti: un po' egoista, leggermente prima diva, dannatamente testardo, spruzzato di qualche infantile moina, insicuro, perfezionista, a volte chiuso e spesso azzardato.
Quel Bill in grado di farla sentire in pace, forte, accettata, al sicuro, proprio questo ragazzo era diventato una presenza insostituibile.
Le sarebbe davvero mancato a morte e in qualunque senso si possa pensare.
Per queste ragioni di cui era ormai a conoscenza, quella sera di due settimane prima, qualcosa dentro di lei si era acceso in un lampo folgorante.
Un secondo.
Era bastato solo un secondo per sconvolgere tutto quanto.
In un secondo la sua mente aveva formulato quel bisogno impellente.
Una necessità che ancora le formicolava nella testa, nel corpo, ovunque.
La suoneria del suo cellulare la riportò con i piedi per terra e per la sorpresa di essersi imbambola Lyric rispose senza neanche guardare chi fosse a chiamarla.
“Sì, pronto?”
“Ma belle au bois dormant! Sei ancora dai tuoi defunti?” chiese una voce maschile squillante, che riconobbe immediatamente per quella di Alphonse.
Chi diamine aveva dato il suo nuovo numero di cellulare a quell'esaltato di suo cugino? Si era rifiutata categoricamente di concederglielo in quelle due settimane di imposta convivenza.
Che fosse stato suo zio Victor?
Lyric sospirò rassegnata e guardò distrattamente l'orologio.
“Allie, guarda che manca ancora un'ora al nostro appuntamento. Non c'era bisogno di chiamarmi per ricordarmi che dovevamo incontrarci.” gli disse, avendo subito capito per quale ragione non l'avesse lasciata in pace neanche in occasione della visita alle tombe dei suoi genitori.
Pur non avendo particolari doti di crudeltà e cattiveria, quelle le aveva prese tutte la sorella Adele, suo cugino Alphonse non era mai stato in possesso di molto tatto.
Era un'insopportabile bocca sempre costantemente aperta, persino nei momenti meno opportuni. Era così da sempre e quasi nessuno ormai ci faceva più caso.
Solo quando c'era loro nonna si dava un contegno, l'istinto di sopravvivenza lo possedeva qualunque animale quindi perché lui avrebbe dovuto esserne sprovvisto?
“Lo so, lo so. Volevo solo sapere se andava tutto bene. Sapendo come ti riduci per certe questioni, volevo assicurarmi che non fossi esplosa in un lago di lacrime e urla. Mi preoccupava sapere se avrei dovuto aspettarti al locale con in mano una scatola di fazzoletti.”
Lyric rise lievemente. Comunque, pur non avendo particolare sensibilità quando si esprimeva, Allie era una persona gentile a suo modo. Gli poteva dare il merito di essere quello meno insopportabile tra tutti i suoi cugini. In confronto ad Hector, Ava e Adele, lui era sicuramente un angelo.
“No, tranquillo. Non ho versato neanche una lacrima. Sono stata brava, no?”
Sentì suo cugino ridere in modo quasi sollevato.
“Un giorno lo voglio conoscere.” affermò cambiando improvvisamente discorso.
Altro punto caratterizzante di Alphonse erano i suoi repentini cambiamenti d'argomento, viaggiava ad una velocità di pensiero troppo diversa dal resto dell'umanità o forse era solo il fatto che trovasse punti di collegamento tra questioni all'apparenza senza legami.
“Chi?” chiese sinceramente confusa.
“Superman.” affermò senza dare nessun'altra spiegazione.
“Superman?”
“Sì. Io voglio conoscere Superman.” confermò con fermezza.
“Alphonse Alysei De la Croix...” glielo disse con tutta la serietà possibile anche se intuiva il lato comico di quello che si stavano dicendo “…è illegale bere per strada, senza contare il fatto che sono solo le cinque del pomeriggio e ti ricordo che non hai ancora l'età legale per sbronzarti in pubblico. Cerca almeno di non farti scoprire.”
Alphonse rise ancora, con un'inflessione molto accattivante, quella che di solito esibiva quando voleva far strisciare ai propri piedi la prima ragazza che attirava la sua attenzione.
“Guarda che sono sobrio. Io sono la quinta essenza dell'innocenza.” non ci credeva nemmeno lui e Lyric evitò di ripetersi per l'ennesima volta riguardo la concezione di quel ragazzo di “innocenza”.
“Certo, va bene.”
“Lascia stare, ti spiegherò meglio un'altra volta. Allora ci vediamo tra un'ora. Sarò già dentro ad aspettarti.”
“Ok, a tra poco.”
“Sourette Lirì...” la chiamò improvvisamente come quando giocavano insieme da piccoli e Lyric ebbe la fugace visione di un bambino paffuto che correva assieme a lei tra le aiuole di una grande villa di campagna, quella della loro infanzia, tra le colline fuori da Boston.
“Dimmi, frérot Allie.” lo chiamò a sua volta con il nomignolo che usava per lui. Una risata quasi gutturale e bassa fuoriuscì dall'apparecchio telefonico e Lyric si immaginò il sorriso compiaciuto che si increspava tra le labbra perfette di suo cugino.
Doveva essere contento che lei si ricordasse ancora quel gesto d'affetto che correva un tempo tra di loro. Un tempo erano stati davvero uniti.
“Salutami gli zii, per favore.”
“Certo.” Questa volta fu lei a ridere di compiacimento “Ci vediamo dopo.”
“Ok, a tra poco belle au bois dormant!”
“Quando smetterai di chiamarmi in questo modo?”
“Mmm, finché avrò vita.” scherzò il cugino ma Lyric era sicura che non stesse scherzando.
“Allora mi adopererò affinché la tua dipartita sia compiuta nel più breve lasso di tempo possibile.”
“Mon chou! Io sono al di sopra di una cosa futile come la morte. Il mio essere trascende l'essenza umana.”
Ecco, altra cosa che lo distingueva dalle persone normali, era incomprensibile. Faceva troppi discorsi fuori dal mondo, non si capiva mai se stesse dicendo sul serio o stesse solo esagerando. Difatti si esprimeva con così tanto ardore e convinzione che sembrava essere sincero.
“Ok...ciao.” E pose fine alla chiamata, li avrebbe sorbiti dopo i suoi vaneggiamenti sulla sua perfetta persona.
Ritornò a guardare le due lapidi e non ci mise che pochi secondi per ritornare al flusso dei pensieri interrotti dalla telefonata.
Com'è che così all'improvviso non riuscisse più a spiaccicare una parola? Allora non era stata una sua impressione il fatto che fosse rimasta scossa dall'accaduto. Scosse il capo cercando di riportarsi su di un piano mentale meno pericoloso ma non fu per niente facile.
“Mi mancherai...” le era uscito dalla labbra due settimana prima. Bill allora si era avvicinato al suo viso per darle un'innocente bacio sulla guancia, per salutarla una volta per tutte, ma a pochi passi dalla meta si erano guardati in quel modo.
Lei l'aveva guardato in quel modo.
Come se si fosse resa conto di essere cosciente.
Rimasero entrambi bloccati in quella posizione un po' sforzata per un tempo indefinito che, da un punto di visto oggettivo, doveva essere invece durato molto poco. Però era bastato.
La bella addormentata, per pochi minuti, aveva aperto gli occhi e si era accorta che il suo mondo era un po' più fitto di significati di quanto potesse immaginare. Per lo spavento però aveva di nuovo serrato le palpebre.
Lyric si impose di smetterla e si rivolse alla madre “Tu cosa ne pensi?”
Si immaginò perfettamente la risposta che le avrebbe dato. Era la sua risposta standard quando si trattava di questioni che le sembravano più semplici di quello che pensava sua figlia.
“Two plus two, my darling. It's very simply.”
Decisamente avrebbe detto così.

****



Al di sopra di qualunque dubbio, Alphonse De la Croix, era uno dei ragazzi più belli che avesse mai conosciuto nella sua vita, o quasi.
A sedici anni, poi, lui non sembrava essere intenzionato a diminuire la portata della sua presenza scenica. Anzi, le pareva che la sua bellezza col tempo crescesse di pari passo con la considerazione che lui aveva di se stesso.
Una considerazione alta.
Molto alta.
Incalcolabile?
Lyric non si sorprese quindi di rivedere, appena entrata dall'ingresso della sala da tè, una scena ripetutasi un centinaio di volte da quando lui aveva riconosciuto nell'universo femminile una ragione ludica. L'ennesima ragazza, in questo caso una giovane cameriera intorno ai sedici, che gli stava ronzando attorno come un’esaltata ape attorno ad un mucchio di miele.
Infondo i bei fiori avevano proprio questo scopo, attirare l'insetto dentro la propria corolla per poi dimostrare solo in seguito di essere la facciata di copertura di una pianta carnivora. Forse era un giudizio più severo di quello che si meritava suo cugino ma a volte a quel ragazzo gli riusciva troppo semplice calpestare le persone che non avevano nessun valore per lui.
Più che volontariamente crudele si poteva dire che Alphonse era di un'insensibilità incosciente.
Vide la ragazza sorridere in modo adulatorio, sbattendo civettuola gli occhioni marroni e ridendo per compiacere quella che era diventata una preda. Poverina.
Non che credesse Alphonse incapace di provare sentimenti veri per qualcuno ma era in quella fase in cui i maschi non pensano, neanche per sbaglio, ad essere maturi e desiderosi di una relazione seria. Quel pensiero gli rimbalzava addosso come una pallottola contro un carro blindato.
Lyric ricominciò a camminare, decisa a porre fine a quel quadretto idilliaco, incapace di vedere la poveretta continuare a flirtare con suo cugino in quel modo così irresponsabile.
“Ciao Alphonse, scusa il ritardo ma ho trovato traffico.” in un nanosecondo suo cugino dimenticò l'esistenza della ragazza, che ancora stava in piedi di fianco a lui, e catalizzò tutta l'attenzione verso di lei.
Come presumeva era stata soltanto un tappa-buchi per ammazzare il tempo.
In verità lui non abbordava mai ragazze che non erano alla sua altezza o almeno a quella che credeva fosse la sua posizione di superiorità. La cameriera era molto carina ma Alphonse prediligeva provarci solo con chi era di una bellezza quasi eccessiva. Così, tanto per dimostrare a se stesso che se avesse voluto il meglio lo avrebbe potuto avere con uno schiocco di dita.
La vanità era l'unica e vera grande pecca che Lyric non riusciva proprio a digerire. Per il resto le stava anche simpatico, essendo sempre stato uno tra i pochi incuranti delle faide interne della famiglia. Una sua grande qualità era che non gli importava per niente il concetto di potere.
In questo era sempre stata più brava la gemella Adele.
Alphonse l'accolse con un'allegria sproporzionata e si alzò da dove era seduto, per stritolarla poi in un abbraccio un po' troppo enfatizzato “Mon trésor! Finalmente! Credevo che ti fossi schiantata contro un albero, visto che non ti facevi più viva. Infondo sei sempre stata l'orologio svizzero della famiglia.”
“Allie, non esagerare. Sono in ritardo di soli dieci minuti.” ricambiò l'abbracciò perché dopo tutto le piaceva la sua compagnia. Da quando era tornata aveva notato quanti sforzi quell'esaltato da strapazzo avesse fatto per riallacciare i rapporti con lei. Pur non capendo bene le ragioni non le dispiaceva dargli una possibilità. Contro di lui non aveva mai avuto particolari screzi.
A parte quel periodo in cui era stato alla deriva e si era leggermente fatto influenzare dalle idee di sua madre Amelia, che lo avevano allontanato da lei con mutismo e freddezza, erano sempre stati due perfetti cugini-amici.
Alphonse era stato il primo amico che avesse mai avuto e per questo, quel breve periodo di tradimento, era stata una pugnalata alla schiena. Ma non lo aveva mai realmente odiato per questo. Lyric sapeva quanto poteva essere pesante l'influenza di zia Amelia su di lui. Suo figlio comunque l'amava quell'arpia di donna e questo non poteva di certo impedirglielo.
Alphonse le fece segno di sedersi sulla poltroncina di fronte alla sua mentre riprendeva posto al tavolo e poi, come se si fosse ricordato solo in quel momento dell'esistenza della cameriera, si rivolse all'altra presenza attorno a loro “Ora che è arrivata la mia ospite non è che potrebbe portarci la lista dei tè? Vorremmo ordinare.” lo stupore per quel repentino cambiamento di atteggiamento si lesse a caratteri cubitali sulla fronte stupita della ragazza, Lyric gli scoccò un'occhiata ammonitrice che lui ignorò con un sorriso tremendamente innocente.
Era così schifosamente privo di tatto.
“Certo, ve le porto subito.”
“Grazie...” cercò di leggere il cartellino appeso al grembiule della cameriera “Carrie...” questo fu il punto di non ritorno. La ragazza scappò via a tutta velocità, nera in volto. Di certo ad Alphonse si era presentata ma lui però non doveva averla ascoltata più di tanto.
Era schifosamente privo di qualunque tipo di tatto.
“Non ti ho forse detto già una volta che le parole feriscono?” lo rimbeccò Lyric facendogli pesare addosso uno sguardo molto eloquente. Alphonse ghignò innocente, facendo spallucce.
“Credo di averti risposto che non capivo assolutamente nulla di quello che stavi dicendo.”
“Speravo comunque che il tuo intelletto andasse oltre al guardarsi allo specchio ogni mattina e constatare di essere meglio del dio Elios.” Il ragazzo ridacchiò portandosi una mano tra i capelli biondi, si accarezzò i fili lisci e chiari che ricadevano scalati fino alle orecchie mentre i suoi occhi cerulei si lamentavano con ironia della predica in atto.
“Come al solito non capisco il motivo per cui ti ho fatto arrabbiare. Ogni volta che riservi questo tipo di uscite mi sento così confuso. Eppure non mi sembra di aver fatto qualcosa di così crudele. Non sono di certo come Didi.”
“Allie, tua sorella Adele non c'entra proprio niente. Se ti rimprovero è solo perché ne hai bisogno.”
“Uhm...sarà ma io continuo a non capire cosa faccia di così sbagliato. Ok!” la fermò prima che esplodesse nella lunga lista dei suoi crimini “Potrei ammettere di essere un po' insensibile. Ma ti giuro che non mi accorgo per nulla di quando lo faccio.”
“Quindi dovrei abbonarti la pena per incapacità di intendere e volere?”
“Esatto...Ehi!”
“Lo hai detto da solo.”
Lyric si lasciò sfuggire una piccola risatina vedendo l'evidente gaffe del cugino.
La cameriera intanto era ritornata con i menù in mano.
Alphonse colse l'occasione per farsi perdonare “Grazie infinite per la tua gentilezza.” espresse con una voce morbida e uno sguardo incantevole, da brivido lungo la schiena, e Lyric non dubitava che la ragazza lo avesse provato “Mi dispiace di averti fatto perdere tempo prima, costringendoti a sopportarmi mentre aspettavo mia cugina. Ti sono davvero grato della compagnia che mi hai concesso. Ogni volta che verrò qui sarà un piacere per me rivederti, Carrie.” Sarebbero bastate le prime cose che aveva detto ma come era nel suo stile aveva voluto strafare a tutti i costi.
Qualunque ragazza sarebbe rimasta imbambolata a fissare un ragazzo in grado di esprimersi così elegantemente e senza problemi di grammatica, se poi si aggiungeva il fatto che suo cugino era di una bellezza così pressante, allora era chiaro che il perdono era qualcosa di scontato.
Lyric si lanciò nel silenzio, scorrendo la lunga lista di tè tra cui scegliere, mentre quella ragazza di nome Carrie si propinava in mille ed imbarazzate assicurazioni sul fatto che non si era per niente sentita costretta nel fargli compagnia.
Quando li lasciò nuovamente soli, per andare a preparare le loro ordinazioni, Alphonse guardava Lyric come ad aspettarsi da un momento all'altro il biscotto di contentino per aver fatto il cagnolino educato. Ci mancò poco che non gli scoppiasse a ridere in faccia in modo sguaiato.
“Va bene così? Sono perdonato?” l'espressione sul suo volto avrebbe fatto incrinare chiunque, lei però ne era immune. Ma per averci provato lo accontentò.
“Puoi migliorarti ancora ma posso accettarlo come inizio.”
Allie ne fu visibilmente contento.
Dopo qualche tempo di innocente e disimpegnata chiacchiera il ragazzo le chiese di sua zia Freia.
“Tutto bene. È arrivata questa mattina a Berlino. Sono contenta che sia riuscita a riposare prima di riprendere l'estenuante lavoro in banca.” mentre rispondeva si lasciò trascinare dal piacere che le dava il caldo sapore del tè ai frutti rossi che aveva scelto.
Alphonse annuì sorseggiando a sua volta dalla tazzina, lui aveva optato per un più vigoroso tè nero “Credevo che sarebbe rimasta almeno fino al ricevimento di questo sabato. Mi sembrava così tesa nel lasciarti tutta sola nelle nostre grinfie.” sbuffò lievemente, ironico.
L'occhiatina che gli venne lanciata addosso gli fece capire che sua cugina aveva intuito la battuta riguardo al comportamento dell'altra parente.
Effettivamente sua zia Freia aveva esagerato con l'apprensione e non avrebbe mai pensato che per l'ansia si sarebbe trattenuta due intere settimane a New York, con lei, solo per minacciare di morte suo zio Victor nel caso le fosse accaduto qualcosa ( sottolineando il fatto che se anche un sasso fosse caduto dal cielo e l'avesse colpita la colpa sarebbe stata, comunque, imputata alla cattiva condotta dell'Alysei.).
Ovviamente zio Victor l'aveva trovata divertente.
Grazie al cielo Lyric era riuscita a convincerla a stare tranquilla e godersi la permanenza nella grande mela nel modo più sereno possibile. Erano state due settimane davvero bellissime, contando il fatto che neanche una volta aveva pensato all'imminente rimpatriata di famiglia che si sarebbe svolta a Boston giorni dopo. La presenza poi di Alphonse, così spiritualmente avvolto da un'aura da Nirvana, l'aveva poi aiutata a passare il tempo in allegria e senza pensieri ottenebranti. Era perfettamente a suo agio e per di più aveva riabbracciato un'altra parte di se stessa, quella parte di lei che amava l'america, quella che rimaneva ancora affascinata dalla libertà che lì vi si respirava.
“Che vuoi farci, lei non si fida affatto di nessuno di voi. Anche se si farà venire una cisti a forza di impensierirsi per me non riesco a biasimarla. Gli Alysei le stanno indigesti.”
“Fino a prova contraria anche tu sei una Alysei.”
“Fino a prova contraria sul mio passaporto c'è scritto Hörderlin.”
“Lyric svia su queste sciocchezze. Lo so io, lo sai tu, lo sa chiunque.” sorrise in modo affilato, quasi compiaciuto delle parole che stava per pronunciare. Lyric non si trattenne dall'inclinare la testa all'indietro, un po' irritata.
“Non importa il cognome che porti o quanto lontano tu possa essere. C'è una sola che su cui non potrai mentire. Il fatto che nelle tue vene scorre il sangue della nostra famiglia.”
I due si guardarono per qualche secondo, in silenzio, prima di scoppiare a ridere.
“Oddio! Per un attimo ho pensato di avere davanti tua madre che mi faceva una delle solite prediche riguardo il nostro portare rispetto per il nome con cui siamo nati.”
Alphonse si mise in una posizione più comoda, ostentando tanto divertimento che gli usciva persino dai pori della faccia “Ti immagini se pensassi davvero a quello che ho appena detto? Santo cielo. Va bene che sono un esaltato ma non ho mai capito come la mamma riuscisse ad essere convinta di questi discorsi.”
“Lei ci crede.” fu il commento di Lyric, una semplice constatazione.
Alphonse si rabbui immediatamente sul volto. Sembrava pensieroso
“Già, loro ci credono. Veramente.” nel dirlo fissò i decori blu sulla preziosa teiera inglese che aveva davanti a sé “A volte mi chiedo come facciano a non stancarsi di tutta questa pressione che mettono nel nostro cognome...”
Lyric comprese subito di cosa stesse parlando.
Un tempo erano stati anche suoi pensieri.
Chissà quanto tempo Alphonse aveva passato rimuginandoci sopra.
Chissà quanto quel ragazzo, all'apparenza perfetto, fosse attanagliato da una posizione rigida come quella in cui erano nati loro.
Le persone normali di solito in una famiglia ritrovano semplicemente un'insieme di persone, più o meno piacevoli, che condividono legami d'affetto oltre che di sangue. Ma per loro appartenere a quella famiglia era sempre significato qualcosa di molto più difficile.
“Come fanno a respirare in un'aria così soffocante? Sia la mamma e Didi pensano troppo a difendere un concetto di onore e dignità che trovo così opprimente. Quando mi accorgo, in qualche momento di lucidità, che tutti i soldi e la posizione che abbiamo non valgono la mia sanità mentale mi sento fuori posto. Come se io stessi rifiutando volontariamente il dono di essere un Alysei...”
Lyric lo interruppe perché non aveva intenzione di vedere suo cugino Alphonse così dilaniato dai dubbi. Non lui che sembrava, da capo a piedi, nato per essere ciò che gli altri vedevano.
Bello, affascinante, ricco e di carattere piacente. Il perfetto ragazzo di una famiglia dell'alta società.
Il principe azzurro delle favole.
“Ho sempre pensato che tu te la cavassi benissimo nella nostra posizione, di certo, meglio di quanto sia mai riuscita a fare io. Credo che se riesci a tenere a mente i limiti di ciò che ci hanno sempre detto allora puoi perfettamente respirare in questo mondo, Allie. A parte l'ossessione per ciò che vorrebbero che fossimo non siamo stati così sfortunati.”
“Dici quindi che non sia un male se qualche volta penso di essere inadatto al ruolo? Voglio dire, è plausibile sentirsi la pecora nera del gregge immacolato?”
Lyric sorrise “Certo, se non provassi qualche volta una cosa simile saresti un robot e inoltre non ti devi preoccupare...” lei avvicinò il volto verso di lui come a volergli confidare un segreto “... la vera ed un'unica pecora nera di casa sono io.”
“Non è vero.” le disse, tornando sorridente come prima.
“Sì, invece.”
“Nono”
“Perché no?”
“Perché io ti ho vista sempre troppo bene circondata dalla luce accecante del nostro mondo. Tu sei nata per essere una di loro.” e la indicò con un dito mentre finiva di bere dalla sua tazzina. Quando la riappoggiò sul tavolo Lyric lo stava già guardando con gli occhi sorpresi.
“...non essere leccapiedi.” sventolò la mano come a soffiare via qualcosa “Io non sono per niente più bella di Adele, ne più elegante di Ava e tanto meno così educata come pensi.”
Lei si riteneva l'ultima persona al mondo da definire adatta all'alta società o comunque a quel tipo di ambiente. Poteva perfettamente mantenere una bella maschera sul viso quando si trattava di stare attorno a tanti squali ma a viverci essendo solo se stessa le risultava impossibile.
“Tu, come al solito, ti sottovaluti.” fu la risposta di Alphonse e come sempre sembrava sicuro delle sue parole.
“E tu, come sempre, esageri.” fu l'argomentazione di Lyric, anche lei certa di essere nel giusto.
Alphonse roteò i bulbi oculari, convincendosi che anche se le avesse ficcato davanti uno specchio lei non si sarebbe mai resa conto di tutte le qualità che racchiudeva dentro di sé. Quando un giorno ne avesse preso coscienza allora le avrebbe detto in faccia un bel “Te lo avevo detto!”.
“Comunque c'è un perché se ti ho invitato qui oggi ed è anche molto importante.”
“Dai spara pure.” naturalmente Lyric si aspettava qualcosa del genere. Fin da quando si erano rivisti per la prima volta le era sembrato che ci fosse qualcosa di cui Allie volesse parlare.
“Spara pure?” il biondo corrugò la fronte “Da quando parli come la plebe?”
“Mmm...Alphonse...” prima o poi gli avrebbe dovuto fare un discorso sul fatto che doveva contenere il più possibile i suoi exploit da snob. A forza di farlo così involontariamente sarebbe risultato antipatico ad un mucchio di persone.
Gustav l'avrebbe definito snervante, Georg e Tom lo avrebbero mandato a quel paese prima ancora che avesse avuto il tempo di riprendere fiato mentre Bill, invece, lo avrebbe guardato storto, peggio di un insetto.
“Sì, scusa, scusa. Ma non riesco mai a trovare il termine con cui definire l'altra gente.” sì, decisamente aveva bisogno di una seria rieducazione. L'innocenza con cui lo diceva, inoltre, lo rendeva più fastidioso.
Grazie al cielo lei ci era cresciuta con quella sua inclinazione.
“Solo perché grazie a tuo padre hai ficcato davanti al tuo nome un antiquato titolo nobiliare non significa che le altre persone poi chiamarle plebee. E poi non hai il sangue blu.”
“Per essere precisi è di un brillante blu-notte.” questa volta fu una battuta fatta di proposito, per questo Lyric rise “Allie...”
“Ok, scusa, scusa. Cosa stavamo dicendo?” si imbambolò alla ricerca del pensiero perduto.
“Dovevi parlarmi del motivo per cui mi hai trascinato qui.”
“Ah! Sì!” fortunatamente lo ritrovò “Prima di tutto: di che colore è il vestito che ti metterai al ricevimento di sabato sera?” Ovviamente fu un'uscita che non aveva il minimo senso.
“E questa che razza di domanda è?”
“È molto importante invece, forse dalla tua risposta dipenderà la tua sopravvivenza. Dammi retta, è meglio che tu sia sincera.” se non fosse stato Alphonse a parlare in quel modo sarebbe stata certa di trovarsi di fronte ad uno un po' esaurito.
“Un abito color madreperla.” rispose infine, quasi al limite di un esaurimento energetico. Sostenere una conversazione con quel ragazzo era un'impresa estenuante. Il fatto di non viaggiare sulla stessa lunghezza d'onda poi non aiutava per niente.
Alphonse parve rimuginare sulla risposta prima di annuire soddisfatto “Bene, allora la serata andrà divinamente.”
“Vorresti spiegarmi?”
“Oh! Ma è molto semplice. Dovevo accertarmi che tu non indossassi, neanche lontanamente, qualcosa della stessa tonalità cromatica del vestito da sera di Didi. Visto che lei ci verrà in cremisi e tu praticamente in bianco non ci saranno problemi.”
Per qualche istante Lyric cercò di trovare il collegamento logico tra quello che aveva appena detto e l'affermazione sul fatto che la serata sarebbe andata in modo splendido. Non la trovò.
Non ci riuscì proprio, si arrese davanti alla sconfitta “Vorresti cercare di essere più chiaro?”
Forse sarebbe stato meglio non farlo.
Perché era quasi certa che stesse per arrivare una spiegazione molto stramba, di cui avrebbe trovato difficile la comprensione.
“Vuoi la spiegazione dettagliata oppure il riassunto spiegato con parole semplici?”
Optò per il male minore “Il riassunto con parole semplici.”
Alphonse si mise a schiena dritta ed incrociò le dita della mani sopra la tovaglia bianca del tavolo, come uno studente durante un'interrogazione alla cattedra.
“Allora. Sappiamo perfettamente che sei tornata qui in America perché la nonna ti voleva parlare di qualcosa, è ovvio.” Lyric decise di stare zitta per tutta la durata della spiegazione, così da vedere cosa ne sarebbe uscito fuori “Sappiamo entrambi, poi, che al ricevimento saranno presenti tutti i componenti principali della famiglia. Già, tutti quei insopportabili e boriosi parenti”.
Si scambiarono un sorriso complice “Oltre a loro saranno presenti almeno un centinaio tra i più importanti azionisti della società, i vecchi del consiglio di amministrazione, le famiglie della buona società di Boston e i rappresentanti dei partner industriali dell'impresa. Praticamente l'intera fiera della vanità si ritroverà ad occupare villa Silver-Dust e ciliegina sulla torta, verranno tutti a porgere i saluti alla veneranda regina delle nevi: nonna.”
Detta in quel modo era un'immagine terrificante ma per qualche inspiegabile motivo si sentiva molto positiva riguardo all'andamento della serata di sabato. Quello che le interessava era fare un discorso a quattro occhi con sua nonna, i suoi galoppini non erano in nessun modo considerati.
“Mi pare ovvio che nella serata di sabato succederà qualcosa.”
“Non è detto. Siamo certi che lei perderà tempo ad appartarsi con me, per farmi un discorso, quando dall'altra parte ha l'intero universo che le scorrazza attorno?”
“Oh, sì che ne siamo certi.”
“Che vuoi dire?”
“Beh, perché se nonna non ti parla sabato non ci sarà nessun'altra occasione per farlo. Il giorno dopo parte presto per un viaggio d'affari e tu torni in Germania tra due settimane. Te lo detto, non avrebbe altra occasione.”
“E tu come fai a saperlo?”
“Ho origliato per sbaglio una telefonata tra mia madre e la nonna prima che tu arrivassi a New York.”
“Al solito. Sei sempre nel posto giusto al momento giusto.”
“Dipende dai punti di vista. Ma intanto fammi finire...” le fece segno con il dito di tacere, così da permettergli di proseguire. Lyric intanto rifletté.
Effettivamente suo cugino aveva ragione. Se era in programma un viaggio d'affari sua nonna non avrebbe cambiato i suoi piani. Cassandra doveva aver convenuto che quello che voleva dirle avrebbe necessitato di poco per essere esposto. Beh, non le interessava. Se voleva agire in quel modo allora non avrebbe fatto proteste, si era aspettata di peggio.
“Allora...visto che l'ultima volta che hai discusso con la nonna di qualcosa di serio hai tirato su un pandemonio.”
“Io non ho mai fatto niente del genere.”
“Volevo dire che quando parli con la nonna di solito diventi abbastanza intrattabile.” Lyric accettò la correzione, infatti aveva ragione, le poche volte in cui aveva parlato con sua nonna ne era sempre uscita distrutta.
“Quindi per affrontare il dialogo che avrai con lei dobbiamo fare tutto il possibile per farti arrivare a quel momento senza stressarti.”
“E questo cosa c'entrerebbe con il colore del mio vestito?”
“Fammi finire... allora, se tu avessi indossato qualcosa dello stesso tono dell'abito di Didi, lei si sarebbe molto arrabbiata e sai quanto me che tra di voi non è mai scorso buon sangue. Se ti avesse visto con qualcosa di lontanamente simile a quello che indossava lei ti avrebbe fatto passare la serata a suon di frecciate velenose e colpi bassi. Naturalmente questo non avrebbe aiutato la tua mente a stare tranquilla e saresti arrivata al momento della discussione già irritata.”
Lyric sbatté le palpebre per qualche istante, cercando di rimuginare sulla spiegazione appena ricevuta. Dopo essere stata certa di aver capito bene si piegò in avanti, in preda alle convulsioni.
Rideva.
“O santo cielo!” esclamò con una mano sulla bocca e gli occhi strizzati dalla ilarità “È una delle cose più contorte che mi abbiano mai detto. Comunque suppongo che ci sia qualcosa di sensato in tutto questo anche se...non ne sono certa.” Alphonse la guardò mentre rideva, con un sorriso sul viso che ricambiava la reazione.
“Comunque grazie.” le disse Lyric dopo un poco, asciugandosi poi le lacrime impigliate tra le ciglia.
“Di niente. Sto solo cercando di ripagare il mio pegno. Sai, tento di essere un uomo maturo.”
Una cosa che le era sempre piaciuta in suo cugino era la sua capacità nel mostrarsi in quel modo.
Era l'espressione che gli si addiceva di più.
Molto tenera.
Semplicemente dolce.
Il volto buono della sua anima allo scoperto.

***



“Guarda che non sono stato io a sbagliare l'accordo. Sei stato tu!” Tom l'accusò senza riserve di tutti gli sbagli commessi durante la prova strumentale di dieci minuti prima.
Georg, come da copione, lo accusò a sua volta di essere lui la fonte di ogni errore. Come al solito quando si trattava di arrangiare un pezzo e qualcosa andava storto si davano contro avvicenda, solo per avere qualcuno contro cui prendersela.
La cosa insolita era che, la prima persona che si lamentava se c'era stato un presunto sbaglio, non era in stanza a rompere i coglioni.
Bill era corso fuori dalla sala prove appena avevano finito la penosa esecuzione della canzone, lasciando litigare il chitarrista e il basista della band mentre il batterista sistemava i piatti del suo strumento. Classico pomeriggio di un gruppo rock allo sbaraglio se non fosse stato che tutti erano più o meno tesi per l'eminente incontro che avrebbero avuto con la Sony.
Finalmente, dopo mesi di lavoro estenuante, una grossa casa discografica aveva palesato il suo interesse ai manager dei ragazzi e aveva espresso il desiderio di metterli alla prova di persona. Se ogni cosa fosse andata liscia avrebbero avuto un contratto da lì a un mese.
Questo difatti infervorava gli animi e faceva salire la tensione alle stelle. L'unico che manteneva un aspetto apparentemente calmo e per nulla turbato era Gustav, gli altri tre invece, erano come gatti indiavolati sul punto di graffiarsi tra di loro.
“Senti testa di minchia, taci per favore che stai dando aria a quella cazzo di fogna!” Georg si sedette su una sedia e cominciò a trafficare con le corde della sua Sandberg, alla ricerca di quella non accordata.
“Merda! Va a farti fottere coglione! Sei davvero irritante quando pretendi di avere ragione ad ogni costo!” Tom alzò ancora di più la voce, cominciando a camminare intorno alla stanza, la fronte il più possibile corrugata dallo stress.
Gustav rivolse ad entrambi un'occhiatina di biasimo con la coda dell'occhio, scuotendo la testa. Non sarebbero riusciti neanche morti a darsi una calmata. Cavoli loro se poi, per colpa del casino che facevano, non fosse riuscito a trovare lo spirito giusto per eseguire alla perfezione i suoi esercizi alla batteria.
Avrebbero poi visto chi si sarebbe incazzato veramente in quella stanza.
In quella nebbia di giovani menti visibilmente stressate e al limite di una crisi di nervi, un cellulare si mise a suonare richiamando dal loro mondo le tre creature. Si guardarono subito nelle ballotte degli occhi per sapere chi di loro si doveva incolpare per quel rumore inaccettabile in un momento così delicato.
A quanto pare l'imputato del crimine era l'unica persona assente.
Tom si mosse alla ricerca dell'aggeggio infernale, sbuffando come un bufalo selvatico. Quando finalmente lo trovò che vibrava dentro lo zaino del fratello, con l'eleganza di un'intera squadra di giocatori di football, lo estrasse fuori. Poi diede un calcio al borsone, facendolo schiantare contro la gamba di un tavolino.
“Il deficiente non è qui a rompere, chi cazzo lo desidera?” Rispose in modo educato.
Dall'altro capo del telefono una voce maschile disse qualcosa di incomprensibile, in un'altra lingua, poteva darsi. Qualcuno, quello che doveva tenere la cornetta, rispose alla prima voce “Alphonse, shut up!”
“Lyric?” domandò il rasta per essere certo di non sbagliarsi. Una tipa che sgridava qualcuno in inglese, con quella voce femminile inconfondibile, non poteva essere che lei.
“Oh, ciao Tom! Sì, sono io. Ma va tutto bene là dentro? Mi sembri piuttosto alterato in questo momento.” Almeno lei, da quello che sentiva, era allegra. La vacanza negli States stava andando per forza a gonfie vele.
Tom mugolò un lamento “Alterato è il minimo che si possa dire! Sono così girato di coglioni che pesterei il primo stronzo che mi capita a tiro. Se mi provocassero comincerei a menare le mani.” nel dire questo Georg si lasciò scappare un sorriso sbilenco, Tom era molto serio riguardo a quello che aveva appena detto, per questo trovava divertente il pensiero di qualcuno così stupido da non capire che non era l'aria giusta per rivolgergli la parola.
Ovviamente la cosa non lo preoccupava, dopo tutto anche se incazzato rimaneva un quattordicenne un po' mingherlino, desideroso più che altro di compierne quindici il settembre venturo. Era una minaccia solo per la sua santa pazienza.
“Tom, prendi un bel respiro per favore? Quando cominci a parlare in modo così sboccato mi diverti, certo, ma ti preferisco quando sei meno volgare. Devi proprio essere preoccupato per l'incontro di domenica se hai cominciato a sclerare come Bill.”
Per qualche infinitesimo di secondo apprezzò la battuta riferita all'altro Kaulitz, tanto che si rischiarò in volto, ma sentendo di nuovo quella cosa che sarebbe accaduta presto gli ritornò subito il crampo all'intestino.
“Sì, signora. Ora cerco di darmi un contegno.” scherzò lui chiudendo gli occhi mentre si lasciava cadere, come un vero e proprio peso morto, su un divanetto che si trovava nella stanza.
Sentì Lyric ridacchiare lievemente “Allora, come va lì signorini Tokio Hotel?”
Tom se la immaginò gongolare sorniona nel pronunciare quel nome.
Fin da quando aveva saputo del nuovo titolo che avevano scelto per la band non c'era stata una sola volta che Lyric non avesse espresso la sua opinione al riguardo. C'era stata anche un'occasione in cui lui e Bill avevano dovuto prenderla a cuscinate per farle smettere di scherzarci sopra così spudoratamente.
Sotto, sotto però quel nomignolo campato per aria le piaceva.
“Aaaaaa...” brontolò lui in modo acuto, rimbalzando con il corpo sull'intera superficie del divano, l'immagine stessa di una presenza distrutta fisicamente e mentalmente “Tu non ci crederai ma i grandiosi Tokio Hotel si stanno cagando in mano.”
“Non è vero, non parlare per tutti quanti.” lo corresse Georg che con un orecchio ascoltava le risposte del chitarrista mentre con l'altro si concentrava per mettere apposto l'amplificatore del suo basso.
“Sì, ha ragione Georg. L'unico che si caga addosso è lui, noi altri siamo solo su di giri.”
“Fottiti Tom!”
“Altrettanto Hagen!”
Tom la sentì ridere nuovamente. Trovava da tempo che quel tipo di umore si addiceva a Lyric molto più che la tetra tristezza. Restò in ascolto con le labbra tirate in un'espressione già più serena di prima, ancora stanca, ma meno tesa.
“Non stento a credere che abbiate paura. Ma sono piuttosto fiduciosa nella vostre possibilità e nel vostro talento. Inoltre se non andrà bene con questa casa discografica ce ne saranno altre pronte a prendere al volo l'occasione. Poi, come sempre, vi farete un mazzo per riuscire in quello che vi siete prefissati e l'otterrete.”
Tipico di lei fare un discorso contorto e lunghissimo per augurare buona fortuna al gruppo. Sinceramente non capiva come facesse a sapere tutti quei termini.
“Sento che hai molta fiducia nel nostro brillante destino.”
“Finché ci credete voi, io non smetterò certo di sostenervi e comunque cosa sono queste lagne? Non vorrai dirmi che hai bisogno del sostegno morale di qualcuno per andare avanti?”
Tom ridacchiò, portandosi una mano sugli occhi per massaggiarseli e togliersi la stanchezza che gli stava incollata addosso.
“Se è il tuo non è che ci dispiace. Comunque non farti strane idee, non mi sto affatto lagnando. Ti esponevo solo la situazione.”
“Certo, certo. Se è così non perdere tempo e lavora.”
“Guarda che ad aver interrotto sei stata tu. Io ho fatto la gentilezza a Bill di rispondere ad una sua chiamata.”
“Se quella di prima vogliamo chiamarla gentilezza allora dovremmo anche ammettere che tu piaci veramente alle ragazze.”
“Le ragazze mi adorano.”
“Sese, credici.” dissero due voci, una era Lyric mentre l'altra apparteneva a Georg che lo stava guardando in modo scettico. Tom gli fece segno di tacere se non voleva ricevere una scarpa volante in fronte.
“Quando sarò circondato da un nugolo di grupies ogni sera ti verrò poi a dire che avevo ragione io.” ribatté sentendo però su di sé lo guardo di scherno di Georg. Girandosi lo vide indicare se stesso e mimare “Quello sarò io, non tu.”
“Sogna pure segaiolo!” fu la risposta immediata del rasta. Al che si sentì Gustav ridere dall'angolo che divideva con la sua batteria.
“Scusa se disturbo il tuo intelligentissimo dialogo con Georg ma sai se Bill torna presto?” ovviamente doveva aver chiamato perché voleva parlare con suo fratello, si era scordato che quello che teneva in mano era il suo cellulare.
“Non lo so. Non so nemmeno dove sia sparito, forse è andato al cesso o a prendersi qualcosa al bar di sotto, non ne ho idea.”
“Capisco...” la pensò riflettere se rimanere in linea ed aspettare chissà quanto che tornasse oppure mettere giù e richiamare, forse, il giorno dopo.
Tom dal profondo del suo affetto per Bill disse “Potresti aspettare in linea? Bill sta sbandando fuori dalla carreggiata e credo che se non gli fai un discorsetto sullo stare calmo arriverà all'incontro con i peli rizzati.”
“Ma non riesci a farlo ragionare?”
“Ti ricordo che sono più o meno nella stessa situazione, non sarei d'aiuto. Inoltre se continua così finisce che lo affogo in una vasca.”
Era una mezza bugia. Avrebbe potuto lasciarlo sbollire da solo, in questioni di tipo professionale Bill riusciva a trovare la forza di riprendere lucidità al momento giusto e questo lo sapeva anche Lyirc. Ma Tom sperava di far leva sull'incapacità dell'amica di lasciare in balia dello stress quel rimbambito del gemello.
E poi Bill aveva bisogno di sentirla.
Si leggeva lontano un miglio che lo scemo bramava di ascoltare la voce di Lyric.
Se ne erano accorti persino i mattoni che a lui mancava, anche se cercava in tutti i modi di dissimulare.
E per dirla tutta lo faceva di merda.
“Non è che non voglia aspettarlo. È solo che non vorrei rubarvi del tempo. Mi preoccupa interferire con il vostro lavoro.”
Tom sbuffò, gli venne in mente quel proverbio famoso “Dio li fa e loro si accoppiano.” e convenne che c'era un fondo di verità. Quei due tonti ci avrebbero messo una vita prima di concludere qualcosa, era quasi palese che ci sarebbero girati attorno un'eternità.
Di fronte a cose del genere si chiedeva per quale motivo alla fine si preoccupasse tanto.
Lo percepì molto chiaramente, quel cercare di trattenersi da parte di lei, come a provare a non dimostrare che tutto quello che riguardava Bill era al centro di ogni sua più piccola attenzione.
Forse non se ne rendeva neanche conto.
Come pensava erano una coppia di salami.
“Non dire cavolate, per piacere. Dico sul serio, se non ci parli io arriverò ad ammazzarlo per farlo stare zitto una volta per tutte, quindi se non vuoi avere sulla coscienza un omicidio resta attaccata a quel telefono.”
“Thanks Tom.” Lyric lo ringraziò con dolcezza.
“Massì! Io infondo sono una specie di fata turchina.”
“Eh? Ed adesso che stai dicendo?” Georg alzò uno dei suoi indici e lo portò alla tempia, facendolo poi ticchettare contro di essa. Stava dando del mentecatto a Tom.
Come annunciato dal precedente avviso una scarpa del rasta centrò rapidamente il cranio del basista, così che la giustizia si compisse come il cielo comandava.
Gustav, sapendo bene come sarebbe andata a finire da lì a poco, prese in mano la situazione: tolse dalle mani del Kaulitz il cellulare di Bill, così da permettere a Georg di saltare addosso a Tom per suonargliele, impedendo a Lyric di sentire anche solo una singola idiozia che sarebbe uscita fuori.
“Tom?”
“Ciao, Lyric.” lo salutò il biondino sedendosi sulla sedia dietro alla sua batteria, sapendo perfettamente che sarebbe stato protetto da ogni evenienza, poiché i due litiganti sapevano che se avessero toccato anche un solo pezzo del suo strumento, lui li avrebbe uccisi a sangue freddo.
“Oh, ciao Gustav. Mi spieghi cosa è successo?”
“Ordinaria amministrazione: Georg ha preso in giro Tom, questi ha lanciato in testa all'altro una delle sue scarpe e per vendetta l'hobbit sta cercando di massacrarlo di botte.” lo disse con la stessa naturalezza di un inglese che discorre serenamente del tempo.
Per questa ragione Lyric scoppiò a ridere. Era certa che anche in futuro quei quattro sarebbero stati sempre una compagnia di comici.
Mentre Gustav e Lyric si lanciavano in un discorso sulle ultime interessanti novità musicali che lei aveva scovato in madre patria, Tom e Georg avevano fatto qualche scena idiota, rotolando sul pavimento in una specie di insensata e orripilante danza di corpi.
Dopo qualche minuto che Listing lo teneva bloccato contro il suolo Tom decise di cedere l'armistizio.
“Ti arrendi?” chiese Georg mentre sovrastava il rasta con tutto il corpo.
“Sì,sì, va bene! Ora lasciami andare! Il tuo peso mi sta rompendo la schiena!” di fronte alle ultime suppliche lo lasciò andare e poi alzò i pugni verso il cielo in segno di vittoria, ridendo con la sua solita verve.
Tom si sedette per terra, appoggiandosi contro il divano “Questa te la farò pagare, Moritz.”
“Quando vuoi scopettone, ti batto quando mi pare.” il rasta gli alzò un dito medio con la smorfia più carina che al momento gli poteva uscire dal volto. Georg ricambiò con un sorrisone da spaccone.
Tempo qualche minuto di silenzio, in cui entrambi riprendevano le forze, e si erano già dimenticati del perché avessero cominciato a fare la mini-rissa.
Il basista guardò in modo pensieroso Gustav, al momento impegnato a intrattenere Lyric, e poi si voltò verso Tom con le pupille verdi impegnate in una domanda.
“Che c'è?” chiese Tom non capendo cosa fosse quell'occhiata indagatrice.
“Ma...senti...” disse piano Georg avvicinandosi al chitarrista con fare da cospiratore “...quei due come stanno messi?”
Lo aveva già detto, persino le pietre inanimate se ne erano accorte, persino Georg era a conoscenza della cosa, chi altro avrebbe dovuto aprire gli occhi?
Solo due persone, i diretti interessati ovviamente.
“Di merda. Proprio di merda.” fu la risposta che si sentì di dare Tom.
“Ah! Allora non era una mia impressione...” il fatto stesso che Georg Listing per una volta esponesse ciò che capiva da una certa situazione significava che la cosa era ormai del tutto smascherata ed impossibile da fraintendere. Ci mancava solo che Gustav dicesse che l'aveva capito anche lui e i giochi erano finiti.
No return to back.
Capolinea.
Finito.
Era così e basta.
Dovevano solo muoversi.
“Che idioti…”
“Voglio dire, non credevo che sarebbero arrivati a questo punto senza aver concluso ancora niente. È come se ignorassero deliberatamente la gigantesca insegna luminescente che scatta ogni cinque secondi sopra le loro teste...”
Metafora azzeccata pensò Tom, anche se sotto, sotto alla fine non era pronto per affrontare il momento in cui si sarebbero finalmente avvicinati in quel modo, ufficialmente, in pubblico.
“Che vuoi che ti dica. Sono così incomprensibili ai miei occhi. Ma non possono semplicemente saltarsi addosso e farla finita?”
Georg gli mise una mano sulla spalla, come a compatirlo “Tom, mio caro, sciocco Tom. Quando si tratta dell'amore non è mai così semplice. Lascia fare come vogliano, noi continueremo a fare finta di non sapere un tubo. Dei finti tonti, come le brave fate madrine devono essere, così da compiere le magie all'insaputa della principessa.”
La porta si aprì violentemente facendo sobbalzare i due ragazzi seduti a terra. Gustav invece si voltò, calmo, per vedere chi fosse.
Bill era tornato ed in mano teneva una lattina di red-bull, ecco dov'era andato a finire.
“Finalmente sei tornata principessa!” dissero in coro Tom e Georg indicandolo.
Gustav rise “È entrato Bill.”
Il nuovo arrivato li squadrò arcigno e sorrise in un modo inquietante. Si portò la lattina alla bocca finendone il contenuto, prima di lanciarla contro le teste dei due cretini che lo avevano chiamato in quel modo “CHI SAREBBE LA PRINCIPESSA?!” crepitò con voce acuta e alterata.
Evidentemente il lungo giro che aveva fatto per comprarsi la bibita non doveva essere servito a molto. Era più incazzato di prima.
Gustav sospirò, rassicurando Lyric per il rumore spaventoso appena udito “È solo Bill che sta per uccidere gli altri due...”
“Invece di starvene lì a pomiciare come due piccioni in calore potreste alzare i vostri didietri e prendere in mano gli strumenti. Sapete avete fatto letteralmente SCHIFO prima!”
No, decisamente era più che alterato.
Era stato un puro caso che se ne fosse andato senza lamentarsi, forse, aveva fatto loro un piacere ad uscire prima che potessero fiatare. Quasi di certo se fosse rimasto li avrebbe devastati a forza di acuti.
Tom e Georg erano imbambolati, incapaci di decidere se era meglio scontrarsi contro di lui con la stessa violenza ( e in quel caso avrebbero ottenuto solo di radere al suolo quella sala insonorizzata) oppure non ribattere per evitare di dover commettere un assassinio.
Come prima ci pensò Gustav a risolvere la situazione “Bill, Lyric ti stava aspettando al telefono da un po', tieni.”
Quando disse la parolina magica il viso di Bill cambiò espressione in un nanosecondo contato, dalla pura estasi del furore passò allo sbigottimento e subito dopo all'incontrollabile attesa. Strappò di mano il cellulare a Gustav con una velocità degna di un felino.
Era un'altra persona, come se non stesse aspettando altro da un giorno intero.
Gli occhi sprizzavano una gioia incalcolabile.
“Lyric...” sussurrò una volta ottenuto il telefono, quasi in devozione.
Era partito, senza via di ritorno.
Andato, caput.
Con la velocità con cui era comparso Bill si dileguò dalla stanza, richiudendo la porta che prima aveva aperto con un calcio. Completamente assorbito dalla chiamata.
“È del tutto fuso.” Pensarono contemporaneamente tre menti, che solitamente non viaggiavano in nessun modo sulla stessa lunghezza d’onda.
Una volta uscito la coppia di scemi ancora seduti per terra si voltarono verso il batterista e dissero “Dankeshon Gustav.”
“Di niente.” fu la sua semplice risposta “Se vi avesse ucciso la band sarebbe stata formata solo da lui e da me e questa sarebbe stata una vera tragedia. Per la disperazione vi avrei raggiunto quasi subito tra la schiera dei morti.”
Sicuramente la chiamata sarebbe durata quel che bastava per andare a bersi qualcosa, per questo i due alla fine si alzarono, riprendendo un certo ordine prima di scendere giù al bar.
“Gustav, vuoi venire anche tu?” chiese Tom sistemandosi la coda dei rasta che si era allentata.
“Uhm, va bene. Ho una certa sete.” accettò il biondo, sistemando da una parte le sue bacchette “Comunque io penso che siano abbastanza comprensibili quei due...” se ne uscì il ragazzo senza preavviso.
Georg e Tom lo guardarono perplessi.
“Stai parlando di Bill e Lyric?” Chiese mister grandi occhi verdi.
Gustav annuì. Era rimasto in ascolto, con il suo fine orecchio, di quella conversazione.
“Vedete la cosa è molto semplice.” Iniziò ad esporre la sua analisi sulla situazione
“Da una parte c'è Bill, così palesemente attratto da lei, che non si decide perché non sa se verrà ricambiato, e sapete quanto alto sia il livello dell'orgoglio di quel ragazzo, detesterebbe un rifiuto, soprattutto dopo aver scoperto i suoi sentimenti davanti ad una persona così importante come è Lyric per lui. Inoltre credo che sia piuttosto intimorito dalla portata della posizione sociale di lei, non tanto perché non si ritiene all'altezza, a lui certe cose non gliene frega niente, ma perché teme di essere incompatibile con il tipo di cultura ed educazione che Lyric ha ricevuto fin da piccola. Crede che se lei starà mai con lui, poi Lyric riceverà critiche per la scelta fatta. Senza contare poi che se diventassero qualcosa di più la loro amicizia potrebbe cambiare e non è certo che la situazione debba per forza migliore in questo senso.”
Fece una pausa per riprendere fiato mentre Tom e Georg rimanevano imbambolati a fissarlo piuttosto stupiti. Spiegata in quel modo sembrava quadrare ogni cosa.
“Poi c'è Lyric: ha appena passato un anno travagliato e difficile, in cui ha ritrovato da poco una certa serenità. Secondo me per lei Bill è già qualcuno di veramente importante, la prima persona nella lista per cui donerebbe volentieri il proprio cuore se fosse necessario. Ma non riesce a inquadrare i suoi sentimenti, non ci riesce perché forse non è ancora pronta per affrontarli. Se lo facesse significherebbe per lei mettersi in gioco. Esporsi completamente e stringere un legame dal significato troppo importante. Però credo che ultimamente se ne sia accorta in modo indiretto. Tenete poi conto che quei due hanno un approccio verso l'amore molto diverso da come lo concepite voi, loro non pensano che il fine ultimo sia semplicemente lanciarsi su di un letto e trombare come conigli.”
Finita la lezioncina da parte di Gustav gli altri due sembravano avere una faccia oltremodo sconvolta, erano piuttosto sconcertati che quei due avessero tutti quegli intrippi mentali.
Vedendoli con quelle facce ammutolite il batterista non riuscì a trattenersi dal fare una battuta “Non preoccupatevi, era scontato che l’unico cervello pensante di questo gruppo fosse il mio. Non ho mai preteso molto dalle vostre menti poco brillanti.”
Dopo di che uscì velocemente dalla stanza, correndo. Da lì a pochi secondi, infatti, sarebbe stato inseguito dagli altri due componenti della band, che avrebbero avuto il chiaro intento di fargli passare l’ironia.


***



Cristallo e seta cangiante.
Luci brillanti e adornamenti d'argento.
Fiori eleganti e profumati, musica classica che viaggiava nell'etere.
Per festeggiare l'anniversario della fondazione della società, la vasta distesa della sala da ballo di villa Silver-Dust era stata preparata con minuziosa cura per ricevere un evento più unico che raro.
Più di un centinaio di tavoli, altrettanti camerieri che avrebbero servito ai suddetti, uno squadrone di cuochi nelle cucine dell'immensa dimora, più inoltre un complesso orchestrale affittato direttamente dal più importante teatro della città. Ogni cosa aveva il suo posto e la sua ragione.
Ogni più piccolo dettaglio era stato controllato e ricontrollato più volte.
La perfezione era il marchio di sua nonna Cassandra.
Quasi si era scordata quanta imponenza poteva scaturire una cena di gala all'interno di quella villa fuori misura. Avrebbe dovuto ritenersi fortunata che a certi eventi avesse già partecipato, poiché se non avesse avuto un'esperienza passata non avrebbe potuto reggere il grondare quasi estenuante di tutto quel lusso. Le persone normali si sarebbero sentite così piccole ed insignificanti dinnanzi a quello spettacolo di astri splendenti.
Le sfuggiva a volte che quello era anche il suo mondo.
Lyric chiuse la piccola pocchette di velluto pervinca con un colpo secco e poi osservò la grande scalinata dell’ingresso, constatando che la villa non aveva perso il suo eterno fascino. Era come se il tempo, tra quelle pietre, non trovasse un appiglio per svolgere la sua funzione di corrosione.
Era un luogo all’apparenza immutabile.
Non si trattenne nel portare una mano sul cuore per controllare che non fosse scappato per qualche motivo. No, c’era. Batteva.
Salì le scale di pietra rosata, per poi trovarsi nella grande anticamera del piano terra, attorno a lei c’erano già un mucchio di persone che chiacchieravano animatamente.
In lontananza vide la testa di suo zio Victor che si avvicinava a salutare un gruppetto di uomini in smoking. Non aveva avuto tempo di accompagnarla di persona, come sempre era il secondo uomo più impegnato della casa. Era già stato bravo a dedicarle due settimane intere quindi non si era aspettata di più da una persona talmente occupata.
Dopo aver dato un colpetto alla grinza inesistente sull'ampia gonna dell'abito madreperlato, s’incamminò decisa verso il grande portone della sala in cui si sarebbe tenuto il ricevimento. Il passo cadenzato dei suoi tacchi a virgola si perse tra le voci dell’ampio corridoio e in pochi minuti superò speditamente il gruppo di persone che camminava nella sua stessa direzione.
Prima di poter giungere a varcare la soglia una mano la prese per il gomito, voltandola.
Si ritrovò davanti il cugino Alphonse, vestito nel suo elegantissimo e costosissimo completo scuro di Paul Smith (capo che non era ancora in vendita al pubblico, per la cronaca).
“Dove stai andando così di fretta? Guarda che non c'è bisogno di correre così allegramente verso il patibolo.” Nel dirlo si stava sistemando con una certa apprensione il nodo della cravatta. Tra i due era visibilmente il più teso.
“L’unico che in questo momento pensa ad un’esecuzione capitale sei tu, io a dir la verità sono calmissima.” Il cugino la guardò male, stringendo in una smorfia uno dei suoi labbri.
Lyric, vedendo l’improvvisa incapacità del suo interlocutore nell’annodare quel pezzo di stoffa, gli tolse le mani dalla cravatta e si prese l’impegno di fargli un nodo decente senza strozzarlo (come invece Allie stava facendo).
“Mi spieghi che ti prende? È solo un cena, nient’altro. Ne abbiamo già attraversati tanti di eventi del genere.”
Il biondo sbuffò, abbassando il petto in modo quasi esausto. Lo sguardo era un po’ tetro.
“Lo so, ma questa è la prima volta che rivedi tutti quanti. Per come sono messi i nostri rapporti famigliari è possibile che questa sera salti qualche testa.”
“Stai scherzando, vero? Ad un evento pubblico di questa portata, come di regola, si comporteranno tutti nel più perfetto dei modi. Inoltre gliene importa poco della mia presenza.” Lyric accarezzò la seta nera della cravatta di Allie, per lisciargliela, prima di convenire che il nodo le era venuto bene.
Le persone intanto li sorpassavano senza degnarli di uno sguardo, tutti esultanti per ciò che brillava attorno a loro, meravigliati per la grandiosità della villa.
Loro due invece a tutto questo ci avevano fato il callo fin dall’infanzia. Da bambini, quando erano solo una coppia di mocciosi infantili e senza grattacapi per la testa, si erano divertiti un mondo a giocare a nascondino tra le colonne imponenti di quei corridoi labirintici.
Purtroppo, molto presto nella loro infanzia, avevano dovuto fare i conti con la posizione in cui erano nati. Erano dovuti crescere in fretta per non essere divorati.
Allie spostò la testa da destra a sinistra, controllando che nessuno di sospetto fosse all’ascolto, poi prese ancora una volta il braccio di sua cugina e la trascinò in pochi secondi in un anfratto buio, sotto a delle rampe di scale.
Le prese le spalle e la inchiodò con uno sguardo molto serio “ Qualunque cosa la nonna voglia dirti devi promettermi che non ci darai più peso di quello che devi.”
Lyric prese le mani di suo cugino tra le sue e gliele strinse per rassicurarlo “Mi spieghi per quale ragione sei diventato così apprensivo? Un tempo non era così, se ti ricordi bene. Eri tu quello che offriva sempre il braccio se traballavo.”
“Guarda, che tra noi due, sei tu quella è cambiata. Io sono sempre il solito inetto che annaspa dentro ad un bicchiere di vino bianco.” La sua voce tradiva pena.
Alphonse aveva l’animo sospeso nell’ansia di veder appagato un suo desiderio.
Ciò che voleva era essere perdonato, aspirava a cancellare le sue colpe. Se non ci fosse riuscito gli occhi accusatori di zia Eleonor lo avrebbero tormentato fino alla fine della sua sciocca vita.
“Sono molto preoccupato. In modo quasi spaventoso.” Si morse il labbro inferiore in un tic nervoso “Perché la nonna è sempre riuscita a fare il bello e il cattivo tempo con tutti noi. Nessuno sembra essere immune dal magnetismo che esercita sulla nostra stabilità, è così pesante da sopportare.”
Il cugino le prese il viso tra le mani morbide e unì le loro fronti.
Lyric si sorprese perché era un gesto così umano, così fragile. Lui non dimostrava mai così apertamente il suo affetto, come lei, si conteneva.
“Ma ora tu sei libera. Sei libera dalla nostra prigione d’argento e cristallo, non sei più costretta ad affondare con tutti noi. Lo penso io, lo pensa zio Vikki e sotto, sotto lo pensi anche tu.” Stava cercando di dirle qualcosa, lo capiva dall’intensità con cui era velato il suo azzurro “Quindi non permetterle di ricacciarti nella fossa. Anche se ti ferirà oppure ti colpirà duramente, non cedere e…”
Lyric rise “Alphonse, credi davvero che dopo tutto ciò che ho passato abbia ancora intenzione di farmi mettere i piedi in testa?” si separò dal cugino “Allora, vorresti spiegarmi cosa ti frulla nella testa per fare certi discorsi?”
Se avesse dichiarato di sentirsi in colpa per averla abbandonata nel momento del bisogno l’anno prima, che risposta avrebbe ricevuto?
“Pentimento” confessò con una vocina sottile e bassa, quasi troppo fievole.
“Allora, in qualche modo hai maturato un briciolo di sensibilità.” E così era questo ciò che lo tormentava maggiormente. Lyric si sentì particolarmente commossa.
Era piuttosto dolce il modo impacciato con cui le stava chiedendo scusa.
“Quindi i miracoli possono accadere…mi sembrava che ti stessi impegnando molto per riallacciare i nostri rapporti.”
“Non scherzare ti prego, già sono teso per quello che potrebbe accadere e comunque anche se non ricevessi il tuo perdono voglio almeno farti tornare in Germania così come sei arrivata….”
Bloccò la valanga delle sue parole mettendogli la mano sulla bocca “Allie, sul serio: stai tranquillo. Andrà tutto bene.” Poteva bastare, non c’era bisogno che si torturasse così tanto.
“Ma…ma…” balbettò il cugino.
Lyric scosse la testa da destra a sinistra “Niente ma. Ora porgimi il tuo braccio e accompagnami in sala. Abbiamo una cena a cui presenziare, ricordi?”
Prima di fare quello che aveva comandato Lyric si avvinghiò a lui in un rapido abbraccio “Inoltre, non c’è bisogno del mio perdono. Non ne hai mai avuto bisogno.”
“Davvero?” domandò Alphonse con l’ansia che cominciava a scemare.
“Davvero.” Confermò lei ridendo.
Allie rise di rimando “Ribadisco il mio desiderio di qualche giorno fa: voglio conoscere Superman.”
“Poi mi spiegherai di cosa stai parlando.”
“Non, mon chou! Il cattivo e figo, sottolineiamo figo, non può rivelare i suoi piani di distruzione. Toglieremo suspense all’intera faccenda!”
Lyric lo lasciò libero dall’abbraccio, scuotendo la testa mentre lo prendeva a braccetto. Neanche dopo cinquant’anni avrebbe mai capito come riuscisse a passare dall’estremamente serio al completamente idiota in così poco tempo.
Tanto valeva accettarlo bacato così come era.

****

Meine augen schaun mich an und finden keinen trost
Ich kann mich nich’ mehr mit anseh’n-bin ichlos
Alles was hier mal war - kann ich nich’ mehr in mir finden
Alles weg- wie im wahn
Ich seh mich immer mehr verschwinden...



Lyric canticchiò le parole pronunciandole appena dalle labbra mentre la luce bluastra della luna la illuminava.
Sfiorò la superficie un po’ fredda delle grandi vetrate di vetro che aveva di fronte, soprapensiero.
Era lontana, in una dimensione in cui la sua psiche l’aveva trascinata senza preavviso e senza ragione.
Chiuse gli occhi, facendosi trasportare dalla musica che riecheggiava come in un sogno dentro la sua testa, provando un desiderio immediato di trovarsi dove si trovavano loro.
Di essere dove era lui.
Cercò poi negli angoli della sua mente la sua voce e un sospiro di soddisfazione rimbombò nel silenzio quando riuscì finalmente a catturarla dai ricordi.

Ich bin nich’ich wenn du nich’ bei mir bist - bin ich allein
Und das was jetz noch von mir übrig ist- will ich nich’sein
Drauβen hängt der himmel schief
Und an der wand dein abschiedsbrief
Ich bin nich’ich wenn du nich’bei mir bist - bin ich allein...



“Dove sei?”

Io sono qui quando invece vorrei esserti accanto.
“Cosa stai facendo?”
“Sono nei tuoi pensieri come tu lo sei nei miei?”
Spero di sì. Perché, se no, sarei l’unica pazza tra noi due.
“Lo sai che mi manchi? Questo vuoto è peggio di una asfissia.”
Aprì di scatto le palpebre, diventando immobile.
Si portò le dita sulle labbra morbide e sentì il tremore che le stava facendo agitare.
La mano poi scese, fino ad arrivare all’altezza del petto e lì vi rimase: il cuore stava gridando.
“Quindi?”
“Quindi…non è il momento dei quindi. Non è proprio l’occasione per quel quindi.” Rispose ad alta voce prendendo ispirazione dalla parte razionale di se stessa o forse era quella codarda.
“Prima o poi quel quindi dovrai per forza affrontarlo. Già il fatto di ammetterne l’esistenza significa…”
“Non ora.” Zittì la vocina della sua coscienza.
Si girò alle sua spalle perché aveva sentito qualcuno aprire la porta e in un attimo si ritrovò a guardare la figura eretta e salda di sua nonna.
“Non ora…” ripeté a se stessa con vigore.
“Prima devo affrontare lei…pronta bestiolina nera? È il momento di addormentarsi.” Parlò alla sua antica paura, quella che le aveva condizionato la vita dopo la morte di sua madre, quella che era decisa a sconfiggere.
Bill l’avrebbe perdonata se per poco lasciava da parte quei pensieri. Del resto, dopo, si sarebbe lasciata sconvolgere dal loro peso come era inevitabile che fosse.
Quasi sorrise per quella riflessione così semplicistica, in verità, quei pensieri avrebbero cambiato la dimensione stessa dell’universo. Presumendo che il suo cosmo non fosse già tutto sconquassato da tempo, cosa assai più probabile.
“E comunque, se dovesse andarti male, potrai sempre tornare da me. Non avrò problemi nel ricominciare la terapia di risanamento psico-fisico alla Kaulitz.”
Come sempre Bill era lì, custodito in lei. Con lei.
Più che altro quel quindi sarebbe stato superfluo però Lyric non era il tipo da facilitarsi così tanto la vita.
Lei era autolesionista.
Almeno quanto lui ma nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso.
“Vai e dimostrale il tuo valore. Lo stesso che mostri sempre a me, ogni giorno.”
Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie…
Grazie di queste parole. Sono il mio sostegno, il mio coraggio.

Abbracciò quell’incoraggiamento e qualunque timore fosse nato nel suo animo smise di respirare in quell’istante.
“Buonasera, nonna.” Salutò la ragazza, spavalda e sicura per la prima volta dinnanzi a lei. Lyric si diresse con piccoli passi verso quella dama delle nevi che era Cassandra Alysei e prima che potesse capirlo sapeva già che sarebbe andato tutto bene.
Era chiaro, non poteva essere altrimenti.
Come il fatto che l’universo tende al disordine e le persone non smetteranno mai di compiere errori. Sua nonna aveva smesso di essere il suo personale buco nero, non era più la figura più spaventosa della sua vita.
Stringendole la mano poi capì anche di non averla mai odiata veramente, lei aveva sempre solo riflesso l’odio che l’era stato dimostrato. In verità, la reale Cassandra, la vedeva per la prima volta e in quel momento comprese perché zio Victor e sua madre non avevano mai avuto timore di lei.
Era una persona visibilmente stanca dell’esistenza e quasi provò compassione.
Di fronte a quella consapevolezza Lyric pensò che non gliene importava più niente di tutti gli anni di angoscia che aveva pianificato di rinfacciarle. Non dopo aver scrutato in quegli occhi blu ghiaccio una tristezza paragonabile a quella che l’aveva avvolta un anno prima.
Lei era già salva mentre sua nonna, forse, non lo sarebbe mai stata.
Come punizione bastava.
“Allora, sediamoci.” La donna le indicò impassibile le due poltrone posizionate una di fronte all’altra, affianco al camino spento.
Lyric annuì, calma e rilassata.
Si posizionò sulla grande poltrona di pelle e allo stesso tempo cercò di non distogliere lo sguardo dalla sua interlocutrice. Quando questa si sistemò a sua volta parve che fosse passata un’era.
Quel momento sarebbe stato il capolinea del suo passato, doveva essere naturale che ogni cosa apparisse più lenta del normale. Come in un rito solenne e rigido che aveva bisogno di tutto il tempo possibile per essere compiuto nella dovuta maniera.
“Bene, da cosa vogliamo cominciare?” domandò la nipote con un tono che suonava alle orecchie della nonna come assurdamente spensierato.
Per pochi battiti di ciglia Cassandra sentì che tutto era ormai cambiato.
Quella ragazzina di quindici anni, composta ed elegante in quell’abito madreperlato, non era più la nipote tremante che gridava quando di notte aveva gli incubi. Le occhiaie livide che avevano accompagnato i suoi occhi avevano fatto posto ad uno sguardo limpido, sicuro, vivo.
Osservandola così, dopo lungo tempo, le pareva di vederci la sua Eleonor quando aveva cominciato a conoscere la forza di cui disponeva.
“Adorabile, non pensi? Il fatto che il passato trovi sempre un modo per trovarti è assolutamente delizioso, comunque poiché non smetti di soffrire per i tuoi antichi sentimenti spero almeno che non calpesterai quelli giovani di chi ti sta attorno. Papà ti avrebbe rimproverato una cosa del genere.”
Victor aveva una terribile lingua biforcuta, avrebbe dovuto evitare di rivolgere alla sua stessa madre quel rimprovero tra le righe, dopotutto non era così mostruosa. Cassandra aveva già cambiato i suoi piani iniziali quando l’aveva vista arrivare al JFK di New York assieme alla sua parente tedesca. Spiandola senza che Lyric se ne accorgesse aveva potuto capire una cosa.
Dentro al suo cuore, Eleonor le chiese di non essere meschina.
Se lei non riusciva più ad essere felice che lasciasse che sua nipote lo fosse, perché provocare altro dolore non era il modo di salvarsi.
Era solo un altro anello della catena che la legava al fondo dell’oceano nero in cui si trovava, tutto qui.
L’idea di concederle la libertà assoluta l’aveva sfiorata quando Victor le aveva fatto il resoconto della missione in Germania. Quando infine aveva visto con i suoi stessi occhi la verità dei suoi racconti si era finalmente decisa.
Cassandra avrebbe voluto annientarla, solo perché si era dimostrata più forte di quanto lei era riuscita a fare. Per spegnere l’invidia di quella vita sanata mentre la sua continuava tragicamente a bruciare.
Ma anni passati accanto ad una persona meravigliosa come lo era stato suo marito le avevano insegnato cosa era giusto fare.
Questo sarebbe stato il primo ed ultimo regalo che avrebbe fatto a Lyric in quanto amorevole nonna.
Cassandra si era un po’ persa nei suoi ragionamenti, tanto che la nipote la fissava chiedendosi se non avesse avuto una paralisi improvvisa. Quando riprese coscienza della realtà l’anziana donna aveva già deciso di non seguire la scaletta che si era precedentemente costruita e per di più, una volta tanto, avrebbe messo da parte la sua rigidezza.
Se quello doveva essere il loro ultimo incontro che almeno le lasciasse il ricordo di una persona in grado di parlare con un minimo di sentimento.
“Avevo preparato una serie di cose ma ci ho ripensato.” Parlò infine la matrona, muovendo poi le labbra in una posa strana per lei.
Era forse una specie di sorriso quello che stava guardando? Era rattrappito e lieve ma era sempre un sorriso e poi aveva cambiato il modo di esprimersi, sembrava più rilassata.
“Vedi, avevo intenzione di terrorizzarti a morte. Minacciandoti nel modo che mi riesce tanto bene quando voglio torchiare qualcuno fino all’esasperazione. E credimi ci sarebbe stato da divertirsi se l’avessi fatto. Ma ho deciso che è il momento di smetterla con questi giochetti. Sei ormai una giovane donna e questo significa che ti devo trattare come conviene alla tua condizione.”
E così sua nonna stava mettendo a terra la spada, voleva trattare civilmente. Lyric sorrise raggiante.
“È una piacevole sorpresa.”
“Che cosa, cara?”
“La tua inconsueta benevolenza nei miei confronti.”
Cassandra ghignò furbescamente mentre prendeva una sigaretta dal contenitore d’argento che aveva sempre appresso. Come sempre era come osservare i gesti di una fata.
La nonna inspirò una boccata dal suo fumo preferito prima di ricominciare a parlare “Io sono sempre stata benevola con te, anche se non te ne sei mai accorta. Come in questo momento, lasciandoti frequentare quelle compagnie…”
Certo, Cassandra sarebbe stata buona ma questo non significava che avrebbe fatto digerire la pillola senza un po’ di amaro come contorno. Lyric non dovette neanche chiedere a cosa si riferisse, questo lo aveva previsto.
“Gli amici che ho in Germania non devono preoccuparti. Sono tutte persone rispettabili, se ti eri posta un dubbio per la reputazione del nostro buon nome, e poi mi sono d’aiuto più di quanto le compagnie da te preferite mi siano mai state.”
L’anziana signora inarcò il sopraciglio destro, stupida dall’audacia. Quindi sotto, sotto il gattino era una piccola tigre. Eleonor l’avrebbe definita una dote di famiglia.
“Prima di lasciarti continuare con il tuo discorso vorrei che mi lasciassi dire delle cose.” Cassandra le fece segno con la mano di proseguire.
Lyric era tornata solo per questa possibilità, la possibilità di spiegare l’evoluzione dei suoi pensieri “C’è stato un tempo in cui la tua considerazione era stata fondamentale. Bramavo avidamente di ottenere una tua attenzione, anche minima, anche per poco. C’è stato un tempo in cui volevo il tuo rispetto.”
“Ora è tutto passato?” domandò Cassandra spegnendo i resti della sigaretta in un posacenere.
“Sì.” Nel dirlo la guardò dritta nelle iridi.
Semplice ma vero, lei era già libera.
Non le sarebbe servito il suo permesso.
“Proprio perché cercavo un modo di essere amata da te non mi sono mai soffermata a chiedermi perché lo stessi facendo. Volevo ottenere il tuo affetto senza domandarmi la ragione. Ero molto infantile.” In lontananza il suono dei fuochi d’artificio che venivano fatti lanciare dal parco arrivò a loro come l’eco di un’esplosione “Però ho smesso di farmi male così gratuitamente, nonna. Da adesso in poi non ti inseguirò più. Non ho più intenzione di farmi trascinare da te in quel luogo buio che è il tuo spirito.”
Cassandra la contemplò in silenzio con il petto che rimbombava di ammirazione.
“Così, ecco tua figlia, Eleonor. Complimenti.” Pensò.
“Lyric, dimmi una cosa.”
“Uhm?”
“Tu sei davvero felice?”
Sua nipote illuminò la stanza con la sola luce del suo sguardo “Non hai idea di quanto lo sia.”
Cassandra mugolò un verso sospirante mentre si appoggiava con la schiena contro l’interno della poltrona, distese le gambe avvolte in quel lungo abito di satin nero e appoggio le proprie mani all’altezza dell’addome. Chiuse gli occhi.
Uno…
Se le cose fossero andate diversamente loro due sarebbero andate d’accordissimo.
Due…
Se la Cassandra di un tempo ci fosse stata ancora avrebbe fatto tutto il possibile per proteggere quella Lyric che le stava di fronte, qualunque cosa per mantenerla così come era.
Tre…
“Basta aspettare. È il momento di tagliare la sua catena d’oro.”
La nonna tenne gli occhi serrati mentre pronunciava finalmente la sua decisione.
“Lyric, sei libera.”
Ecco tutto, niente di più semplice da dire. Era tutto qui.
“Non ti costringerò più a venire qui in America sotto un mio ordine, non intralcerò più la tua vita come ho cercato di fare da quando è morta Eleonor. Smetterò di pensare per te cosa sia meglio per il tuo futuro e la tua posizione. Sei libera di vivere senza tenere conto di essere una Alysei.”
Quando li riaprì vide che la nipote si era quasi alzata da dove era seduta, la bocca semiaperta e lo sguardo dilatato dalla sorpresa.
“Cosa?” balbettò Lyric senza fiato. Incapace di crederci, neanche dopo averle sentite pronunciate da quelle labbra di acciaio e ghiaccio.
“È così, sei libera di fare quello che ti pare. Ti prego solo di rispettare i limiti della decenza e dell’educazione che i tuoi genitori ti hanno impartito. Per tutto il resto hai il completo potere sulle tue azioni. Lo avevi anche prima ma la mia ombra ha sempre rappresentato la costrizione dei tuoi desideri.”
Lyric era rimasta senza parole.
Libera?
Veramente?
Libera di fare ciò che voleva senza essere richiamata dalla sua onnipresente presenza? Libera di non preoccuparsi delle sue opinioni e delle sue opposizioni?
“Libera…” sussurrò non riuscendo a trattenere il flusso di adrenalina che le annebbiava la mente e le bloccava i muscoli.
“Quando vorrai, questa casa sarà sempre aperta per te e anche se non vorrai mai più metterci piede non ci saranno problemi.”
Ecco, aveva finito. Era stato più rapido di quello che si era aspettata, aveva tagliato molto sulle questioni superflue. A quelle ci avrebbe pensato Victor.
Lyric aveva gli occhi praticamente lucidi, evidentemente quel suo permesso aveva comunque il suo valore.
“Ora mi scuserai ma devo andare a porgere i miei saluti agli ospiti, dopo di che andrò a riposarmi. Domani parto per Tokyo.”
Si alzò dalla poltrona, ora che aveva finito il suo dovere voleva andarsene il più in fretta possibile.
“Nonna!” la chiamò Lyric prima che potesse aprire la porta della stanza, anche lei si era infine alzata in piedi “Vorrei che questo non fosse un addio tra noi due. Se fosse possibile, per te, vorrei ricominciare da qui. Alla mamma non sarebbe dispiaciuto.”
Cassandra annuì soltanto e poi sparì dietro lo spesso strato del mogano scuro.
Dopo pochi minuti Lyric si accasciò a terra ormai priva di forze, pur avendo fatto la spavalda, era stata comunque in tensione per tutta la durata del colloquio. Sorrise nella solitudine della stanza, ancora incredula per quello che era successo.
Si sdraiò a pancia all’insù sopra al persiano che copriva buona parte del pavimento e prese grandi quantità d’aria per ristabilire il fiato smorzato.
Era finita.
Rise come una pazza portandosi una mano sul cuore.
La bestia nera era stata fatta fuori. Che meravigliosa sensazione!
“Libera…” assaporò il retrogusto dolce di ogni lettera che componeva quella piccolissima parola.
E così era libera.
Veramente.
L’universo si era davvero smosso.
 
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Gillian Kami
view post Posted on 24/4/2010, 23:43




Ragazze! Scusate il ritardo sull'aggiornamento, ora rimedio.
Comunque, mi fa piacere continuare ad aggiornare la mia storia, ma vorrei sapere un po' cosa ne pensate fino ad adesso? Siamo ormai al nono capitolo e praticamente non ho idea di cosa pensate. Un piccolo piacere? Mi basta sapere se vi fa piacere che continui a postare la storia.
So che i miei capitoli sono stancanti da leggere e non sempre avrete tempo, ma quando avete uno spiraglio infinetisimale di tempo, vi prego, datemi un segno. Baci e grazie comunque di leggere la mia storia. :)

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Capitolo 9: What you feel inside your deep.



* Voler bene a qualcuno non è una cosa logica…
Anche se cerchi di pensare a ogni cosa…
una volta che ti rendi conto di essere innamorato…
è già troppo tardi...


****



Esiste una cosa al mondo capace di far tentennare qualcuno totalmente.
Questa cosa è in grado di scavarti dentro e di mettere radici resistenti. Non da alcuna probabilità di estirparla se non è lei stessa a decidere di andarsene e poi ti consuma. Nei casi più seri riesce a ferire peggio di un coltello infilzato dentro al cuore e fa sanguinare da dentro, smorzando ogni singolo respiro che esali.
Questa cosa ti trasforma e a seconda delle situazioni i risultati sono differenti, in tutti i casi è sempre lei a puntarti la canna della pistola alla testa, mai il contrario. A volte si impazzisce per colpa sua e spesso per il solo fatto di averla custodita nel petto ci si può ammalare in modo permanente.
Mutano le priorità, cambia la visione del mondo, si scopre da un giorno all’altro di non essere poi così onnipotenti e per la prima volta ci si vede fragili come non mai. Si percepisce che niente potrà mai più essere come prima, che tu non sarai mai più come prima. Rifiuterai, persino, di tornare a vivere come facevi prima che questa cosa ti tranciasse con tutto il suo peso abnorme.
Ti ritrovi in bilico: al confine tra l’essere l’eroinomane che ha bisogno di una dose e l’eroe che ha trovato la vera ragione per cui combatte e per tanto non demorde nemmeno di fronte alla morte.
Questo qualcosa fa diventare dipendenti e prigionieri di qualcun altro e la maggior parte delle volte, quando si tratta della sua forma letale, non vogliamo altro che sentirci legati così strettamente a quel qualcuno.
Però, anche se quest’arma tagliuzza la stabilità delle persone come carta sotto alle lame di una forbice, è in grado di donare tanto. È capace di salvare la vita, di farla risplendere e di darle un senso che vada al di là della nostra singolarità. Emoziona.
Scalda. Abbraccia. Riempie qualunque vuoto ti porti appresso.
E anche se non sembra qualcosa di eccezionale riesce a farti sorridere in modo sincero.
Ti può ferire ma il rischio vale sempre la candela, perché questo qualcosa ti dona la serenità in grado di placare il panico della solitudine, quello che ti insegue da quando nasci.
Lei ti fa vivere.
Ti rende vivo.
E le persone per questi motivi non aspettano altro che d’incontrarla lungo la strada.
Pur essendo qualcosa che uccide, oltre che dispensare vita, tutti vorrebbero conoscerla almeno una volta. Una volta soltanto, se sei fortunato, può bastare per sempre.
L’amore, ecco. È lei che raccoglie tutto questo caleidoscopio di possibilità.
È un affare complicato e gli esseri umani sono stati creati per esaltare se stessi nelle complicazioni. L’amore piace proprio perché è in grado di incasinarti l’esistenza. È il fattore che destabilizza totalmente ogni cosa.
È l’unico che abbia il potere di mandarti in paranoia e pur essendo il pugno più forte che si possa ricevere, non si vede l’ora di prenderselo in pieno stomaco.
Bill ne aveva ricevuto da poco il massiccio destro all’altezza dell’addome e soltanto da quattro mesi aveva cominciato a convivere con quel livido che bruciava in modo costante. Qualche volta si acquietava in un silenzio fittizio, sonnecchiando placidamente e spesso russando con la sua voce potente da soprano lirico. In quei momenti di tregua i pensieri su di lei diventavano meno vividi e mordenti.
Smettevano di cicaleggiare per poco e diventavano solo un basso suono di sottofondo. Questo non significava che scomparissero, era impossibile che Bill smettesse di pensarci, divenivano solo un pochino più gentili e un po’ meno invadenti. Però erano sempre lì.
Sempre presenti per ricordargli che l’unico modo di avere sollievo era quello di stare con lei.
Naturalmente “stare con lei” implicava tutti i significati che ci si poteva trovare dentro.
Dal punto di vista più semplice Bill pensava allo stare fisicamente nello stesso luogo, con una distanza massima di un metro a dividerli, godendo della sua compagnia e accontentandosi di parlare e scherzare come sempre. Era un desiderio piuttosto innocente e, vista la lunga separazione che aveva dovuto sopportare, quasi doveroso.
E questa era la parte legittima della situazione, poiché un amico si poteva permettere di sentire la mancanza dell’amica, ma finiva lì. Per il resto quello “stare con lei ” era tutto fuorché innocente.
Nel lato B della medaglia c’era il Bill ragazzo, che vedeva in Lyric il centro di tutte le sue attenzioni come maschio innamorato.
Contrariamente a ciò che sostenevano alcuni idioti riguardo alla sua presunta appartenenza all’altra sponda Bill aveva più che normali desideri da adolescente medio, fatto poi accompagnato da un sentimento che acutizzava ogni cosa.
Da questo punto di vista “stare con lei” significava desiderarla.
Volerla vicina per poter scorrere le sue mani lungo il suo corpo, toccarla e poi stringerla fino a che il più piccolo spiraglio tra di loro venisse cancellato. Restare immobile tra le sue braccia e sentire il suo respiro solleticargli la pelle del collo.
Farla rabbrividire mentre le soffiava in un orecchio una risata bassa e poi abbracciarla in modo intimo, come un amico non fa. Significava scorrere lo sguardo lungo i lineamenti del suo viso e assaporare in quel modo i respiri che li separavano prima di un bacio.
Significava volere cose che gli dannavano l’anima.
Baciare, poi, era per Bill il peccato di avidità più pericoloso.
Baciarla era il delirio più insano a cui si aggrappava.
Il pensiero più stronzo tra tutti quelli che lo ossessionavano. Era in cima alla classifica dei suoi tormenti personali preferiti, alla pari con la domanda spinosa per eccellenza: “E lei cosa prova per me?”
Quando entrambe le cose lo investivano nello stesso tempo si ritrovava sempre malconcio, emotivamente parlando. Ovviamente non andava in giro a lamentarsi, il suo orgoglio gli proibiva di esternare tutto questo come qualsiasi gallina melodrammatica.
Ciò che custodiva dentro era importante, nel modo in cui lo può essere qualcosa da cui dipende la propria sopravvivenza, non gli passava neanche per l’anticamera del cervello di lasciarlo in balia del mondo esterno. Lo avrebbe protetto dagli sguardi estranei perché lo considerava una parte di sé. Instabile e senza controllo ma pur sempre suo.
Erano le tre del mattino e Bill da tre quarti d’ora si stava rigirando nel letto spazientito.
Il caldo soffocante dell’estate tedesca gli era attaccato addosso come una appiccicosa colla e lui stava sudando come se fosse stato dentro una sauna.
Con l’isterismo quasi alle stelle smise di agitarsi sul letto come un’anguilla fuor d’acqua e perse qualunque speranza di dormire sonni tranquilli. Sbarrò gli occhi, ritrovandosi a fissare il soffitto bianco che, vista l’ora e la totale mancanza di luce, si mostrava come una tavolata di nero indistinta.
Brontolò qualcosa, un rantolo dovuto alla sensazione fastidiosa della pelle sudaticcia, prima di alzarsi e recarsi in bagno. Per via della sua naturale incapacità di coordinazione motoria in stati post-onirici l’inquieto ragazzo si allontanò in modo instabile dal materasso, per poi scontrarsi inevitabilmente contro l’angolo della sua scrivania. Mancò poco che si ribaltasse sul pavimento, avendo cominciato a saltellare sul piede uscito sano dallo scontro con il duro legno. Per grazia divina Bill riuscì a trovare una parvenza di equilibrio e si diresse biascicando imprecazioni “delicate” verso il bagno che aveva in comune con Tom.
Da quando avevano scoperto che la privacy era un dono molto gradito i gemelli dormivano in due stanze separate. Ovviamente una distanza netta era impensabile per le loro menti quasi simbionti e il bagno comune (ci si poteva entrare sia da una porta in camera di Bill sia da una in camera di Tom) era il luogo in cui spesso si ritrovavano i primi istanti della giornata oppure la via più breve per arrivare dal fratello in caso di necessità.
Scene come quelle di Bill davanti allo specchio a spruzzarsi la sua dose giornaliera di lacca e Tom che, nello stesso momento, ponderava sui segreti dell’universo mentre eliminava i propri rifiuti organici erano piuttosto consuete da vedere.
Accese la luce della stanza e movendosi da talpa accecata cercò a tentoni le manopole dell’acqua. Trovatole e aperta quella fredda, raccolse il liquido fresco dentro le mani e se lo buttò in faccia, in primis, e poi anche sul petto nudo. Qualche istante dopo Bill si sentì un po’ meglio.
Si asciugò dopo di che tornò in camera sua cercando di fare il meno rumore possibile.
Tom infatti era tornato dalla scorribanda notturna con Georg solo due ore prima e non aveva nessuna intenzione di far imbestialire il cane dormiente. Soprattutto se tale cagnolino era tornato in bianco.
Di solito quando abbordava una ragazza rincasava verso le sei del mattino (all’insaputa della mamma e di Gordon), perché i soggetti da one-night-stand non li considerava abbastanza degni di portarseli in camera e poi perché era più comodo così.
Quello della sera prima era stato l’ennesimo festeggiamento per il grande successo riportato due settimane prima.
I Tokio Hotel alla fine lo avevano ottenuto il loro contratto con una grande major del settore. La Sony infatti li aveva presi sotto la sua ala protettiva e aveva promesso loro un lavoro costante ed impegnato per il raggiungimento della meta: il successo.
Sembrava che tutto dovesse andare per il meglio ma Bill non si sarebbe sentito certo finché non avesse visto il loro album di debutto fare bella mostra di sé dietro alla vetrina di un negozio di musica.
Soltanto in quel caso si sarebbe concesso di festeggiare a cuore leggero ma fino a quel momento avrebbe semplicemente continuato a lavorare come un dannato. Comunque anche lui aveva esultato al momento della conferma da parte di David e non c’era stato nessuno più di lui ad aver incarnato la gioia della band.
Alla festa della sera prima, però, non aveva voluto andare perché non si sentiva in vena di spossare fisico e mente in alcool e musica spacca timpani. Non con la prospettiva di rivederla a Magdeburg, di ritorno dalle sue lunghe (ed infinite) vacanze americane, il giorno seguente.
Tornato in stanza si sedette sul proprio letto e lanciò uno sguardo veloce all’orologio digitale, i numeri lampeggianti di rosso segnavano che mancavano ancora quattordici ore. Lyric gli aveva detto che sarebbe partita da New York alle nove del mattino e sarebbe atterrata a Lipsia verso il pomeriggio, se tutto fosse andato come nei piani l’avrebbe rivista tra quattordici ore.
Un tempo schifosamente lungo ma avrebbe sopportato.
Si appoggiò al muro dietro al suo letto e rimase in quella posizione viaggiando con il cervello in pensieri deleteri. Purtroppo era più forte di lui.
Finché Lyric era lontana era stato più facile non preoccuparsi per le vocine nella sua testa ma riteneva, giustamente, che una volta che si fosse ripresentata davanti a lui qualunque filo logico dentro il suo cervellino sarebbe stato tagliato.
Bill si lasciò scivolare lungo il duro cemento su cui era appoggiato ed infine tornò a sdraiarsi, il viso rivolto verso lo stesso soffitto di quando si era svegliato. Chiuse gli occhi e sospirò con forza.
Un altro problema era Tom.
Bill si stava lentamente consumando nel dubbio: ma suo fratello, per caso, provava qualcosa per la ragazza di cui era innamorato?
Questa domanda avrebbe mandato in casino chiunque anche chi con il fratello non aveva un rapporto speciale come lo aveva lui. Era convinto, ma proprio al 100% , che il gemello avesse una specie di tendenza per Lyric.
Lo sentiva, lo vedeva ed era certo di non esserselo immaginato. Aveva osservato come Tom qualche volta parlasse di lei in modo molto affettuoso e di come poi si stupisse di quelle parole. Sembrava che covasse anche lui delle preoccupazioni per l’evolversi del suo rapporto con Lyric.
Come se si stesse pentendo di averle permesso di avvicinarsi e di diventare una presenza costante nelle loro vite.
Bill era preoccupato per le ragioni di questi stati d’animo, perché anche se i suoi sospetti fossero stati fondati, non voleva che Tom stesse male per la difficoltà della situazione.
Loro due avevano fatto una tacita promessa da quando si erano resi conto di poter provare affetto per qualcun oltre all’altro gemello. Quando avevano accettato che al mondo potevano esistere anche le altre persone si erano giurati che nessuna ragazza, per quanto speciale, li avrebbe mai divisi.
Era una promessa piuttosto ovvia e semplice, erano stati sempre certi che non sarebbe mai esistito nessuno in grado di contare quanto o più del gemello. Quindi il loro legame sarebbe rimasto intatto e unico per sempre.
E Lyric non faceva eccezione.
Lei non faceva eccezione…
In teoria era così, in pratica la questione era ancora più complessa e Bill era troppo stanco per continuare a pensare. La sonnolenza finalmente aveva ricominciato a bussare alla sua porta e lui non aspettava altro.
“Saresti disposto a camminare sopra i sentimenti che Tom potrebbe provare?” però le sue paranoie mentali erano ancora ben sveglie. Che qualcuno soffocasse quelle voci, per favore!
“Avresti delle pretese di precedenza per essere stato il primo a dichiarare la propria condizione? Lo faresti per lei?” Prese il cuscino sotto alla sua testa e lo premette contro la sua faccia in un goffo tentativo di soffocarsi. Non servì a nulla.
"Dovresti proprio chiarirti con Tom, sai? Sarebbe meglio essere certi piuttosto che arrancare dietro ai dubbi. Prima o poi dovrai affrontarlo questo discorsetto…”
Dopo questa uscita smisero di punto in bianco di parlare.
“Ma andate a quel paese!” pensò Bill.
Le sue seghe mentali si divertivano troppo a punzecchiarlo, prima o poi si sarebbe trapanato il cranio solo per smettere di essere il loro orsacchiotto giocattolo.
Si tolse il cuscino dal volto e lo depose nuovamente sotto il capo. Contrariato e visibilmente stanco di farsi così tante domande. Aveva già una vita complicata di per sé, visto il fatto che i ragazzi normali a quindici anni non si fanno il culo per poter vivere di musica come faceva lui, ma dal punto di vista sentimentale non era messo meglio.
Come faceva da mesi rimandò a data da destinarsi la risoluzione di tutti i suoi casini.
Prima di addormentarsi però diede un’ultima occhiata all’orologio.
Erano le quattro del mattino.
Ancora tredici schifosissime ore prima di rivederla.

****



“Informiamo i gentili passeggeri che l’aereo atterrerà a Lipsia tra cinque minuti. I piloti e l’intero staff vi ringraziano per aver scelto di volare con la United. Speriamo che il viaggio sia stato di vostro gradimento…”
La voce continuò a parlare ancora per poco, spiegando con frasi collaudate da centinaia di voli di allacciarsi le cinture e di spegnere gli apparecchi elettronici durante la manovra di atterraggio.
Intanto Lyric osservava dal finestrino della prima classe la terra che pian-piano si avvicinava. Si sentì addosso un brivido di entusiasmo e per l’emozione si aggrappò con forza al bracciolo del sedile in pelle nera.
Trattenne quasi il fiato.
“Casa, eccomi a casa.” Pensò senza contenere la felicità che si era risvegliata dal torpore del viaggio. Quasi non fece caso alla stretta all’altezza del petto, troppo annebbiata dalla prospettiva di rivedere le persone care da lì a poco tempo. Era stato il suo pensiero fisso da quando era uscita dalla casa di zio Victor a New York.
Poterli abbracciare e parlarci senza il fastidioso limite di uno stupido apparecchio telefonico erano azioni che non vedeva l’ora di fare. Ridere, scherzare, persino bisticciare con loro erano cose che pretendeva di compiere.
E finalmente lo avrebbe rivisto.
Smise di respirare.
“Lyric, stai correndo in modo esagerato. Dov’era finito il nostro accordo per un ragionevole comportamento neutrale? Non avevamo detto niente viaggioni mentali finché non ti fossi chiarita con quell’altro?…”
Sì, il suo autocontrollo aveva ragione, ragione marcio.
“Mon chou, ricordati di respirare ogni tanto. Sai, così, ti arriva ossigeno al cervello.” Suo cugino Alphonse si appoggiò con il mento alla sua spalla, ridendo di lei con la sua voce musicale. Lyric non disse nulla, accettò il consiglio e inspirò più aria che poté, però senza mai distogliere lo sguardo dalla pista d’atterraggio.
“Lo sai che lui è là sotto ad aspettare te?”
Oltre che ragionevole la sua vocina interiore era anche sarcastica.
Era la prima volta che l’avrebbe rivisto dopo quella sera. Chissà se lui si era fatto delle domande riguardo al loro ultimo saluto. Si sarà chiesto perché si erano immobilizzati in quel modo?
Perché avevano quasi rischiato di baciarsi?
Lei se l’era fatta quelle domande, centinaia di volte, fino alla nausea. Senza trovare nessuna risposta che potesse tranquillizzarla. Qualunque cosa si dicesse implicava comunque scenari complicati.
Il brusco contatto del veicolo con il terreno fece smettere alle sue turbe di arrampicarsi per quei dirupi insidiosi. Si concentrò su ogni minimo movimento che l’aereo compiva per posare i propri piedi al suolo, provando così a tranquillizzarsi. Quando fu certa di essere fisicamente in territorio tedesco, però, l’ansia di rivederlo si mescolò all’euforia di essere giunta a destinazione.
Qualcosa dentro di lei si tese violentemente verso l’esterno, oltre la sua stessa pelle. Voleva correre, correre a per di fiato. Aveva bisogno di raggiungerlo. Subito.
Un’altra risata le arrivò all’orecchio, come prima era Alphonse che rideva delle sue reazioni. La cugina gli diede allora una spinta e lo fece spostare dalla sua spalla.
“Cosa c’è?” domandò con una voce esausta, come se fosse stanca di aspettare il segnale di partenza dei cento metri a cui il suo corpo sembrava desideroso di gareggiare.
“Corri, corri. Trovalo. Subito.” Indurì le proprie mascelle e affondò le unghie dentro i suoi palmi.
Calma e sangue freddo, pensò.
Il cugino alzò le spalle con fare da finto incurante mentre scorreva i suoi occhi lungo la sua compagna di volo “Niente, mi stavo divertendo a vederti persa nei tuoi dilemmi. Sei come una delle protagoniste tragiche di Sheakspeare, un vero spasso. Completamente perduta nei propri sentimenti, alla mercé dei desideri dell’istinto, un vero spasso!”
Alphonse sorrise in modo fastidioso, il ghigno di chi si stava divertendo a guardare le tragicommedie di un imbranato. Lyric lo accoltellò per qualche secondo con lo sguardo.
“E chi ti ricorderei di preciso?” mentre lo chiedeva con acidità guardò la lucina sopra alla sua testa che si spegneva, si slacciò così con uno scatto la cintura e riprese a guardare fuori. Si stavano avvicinando al gate con velocità, per fortuna.
“Corri, corri. Trovalo. Ti prego…”
Di questo passo si sarebbe messa ad urlare per la tensione eppure, oltre al desiderio di voler correre immediatamente fuori dall’aereo, voleva ancora essere una brava e coscienziosa ragazza e non mostrare tutto così spudoratamente. Malgrado una certa persona accanto a lei sembrasse a conoscenza di ogni cosa, poiché suo cugino si divertiva ancora di più a provocare quando era a conoscenza del tallone d’Achille.
Allie era un ragazzo che si dilettava molto in questo senso.
“Giulietta…” rispose infine lui, Lyric gli chiese con una muta occhiata il perché di questa affermazione.
Alphonse roteò gli occhi e si portò una mano sulla fronte, cominciando a scuotere la testa “Romeo! Capisci?” scattò il biondo con enfasi.
“Anche Giulietta era pronta a scoppiare ogni volta che Romeo era a portata di dita. Anche lei non desiderava altro che di essergli accanto. Tutto il resto era polvere e cenere in confronto a questo.”
Lyric fu contrariata da questo paragone, era abbastanza certa di ciò in cui credeva e per quanto le fosse sempre piaciuta l’opera più popolare del grande drammaturgo inglese non aveva intenzione che la sua storia fosse messa a confronto alla loro.
“Alphonse…” lo intrappolò tra le trame scintillanti dei suoi occhi di zaffiro e neve, con un’intensità nell’espressione che l’altro Alysei si sentì colpire addosso da una punta acuminata.
“Giulietta è troppo sopravalutata e non puoi di certo paragonarmi a lei.” Il perché ci tenesse a mettere in chiaro la sua opinione riguardo a quel paragone non era molto logico ma al momento era spinta da tutto fuorché dalla sana ragione “Io non potrei mai innamorarmi a primo sguardo di qualcuno. Non credo nei colpi di fulmine e questo dovresti saperlo. Per amare qualcuno lo si deve conoscere, si deve avere fiducia in lui e desiderarlo oltre la sua bellezza. Giulietta un secondo prima non conosceva neanche l’esistenza di Romeo e il secondo dopo è pazza di lui. Io non ne sarei in grado…”
“Però ti senti come lei o mi sbaglio? Giulietta ci ha messo meno tempo di te e forse per i motivi diversi, però siete comunque nella stessa situazione.” Alphonse incalzò con la sua naturale mancanza di tatto.
“Anche lei era innamorata.”
Lyric sbuffò e ignorò volontariamente il sorriso di vittoria che si faceva largo tra lineamenti di Allie, si sentì arrossare per poco sulle guance e per non farsi vedere si voltò nuovamente verso il finestrino.
“E poi, più che essere sopravalutata, io direi che Giulietta è stata estremamente fortunata.” Alphonse si aspettò una domanda da sua cugina ma non venne fuori “Non protesti dicendo che non può essere stata fortunata visto che alla fine è morta in modo tragico? Non mi chiedi perché lo detto?”
Lyric mosse a diniego la testa “Lo so il motivo per cui lo hai detto. Perfettamente.”
“Davvero?” la cugina continuava a non guardarlo.
“Lei è stata fortunata, dopo tutto, perché lo ha trovato…”
“Che cosa?”
“L’amore per cui vivere…”
Finalmente il suonò dell’attraccaggio ben riuscito la convinse a non guardare più fuori dalla lastra di plastica e la fece concentrare in un’apnea involontaria.
Allie stava ancora dicendo qualcosa ma lei non gli prestava più nessuna attenzione. Gliene aveva già concessa troppa per tutto il tragitto, se aveva ancora voglia di intrattenere qualcuno con la sua logorroica voce poteva disturbare zio Victor che sedeva nel sedile dietro al loro.
“Ma tu non mi stai ascoltando!” vide con la coda degli occhi suo cugino voltarsi dietro di sé “Gentile nutrice Vikki, l’abbiamo persa. Dannato Romeo! Dovremmo richiedere un indennizzo.”
“Allie non ho nessuna voglia di sapere cosa tu stia dicendo. Se ti droghi in qualche modo sarò felice di darti una mano senza dirlo ad Amelia…” sentì zio Victor e Alphonse discutere ancora su qualcosa riguardo il senso poetico che le vite umane avrebbero dovuto possedere per essere complete (questa ovviamente era di suo cugino) e la possibilità di far visita al più presto ad uno specialista (suo zio).
Ma fu per qualche istante, smise presto.
“Per favore…”
Lyric fissò una hostess aprire in poche mosse l’uscita.
“Ti scongiuro…”
Contemporaneamente sentì i muscoli contrarsi, il petto diventare un punto acuto e le orecchie isolare i suoni, mentre le gambe si alzavano immediatamente dalla spaziosa poltrona.
“Trovalo…” supplicò se stessa.
E così, alla fine, che ci si sente? Quando si è innamorati ci si sente proprio così?
Ciechi e sordi a tutto il resto.
Bisognosi di una cosa soltanto.
Ebri di pazzia.
“Andiamo.” Fu l’unica cosa che disse ai due accompagnatori e senza aspettare risposta si era già incamminata lungo il corridoio tra le due file di sedili.
Allie guardò suo zio Victor spalancando gli occhioni “Te l’avevo detto che non ci stava più con la testa.”
L’uomo prese per la spalla l’eccentrico nipote e lo spinse a seguire l’altra Alysei “Su! Muoviti, Allie. Dobbiamo recuperare le valige.” Sorrideva bonariamente.
“Spero almeno che Superman non si dimostri in realtà un nerd alla Mister Fantastic. In tal caso mi dovrà davvero pagare i danni morali, sono già stato truffato una volta da Ironman, ora pretendo solo supereroi con veri superpoteri.”
Victor Alysei fece finta di niente, si voleva troppo bene per cercare di comprendere il suo contorto ragionamento.
Lyric, mentre passavano attraverso i controlli dei documenti e il recupero delle loro valige, non prestò molta attenzione ai suoi gesti. Era completamente assorbita in altri pensieri.
Smise di considerare qualunque cosa le fosse accanto. Ogni singolo pezzettino di se stessa stava attendendo di varcare le porte che la dividevano dalla Germania vera e propria. Se non avesse dovuto aspettare suo cugino e suo zio avrebbe già dato ascolto al suo corpo. Alla fine Alphonse fece prendere la sua ultima Luis Vuitton dal dipendente che sua madre Amelia gli aveva messo alle calcagna. Fatto ciò fu possibile proseguire.
Lyric non attese oltre e mosse meccanicamente i piedi, lo sguardo perso di chi aveva un obbiettivo.
Nella testa le battute della loro ultima chiamata si azionarono come una cassetta registrata.
“Quindi appena mi rivedrai cosa hai intenzione di fare?” aveva domandato Lyric, seduta su una sedia, sopra al terrazzo dell’appartamento di zio Victor. Si era goduta per l’ultima volta la vista dei grandi grattacieli che spuntavano dalla foresta di cemento e luci della metropoli americana.
Bill era rimasto in silenzio dall’altra parte della linea. Preso da chissà quale ragionamento e in quella pausa un po’ troppo prolungata Lyric comprese di aver posto una domanda pericolosa. Le era uscita senza rendersene conto, come se a parlare fosse stata quella parte di lei che si era già arresa all’evidenza di quello che c’era tra loro e pretendeva di infischiarsene del resto dell’universo.
“Credo che ti abbraccerò….” Aveva risposto infine ma sembrava che fosse qualcos’altro.
Lyric scaraventò la sua persona in mezzo alla folla di gente che transitava verso le uscite. Appena mise piede nella sala d’accoglienza cominciò a voltare la testa da una parte all’altra con apparente normalità ma con occhi pieni di aspettative. Dietro di lei Victor e Alphonse seguitavano semplicemente a non perderla.
“…e poi farò l’amico possessivo.” Bill aveva poi riso un po’ nervosamente per sdrammatizzare però non ci era riuscito gran che.
Mentre infine riconosceva la chioma biondo cenere di sua zia Freia farsi strada tra i volti anonimi che camminavano, Lyric sorrise radiosa, agitando un braccio per farsi vedere. La giovane donna dalla parte opposta della grandissima sala la salutò con il medesimo sorriso.
Da dietro la sagoma di lei spuntarono altre tre figure.
Simone Kaulitz, allegra e bonaria come suo solito, stava dicendo qualcosa a sua zia. Di fianco a lei c’erano due ragazzi molto più alti di quanto Lyric si ricordasse. Decisamente la superavano con la testa.
Ma erano loro. Proprio loro.
Tom la indicò con un cenno del capo al gemello ma non ce ne era bisogno.
Bill la vedeva perfettamente.
Capelli ondulati e corti che scendevano fino al mento, due occhi color del mare più blu e un viso dai lineamenti delicati. Anche se fosse stato miope l’avrebbe riconosciuta senz’altro.
Il silenzio piombò nel loro mondo come una nebbia densa.
Rimasero entrambi immobilizzati dov’erano mentre i loro corpi erano privi di qualunque spinta ad andare incontro all’altro. Sembravano indecisi e titubanti eppure non smettevano di guardarsi.
Nella mente di tutti e due c’era il pensiero di come avvicinarsi all’altro senza sembrare troppo felici, senza mostrare agli altri quel segreto che custodivano. Era un blocco piuttosto violento, contando che dentro si stavano scatenando forze al di fuori del loro controllo. Se non si fossero immediatamente toccati avrebbero avuto un attacco cardiaco da un momento all’altro ed era piuttosto sciocco portare al limite le loro resistenze.
Infondo erano umani. Infondo chi se ne fregava delle apparenze.
Ciechi e sordi a tutto il resto.
Bisognosi di una cosa soltanto.

Nello stesso respiro buttarono all’aria qualunque proposito di ragionevole contenimento. Ogni cosa poteva andare letteralmente a quel paese.
“Vai!” le gridò addosso qualcosa dentro di lei e tutto scomparì.
Lyric pensò solo a correre.
Centinaia di volti, persone sconosciute che si trascinavano valige ingombranti, hostess e piloti, fece uno slalom spericolato tra tutti questi, superando quegli ostacoli fastidiosi. E a Lyric, poiché correva rapida e veloce, quelle facce parvero tutte sfuocate e inconsistenti. Nessuna di loro aveva il suo interesse.
Loro non erano importanti. Non significavano nulla, se anche fossero spariti non se ne sarebbe accorta.
Quelle persone non le avrebbero ridato il respiro.
Lyric tese un mano davanti a sé appena si rese conto che tra di loro c’era solo quella distanza. Si aspettava che lui l’afferrasse, non chiedeva altro che essere trascinata prepotentemente contro il suo corpo, così che quella distanza si colmasse.
“Respirare…voglio respirare.” Pensò mentre la mano di Bill si avvolgeva attorno al gomito del suo braccio teso.
Fu forte, le fece male, ma era disposta a tutto. Solo qualche altro istante, un insignificante battito di ali di farfalla nel silenzio e poi Bill la coprì con le sue braccia.
L’ansia si spense, il bisogno smise di languire.
Il corpo di disperare e il cuore, invece, cominciò a dolere perché aveva ripreso a battere con troppa forza.
Il suo spirito sospirò di sollievo e Lyric respirò di nuovo.
Quando si è innamorati ci si sente proprio così?
Ebri di pazzia.

E per Bill fu troppo semplice aggrapparsi a lei quasi con violenza.
Quasi troppo prevedibile ridere come un pazzo mentre la stringeva. Lei esisteva veramente e in quel momento lui era l’essere che più di chiunque altro era vicino al battito del suo cuore. Lo udiva mentre perdeva i sensi nel suo profumo, era l’unica voce a cui permetteva di raggiungerlo sulla sua isola abbandonata nel mare.
Era quasi stordito. Correre a per di fiato non era stata un’idea poi così geniale, fortunatamente, non gli interessava più di tanto. Sapeva da parecchio tempo che si sarebbe fatto male, nel corpo e nello spirito, tanto valeva crepare per reale spossamento.
“Presa.” Le sussurrò Bill all’orecchio, sfiorando con le labbra la sua guancia.
Sì, decisamente era un male capace di straziare, ma era un dolore che poteva concepire. Era fattibile se significava poterla sentire pulsare sotto alle sue dita.
Bastava questo per farlo contento.
Lyric era lì.

***



Di tante cose era sempre stato molto convinto nella sua giovane vita.
Prima di tutto il fatto che fosse nato con il dono di una bellezza disumana. Questa certezza era grande quanto la consapevolezza di essere anche un complessato di enormi difetti.
Alphonse si conosceva molto bene, sapeva da sé quali erano i punti meno virtuosi del suo animo e da qualche tempo cercava di contenerli in una maniera o nell’altra. Per esempio, dopo aver distrutto con qualche parola l’autostima di qualcuno, si accorgeva di aver commesso una cattiva azione e quasi sempre trovava un modo di farsi perdonare.
Fino all’età di tredici anni non si era mai preoccupato realmente di quello che le sue azioni potevano provocare, di ciò che potevano distruggere.
Era cresciuto nell’auto-consacrazione della sua splendente e perfetta immagine e non aveva mai pensato che ciò che faceva potesse essere sbagliato. Non ci sarebbe mai arrivato poiché i suoi genitori erano i primi sostenitori di quella infallibilità di cui, un tempo, si credeva possessore.
Fino ai tredici anni si era ritenuto come un piccolo sole, inafferrabile e intoccabile, al di sopra di quelle piccole formichine che erano le altre persone. Nato come stella, un pari solo con quelli della sua privilegiata famiglia. Quelli che non possedevano il suo stesso sangue a malapena avevano la capacità di svegliargli l’attenzione.
Tutto ciò in cui aveva creduto, un pomeriggio di neve, però gli venne rimproverato come un errore che non lo avrebbe condotto molto lontano.
A compiere tale atto era stata Lyric. Quella volta fu la prima e l’unica in cui Alphonse aveva desiderato che non fosse mai esistita. Perché se lui era un campione nel ferire, non lo era tanto nell’esserlo.
Quello scricciolo esile e diafano, così appariva sua cugina all’età di dodici anni, silenzioso e sempre discreto l’aveva guardato molto seriamente.
“Le parole fanno male, Alphonse. Una parola può trascinare qualcuno nella tristezza, devi fare attenzione a chi ti circonda.” Gli aveva detto osservando un petalo di brina bianca che si era adagiato sul suo palmo.
“Continuando così finirai per diventare arido e quando troverai qualcuno in grado scaldarti dentro non credo proprio che riuscirai a tenerlo legato a te. Forse non lo vedrai neanche, per quanto sarai impegnato nell’ascoltare il suono delle tue parole e forse quella persona non resterà ad aspettarti per sempre.”
Il ragazzo era rimasto in silenzio, totalmente spaventato da quel discorso.
“E questa prospettiva non ti sembra triste? Rimanere solo perché sei troppo convinto di essere il massimo è davvero da idioti. Saresti un idiota se non comprendessi che ci può essere dell’altro.” Lyric aveva inclinato la testa e gli aveva scoccato un’occhiata, come se lei la sapesse più lunga di lui.
Lo aveva demolito pezzo per pezzo.
"Perché mi stai dicendo queste cose?” aveva così chiesto Allie, digrignando i denti.
Lyric aveva sorriso dolcemente, come se fosse ovvia la risposta “Perché potresti perfettamente essere migliore di come sei adesso, invece di lasciarti influenzare dai discorsi di tua madre. Volevo crederti diverso dall’essere solo un ragazzo viziato.”
Questo ricordo ci porta ad un’altra importante certezza di Alphonse: Lyric gli era cara come pochi.
Per questa ragione, per quanto la situazione che gli si presentava fosse meglio di una sit-com televisiva (quindi perfetta per spassarsela senza muovere un dito) pensava fosse giusto cooperare per la buona riuscita della felicità di quella ragazza così importante tra i suoi affetti.
Erano in Germania da quattro giorni e in quel lasso di tempo Alphonse aveva avuto modo di conoscere una visuale più ampia della situazione. Aveva conosciuto di persona i suoi amici tedeschi, per cui non nascondeva una simpatia sincera ed entusiasta. Tom, Georg e Gustav infatti gli erano piaciuti a pelle, semplici e diretti, scherzosi e indubbiamente dei grandi casinisti (i primi due senza ombra di dubbio). Erano di compagnia e così diversi dai soliti snob che frequentava.
E poi aveva osservato per bene quella creatura aliena di Bill.
A parte il duro colpo di una verità sconvolgente, ovvero che Superman era in realtà una versione dalla bellezza ambigua di Wonder-Woman, quel Bill Kaulitz gli piaceva.
Era particolare, rumoroso, entusiasta all’inverosimile, interessante e poi stimava a priori chi possedeva una bellezza incomprensibile al resto degli umani, come l’aveva lui stesso. Però lo avrebbe adorato soltanto dopo che si fosse dato una mossa. Perché era indubbio che quel ragazzo si era già giocato il cervello da tempo.
Nella sua intelligenza presunta Alphonse De la Croix si era reso conto che c’era qualcosa che li stava bloccando. Lo aveva percepito solo per qualche secondo ma ne era stato certo. Quei due stavano aspettando qualcosa.
Da circa una quindicina di minuti Allie stava studiando Lyric in modo meditabondo, spaparanzato a pancia in giù sopra al letto di sua cugina. Da circa quindici minuti lei non lo calcolava di striscio, presa com’era dall’attenta scelta dei capi da portarsi in viaggio in costa azzurra.
Alphonse tossì poi in modo troppo teatrale per apparire anche solo lontanamente naturale. Lyric difatti se ne accorse e smise di piegare gli indumenti.
Si voltò verso di lui “Uh?” domandò con la gola.
Il ragazzo assottigliò labbra e occhi in un’espressione da gatto scrutatore “Allora…” fece una pausa per dare alle sue parole un po’ di effetto “che hai intenzione di fare con Wonder-Woman?”.
Lyric rimase zitta, guardandolo per qualche secondo in modo storto (alla fine lui le aveva spiegato quel suo continuo riferimento ai supereroi e non le era piaciuto il significato nascosto di Wonder-Woman). Riprese poi i suoi preparativi senza aprire bocca.
“Lyriiiiiic!” ululò il cugino cominciando a rotolare in protesta sopra alle coperte leggere del letto a baldacchino. Lei lo ignorò senza pietà. Alphonse si fermò e si mise a sedere. Si sporse da uno dei pali in legno rossiccio, rivolto verso di lei, che sostava sul pavimento davanti ad una grande valigia.
“Ok, ho capito. Non hai intenzione di farmi partecipe dei tuoi piani diabolici. Posso comprendere che potrei rovinarti qualcosina con la mia tendenza a blaterale senza posa…”
“Potresti?” Lyric non si astenne dal rivolgerli una frecciata allusiva riguardo al personale modo di Alphonse di tenere i segreti.
“Ooooh! Non sono poi così tremendo…” cercò di difendersi lui ma venne bloccato con un gesto della mano.
Lyric aveva alzato quattro dita.
“Quattro sole parole: Ava e perdita verginità.” Alphonse fece una smorfia di nausea.
Era sempre stato uno dei suoi assi nella manica quell’episodio imbarazzante. L’anno prima, al sedicesimo compleanno di loro cugina Ava, Alphonse si era lasciato sfuggire davanti ad una trentina di invitati che lei aveva iniziato già da qualche mese la sua attività sessuale. Si era giustificato dicendo che aveva voluto congratularsi anche per il raggiungimento di un tale traguardo, Ava però non era stata della stessa opinione.
“In quell’occasione mi era sfuggita l’informazione senza volerlo…”
“Appunto, non sei affidabile da questo punto di vista. Ti lasci scappare le cose dalla bocca, metà delle volte persino in modo volontario.”
Allie incrociò le braccia e ponderò, dimenticava che parlavano due lingue diverse “Potrei pure essere indegno di fiducia ma sono pieno di buona volontà e io voglio solo aiutarti.”
Lyric si fermò con la sua concentrata operazione di smistamento e parve concedergli una sincera attenzione.
“Vorrei solo sapere come stai, se questa situazione ti pesa e cosa stai aspettando. Vorrei conoscere le tue ragioni e non fare il solito viziato che pensa solo a se stesso. Vorrei darti una mano, se mi fosse possibile.”
Lyric allora si alzò dal pavimento e si sedette vicina ad Alphonse.
Accavallò le gambe sopra al cotone rosso delle sue coperte e si osservò soprappensiero le dita delle mani, incrociate, a poca distanza dal suo grembo. Il suo viso femminile sembrava pensieroso ma non in modo negativo, più concentrato che altro.
“Non c’è bisogno che tu mi dia una mano. È troppo…” respirò profondamente e socchiuse le palpebre “…importante.” disse lei. Riaprì gli occhi subito dopo mostrando uno sguardo molto convinto “Tutto questo è troppo importante per permettere ad altri di metterci dentro le mani. Comprendi Allie?”
Nell’immediato il giovane avrebbe voluto risponderle che capiva ma non lo fece, perché si accorse che in verità non era così. Gli angoli della bocca di Lyric si allungarono in un cenno intenerito seguito da un guizzo simile da parte dei suoi occhi.
“È la prima volta che mi ritrovo in questa situazione e per questo posso dirmi completamente allo sbando riguardo a quello che dovrei aspettarmi.” Continuò la cugina spiegando come meglio poteva la delicata situazione che stava affrontando, di cosa pensava e sentiva “Non ho mai dovuto affrontare niente di questa portata.” confessò con estrema sincerità e sentendosi anche un pochino patetica.
Lyric sembrava tentennare come un bambino che muoveva i suoi primi passi su due gambe: incerta eppure allo stesso tempo determinata nel provarci. Doveva essere allo stadio dell’accettazione della malattia, quello in cui si smette di far finta di niente e si abbraccia quasi con rassegnazione una consapevolezza troppo forte.
Lyric si lasciò cadere con la schiena all’indietro e rimase ad ammirare gli intrecci decorativi del legno sopra di sé “C’è solo una cosa che sono sicura che farò, per tutto il resto vago miseramente nelle nebbie. Forse… mi andrà bene tutto ciò che verrà in seguito…forse, io…”
Alphonse si stese a sua volta sul letto e invece di guardare in alto puntò il suo azzurro verso di lei.
Questo però lo capiva. Come sempre lei non voleva essere egoista.
Andrà bene tutto ciò che verrà in seguito? Non sarò perspicace come il signor Holmes ma so che non andrà bene tutto. Questo non è vero. C’è solo una cosa che andrà bene, il resto non lo sarà. Lyric sei una piccola, adorabile, imbranata…”
le accarezzò il capo come se avesse ancora avuto davanti la dolce bambina della sua infanzia, quella a cui aveva assicurato che i mostri sotto al letto non esistevano “…d’accordo, non ti aiuterò. Ma se non ti muoverai mi irriterò parecchio. Non farti aspettare troppo. Il primo amore deve essere catturato subito, non lo puoi lasciare languire per troppo tempo.”
Lyric arrossì senza poterci fare nulla. Non riusciva a contenere le sue reazioni quando a parlare della sua situazione erano le altre persone, per lei era qualcosa di altamente privato e riservato. Il fatto che fosse così lampante al resto dell’umanità le faceva venire i brividi.
“Grazie di averci provato Allie. Però lo sai come sono fatta, ciò che conta veramente non lo puoi delegare, sarebbe come dargli un valore minore rispetto alla sua reale importanza.”
Alphonse rise “Sei l’unica al mondo che affronterebbe una cosa del genere con la serietà di un profeta incaricato da Dio di salvare il gregge smarrito. È delizioso vedere che persino da innamorata non perdi il vizio di controllarti.”
“Oh smettila di prendermi in giro!” protestò la cugina, accaldata oltre il verosimile sulle gote, non riusciva proprio a concepire che si potesse parlare dei suoi sentimenti in giro. Non era pronta psicologicamente per spiattellarlo alla metà dell’universo.
Naturalmente Alphonse si divertiva un mondo.
“Comunque lo sapevo da tempo…”
“Che cosa sapevi da tempo?”
“Che eri il classico tipo che quando si innamora e capisce di esserlo, lo è veramente. Tu hai una visione molto alta di questo sentimento ma allo stesso tempo sei sempre stata molto realistica. Quindi mi pare ovvio che se sei caduta nella trappola di quell’orrido del dio Eros è perché il tuo sentimento ha battuto la barriera del tuo cinismo.”
Lyric rifletté giusto il tempo di rendersi conto che purtroppo per lei quel saccente aveva ragione.
Rimase in silenzio per non dargli alcuna soddisfazione.
Allie ridacchiò.
“Aaaaaa!” scattò il cugino, in piedi sul letto, due secondi dopo.
Poiché era abituata a quegli scatti improvvisi Lyric evitò di farsi venire un accidenti “E ora che c’è?” a quanto pare la sua testolina aveva cambiato argomento, come al solito.
“Io non ho ancora sistemato i miei vestiti nella valigia!” aprì la bocca sconvolto “Devo subito ordinare a Charles di prepararmele.”
“Sono le undici di sera, sarà già a letto. Lo hai fatto stancare già troppo oggi…”
Alphonse non ascoltò ragioni “Vorrai scherzare? È già tanto che abbia permesso a lui di farmi da cane da guardia, il minimo per aver accettato gli ordini di quella vipera di mia madre è quello di ubbidirmi senza fiatare. Ha un mucchio di peccati da espiare nei miei confronti. È un traditore del regno! Un vile mercenario che per denaro si è inchinato alla malvagia regina! ”
“Allie!” Lyric si era alzata in piedi e gli aveva tappato la bocca con una mano “Uno: stai farneticando stupidaggini, potresti avere l’educazione di non gridare le tue idiozie come se fossi ad una partita dei Boston Celtic?” Alphonse annuì da bravo bambino.
Lyric sospirò “Due: sei decisamente un cretino ma poiché sono stanca farò finta che tu non abbia avuto un attacco immotivato ed isterico.” Lui annuì nuovamente e lei gli concesse di avere la bocca libera “Senti, finisco qui con la mia valigia e poi ti aiuto a sistemare la tua. Ok? Così lascerai in pace quel povero uomo.”
Il cugino la guardò come se avesse parlato nelle lingue dei papiri del mar morto “L’amore ti fa male, decisamente. Secondo te a cosa servirebbero gli assistenti e i maggiordomi se alla fine facessimo di nostra volontà il loro lavoro? Guarda che io lo pago perché sgobbi!”
Lyric strinse forte gli occhi pregando in Dio di non aver veramente sentito quelle parole uscire dalla persona che aveva davanti.

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L’invito era stato fatto da Alphonse in uno delle sue illuminazioni divine, quelle che di solito facevano accapponare le pelle a sua madre e rivoltare l’umore gioioso della gemella Adele. Il classico: facciamo questo perché mi va e chi se ne importa se gli altri ne subiranno le conseguenze!
A dirla tutta aveva avuto in mente quel piano nell’istante in cui aveva saputo che la villa in costa azzurra sarebbe stata libera. Quell’anno infatti suo padre Leonard aveva deciso di portare la famiglia in vacanza alle Maldive invece che nella proprietà privata in Francia. Avendolo saputo con largo anticipo rispetto al ritorno in Germania di Lyric, ad Alphonse era parsa un’occasione imperdibile per trascorrere ancora un po’ di tempo con la cugina.
Quindi non ci aveva messo molto a rifiutare l’offerta del genitore ed esporre l’idea che aveva lui di come passare le ultime settimane di vacanza. Leonard De la Croix gli aveva lasciato carta bianca, allettato dalla prospettiva di trascorrere un lungo periodo senza il prediletto figlio che lo intratteneva con mille discorsi poco interessanti ed accettò di buon grado.
Quella contraria ovviamente fu sua madre Amelia che, sapendo bene che in quell’idea era implicata qualche sorta di piano diabolico volto alla creazione del caos, gli diede un secco no. Dopo una serie di discussioni piuttosto concitate tra le due fazioni opposte il figlio la spuntò sulla madre grazie all’intervento di zio Victor.
Amelia concesse ad Alphonse di partire per l’Europa a patto che con lui ci fosse stato un dipendente da lei scelto, che lo avesse controllato, e che il garante della sua sicurezza personale fosse stato il fratello Victor. Avrebbe potuto accompagnare lo zio mentre questi riportava la cugina in Germania e successivamente avrebbe raggiunto la dimora in costa azzurra, dove avrebbe trascorso le due settimane prima dell’inizio del trimestre sotto l’occhio vigile dell’Alysei.
Il ragazzo si sottomise alle imposizioni materne, appuntandosi però nella mente delle clausole di cui Amelia non sarebbe stata messa al corrente:
1. Che avrebbe chiesto alla cugina Lyric di passare con lui quelle due settimane in Francia.
2. Che avrebbe portato nella loro esclusiva dimora gli amici tedeschi e “popolani” della suddetta cugina (poiché avrebbe invitato anche loro per non farle un torto ).
3. Che suo fratello Victor sarebbe stato a conoscenza di tutte queste cose ma non le avrebbe detto niente e che il dipendente (pagato con una bustarella fornita dal citato fratello qui sopra) avrebbe fatto lo stesso.
Naturalmente si concesse il tempo di conoscere un po’ la compagnia di sua cugina prima di tirare fuori la sua fantastica idea e, quando fu certo che lo stare con questi non sarebbe stato deleterio per la sua salute, aveva fatto esplodere la bomba.
Essendo un Alysei fin dentro le ossa aveva pianificato ogni minimo dettaglio. Lasciò che a convincere i genitori degli amici di Lyric fosse zio Victor. Facendo poi leva sulla sua naturale capacità di precludere fuori dalla mente qualunque rifiuto espose la sua proposta a Lyric e i suoi amici, convinto che fosse una questione da considerare come un dato di fatto.
Gustav e Georg rifiutarono gentilmente l’offerta poiché avevano già i loro rispettivi viaggi da fare in famiglia, progettati prima dell’allettante proposta del ragazzo. I gemelli invece accettarono senza neanche pensarci due volte e attesero solo il via libera da Simone, che lo concesse a patto che promettessero di non dare troppi problemi al signor Victor e alla signorina Freia.
Fecero un giuramento da perfetti boy-scout e dopo di che si immersero nella felicità di trascorrere qualche giorno in un posto completamente nuovo per loro. Con tutta probabilità sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero trascorso dei giorni in pieno relax, il fatto di avere tra le mani un contratto con una casa discografica implicava che non ci sarebbero più stati molti giorni rilassanti da lì in avanti.
L’unica che non fu totalmente entusiasta della cosa era Lyric, covava qualche dubbio sulle reali intenzioni di Alphonse riguardo tutta quella storia e all’allegria dei due Kaulitz si unì provando qualche riserva.
“Palais de les Pommes bleu” si trovava in un tratto esclusivo della costa azzurra, posizionata a metà tra Nizza ed Antibes. Era un piccolo gioiello architettonico di proprietà della famiglia De la Croix da parecchie generazioni.
Dalla villa si poteva raggiungere il mare percorrendo a piedi un sentiero che si snodava lungo la macchia di vegetazione, dietro al palazzo. Se invece si voleva respirare un po’ d’aria di campagna bastava prendere una bici e pedalare un’oretta tra i paesaggi della riviera, fino ai campi viola delle coltivazioni di lavanda, anche questi di proprietà del signor Leonard.
La prima cosa che fecero i ragazzi appena arrivati fu gettarsi tra le onde del mare, catturati immediatamente dall’attrazione viscerale di quel azzurro ipnotico. Mentre giocavano pieni di allegria tra i cavalloni di spuma salata ed acquosa provarono tutti la sensazione che sarebbe stata una permanenza memorabile. Persino Lyric non poté evitare di sentirsi fiduciosa e perdendo lo sguardo nella straordinaria natura che la circondava si lasciò convincere dall’ottimismo.
Forse sarebbe andata bene, soprattutto quello che aveva intenzione di fare.
La prima settimana passò in un fretta, presi come erano dalle mattinate in spiaggia e dalle escursioni dei dintorni al pomeriggio, dalle nottate passate a parlare, scherzare, rumoreggiare o semplicemente a stare in compagnia senza particolare intrattenimenti. I due adulti del gruppo, Victor e Freia, riscoprivano con piacere un rapporto d’amicizia che avevano lasciato decadere per futili ragioni d’orgoglio e risentimento mentre i giovani vivevano ogni istante con il tipico entusiasmo della loro età, semplicemente felici e spensierati.
Nella prima settimana alla villa “delle mele blu” accadde una cosa che convinse un’altra persona ad agire oltre a Lyric.
Questa persona era Tom.
La sua decisione venne presa una notte, mentre la casa era addormentata e l’unica luce proveniva dal cielo trapuntato dagli astri e dalla luna. L’aria che soffiava verso le finestre dell’abitazione era fresca e portava addosso l’odore un po’ pungente della salsedine. Il suono delle onde giungeva all’orecchio come la nenia di un carillon e fu la prima cosa che Tom sentì quando aprì gli occhi nell’oscurità.
Era accaldato e si sentiva addosso una leggera patina di sudore che gli bagnava la pelle. Lasciò il suo letto deciso a scendere verso le cucine e procacciarsi una bottiglia d’acqua da prosciugare. Non sapeva perché ma aveva una sete tremenda che gli infastidiva la gola.
Senza curarsi di mettersi addosso qualcosa oltre ai suoi boxer neri uscì dalla stanza che divideva con Bill, sicuro che vista l’ora avrebbe avuto poche probabilità di incontrare qualcuno lungo i corridoi. Erano difatti le 3 del mattino e l’intera villa era coperta dal silenzio. Arrivato nella gigantesca cucina agguantò dal frigorifero ciò che stava cercando, restando qualche minuto di fronte all’emissione di aria fredda del macchinario per trovare sollievo. Tolto l’impiccio del tappo tracannò l’acqua sentendola scivolare dentro con grande piacere. Quando si ritenne soddisfatto si incamminò verso la sua camera, gettando la bottiglia vuota dentro al cestino dell’immondizia.
Il rumore di qualche voce interruppe però il movimento dei suoi piedi scalzi a qualche metro dal grande soggiorno. Incuriosito andò a vedere a chi appartenessero.
“Chi può essere sveglio a quest’ora?” si domandò Tom man mano che si avvicinava alla sala.
Una volta dentro poté udire meglio ciò che prima era stata solo una vaga impressione. Provenivano dal terrazzo a vista che dava sul mare ed erano due. Rallentò a pochi centimetri dalla porta finestra per poi fermarsi del tutto e tendere l’orecchio. Cercò di riconoscere le voci, deciso a non farsi vedere, perché non voleva fare imbarazzanti figure se per qualche sfortunato evento fossero state persone impegnate in qualche strana maniera. Intendete poi voi quali tipi di atteggiamenti “strani” potessero essere compiuti alle tre di notte, su una terrazza, secondo Tom Kaulitz.
“Sicura di non voler andare a dormire?” domandò una di queste.
“Bill?” si stupì di sentire la voce di suo fratello.
Effettivamente quando era uscito il gemello non si era destato dal sonno a chiedergli dove stesse andando, solitamente quando di notte accadeva Bill se ne accorgeva sempre se Tom si era svegliato per qualche ragione.
“Tranquillo sono solo leggermente assonnata.” Disse l’altra voce, sbadigliando sonoramente poco dopo.
“Lyric?” quando invece riconobbe lei ci mancò poco che Tom trasalisse.
Nella più profonda e completa perdita di ragione il rasta fece un movimento rapido e si acquattò per terra, con la schiena contro il muro, ad un lato della porta finestra davanti alla quale si trovava prima. Fatto ciò imprecò mentalmente, dandosi poi del vero coglione. Praticamente si era nascosto e per di più stava origliando.
“Che testa di cazzo!”
Lo era, era l’unica spiegazione possibile per la posizione in cui si trovava. Se fosse stato intelligente non avrebbe fatto una cosa del genere. Se lo fosse stato, anche solo minimamente, avrebbe dovuto girare i tacchi ed uscire dalla scena il più discretamente possibile. Non scavarsi una fossa rimanendo lì, coperto dal buio, a farsi gli affari privati di quei due.
“Che enorme testa di cazzo!”
Lo era anche perché poteva essere che stesse per avvenire quel momento.
Sì, proprio quel momento!
Quello a cui nessun dovrebbe mai assistere (o origliare) perché troppo privato, troppo intimo, troppo imbarazzante. Per due persone soltanto, il terzo in comodo era fuori discussione.
Lui poteva essere il terzo in comodo. Non lo voleva essere, non doveva esserlo, se lo fosse stato Bill non glielo avrebbe mai perdonato. Questo perché oltre che essere un vero imbecille, Tom, era suo fratello gemello e questo implicava non riuscire a tenere segreto un simile crimine troppo allungo, non se si trattava di quel momento.
Lo era?
Stava forse per accadere?
“Troia, no!” supplicò Tom spaventato a morte da una simile prospettiva. Se Bill aveva deciso di dichiararsi proprio adesso lui non voleva esserci. Come già detto qualche riga fa sarebbe stato troppo imbarazzante, troppo privato, troppo intimo. Tom non doveva essere testimone di una cosa tanto personale e che cazzo!
Preso follemente da uno sprazzo di lucidità il rasta si accorse che era inutile farsi prendere da tanta preoccupazione, doveva solo alzare il culo dal pavimento e gattonare in modo delicato fuori da quella stanza, prima che quei due si accorgessero di non essere soli.
La sua salvezza dipendeva da questo.
“Hai sentito?” domandò poi Bill.
Il gemello si immobilizzò e si sentì attraversare da un gelido panico. Se l’altro Kaulitz l’avesse scoperto che razza di scusa avrebbe potuto campare per aria? Che si trovava dietro di loro, in ascolto, per una strana forma di sonnambulismo? No, Bill era tutto fuorché così ingenuo. Se fosse stato in vena gli avrebbe tirato un calcio sul didietro e tanti saluti.
Questa era pura invasione di privacy.
“Eh?” biascicò Lyric con la sua voce assonnata “No, non ho sentito niente.”
“Dio, grazie.” Sospirò Tom ritornando cautamente alla posizione iniziale, si sarebbe mosso appena quei due avessero ripreso a chiacchierare, così da sfruttare la loro poca attenzione per poi scappare via.
“Uhm, mi sembrava di aver sentito qualcosa…”
“Cazzo Bill! Non insistere!” pensò il fratello maledicendolo “Sarà meglio per tutti se riprendi a chiacchierare, soprattutto per me.”
“Ti assicuro che non ho sentito niente.” Confermò la ragazza sbadigliando nuovamente. Vedendo la sua compagna ripetere ancora una volta un segnale di sonno così evidente smise di chiedersi se ci fosse stato o no del rumore.
“Lyric, sul serio, non riesci a tenere le palpebre aperte. Che ne dici se ti accompagno in camera?”
“No!” protestò Lyric riscotendo il suo cervello mezzo assopito.
“No!” Tom gridò contrario nella sua mente, terrorizzato dall’idea di venire scoperto. Sarebbe stata una figura di merda troppo grande da sostenere.
“Restiamo qui ancora per un poco, per favore.” Cercò di convincerlo, pregandolo con uno sguardo. Bill si arrese senza neanche combattere.
“Va bene.” Acconsentì lui.
Il fatto che si trovassero lì seduti, avvolti insieme in una coperta, era stato un puro caso. Come il fratello, Bill si era svegliato assetato e come lui si era recato in cucina a bersi qualcosa. Mentre stava ritornando in camera aveva visto Lyric sulla terrazza. Si era allora avvicinato per sapere come mai fosse ancora sveglia e lei gli aveva risposto che non riusciva a dormire e che per questo era venuta a prendere aria.
Bill era stato visibilmente contento di poterla avere tutta per sé per un po’.
Da quando era tornata dall’America erano stati pochi i momenti che avevano potuto trascorrere effettivamente da soli e quella era apparsa ad entrambi una casualità veramente fortuita. Difatti la maggior parte delle volte erano stati circondati da troppe persone e non avevano ancora realmente parlato a quattro occhi, cosa invece che desideravano entrambi. Dopo l’esplosione emozionale di quando si erano riabbracciati all’aeroporto di Lipsia sia Bill che Lyric avevano mantenuto il profilo basso e avevano cercato in tutti i modi di sembrare naturali.
Come se entrambi non sapessero di provare qualcosa per l’altro.
Fino a quel momento avevano parlato degli avvenimenti più importanti che avevano vissuto mentre erano stati lontani, questa volta con molti più particolari di quando avevano dovuto accontentarsi di parlare per telefono o col computer. Bill, in particolare, si era sentito sollevato quando Lyric gli aveva spiegato tutto quello che si erano detti lei e sua nonna Cassandra. Lei comunque l’aveva tranquillizzato fin dall’inizio sostenendo che era andato tutto bene e che, anzi, era andata meglio di quanto avesse potuto aspettarsi.
“Cosa stavamo dicendo?” chiese lei mentre si stringeva addosso la coperta e posizionava il proprio capo sulla spalla destra di Bill.
Per via della lieve sonnolenza aveva perso il filo del discorso, oltre al fatto che era più interessata alla vicinanza di lui al suo fianco. Dopo aver lottato contro se stessa più o meno tutto il tempo, Lyric si era poi concessa di avvicinarsi a Bill e appoggiare la testa, sapendo che questo tipo di gesti avevano assunto significati diversi rispetto a quando non era conscia del suo stato.
Questo significava anche nuove reazioni, tutt’altro che semplici da controllare.
Come per esempio la tensione di essere così vicina, la preoccupazione di non mostrare che ci tenesse più del dovuto a quel loro contatto fisico, il calore che la faceva sentire quasi febbricitante e poi il piacere che le dava ogni suo più piccolo gesto nei suoi confronti. Cosa ancora più devastante la voglia imperiosa che pretendeva di più, molto di più. Per lei erano cose nuove da affrontare.
“Mi stavi parlando del perché fosse così importante la dichiarazione di tua nonna riguardo alla tua libertà.” Fece mente locale Bill.
Lui strinse poi la sua parte di coperta e l’avvolse meglio attorno ai loro corpi, lasciando ricadere il suo sguardo verso l’orizzonte e ascoltando le onde che si infrangevano nel buio. Il vento soffiava piano contro la pelle dei loro visi e si portava appresso il profumo delle piante della riviera.
“Non capisco perché il permesso di tua nonna possa essere tanto rilevante. Le persone sono, fondamentalmente, già libere.” Lyric rise mentre chiudeva gli occhi e si rilassava ascoltando le convinzioni del ragazzo.
“Come posso spiegarti?…” parlottò tra sé “Hai ragione, a tuo modo. Non dovrebbe essere così importante il permesso di mia nonna ma questo vale per il resto delle persone. Quando appartieni alla mia famiglia un suo consenso o un suo rifiuto significano tutto…” era un po’ difficile spiegargli le complicate relazioni che correvano all’interno del suo incasinato nucleo famigliare, soprattutto se si lasciava coccolare dalla sensazione di pace che provava nello stargli accanto e che la tranquillizzava con tepore.
“Ok. Sì, ho compreso che sei nata in mezzo ad un manicomio. Per i tuoi parenti il volere di tua nonna conta perché vogliono i suoi soldi e poi anche perché ne hanno soggezione. Tu invece, contando il fatto che hai smesso di temerla, quale ragione avresti per considerare le sue parole così fondamentali?” Bill voleva a tutti i costi i suoi chiarimenti e Lyric non si chiese del perché di tale insistenza, era troppo impegnata a godersi il momento per pensarci. Rimase però colpita che lui avesse esposto la situazione in modo tanto verosimile.
“Mia madre.” Rispose Lyric e Bill non riuscì a non notare la dolcezza con cui pronunciava il suo nome e il rispetto che portava per tutto ciò che la riguardava “È lei la ragione per cui ai miei occhi la libertà elargitami da mia nonna è importante.”
Bill attese che continuasse, ben sapendo che Eleonor non era mai un argomento leggero per lei.
“Devi sapere che mia madre e mia nonna andavano splendidamente d’accordo. Mia madre le voleva molto bene e provava per lei tantissimo rispetto. Da piccola non comprendevo questo affetto, per me era sprecato, ma pur ritenendolo tale pensavo anche che ci fosse una ragione. Ci doveva essere per forza poiché mia madre non dava la propria fiducia a tutti e non la dava di certo per i propri legami famigliari. Infatti odiava molto mio zio Vincent, il primogenito, suo fratello maggiore.”
Prese una pausa per scegliere le parole più semplici “Il rispetto e l’affetto di mia madre…non li potevo tradire, anche se erano rivolti verso qualcuno che pensavo di detestare. Ho sempre dato ascolto a quello che mi diceva la nonna, persino quando mi faceva stare male, perché non volevo pensare che mia madre si fosse sbagliata nel concedere a Cassandra la sua fiducia. Aspettavo di vedere e comprendere perché lei non l’avesse mai odiata e anzi l’avesse amata molto. Pensandola così mi pare ovvio che mia nonna per me contasse molto.” Ci fu un altro minuto di silenzio dopo quella raffica di parole “Per me conta molto.” ammise “Con il suo – sei libera- mi ha dato la possibilità di pensarla come volevo. Di non dover preoccuparmi di cosa lei pensasse o di come mi sarei dovuta comportare per compiacerla oppure non infastidirla. Ho avuto il permesso di essere solo Lyric Hörderlin e non, anche, Lyric Alysei Hörderlin.”
Sentì la mano di lui legarsi alla sua.
“A me piace Lyric Hörderlin.” Disse Bill dopo un poco, con imparagonabile semplicità e sincerità. Inclinò il capo e lo appoggiò sul suo “…con difetti e annessi del caso…” aggiunse. L’amica rise, soddisfatta di essersi aperta con lui anche su questo punto. Fece poi finta di niente riguardo a quel “A me piace Lyric…” .
“Mi piace essere l’unico a cui confidi certe cose. Mi piace esserci per te.” Le disse Bill esponendo più che altro i suoi ragionamenti. Nella voce, se si stava attenti, si poteva percepire però il peso reale delle sue parole. Infatti Tom, che si trovava ancora appoggiato al muro dietro di loro, sgranò gli occhi.
“Davvero? Sapevo che eri presuntuoso…” Mugugnò Lyric ormai in procinto di abbandonarsi completamente alla divinità dei sogni. Le sue palpebre erano calate da parecchio tempo e il suo respiro aveva già iniziato a rallentare. Non poteva essere ricettiva ai messaggi tra le righe che il suo interlocutore stava disseminando.
“E non ti da fastidio che io sia così presuntuoso?” domandò Bill, anche lui al confine tra la veglia e il sonno ma comunque ancora abbastanza lucido. Non voleva perdersi la possibilità di guardarla dormire, di poterla osservare come voleva lui.
“No.” Sbadigliò “I tuoi lati negativi vanno bene, li posso accettare, li accetto…e poi…Bill?”
“Uhm?”
“Per te conto abbastanza, non è così? Abbastanza per farti provare a non farmeli pesare troppo i tuoi difetti? Per te conto abbastanza …” espresse a tentoni, con qualche errore nella disposizione delle parole, poiché era già in uno di stato di dormiveglia.
Bill si ridestò, turbato per quelle ultime battute. Lyric però si era addormentata.
Ne era certo perché non aveva parlato di nuovo, pur non avendo ricevuto risposta da lui.
Bill fece strisciare il suo braccio destro sopra alle spalle di Lyric per avvicinarla a sé.
La sistemò poi sopra alle sue gambe, in modo che un lato del corpo di lei si appoggiasse al suo petto e lasciò che le sue lunghe braccia la tenessero stretta a lui. Se la sarebbe poi inventata la mattina seguente la scusa per spiegare quella loro posizione. Sistemò infine la coperta di lana su di loro e poi la guardò con tutta la concentrazione che non poteva concedersi davanti agli altri, con tutta l’attenzione del suo piccolo essere.
“Non possiamo continuare così…” sussurrò a voce bassissima rivolgendosi all’addormentata. Le posò le proprie labbra sui capelli neri, baciandoglieli, osando fare qualcosa che Lyric non si sarebbe mai ricordata. Rubando la verità alla luce del giorno e donandola all’oscurità della notte.
“Conti abbastanza da complicarmi la vita…” rivelò, peccato che non avesse la determinazione di dire quelle cose quando era sveglia, un vero peccato che ci fossero tanti problemi in una semplice dichiarazione. Non gliela avrebbe mai fatta, non senza provare di essere uno sporco egoista.
C’era Tom in ogni caso da affrontare e lui, fino a prova contraria, era tutto ciò che aveva di più caro al mondo.
Restò qualche altro minuto ad ammirarla prima di addormentarsi a sua volta. Soltanto quando entrambi se la dormivano della grossa Tom poté finalmente andarsene ed ogni singolo passo lontano da loro si dipingeva nella sua mente qualcosa di inevitabile.
Perché Bill era tutto ciò che aveva al mondo e per lui avrebbe fatto qualunque cosa.
Questo significava affrontare anche se stesso e i suoi di sentimenti.


****



Ci vollero alcuni giorni prima che Tom attuasse il suo piano.
Sarebbe stato un discorso difficile poiché lui non era abituato a mostrare ad altri cose intime o private. Non era portato nel dimostrare i sentimenti così facilmente come riuscivano Bill e Lyric.
Il sentimentalismo o le parole intrise di serietà erano cose che se ne stavano alla larga dalla sua bocca.
Ci pensò molto, difatti, e quasi si fece venire un’emicrania incazzosa per quanto tali pensieri lo mettessero in difficoltà.
Da quando aveva capito che Bill provava qualcosa per la loro amica…no… a dir la verità era da quando quei due avevano cominciato a frequentarsi che Tom aveva intuito come sarebbero andati a finire gli eventi.
Prevedendo come le cose si sarebbero sviluppate, per tutto quel tempo, era stato attanagliato dal timore.
Perché, per chi non lo avesse ancora capito, Bill era davvero tutto ciò che aveva di più caro al mondo.
Nel suo personale universo erano stati sempre e solo loro due. Il fatto che la metà con cui aveva diviso l’esistenza fino a quel momento avesse cominciato ad allargare il proprio spazio, verso di lei, lo aveva allarmato.
Non era come le altre volte, non era come con le altre ragazze.
Bill era diverso. Come se dentro alla mente del fratello fosse nata una nuova coscienza.
Tom aveva cercato allungo di tenere alla larga tutte le sue paure, le sue domande, limitandosi ad osservare la situazione e convincersi in qualche modo che non fosse seria come lui la pensava.
Ovviamente tra tutti e tre, forse, era stato proprio lui il vero finto tonto. L’aveva fatto apposta ad essere ottuso e ricalcitrante. Però aveva deciso di smetterla.
Perché voler bene a qualcuno significa anche accettare che questi non sia solo nostro.
A conti fatti quella che si mosse per prima era stata proprio l’avversaria che doveva affrontare, quindi, più che attuare il suo piano, Tom aveva subito l’offensiva.
Non c’era stato un vero scambio di parole sul come e il quando avrebbero dovuto parlare.
C’era stato solo uno sguardo. Breve e chiaro.
Lyric e Tom si erano capiti al volo, senza bisogno di aggiungere voce al loro silenzio.
Era stata l’ora del crepuscolo e l’arancione dorato del sole che calava inondava di una luce irreale l’orizzonte. Stavano tornando tutti alla villa, di ritorno da un pomeriggio stancante passato in spiaggia. In fila indiana stavano risalendo il sentiero tra gli alberi e Tom in quell’occasione si trovava dietro a lei.
Ad un certo punto Bill lo aveva superato e aveva fermato Lyric trattenendola delicatamente per un gomito. L’aveva fatta voltare per mostrarle un secondo il tramonto che scendeva sul mare. Tom si era fermato a sua volta e aveva guardato nella direzione indicata dal gemello. Quando si era girato nuovamente verso di loro fu folgorato, letteralmente, dal modo in cui quei due si stavano guardando.
Era così chiaro. Niente di più semplice.
Si stavano cercando. Si stavano aspettando.
Vide Bill sfiorarle una ciocca dei capelli e ritrarsi subito con un piccolo sorriso di scuse. Lyric lo seguì con gli occhi mentre questi riprendeva a camminare in avanti. Poi lei incrociò volontariamente gli occhi nocciola di Tom.
Un solo sguardo. Breve e chiaro.
“Dobbiamo parlare…” decretarono quegli occhi blu. Tom non poté altro che annuire.

****



Fu un’ incontro sotto molti punti di vista contorto, imbarazzante, pesante ma anche liberatorio.
Tom la trovò il giorno seguente, a mezzanotte inoltrata, seduta su uno sdraio di vimini intrecciati, sulla sponda della piscina della villa. Aveva le spalle avvolte da uno scialle rosso ciliegia e se lo teneva appuntato sul petto con le mani. La testa ricadeva placidamente contro un cuscino lillà sulla cui superficie erano sparsi i suoi capelli.
Lyric non lo guardò mentre si sedeva sullo sdraio accanto e Tom rimase in silenzio per parecchio tempo, lasciando sibillare la brezza del mare. Quando lei lo percepì tranquillamente sdraiato prese un respiro e poi parlò “Eccoci qui.”
Tom si portò le braccia dietro la testa e cominciò a fissare i puntini bianchi sopra di sé “Questa sarebbe la nostra seconda discussione seria da quando ci conosciamo.”
“Ne abbiamo fatte tante altre.” Lo contraddisse lei, fissando a sua volta le stelle “Solo che tu non sei mai stato serio nessuna di quelle volte. Conti male.”
Tom grugnì “Non fare la solita pignola, persino in una situazione come questa ti piace correggermi.”
Lyric rise a fior di labbra “Mi viene naturale, perdonami. Con te è un meccanismo automatico.”
Ci fu una pausa che durò il tempo di sentire le foglie frusciare e poi fu Tom a riprendere la parola “Di cosa volevi parlarmi?”
Si voltò verso di lui “Mossa sleale…” ammonì l’amica “Lasci che la prima pietra venga scagliata da me?”
“Sì, lo so, sono uno stronzo.”
“No…” Lyric giocherellò con un lembo del suo scialle “Hai solo paura. Come me.”
La fronte di Tom si increspò di lieve disappunto. Lyric usava sempre parole che racchiudevano in poco spazio un’infinità di significati, la maggior parte delle volte si trattava di cose che si insinuavano molto dentro all’anima, cose che facevano paura.
Lei era una provocatrice.
La sentì muoversi sopra allo sdraio e cambiare posizione per poterlo guardare, si mosse anche Tom e si ritrovarono a fissarsi. La tensione che aleggiava attorno a loro era evidente e palpabile. Lyric respirò profondamente ancora una volta e richiamò a sé tutto il coraggio che aveva.
Stranamente sentiva di avere gli occhi un po’ lucidi ma cercò di non pensarci.
Lei era coraggiosa, molto più di lui.
“Come nella nostra prima discussione ho una confessione da fare. Un senso di colpa che voglio togliermi di dosso per sentirmi nel giusto nei tuoi confronti. Era da tempo che volevo dirti questa cosa ma ho sempre rimandato. Pensavo che qualcosa di cui non avresti mai saputo non ti avrebbe ferito…” fece una pausa e poi riprese “…mi sono resa conto che le cose sono cambiate…”
Tom si accorse che erano le stesse parole usate dal fratello mesi prima, quando Bill gli aveva detto che era innamorato di lei. Si sentì un po’ stupito che gli eventi scorressero così velocemente. Quasi ci rimase male quando Lyric disse le famose paroline che da qualche istante aleggiavano sopra di loro.
Lo stava ammettendo.
“Sono innamorata di Bill, lo sai?”
Non fu terribile come se lo era aspettato, non così spaventoso, infondo Tom si era ormai rassegnato al riguardo.
“Quando lo hai capito?” domandò, provando a mantenere una leggera indifferenza.
“Due mesi fa, circa, non ho contato di preciso. Però credo di esserlo già da un po’ di tempo.” Lyric si era arrossata e da qualche secondo si era messa a guardare tutto fuorché il suo interlocutore.
Tom si portò una mano sugli occhi e ridacchiò a bocca chiusa “Due tonni, sul serio, siete due tonni.” Bisbigliò preso dall’ilarità. Dopo qualche minuto tornò serio e riprese a guardarla negli occhi “Perché questo dovrebbe essere un tuo -senso di colpa- ?”
“Questa era la mia premessa. Vedi oltre al fatto che sono certa di ciò che provo per Bill, sono ugualmente sicura di ciò che sento nei tuoi confronti.”
“Che intendi dire? Non ti seguo.”
“Sto parlando del fatto che sei un mio amico. Del fatto che esiste la nostra amicizia e che la considero uno dei rapporti più importanti che posseggo con qualcuno che non abbia il mio stesso sangue.” Il viso della ragazza si ingentilì con un’espressione dolce e allo stesso tempo sincera “Il mio senso di colpa riguarda per l’appunto la nostra amicizia. Ricordi anche tu i nostri inizi disastrosi, no?”
“Perfettamente. Eri l’essenza stessa dell’irritazione, non ti potevo vedere senza provocarti in qualche modo. Mi stavi sulle palle in una maniera assurda, non ti sopportavo…”
“Non c’è bisogno di essere così dettagliato al riguardo. Mi bastava un semplice sì.”
“Era per essere precisi, comunque cerchiamo di arrivare al dunque…”
Lyric si sistemò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, prendendosi con calma del tempo “È per Bill che è iniziata la nostra amicizia, ecco cosa sto cercando di dirti, è solo per non perdere lui che avevo accettato di mettere da parte la mia antipatia nei tuoi confronti e avevo provato a risanare i nostri rapporti…”
Tom non comprese immediatamente le sue parole. Ci volle un altro di quegli sguardi brevi ed eloquenti tra di loro per fargli capire dove lei stesse andando a parare e pur non essendone certo, poiché non aveva effettivamente tutte le capacità necessarie di sensibilità ed acume per arrivarci, a grandi linee seppe di cosa stesse parlando.
“E fino ad ora ti eri sentita in colpa per questo?” Lyric annuì e Tom si imbambolò non trovando niente da dire.
“Io lo sapevo già dall’ora, sapevo perfettamente quanto tu contassi per Bill. So, sappiamo, che sei la persona più importante di tutte per lui. Ti ama in un modo imparagonabile e per te è la stessa cosa. Sono una ragazza razionale e avevo compreso che per non perderlo avrei dovuto frequentare anche te. Sarei dovuta diventare simpatica a suo fratello in modo tale che questi non lo costringesse ad una scelta.” Lyric non si diede pena di filtrare ciò che le passava nella mente, era il momento della verità ed era intenzionata a non lasciare più niente nascosto “Sapevo che avresti vinto tu se fosse successo. Lo ami anche tu, da molto più tempo di me. Tu ci sei sempre stato, ci sarai sempre. Io non chiedo molto, solo che tu capisca.”
Tom, rimasto basito per la rivelazione, tentava di restare al passo dei suoi ragionamenti e allo stesso tempo di trovare delle risposte da darle. Era tutto così veloce e Lyric sembrava correre con determinazione lungo una strada già tracciata. La vide alzarsi da dove era sdraiata e sedersi poi di fianco ai suoi piedi.
Sotto la luce pallida ed evanescente della luna, mentre il silenzio era rotto solo dai loro respiri e di quelli del vento, Lyric portò in avanti una mano fino ad incontrare quella dell’altro. La sfiorò prima con prudenza e poi con solida certezza. Gliela strinse, infine, come se in quel gesto fosse racchiusa la verità sui misteri del creato. La sua verità.
In quel preciso istante, quando un brivido repentino risalì il suo braccio fino ad arrivare al centro stesso del suo petto, Tom ebbe un’illuminazione riguardo al perché Bill fosse innamorato di lei.
Lyric era bellissima.
Era bellissima nel suo modo di essere, nel modo straordinario con cui riusciva a sentire e provare gli umani sentimenti, nel modo in cui riusciva ad esternarli. L’osservava nei suoi occhi: la sua emozione sincera, la fiducia nelle sue ragioni, l’affetto per lui, l’amore per Bill.
Lyric esisteva.
Tom Kaulitz si rese conto per la prima volta dell’unicità di quella ragazza di nome Lyric Hörderlin, si svegliò e si stupì di percepirla in maniera concreta come una persona vera e propria.
Lei era lì, di fronte a lui, e gli stava mostrando il suo cuore. Lo stava pregando di accettare che lei amasse suo fratello e che, qualunque cosa fosse successa, di non portargli via per nessuna ragione una persona importantissima per entrambi.
Tom aveva ancora paura, forse, persino più di prima.
Non aveva però intenzione di essere l’eterno terzo in comodo, non aveva il diritto di farla penare tanto. Se doveva per forza affrontare l’inevitabile evento di dover dividere Bill con qualcuno allora non c’era nessun’altro a cui lo avrebbe concesso. Finché era lei poteva farlo.
“Non te lo portare via troppo lontano...” Decise infine di dire Tom.
In quelle parole era racchiusa anche la sua di verità, i suoi timori e il suo sì. Non era un veggente e non poteva vedere nei resti del tè il destino delle persone ma Tom aveva la sensazione che la loro storia, quella tra Bill e Lyric, sarebbe stata complicata. Non era sicuro del perché ma lo sentiva nelle ossa che quella ragazza avrebbe portato via il cuore di suo fratello, lo avrebbe portato veramente molto lontano.
Il rasta le sorrise con un accenno malinconico e al tempo stesso intenerito “Se manterrai questa promessa allora non ci saranno problemi. Sarò felice per entrambi se così deve andare.”
Lyric lo abbracciò sollevata “Promesso.” sussurrò al suo orecchio.
Tom ricambiò quel gesto affettuoso e per un po’ si lasciò cullare dalla sensazione di aver appena fatto la cosa giusta.
“Non te lo portare via troppo lontano…” pregò con tutte le sue forze, ben sapendo però che forse era troppo tardi per tali suppliche. Il loro amore era già qualcosa che andava oltre la sua comprensione.
A Tom non restava altro che farsene una ragione, in quanto poi, a farne le spese maggiori di un sentimento talmente forte sarebbero stati altri.

Bill e Lyric non avevano idea di ciò che li avrebbe travolti.

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* La citazione appartiene al personaggio di Kagura Soma, la signorina cinghiale, del mio manga preferito: Fruit basket. Rileggendo il volume in cui questa frase era stata detta ho pensato che essa racchiudesse proprio tutto ciò di cui avevo bisogno. Spero che si sia capito che il tema centrale di questo capitolo è la consapevolezza di quando ti rendi conto di essere innamorato.
Quando accade di solito, è vero, sei già fregato. Naturalmente l’ammetterlo con se stessi non significa che le cose diventino facili, anzi, spesso si complicano proprio per questo.
 
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Gillian Kami
view post Posted on 12/5/2010, 22:48




E passo al capitolo 10.
Baciiii!

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Capitolo 10: Neve.


Il destino è come Penelope di Itaca.
Passa il giorno a tessere instancabilmente una tela dagli intricati disegni.
I fili sono così strettamente legati l’uno all’altro che non si distingue dove inizino oppure finiscano.
Le vite umane sono come quei fili sottili: in qualche maniera si incontrano.
Così i loro desideri si intrecciano e le loro scelte si scontrano.



Parigi.
Luglio, 2009.


L’intervistatrice francese si appuntò meglio gli occhiali da vista sul naso e con un cipiglio incuriosito fece una domanda un po’ diversa dal solito.
“Mi dica, Bill, lei che ha sempre affermato di credere nel vero amore…” iniziò la pomposa signora con un’evidente dose di botox iniettata in viso di recente “…per caso non è che lo ha già incontrato? Il vero amore, intendo. Molte persone, visti i temi delle vostre canzoni molto spesso riferiti a travolgenti amori perduti, si sono chieste se non ci fosse una specie di messaggio subliminale riguardo ad una sua esperienza passata?”
Gli altri tre membri dei Tokio Hotel, dietro alla loro perfetta maschera di cera, furono immediatamente colpiti per quella uscita inaspettata e sapendo quanto quella domanda pungesse un punto scoperto nell’animo di Bill si misero in allerta.
Tom rimase impassibile, per evitare che quell’avvoltoio di donna potesse scorgere un qualsiasi segnale che le desse l’impressione di averci centrato. Dalla sua posizione stravaccata sulla poltrona percepì che il fratello per un attimo si era irrigidito.
Georg prese ad osservare la stiratura dei suoi capelli con non-chalance e nessuno si accorse che aveva aumentato leggermente la velocità del tic al suo piede. Gastav invece si concesse uno sbattere più lento del solito alle palpebre, senza però modificare l’espressione annoiata della sua faccia.
Bill, dopo il primo momento di stupore, sorrise nel modo ammagliante che aveva, dimostrando di non essere per niente turbato “Le nostre canzoni non si riferiscono ad una esperienza precisa. Ciò che scrivo sono il risultato di tanti eventi che ho vissuto sulla mia pelle, dei pensieri e dei sentimenti che ho provato in quelle occasioni. Sono analisi condensate di tanti fatti. Quindi…” lo sguardo spudoratamente innocente ed ipnotico di quella creatura aliena fece seccare la gola dell’intervistatrice, difatti il cantante stava sfruttando in modo palese tutto l’ascendente che possedeva sulle persone “…purtroppo per la sua curiosità non ho incontrato il vero amore. Sono però fiducioso. L’unica per me è là fuori, lo so, devo soltanto trovarla.”
Tom ghignò e scambiò uno sguardo complice con Georg mentre Gustav mosse il capo in un impercettibile assenso, persino lui ridacchiava interiormente per la risposta vincente di Bill.
“Mio fratello è un inguaribile romanticone.” parlò il rasta catturando la giornalista con un’occhiata furba e spruzzata da uno spesso strato di malizia “Non riesce ad essere terra-terra come lo sono io: fin da piccolo ha sempre aspirato a questo tipo di fantasie e visto che inseguiva certi ideali non se le mai goduta come il sottoscritto. Io invece il vero amore lo cerco in ogni ragazza che incontro. Fortunatamente per me si risolve sempre con un nulla di fatto, il che mi permette di riprovarci con la prossima…”
Tom aveva abilmente attirato l’attenzione della donna su di sé, lasciandole il via libera per domande piccanti sulla sua dissoluta vita da dongiovanni incallito. Lei infatti accolse la palla al balzo e gli chiese di raccontarle qualche aneddoto riguardo alla sua personale ricerca del vero amore.
Intanto Bill si era fatto silenzioso, ogni più impercettibile suono attorno a sé si era azzerato e il presente aveva cominciato a sfumare. Chiuse gli occhi per qualche secondo pensando che non era sano lasciarsi precipitare laggiù con così tanta facilità. Quando li riaprì la mente aveva già recuperato un ricordo.
Rivide una ragazza che gli sorrideva mentre era illuminata dal primo sole del mattino. Quella ragazza si era poi avvicinata per posargli un bacio sulle labbra e, trascinando con sé le coperte bianche del letto in cui avevano appena dormito, lo aveva avvolto in un abbraccio che odorava di pelle calda e profumo di fiori freschi.
“Il vero amore…” Pensò tra sé mentre la voce del gemello rispondeva qualcosa alla giornalista.

***



Boston.
Luglio, 2009.


Mentre apriva gli occhi a poco a poco l’odore del caffè caldo si insidiò tra le sue narici e destò la sua coscienza. Qualcuno stava preparando la sua miscela preferita. Con un grande sforzo di volontà aprì gli occhi ma pur avendo smesso di dormire la sua voglia di alzarsi dal suo comodo e protettivo giaciglio era nulla. Si portò la leggera coperta turchese fin sotto al naso e si rannicchiò maggiormente sotto di essa, cercando di conservare il tepore che c’era.
Dalla sua posizione guardò fuori dalla grande vetrata della finestra. Si era addormentata attorno alle quattordici del pomeriggio e visto il blu scuro che diveniva tiepida sera Lyric pensò che doveva essere già passato il tramonto. Con poca attenzione dedusse che dovevano essere per lo meno passate le diciannove, il che significava che era rimasta in uno stato di totale incoscienza per circa sei ore. Fissò un punto qualsiasi che aveva davanti e per qualche minuto attese che i suoi pensieri ricominciassero a marciare. Non ci misero tanto, come era prevedibile riprese a ricordare la Germania..
Tra tutte le rese che aveva dovuto accettare questa era stata l’unica che aveva scelto.
Era una delle poche cose che poteva controllare e di cui non sentiva sfuggire le redini. Da tempo non aveva controllo su certi aspetti della sua vita e trovare la possibilità di esercitarne un poco su qualcosa le convogliava l’umore.
Inoltre aveva ormai preso le sue decisioni ed era intenzionata a mantenerle.
Si girò e controllò che i fogli su cui stava scrivendo prima di addormentarsi non fossero caduti per sbaglio dal comodino. Erano ancora tutti là sopra. Dopo qualche secondo allungò il braccio per aprire un cassetto e lì ve li introdusse.
Tra quei documenti c’era anche una lettera. Non era neanche certa che l’avrebbe fatta arrivare al destinatario ma era stato fondamentale per Lyric scriverla. Bill un giorno, forse, l’avrebbe letta.
Erano passati tre anni dall’ultima volta che si erano visti e parlati, ma anche dopo così tanto tempo lui aveva la stessa identica importanza. Lyric dubitava che avrebbe mai smesso di avere quel ruolo fondamentale nella sua esistenza. Qualcuno bussò in quel momento.
“Avanti.” Disse lei.
Subito dopo che la porta venne aperta comparve una mano, questa si portava appresso una gigantesca tazza di fumante caffè nero. Suddetto, candido, arto apparteneva ad una delle sue due migliori amiche.
“Finalmente ti sei svegliata bella addormentata nel bosco. Credevo di dover chiamare al più presto un principe azzurro per farti destare.”
Si sorrisero nel modo complice che ormai apparteneva al loro rapporto da più di tre anni.
Lyric si mise a sedere “A meno che i principi azzurri non abbiano cominciato a piovere dal cielo non credo proprio che avresti trovato qualcuno pronto a baciarmi per farmi aprire gli occhi e poi qualunque principe non sarebbe andato bene. Per svegliare l’addormentata ci vuole quell’unico principe e nessun altro.”
Kat si appoggiò contro lo stipite della porta e stirò le sottili labbra in un’espressione lievemente contrariata prima di sospirare e roteare gli occhi, era un po’ meno allegra “Beh, chi ha bisogno di quel principe quando c’è del superbo blue montain fumante ad aspettarti. Lo vuoi oppure no il caffè?”
Lyric annuì con decisione e tese le braccia in direzione della tazza color giallo paglierino.
Dopo che gliela consegnò tra le mani bramose Kat si sedette alla destra dell’amica. Si tolse le sue ballerine italiane e le dispose in ordine di fronte al lato del letto, dopo di che lascio che le sue gambe prendessero posto sotto alle coperte e che la sua schiena si appoggiasse contro la spalliera gricio-ghiaccio.
Intanto Lyric era arrivata al secondo sorso di degustazione e si stava lasciando contagiare dal sapore unico della sua miscela preferita. Si permise di tergiversare parecchi minuti con il caffè ed ignorò volontariamente in questo modo l’aria d’attesa che ricopriva l’amica.
Se aveva ancora poca voglia di uscire da quel letto ne aveva ancora meno per quanto riguardava discutere con Kat. Quella persona della sua vita era di una insistenza spossante e per quanto le volesse bene qualche volta pregava che la smettesse di martellare continuamente contro di lei.
Molte persone potevano perfettamente frequentarsi senza avere esattamente la stessa mentalità e questo era perfettamente normale ma c’erano delle questioni assolutamente inconciliabili tra di loro che quasi sicuramente si sarebbero portate dietro fino alla fine delle loro vite.
Una di quelle questioni erano i Tokio Hotel e poiché lei aveva ricominciato a parlarne apertamente, o per lo meno aveva dato l’autorizzazione per poterli comprendere nuovamente nella realtà di Lyric Alysei, Kat aveva preteso una spiegazione.
Purtroppo per l’amica quella spiegazione non era ancora arrivata e poteva darsi che non sarebbe mai giunta.
Lyric ovviamente lo faceva apposta, il problema era che la conosceva troppo bene e sapeva che tipo di reazioni avrebbe potuto avere. Conosceva il temperamento emotivo che Kat aveva per tutto ciò che considerava importante e anche la razionalità calcolatrice che usava quando si trattava di trovare una soluzione.
Poiché non esisteva una risposta che risolvesse ogni cosa e potesse dare felicità a tutti Lyric evitava di darle rompicapi che non potesse sconfiggere. Inoltre, Allie e Diane glielo avevano rivelato, Kat si sarebbe lasciata facilmente trascinare da un odio insensato contro Bill, perché lo avrebbe creduto l’unico ad uscirne pulito dai fatti e questo Lyric non lo voleva.
Nessuna persona importante della sua vita, passata o presente che fosse, avrebbe dovuto odiare un’altra persona importante. Se c’era un sentimento che voleva lasciare da parte era proprio l’odio.
“Diane?” chiese, riferendosi all’altra sua migliore amica “Credevo che oggi sarebbe venuta a trovarmi, l’altro giorno insisteva per poter rimanere a dormire qui.”
Kat fece spallucce “Siamo arrivate insieme, verso le diciotto, ma è subito scappata via come una furia urlando che si era appena ricordata di una commissione urgente. Ha detto che sarebbe tornata verso le venti e mezza, con la cena.”
Lyric cercò di non pensare a quale tipo di pietanze questa volta si sarebbe portata dietro, pregò che fossero per lo meno commestibili visti i trascorsi della loro amica sui suoi discutibili gusti personali. Non era in vena di sperimentare pietanze come l’enchedilas all’aglio e mandorle o iper-spezziati polli tailandesi con contorno di germogli di soia. Il massimo che poteva accettare era un taglio di bistecca Kobe, se la scelta doveva cadere proprio sulla cucina etnica.
“Hai finito?” Lyric vide negli occhi verdi di Kat una nota d’attesa che non poteva più ignorare, ingoiò il resto del caffè in fretta e appoggiò la tazza vicino alla lampada del comodino. Prese un respiro profondo e sentì che anche l’altra faceva lo stesso. Solitamente Kathleyn riusciva a mostrare una calma fredda migliore della sua e spesso era anche troppo controllata.
La vide stringere in una boccuccia pensierosa gli angoli delle labbra e sentendola così ansiosa le prese la mano, cercando di rassicurarla in una carezza di conforto. Ultimamente doveva essere tesa come una corda di violino.
“Tre giorni fa Alphonse mi ha rimproverato...”
“Davvero?” era divertente pensare che suo cugino potesse avere il diritto, in giusto, di rimproverare qualcosa a qualcuno, trattandosi poi della sua fidanzata da più di un anno era stata una mossa ancora più inusuale. Kathleyn non era il tipo di ragazza che si faceva rimbrottare senza combattere ed Allie doveva essere stato certo al cento percento di avere ragione se si era lanciato in un atto tanto pericoloso, ben sapendo inoltre che avrebbe avuto di cui litigare per giorni.
“Già! Mi ha accusato di essere polemica, tiranna e pretenziosa. Ha detto che non ascolto mai gli altri, mi ritiro sempre sulle mie opinioni come un vecchio conservatore repubblicano e che mi arrabbio senza prima capire le visioni altrui…” Lyric provò a pensare che tipo di ragione avesse portato suo cugino ad elencare quella caterva di difetti, di cui Kat a volte era effettivamente provvista, e constatò che pur essendo a conoscenza di questi Alphonse fosse comunque, inevitabilmente, perso di lei.
All’inizio della loro relazione aveva avuto i suoi dubbi sull’andamento della loro coppia, conoscendo l’enorme voragine che li divideva in certi aspetti aveva pensato che avrebbero passato la maggior parte del tempo a discutere. L’amore comunque, fino a quel momento, aveva sempre vinto sulle loro differenze.
“Ha aggiunto che da un certo punto di vista ero peggio di sua madre! Sua madre! Ti rendi conto?! Nessuno può essere peggio di Amelia Alysei anzi, senza offesa, nessuno può essere peggio di un Alysei…” Lyric cercò di non ridere vedendo la testa ramata di Kathleyn agitarsi allibita per un paragone così pesante. Lyric si chiese come suo cugino non fosse già stato spedito in ospedale. A quanto pare Kathleyn doveva aver convenuto che per quella volta una sorta di ragione doveva averla avuta.
“Bene. Poiché non ho visto i giornali titolare in prima pagina la rottura della fantastica – golden couple- significa che state ancora insieme, il che mi rende felice.”
Kat brontolò qualcosa che rassomigliava al soffio indispettito di un felino. Odiava quando le citavano lo stupido nomignolo che i giornalisti avevano affibbiato a lei ed ad Alphonse. Come se fossero stati una di quelle insulse coppiette platinate di Hollywood. Il fatto che i media fossero così interessati alla loro relazione amorosa non le era mai piaciuto.
Non comprendeva quell’interesse smodato per la loro coppia. Doveva fare ancora molta strada prima di abituarsi all’idea che l’essersi fidanzata con un Alysei equivaleva l’essersi legata a qualcuno di estremamente “unico”.
Kathleyn Holloway era una ragazza di buona famiglia, così come lo era Diane, ma finché non era entrata nell’opulenta realtà della famiglia Alysei non si era resa conto di cosa significasse avere effettivamente una posizione privilegiata.
Gli Alysei avevano una visibilità televisiva e sociale enorme.
Per via di molti progetti di beneficenza prestigiosi e di grande rilevanza per la comunità, compiuti con quantità di denaro capaci di far impallidire chiunque, si erano guadagnati la benevolenza della gente. Inoltre pur scivolando a volte in alcuni comportamenti eccentrici i membri della famiglia Alysei si erano fatti amare dall’opinione pubblica.
A Kat girava la testa pensare a quanta pressione dovessero sopravvivere ogni giorno Alphonse e Lyric, trovandosi loro due nell’occhio del ciclone. Ammirava la tempra che permetteva loro di non morire schiacciati da tutte quelle aspettative e da tutti quegli occhi puntati addosso, soprattutto rispettava quella sorta di talento che permetteva a loro di fronteggiare quella vita con una serenità naturale. Da tempo pensava che doveva essere un’eredità genetica.
“Allora, se non lo hai ucciso e non hai bisogno di una mano per occultare il corpo quale sarebbe il nocciolo di questa tua confidenza?”
“Alphonse mi ha fatto pensare…”
“Wow! Scommetto che Allie ci è rimasto male dinnanzi alla tua ammissione di sconfitta, non se lo aspettava, vero?”
“Non fare domande di cui sai già la risposta.” Fu il suo secco commento e Lyric non poté che riderne.
Una stretta un po’ forte alla mano la fece tornare con i piedi per terra. Vedendo l’aria improvvisamente malinconica dell’amica Lyric capì che c’era qualcos’altro.
“Mi dispiace di averti attaccato con quella sfuriata.”
Si riferiva alla gigantesca litigata avvenuta tre settimane prima, quando aveva rivelato la sua intenzione di rivedere Bill e a cui Kat aveva risposto con tutta la contrarietà di cui era capace. Lyric sapeva che era stato il suo modo di proteggerla dal possibile male che ne sarebbe scaturito ma in quell’occasione non si era tanto soffermata sulle motivazioni dell’amica.
Quella volta si era sentita di contrastarla senza starci tanto a pensare.
Erano volate urla e grida, una delle peggiori discussioni da quando si conoscevano e non l’avevano neanche risolta apertamente. Si erano limitate a lasciare correre visto che nessuna delle due avrebbe mai cambiato la sua posizione rispetto all’altra.
“Alphonse mi ha fatto ragionare e se la bocca della verità la interpreta lui significa che ci deve essere per forza una pecca nel mio perfetto ragionamento. Ci ho rimuginato allungo e dopo tanto riflettere ho concluso che ho esagerato. Non ci sono giustificazioni per come mi sono comportata…”
“Beh, non è tutta colpa tua. Ci ho messo del mio.” Ponderò Lyric prima di sorriderle in modo da farle capire che potevano sorvolare. Kat scosse la testa, non era d’accordo.
“Ti ho provocato e tu ti sei difesa. Non avevi fatto niente di più legittimo. Io invece sono saltata subito alle conclusioni più tragiche.” La vide sgranare gli occhi e poi scuotere nuovamente il capo “Resto dell’idea che riallacciare i contatti con Kaulitz non sia l’idea migliore che tu abbia avuto. Questo perché c’è un’infinità di variabili e tutte quante faranno soffrire qualcuno in qualche modo.”
“Puoi sempre abbandonare la nave, puoi farlo quando vuoi.”
Kat le piantò per qualche secondo le unghie contro la pelle della mano, Lyric accettò quel gesto con un sorriso a metà tra il beffardo e le scuse di rammarico.
“Quando parli così riconosco che ti scorre sangue Alysei nelle vene.”
“Sto scherzando. Continua.”
“È la tua vita. Mi sono ricordata che questa è la tua vita e io non posso impedirti di viverla come più lo credi giusto. Posso preoccuparmi e darti consigli ma non mi posso permettere di prendere le decisioni per te. Tu mi hai sempre dato la libertà di sbagliare e io ti devo ancora ripagare per tutte le volte in cui mi hai aiutato…quindi…”
“Quindi?”
“Quindi per comprendere meglio vorrei sapere perché vuoi incontrare Kaulitz.”
Tutto quello che aveva appena detto doveva essere costato molto al suo orgoglio di granito e Lyric si sentì avvolgere da un leggero calore all’altezza del petto. Avere qualcuno che ci ama a tal punto da essere disposto ad accettare dei compromessi era un dono.
Kat le voleva bene veramente e glielo stava dimostrando.
Era giusto che le dicesse la verità “Io non voglio riallacciare i rapporti con Bill, fin dall’inizio non mi era passata per l’anticamera del cervello di parlarci o di ristabilire i contatti.”
“Ma tu ci hai detto che volevi rivederlo.”
“Esattamente. Voglio solo vederlo. Lui o gli altri non dovranno mai rivedere me. Vorrei solo poterli osservare, anche solo per qualche minuto e constatare di persona che stanno bene.” Kat non capiva.
“È una necessità. Comprendi?”
“A dir la verità non ho idea di ciò che stai cercando di spiegarmi.”
“Ho bisogno di vederli perché vorrei avere la prova che non sono stati un sogno. Ho bisogno di vederlo perché devo essere certa di aver vissuto, seppur per poco, quella felicità enorme.”
“Questo è assurdo!”
Lyric rise “No, io credo che sia perfettamente logico. È la mia conferma. La conferma che ho veramente avuto la fortuna di viverlo.”
“Quale fortuna?”
C’era qualcosa di altamente incomprensibile per Kat in quella verità che rendeva Lyric felice e grata.
Un giorno forse sarebbe arrivata a comprenderla oppure sarebbe rimasta nell’ombra dei dubbi.
“La fortuna di aver amato qualcuno veramente, con tutte le mie forze.”
“Non credi di esagerare?”
Lyric sorrise in un modo un po’ folle “Bill era ed è l’amore della mia vita. Niente di più, nulla di meno.”
“Lui è talmente importante?”
Non ci poteva essere una risposta, il silenzio fu più eloquente di lei.
Ricordò in quel momento qualcosa che rappresentava nella sua perfezione tutto ciò che non si poteva dire. Peccato che Kat non potesse leggere nella mente, se lo avesse visto e sentito come lo ricordava Lyric non ci sarebbero stati più dubbi.
Ricordò uno sguardo profondo che la trapassava, erano due occhi nocciola che parlavano di un sentimento vero, uno che urlava dall’anima di Bill. Assaporò nella mente la scia di brividi che avevano dato le sue mani mentre dal collo risalivano sulle guance.
Lyric calò le palpebre per afferrare maggiormente quella memoria stupenda.
Vide Bill baciarla e concentrare in quel bacio una passione capace di far arrossire chiunque.
Si sentì addosso la stessa identica instabilità nelle gambe, assieme allo sbattere di migliaia di ali dentro lo stomaco. Erano le stesse reazioni di sempre. Sentì poi il cuore avere una specie di spasmo di fronte al ricordo del primo “ti amo” che Bill le aveva donato.
“Ti amo.” Così aveva detto lui dopo averla baciata, come se non ci fosse stato niente di più semplice ma contemporaneamente nulla di più complesso.
Lyric riaprì le palpebre sorridendo di uno struggimento che rasentava la commozione.
“Ti amo.” Riecheggiò dentro di lei ancora una volta e Lyric non riuscì a non pensare che se ci fosse stato un sentimento che avrebbe provato per sempre poteva essere solo quello.

***



Da qualche parte a Boston.

“Grazie di essere venuto a prendermi.” La piccola testa biondo platino e riccioluta di Diane fece un minuscolo inchino. C’erano atteggiamenti che non si sarebbe mai scordata ed inchinarsi per ringraziare era una cortesia giapponese che le veniva naturale come respirare.
“Non c’è di che, la prossima volta però non chiedermi un passaggio con così tanta enfasi.” Sospirò Alphonse incrociando le braccia sul petto e appoggiandosi un secondo contro la portiera della sua decappottabile “Mi sono seriamente spaventato alla tua chiamata, avevi un tono così affranto e disperato che ho mollato mio padre ad una cena di lavoro inventandomi una scusa idiota. Pensavo che ti avessero aggredita o una cosa del genere.” Diane si aggrappò con le mani alla sua giacca nera e lo supplicò con i suoi occhi leggermente a mandorla di perdonarla.
“Oddio! Scusami, scusami, scusami. Non sapevo a chi altro rivolgermi!” disse con sincero rammarico per aver causato dei problemi ed esponendo l’altro suo modo di essere, poco giapponese a dir la verità. È l’incognita dei figli nati da matrimoni misti, non sai mai cosa potrebbero aver preso dall’uno o dall’altro genitore. In questo caso Diane Togu aveva ereditato la sua spontaneità dalla madre americana.
“La mia macchina è dal meccanico in questi giorni e non ho potuto chiamare un taxi perché avevo finito i soldi! Erano già le sette e mezza ed avevo promesso a Kat di essere di ritorno per le otto e mezza! Inoltre devo ancora comprare la cena per tutte e tre! Se avessi ritardato troppo di certo mi avrebbero fatto delle domande e non sono ancora sicura di poter affrontare la furia di Kathleyn. Inoltre non so ancora come voglia agire Lyric, forse lei non aveva in mente qualcosa del genere per rivederlo e magari non sarà d’accordo sulla mia condotta…”
Allie mancò poco che scoppiasse a ridere, gli era sempre piaciuto un sacco la totale incapacità dell’amica di controllarsi. Diane era uno spirito semplice e sotto certi aspetti libero come l’aria. Differentemente dalla sua Kathleyn, poi, si lasciava spesso trascinare solo dall’istinto.
“Ok, ok! Calmati adesso. Se il tuo intento era di non farti scoprire credo proprio che tutta questa agitazione non faccia al tuo caso.” Diane annuì e smise di attanagliare le unghie attorno alle braccia di Alphonse “Ora riprendi un minimo di controllo e tranquillizzati. La mia presenza non era fondamentale a quel colloquio, mio padre aveva insistito che lo assistessi solo per darmi la possibilità di vivere un’esperienza sul campo. Tanto per farmi presente i trucchi del mestiere che non si possono imparare in facoltà.”
A dirla tutta Diane lo aveva salvato da una tediosa cena di lavoro.
L’entusiasmo dei suoi genitori era tale che Allie aveva pensato varie volte di cambiare corrente e abbandonare la facoltà di economia aziendale ad Harvard solo per il gusto di rovinare tutta quella loro gioia.
“Bene!” esclamò il ventunenne vedendola prendere un’aria meno angosciata “Mi vuoi spiegare come fai ad andare in giro senza una quantità adeguata di soldi? Per ogni evenienza bisogna sempre tenersi dietro almeno due o tre carte di credito oppure il blocco degli assegni.” Domandò dimostrando cosa lo avesse colpito maggiormente.
Per quanto fosse maturato rimaneva un piccolo principe viziato con alto tasso di snobbismo nel sangue.
Diane sorrise, soltanto un pochino, mentre salivano in macchina. Dopo essersi allacciata le cinture rispose.
“Siete tu e Lyric i super ricconi. Io sono solo la figlia di due avvocati, non ho un bacino di denaro illimitato. Non vado in giro con due o tre carte di credito e poi io non c’è l’ho un blocco degli assegni.”
“A parte il fatto che i tuoi genitori sono gli avvocati della mia famiglia, quindi è praticamente impossibile che fino ad ora siano stati sotto pagati, resta il fatto che mi devi spiegare che cavolo hai fatto per finire senza soldi. Scusa l’indiscrezione ma quanto avevi con te?”
Diane tentennò qualche istante valutando i pro e i contro nel rivelare la verità ad Alphonse ed infine cedette, ben sapendo che non poteva farcela da sola.
“Mezz’ora fa ho speso tremila dollari in contanti.” Rivelò con riluttanza.
Alphonse si girò a guardarla con un’evidente perplessità negli occhi.
“Didi ne spende minimo il doppio quando va a fare shopping e stiamo parlando della cifra base dei suoi acquisti. Il record di mia sorella è stato di cinquantamila dollari sperperati in una edizione limitata di alcune borse di Chanel.” Commentò lui cercando di farle intendere che infondo non era stata così grave la sua spesa.
Diane parve inorridita e il senso di colpa le piovve addosso con maggior forza. Era stata educata dai suoi genitori ad un genuino rispetto per il valore del denaro, in casa sua non si erano mai lasciati agli eccessi o agli acquisti sfrenati, il solo lusso che la sua famiglia le aveva concesso era quello di spendere quando in ballo c’erano da comprare delle opere d’arte.
“Che diamine hai comprato per tremila dollari?” Alphonse tentò di farla parlare e tralasciare l’orrore per quello che sicuramente agli occhi di Diane doveva apparire come un crimine. Evitò di dirle ciò che aveva appena pensato ovvero che tremila dollari erano pochi, dopotutto, e che l’orologio di Cartier che aveva al polso in quel momento ne valeva cinque volte tanto.
“Promettimi che non lo dirai a Lyric o Kat. Ci penserò io tra qualche giorno, quando sarò certa che la tua fidanzata sarà di buon umore.”
“Allora dovrai aspettare almeno fino all’inizio della prossima settimana. Qualche giorno fa l’ho fatta arrabbiare e credo proprio che terrà il muso per qualche tempo.”
“Lo sapevo già, però, comunque, promettimi che non fiaterai.” La vide piuttosto seria mentre gli chiedeva di promettere e ciò significava che la questione pretendeva la segretezza.
Alphonse intanto aveva parcheggiato l’auto.
“Perché ci siamo fermati da Kerling?”
Diane c’era stata solo una volta e di quel luogo, oltre che del cibo delizioso, ricordava anche l’aberrante cifra del conto.
“Al telefono hai blaterato che non avevi ancora comprato la cena da portare a casa di Lirì. Mentre ti raggiungevo ho fatto una chiamata per ordinare qualcosa da portarci dietro. Diremo poi che mi hai chiamato perché non riuscivi a trovare un taxi.”
“Io pensavo a qualcosa del tipo un take-away cinese oppure a della pizza. A proposito, da quando Kerling fa il take-away?”
“Non lo fa, è troppo costoso per permettersi una cosa del genere.” Alphonse scese dalla BNW seguito a ruota da Diane.
“Ma hai detto che hai ordinato qualcosa da portare via, se non fanno piatti d’asporto mi spieghi che facciamo qui?”
Allie sorrise un po’ sprezzante “Tesoro, quando ti abituerai al fatto che il mio nome permette un mucchio di possibilità che le persone normali si sognano? Di solito Kerling non farebbe niente del genere ma poiché sono Alphonse Alysei fanno delle eccezioni.”
Diane aprì e chiuse la bocca in pochi secondi, doveva immaginarselo che era una cosa che soltanto lui si poteva permettere.
“Comunque non divagare. Allora, prometto di non fiatare con mia cugina e la mia ragazza, quale è il segreto?”
Diane prese il coraggio nelle sue piccole mani “Ho comprato dei biglietti da una persona. Erano introvabili da circa tre mesi e mi ci è voluto un po’ per agganciare qualcuno in grado di procurameli. Visto che il mio nome non apre tutte le porte dell’universo ho dovuto pazientare. Comunque oggi pomeriggio questa persona mi ha chiamato dicendomi di averli trovati e che mi sarebbero costati tremila dollari. Avevo pensato all’inizio che stesse scherzando ma mi ha spiegato che le persone da cui li ha acquistati volevano come minimo mille e cinquecento dollari e lui ne voleva altrettanto per la commissione…” farfugliò a raffica.
“Ok, ok. Respira. Allora per cosa sono quei biglietti?”
Diane si animò per un istante di una luce particolare “Per il mio miracolo.”
“Scusa?” Alphonse non capiva.
La ragazza si mordicchiò le labbra come una bambina indecisa ma pochi secondi dopo lanciò la bomba “Sono per uno dei concerti dei Tokio Hotel in Europa. Sono per la tappa del prossimo 11 agosto, a Milano.” Si aspettava qualunque reazione, persino di venire percossa con violenza fino a quando non le fosse ritornata l’assennatezza ma non si sarebbe aspettata che Alphonse si mettesse a ridere.
“Oh Santo cielo! L’hai combinata grossa! Oh Dio! Katy ti staccherà la testa a morsi!” Allie poi l’abbracciò travolgendola tra le risate “Non preoccuparti ti difenderò io!”
“Quindi non sei contrariato?”
“Scherzi? Io ti adoro! Penso che tu sia stata fantastica.”
Diane si tranquillizzò per la prima volta in tutto quel pomeriggio. Sorrise e sfiorò con la mano la borsa che conteneva i biglietti.

***



Parigi.
Luglio, 2009.


La prima volta Bill ignorò il fatto che qualcuno avesse bussato e continuò ad ascoltare la musica dal suo i-pod senza muoversi di un millimetro.
La seconda volta, cinque minuti più tardi, rispose che non era in condizioni decenti per essere visto, il che, pensò, era una tremenda bugia visto che lui era sempre uno schianto, in qualunque situazione potesse trovarsi.
La terza volta che vennero a bussare si alzò dal letto pronto a gridare a chiunque ci fosse di andare a farsi fare una colonscopia con un lampione. Il fatto che avesse partorito un’idea talmente volgare dimostrava quanto poco ci tenesse ad intrattenersi con il prossimo.
Aprì di scatto la porta con la bocca già parzialmente aperta e lo sguardo omicida di quando i suoi nervi erano andati in vacanza “Tom non è aria oggi! Vedi di evaporare prima che ti faccia ingoiare tutti i tuoi orripilanti dread!!”
“Ti sembra possibile confondermi con Tom?” disse il batterista dei Tokio Hotel indicando la sua persona con la mano “Non facciamo offese pesanti.”
Bill rimase interdetto nel trovarsi Gustav di fronte alla sua porta ma riprese immediatamente tutta la sua vena acida ed incrociò le braccia “E tu che cazzo ci fai qui?”
“Sono venuto a vedere come stavi.” Spiegò l’altro con molta semplicità “Mi fai entrare?”
“No.” Rispose aggressivo “Adesso non ho proprio voglia di compagnia. Al momento non riuscirei neanche a reggere Tom.”
“Bene, capisco, finalmente hai esaurito anche tu la pazienza che serve a sopportare un Kaulitz. Non preoccuparti, è una cosa normale.”
“Anche io sono un Kaulitz!”
Gustav proseguì senza ascoltarlo “Comunque non me ne frega niente se non vuoi compagnia io sono venuto per stare un po’ con te perciò entro.”
Detto ciò con una spallata molto piccola lo fece spostare e si aprì un varco, lasciando Bill all’entrata.
“Puoi anche chiudere la porta.” Disse lui mentre si sistemava con molta tranquillità sopra al divano nella zona-giorno della suite. Appoggiò un barattolo ed un sacchetto sul tavolino di fronte a sé e come se niente fosse accese lo schermo a cristalli liquidi.
Bill sbatté la porta così violentemente che Gustav dubitava che qualcuno nel piano non lo avesse sentito. Sentì poi i passi furiosi della pertica che si avvicinava e lo vide fermarsi di fronte a lui con il chiaro intento di torreggiare in tutta la sua ira. Sembrava un’arpia furente.
Il batterista però era preparato, si conoscevano ormai da così tanto tempo che era abbastanza facile prevederne le mosse, inoltre in piena rabbia nera Bill era semplice da anticipare.
“FUORI DALLA MIA STANZA!” gridò il cantante facendogli segno con il braccio di seguire la strada verso l’uscita “NON ho voglia di ripeterlo! Quindi vedi di sparire prima che mi incazzi sul serio!”
Gustav lo guardò restando in silenzio, perfettamente calmo e per niente spaventato dalle sue minacce “Bill, vedi tu di darti una calmata, ti fa male gridare a quest’ora.” Fu la sua risposta dopo di che prese ad estrarre dei dvd dal sacchetto che aveva portato con sé.
“Cosa vorresti guardare? Non ho idea di cosa Nathalie avesse in testa quando è andata a sceglierli per me. Mi pare di aver chiesto espressamente niente di troppo femminile…” nel dirlo stava sfogliando le copertine di due film che gridavano femminilità da tutti i pori “C’è il classico – Il diavolo veste Prada- oppure l’eccitante –I love shopping- tu cosa preferisci?”
Bill non riusciva a credere alla totale mancanza di attenzione alle sue esplicite richieste. Lo fissò con l’espressione più truce che il suo volto potesse produrre mentre l’altro gli ripeteva la domanda. Rimasero immobili affrontandosi in uno scontro di sguardi. Da una parte c’era Kaulitz che imperterrito lo minacciava di violenza fisica se non si fosse dileguato, dall’altra la pazienza ascetica di Shäfer nell’aspettare che lui tornasse con i piedi per terra e la smettesse di fare il bambino capriccioso.
“Io non me ne vado.” Sentenziò Gustav “Sono qui per passare del tempo insieme ed ho intenzione di farlo. Quindi non ti resta che accettare la mia presenza, sederti accanto a me e guardare insieme uno di questi film perché, te lo ripeto, non ho intenzione di togliermi dai piedi.” L’ultima frase apparve come una leggera minaccia.
Bill si corrucciò e mise uno dei suoi bronci rigidi “Vaffanculo Gustav.” Fu la replica.
Gustav ridacchiò “Sei veramente un idiota quando ti impunti. Sei fortunato che oggi sono troppo stanco per prenderti a calci come ti meriteresti.”
“Come sarebbe a dire –come mi meriterei- ?!”
“Sarebbe a dire che è da questa mattina che sei in queste condizioni alterate e hai riversato la tua frustrazione su di noi, questo non è stato un comportamento molto maturo. Dovresti apprezzare il fatto che ti voglia abbastanza bene da tentare di aiutarti e venire qui a distrarti un po’.”
Bill si mise sulla difensiva “Non ho voglia di confidarmi!”
“E chi ti ha chiesto di confidarti?” scosse la testa “Sei sempre così tragico. Sai perfettamente quale è la mia filosofia al riguardo. Se vuoi ti ascolto in caso contrario io sono qui solo per guardare un film ed ora ti decidi a sederti?”
“Perché non è venuto Tom?” domandò un pochino rattristato che il fratello non avesse pensato di andare a chiedergli come stava. Gustav sembrò leggergli negli occhi “Ha passato a me il testimone perché conoscendoti e conoscendo se stesso sareste finiti per litigare furiosamente. Ha detto che per questa volta ero il più adatto.”
“In che senso?”
“Nel senso che sono paziente il punto giusto per sopportare i tuoi deliri. Georg avrebbe voluto venire ma è crollato a letto prima che se ne rendesse conto. Allora, cosa ne dici?”
Bill ci pensò giusto qualche minuto, il tempo di rendersi conto che non poteva trattare male l’amico, non dopo il modo con cui si era sforzato fino a quel momento di aiutarlo. Abbandonò la sua collera e annuì in resa.
“Allora cosa ci guardiamo?”
“I love shopping.” Bill si sedette al fianco di Gustav sospirando “Il diavolo veste Prada lo ho già visto un mucchio di volte.”
“D’accordo.” Il batterista si alzò ed inserì il dvd nel lettore. Quando tornò a sedersi Bill aveva ancora l’espressione molto contrita ma almeno non era più furente verso il mondo.
“Cosa c’è nel barattolo?” domandò intanto che Gustav sceglieva la lingua dell’audio.
“Gelato alla fragola, ho pensato che avresti voluto qualcosa con cui accompagnare la visione.”
Si vide rispondere con un minuscolo sorriso di ringraziamento, quello molto tenero che solo Bill riusciva a produrre dalle sue labbra “Grazie Gustav.”
Lui scrollò le spalle come a dire che non era niente.
A metà del film e decisamente oltre la metà del gelato alla fragola nessuno dei due aveva ancora fiatato. Bill, nella sua apparente calma, aveva rimuginato intensamente se parlarne un po’ con Gustav. Si sentiva altamente frustrato e si percepiva addosso un angoscia a lui così estranea.
Dopo i titoli di coda entrambi riversavano ancora nel più totale silenzio. Gustav aveva mantenuto la parola e non aveva fatto nessuna domanda esplicita, se Bill non si fosse deciso ad aprire bocca l’amico se ne sarebbe andato.
Avevano condiviso tantissime esperienze in quei lunghi anni di convivenza lavorativa e il loro rapporto d’amicizia si era evoluto in legame molto stretto ma Bill era ancora indeciso nel mostrare la sua debolezza a qualcuno che non fosse Tom.
Come sempre fu l’amico a risolvere le cose, era diventato un esperto analista dei problemi di quei tre e quelli sapevano di poter contare su di lui per ogni evenienza. Gustav era la mente del gruppo che pensava con estrema calma e logica, evitava spesso che facessero cose di cui si sarebbero pentiti e comunque si manteneva sempre contenuto e discreto. Georg per scherzare lo aveva chiamato balia ma lui aveva preferito definirsi la babysitter che evitava a quei quattro infanti di soffocarsi con il pongo.
“Tom ci ha detto cosa hai in mente di fare alla fine del tour europeo.” esordì Gustav “Penso che sia un’idea un po’ troppo avventata la tua, inoltre avresti potuto parlarne anche con noi, infondo saremmo stati io e Georg a sopportare David una volta che lo avesse scoperto.”
Bill evitò di guardarlo mentre pensava a cosa rispondergli e si appuntò mentalmente di tirare un calcio nelle chiappe fraterne per la completa assenza di segretezza che aveva Tom.
Ci fu una sola cosa sensata che potesse dire “Mi dispiace.”
“Almeno ammetti l’errore. Comunque stai tranquillo pensiamo che non sia una cattiva idea. Se non ti togliessi questo dubbio noi non riusciremo più a vivere. Veder stare male un amico non ci piace molto.”
Il bello di parlare di cose serie con Gustav stava proprio in quel suo modo di affrontare i discorsi: non giudicava ne pretendeva di comprendere tutto, ti restava ad ascoltare e ti consigliava ciò che era giusto, inoltre, era dotato di un tatto particolare. Non si sarebbe mai detto di un batterista che rischiava ad ogni concerto di perdere gli arti a forza di suonare come un forsennato.
“In questi giorni mi sono immerso completamente nel lavoro…” finalmente Bill cominciò a parlare e Gustav era pronto ad accogliere le sue confidenze “…andava tutto bene. Non avevo il tempo neanche di respirare, figuriamoci di pensare. Mi sono estraniato così bene che quando quella giornalista, questa mattina, mi ha fatto quella domanda il colpo è stato particolarmente duro.”
Gustav pescò dalla memoria il volto di Bill di quella mattina che si contraeva per qualche istante in una smorfia di panico “Non so se sia molto sano di mente che tenga così tanto ad una persona che non vedo da tempo. A volte mi viene da chiedermi se non sia impazzito. Dovrei aver superato tutto già da tempo e io so di non essere il tipo che resta fermo in un punto tanto allungo, non sono di certo uno che aspetta chi gli ha dato il ben servito e mi pare di aver sempre dimostrato quanto ci tenga ad essere indipendente. Credo sempre di aver afferrato la soluzione ma poi ogni cosa precipita di nuovo.”
“Lyric?” domandò Gustav cercando di essere cauto.
Sentendo quel nome Bill si aprì in un sorriso estremamente dolce. Si portò le mani sulla faccia e da lì sotto rise leggermente. Un po’ come un pazzo pensò l’altro.
“Già. È l’unica, sai, che mi fa ancora questo.” Affermò indicando con un gesto il suo viso. Si stava riferendo al modo in cui la sua espressione fosse mutata “Sono sempre stato un partner sincero e non ho mai approfittato dei sentimenti altrui, se ricambiavo qualcuna lo facevo in proporzione a ciò che sentivo. Non ho mai ingannato nessuna ragazza da quando io e Lyric ci siamo lasciati, per tutte quelle con cui sono stato ho sempre provato qualcosa. Che fosse amore o affetto non ho mai mentito però ogni volta che finiva non mi sono mai pentito, ne ci ho mai pensato più di quanto fosse sensato rimanerci dispiaciuto. Lyric, invece, riesce ancora a mandarmi fuori di testa.” Rise ancora e ciò strideva perché sembrava la coperta di un sentimento tutt’altro che positivo. Guardò l’amico, pronto a farlo partecipe di qualcosa di molto personale.
“Sono ancora innamorato di lei? Non sono certo della risposta ma credo che ci sia il 99% delle probabilità che ciò che sento sia, da un certo punto di vista, lo stesso identico sentimento di tre anni fa. Non riesco ad andare oltre, ho quasi un rigetto fisico se penso di potermela scordare. È qualcosa che va oltre ciò che posso decidere. Esagero?”
“No, non penso. C’eravamo anche io e Georg quando Lyric ti ha lasciato, non ricordo di averti mai visto così a pezzi come in quell’occasione. Se non ci fosse stato il lavoro a distrarti e Tom a sostenerti non ho idea di come te se la saresti cavata. È stata l’unica occasione in cui ti ho visto piangere.”
Aveva ragione. Quella era stata l’unica volta che era crollato del tutto di fronte a loro due, era stato così fuori di sé d’aver sfasciato una suite da cima a fondo di fronte agli sguardi impotenti dei suoi amici. Loro però non ne avevano mai parlato, il non dire niente era stato il loro modo di sostenerlo.
“Lyric ha lasciato tutto in sospeso: la nostra amicizia, la nostra relazione, il nostro sentimento. Non ho intenzione di andare in America e pretendere che tutto torni come tre anni fa. È passato molto tempo e sicuramente siamo cambiati entrambi. Potrebbe non essere la stessa persona che amavo e potrei scoprire che lei, invece, è riuscita a fare ciò che non ho fatto io: dimenticare.” Gustav lo vide incupirsi un momento e in quella piccola espressione comprese che Tom non aveva ecceduto nel pessimismo quando aveva raccontato di ciò che tormentava Bill.
“Voglio trovarla ed avere la spiegazione che non mi ha mai dato. Dopo di che, se nel rivederla e nello starle accanto, sentirò questo sentimento farmi uscire di senno come tre anni fa credo proprio che non avrò altra scelta…”
Gustav lo osservò assumere improvvisamente una luce nuova, di speranza poteva darsi?
“Che vuoi dire?”
“La riconquisterò. Sarà mia di nuovo.”
“E se avesse già qualcuno?”
“Non mi importerà. Me la riprenderò in ogni caso.”
“Ne sei sicuro?”
“Gustav, so di essere un ego che cammina su due trampoli ma tutta questa mia sicurezza non è data dalla naturale conoscenza delle mie facoltà.”
“Ah no? Allora da che cosa?”
“C’è una cosa che mi tranquillizza ed è l’unico pensiero rassicurante che ho ritrovato in tutti i miei dubbi. Ho pensato che ci amavamo in due, io e lei, ciò significa che se questo è un sentimento talmente grande da condizionarmi in questo modo allora anche Lyric deve esserne stata colpita in qualche maniera.”
“E cosa ti rende sicuro di questa congettura?”
Gustav stentò a credere in quel momento che fosse lo stesso ragazzo che prima se ne stava raggomitolato in un angolo a deprimersi.
“Lyric mi amava.” Dicendolo Bill respirò affondo e si sentì preso da una fitta tra le costole.
“Valeva per lei quanto valeva per me. Te lo detto, ci amavamo in due.”

***

Lyric

“ Sei stato il primo in tante cose.
Sei stato il primo a cui ho dato la mia fiducia dopo la morte di mia madre, il primo che non mi abbia mai rifiutato ed il primo a cui abbia voluto bene dopo tanto tempo passato in solitudine.
Con il tempo le tacche dei tuoi personali traguardi sono aumentate in modo esponenziale.
Non a torto posso dire che, per tutte queste tue conquiste, sei stato la persona che mi ha cambiato la vita.
Sei stato la linea di demarcazione tra due modi di essere della mia persona.
C’era la Lyric che non conosceva Bill e poi la Lyric cresciuta accanto a Bill.
Sei il mio primo amore, l’unico che abbia mai vissuto..
Il mio primo bacio serio.
Il mio primo “ti amo”.
È stato con te che ho avuto la mia prima volta e con te tutte le volte successive.
Tu sei la persona che conta di più per me, ancora adesso..”


***



Magdeburg.
Dicembre, 2004.
Giovedì.


a vide allacciarsi gli ultimi bottoni del suo cappotto color fresia e affrettarsi a riparare le mani all’interno delle tasche.
La osservò mentre alzava la testa verso il cielo terso di grigio sbiadito e comprese immediatamente il perché si fosse messa a sbuffare contro di lui un po’ delusa. Da giorni aspettava che arrivasse la prima neve della città ma quell’anno si stava attardando di parecchio e anche se era già la metà di Dicembre non c’era stato neanche un piccolo fiocco bianco. E Bill sapeva quanto Lyric desiderasse la neve.
Poi vide il ragazzo accanto a lei e sentì qualcosa di pesante farsi strada dentro le sue viscere, una sensazione spiacevole che lo infastidiva ogni volta e questo perché quella gelosia la trovava terribilmente insensata. Guardò il riflesso della propria faccia replicata nel volto del gemello e come sempre vi lesse un’emozione simile a quella che provava lui quando era accanto a lei. Poteva darsi che Tom non lo vedesse o non se ne rendesse conto ma era certo che il fratello provasse anche lui qualcosa per Lyric.
Magari non nella sua stessa devastante maniera ma c’era comunque qualcosa.
Smise di restarsene lì, fermo, a guardarli e si avvicinò. Le sfiorò la schiena con la mano per farsi notare e Lyric sentendolo vicino si girò a guardarlo, sorrise, come sempre. Si girò anche Tom e gli fece un cenno con la testa “Dove eri andato a finire?”
Lyric tirò fuori il naso dal collo alto del suo indumento e rise “Aveva dimenticato il quaderno d’inglese in classe. Domani abbiamo una verifica e senza sarebbe stato inutile il ripasso con me. L’hai trovato?”
Il ragazzo l’agitò nella mano “Ja. Era sotto al banco, come pensavo.”
Bill lo mise dentro il proprio zaino con una piccola smorfia, l’idea di trascorrere il pomeriggio a studiare regole di grammatica gli raggelava l’allegria. Fortunatamente Lyric era un ottima insegnante d’inglese, sarebbe stato più facile con il suo aiuto.
“Ecco perché ieri mamma continuava a rompere sul fatto che dovevo riordinare il salotto, era perché venivi ad invaderci casa. Bhe andiamo?”
“Certo.” Risposero entrambi.
Tom li fissò qualche secondo e poi scosse la testa con sufficienza.
Come era sua abitudine da lì a tre mesi prima ogni volta che l’atmosfera si riempiva di quella particolare aura Tom non riusciva a trattenersi dal pensare che fossero davvero due enormi teste di cazzo. Si incamminò velocemente verso i cancelli, se fosse rimasto ancora allungo a guardarli mentre si trattenevano avrebbe dato d’escandescenza.
Bill guardò la schiena del gemello e sospirò.
“Che c’è?” chiese lei vedendolo così inspiegabilmente giù di morale “La prospettiva di studiare inglese ti mette veramente così a terra? Credevo che ormai avessi acquistato una cerca sicurezza.”
“No, mai. Non te lo dirò mai. Avrò la bocca cucita fino alla morte.” Pensò mentre rispondeva.
“Scherzi vero? Ultimamente me la cavo solo grazie alle tue ripetizioni, in caso contrario sarei già annegato in una caterva di nove od otto.”
Lyric gli prese la mano “Tranquillo anche questa volta riuscirai a tirare fuori la sufficienza e poi è bene che un ego come il tuo venga scalfito in qualche modo da qualcosa.”
Bill ricambiò la stretta con estrema naturalezza “Credi che me ne freghi qualcosa se non so parlare una stupida lingua come l’inglese?”
“Dovrebbe visto che milioni di persone la usano per comunicare, se mai finirete a cantare all’estero dovrete per forza parlare in inglese. Non vorrete fare la magra figura dei crucchi ignoranti. Non pretenderai che siano i fan a capire il tedesco.”
“I nostri futuri fan, poiché ci ameranno terribilmente, impareranno il tedesco pur di capirci. Ti assicuro che sarà così. Comunque sono altre le cose che fanno tentennare la mia sicurezza.”
Si erano fermati davanti a delle strisce pedonali, aspettando che il semaforo diventasse verde.
“Quali sarebbero queste cose?” domandò innocentemente puntandogli addosso quei suoi occhi blu così vividi.
“Tu.” Pensarono contemporaneamente i due fratelli.
Naturalmente non glielo avrebbero detto in quel momento, sarebbe stato come ammettere tutto ciò che Bill cercava di nascondere e ciò che Tom non vedeva l’ora che il gemello dichiarasse.
“Un giorno te lo dirò ma intanto continua a credermi indistruttibile.”
Lyric sentì la mano di Bill liberarsi dalla stretta e sentì anche quel dannato muro che da qualche tempo lui ergeva tra di loro quando le cose si facevano troppo pericolose. L’ennesimo, piccolo, doloroso rifiuto verso il suo sentimento.
“Idiota…” gli mormorò il fratello mentre gli passava accanto e Bill non cercò neanche di difendersi.
Erano amici. Degli amici innamorati l’uno dell’altro, questo era vero, ma era un dettaglio che cercava di far apparire trascurabile.

***

Bill

“Sei stata l’unica ragazza per cui io e Tom abbiamo mai avuto delle serie complicazioni. .
Non lo hai mai saputo e questo rimarrà uno dei nostri segreti, soprattutto perché sei stata la prima che abbia mai fatto provare qualcosa che rassomigliasse all’amore a Tom e lui è orgoglioso quanto me.
Lui però aveva una semplice cotta.
Io invece ero innamorato perso..
Non te ne sei mai resa conto ma tu mi avevi rubato la ragione in via definitiva.
Poco male, non è mai stato necessario che me la restituissi .
Però non ci sono dubbi sul fatto che tu mi abbia fregato.
Questo perché sei ancora l’unica oltre a Tom a cui affiderei la mia vita ad occhi chiusi.
Non puoi liberarti di me tanto facilmente..”


***



Sabato pomeriggio.

“E che cazzo! Georg levati! Mi stai pestando le scarpe sfigato!” il modo fine con cui Tom aveva appena cinguettato fece capire a Georg che qualcosa in quella testolina bacata era completamente saltato fuori dai meccanismi. Solitamente gli avrebbe dato una risposta degna di uno camionista dopo dodici ore di guida ininterrotte ma la luce inusuale che leggeva negli occhi del amico lo fecero desistere. Pazientemente si allontanò dal rasta e prese la sedia dalla sua scrivania, l’appoggiò di fronte all’amico e poi si sedette nella sua solita, scomposta, maniera.
“Allora racconta a mamma Giorgi quali sono i problemi che ti affiggono figliola. Forse qualche bulletto ti ha importunato a scuola oppure ti sei semplicemente visto allo specchio e hai compreso la gravità della tua situazione?”
Tom per un secondo pensò di alzarsi e buttarlo giù dalla sedia ma poi rinunciò perché gli sarebbe costata troppa fatica. Incrociò le braccia al petto ed assunse quel suo tipico broncio d’animale bastonato. In quel momento Gustav entrò nella camera del basista con in mano i pacchetti di patatine che era andato a reperire in cucina.
Quel pomeriggio si erano riuniti a casa Listing per qualche ora di play-station non stop ma Bill non era presente perché era rimasto a casa a studiare.
“Che succede?” domandò Gustav mentre appoggiava il cibo su di un tavolino ai piedi del letto.
“Sto cercando di tirare fuori il demone che tormenta il nostro povero Tommolo. Vedere un nano infelice mi rattrista terribilmente.”
“L’unica cosa nana qua dentro è quella che si trova in mezzo alle tue gambe e comunque sto benissimo.”
“Effettivamente prenderti per il culo è il suo secondo passatempo preferito quindi non credo che stia poi così male.”
Georg parve avere un’illuminazione “Per caso nessuna te l’ha più data negli ultimi tempi?”
Tom fece una smorfia di profondo fastidio “Ma no!” rispose stressato “Uffa perché credete che mi interessi solo di sesso? Non sto di certo male per così poco poi comunque non ne ho voglia in questo periodo.”
Gustav masticò molto lentamente la patatina che aveva in bocca mentre Georg massaggiava silenziosamente con lui attraverso gli occhi. C’erano due cose che ora apparivano evidenti: uno, Tom stava male. Questo perché lo aveva appena ammesso. Due, la cosa era seria perché aveva appena affermato di non avere voglia di andare a donne, il che significava destabilizzare il suo stesso metabolismo.
Tom intanto si stese sopra al letto di Georg e si mise a vagare con il pensiero mentre guardava il soffitto della camera. Restarono parecchi minuti in silenzio. Tra uomini funziona così: si aspetta sempre che il problema venga fuori quando e solo se uno se la sente, la confidenza non è qualcosa di così immediato come nel mondo femminile. Inoltre bisogna essere completamente incasinati per chiedere sostegno morale agli altri della propria specie.
I lineamenti del Kaulitz si alterarono “Non riesco a capire cosa blocchi Bill…”
“Aaaah!” scattò Georg battendo le mani “doveva trattarsi per forza dell’altro Kaulitz.”
Gustav restò muto continuando a mangiare e bere con molta calma mentre l’amico si agitava sulla sedia di fianco a lui “Non dovresti preoccuparti troppo Tommino, credo che siano abbastanza grandi da risolvere i loro affari senza bisogno della baby-sitter. Hai ragione a credere che la situazione sia strana ma visto che tuo fratello e Lyric hanno i loro modi di affrontare le cose è inutile restare in attesa. Prima o poi si renderanno conto di trovarsi in un vicolo cieco e dovranno parlarsi.”
“Ma non ci riesco!” l’enfasi nella sua voce dimostrò quanto a cuore affettivamente ci tenesse agli affari fraterni, si alzò a sedere sul letto “La guarda ogni giorno come un dannato disperato, muore dietro di lei come non gli era mai accaduto e perciò non comprendo perché cazzo non voglia smettere di soffrire come un cane! Vedete, ho sempre sostenuto che è un casino quando ci si innamora troppo seriamente di qualcuno, finisci per essere fottuto!”
Per chi non lo avesse ancora capito quella sua sfuriata di insofferenza rendeva il mondo partecipe di quanto Tom amasse suo fratello Bill, il solo vederlo triste lo faceva andare fuori di testa se non addirittura infuriare. Proseguì “Se lo sono detti, ne sono convinto, si sono detti di essere innamorati senza aprire bocca ma pur essendosene accorti non fanno nulla. Come può permettere che Lyric stia male? Come fa a guardarla negli occhi ben sapendo di volerla senza darsi dell’idiota per come la sta confondendo?! È uno schifo!”
Georg face un cenno a Gustav per dirgli che forse era il momento di intervenire, il colore rosso delle guance di Tom sembrava presagire il momento in cui avrebbe dato completamente di matto. Il biondo gli fece segno di starsene zitto ed aspettare.
“È uno schifo perché lei è lì, sempre al suo fianco, pronta a sostenerlo senza chiedere niente in cambio. A volte la vedo e la sento riempirsi di una tale malinconia che mi sento impotente al riguardo. In quelle occasioni mi viene voglia di prendere a testate Bill e trascinarlo ai suoi piedi per fargli chiedere scusa.” Lo videro stringere la mascella e i pugni delle mani per qualche secondo “Se fossi al suo posto, sapendo di essere ricambiato da Lyric, non ci penserei neanche un nano secondo e sarei già andato da lei a baciarla. Se io fossi Bill lo avrei già fatto da tempo.” Cominciò a parlare con più lentezza, come se si fosse messo a pensare ad alta voce “Baciarla avrebbe più senso di tante parole, spiegherebbe ogni cosa senza tanti discorsi e inoltre non sarebbe così orribile farlo. Lyric è là che lo attende ed io non riesco più a guardarla senza provare rabbia per Bill. Perché la sta facendo aspettare?”
Georg per poco non cadde dalla sedia di fronte a queste ultime frasi e per la sorpresa rimase immobilizzato, aveva avuto l’impressione che in ciò che avesse detto ci fosse qualcosa di sottinteso.
“Tom posso farti una domanda?” Gustav finalmente si era deciso a parlare.
“Uhm? Dimmi.”
“Tu ultimamente l’hai osservata spesso Lyric, non è così?”
“Bé sì. Direi di sì.”
“Anche con molta attenzione, vero?”
Tom non capiva il motivo di queste domande “Sì, direi che è così.”
“Da quanto tempo è che la guardi in questa maniera?”
“Ma che cazzo di domanda è? In quale maniera la guarderei?”
A rispondere ci pensò Georg “Osservare spesso qualcuno con attenzione ed arrivare a pensare cose come quelle che hai appena detto cinque secondi fa significa che provi qualcosa per quella persona.”
Tom aprì la bocca per ribattere immediatamente a quella cavolata ma prima che potesse fiatare Gustav lo aveva stoppato con la mano “Facci spiegare. È evidente che ti sei preso molto a cuore la situazione e questo perché c’è di mezzo Bill ma sembra che ci sia qualcosa di diverso dal tuo solito modo di ragionare. Solitamente pensi solo ed esclusivamente al suo interesse mentre adesso hai appena detto delle cose che dimostrano che questa volta hai pensato anche il bene di qualcun altro, ovvero a Lyric. Inoltre ti sei messo a dire che la vedi malinconica, che ti arrabbi con Bill perché la sta facendo aspettare troppo e che dal tuo personale punto di vista non sarebbe male baciarla.”
“A casa mia tutti questi fattori portano ad una conclusione sola. Missà che hai cominciato a tenerci un po’ anche tu.”
Tom si sentì il materasso scivolare via da sotto il corpo e tutto il suo peso trascinato verso il basso per la frazione di qualche istante.
“Merda…” boccheggiò con il fiato corto.
“Già-già” fece Georg con un sorriso comprensivo “Credo anche di sapere, alla luce dei fatti, perché Bill non si sia ancora dato una mossa.” Gustav intanto aveva ripreso a masticare patatine lasciando che una volta tanto fosse il maggiore del gruppo a fare le veci del grande saggio indiano.
“Visto che vi leggete praticamente in faccia ciò che provate può darsi che come tu avevi intuito i sentimenti di Bill anche lui abbia intuito i tuoi. Per il fatto poi che vi volete un grande bene magari, vedendo anche che ti comporti in maniera un po’ più seria delle altre volte con Lyric, ha pensato che non ti voleva ferire e che quindi per non farti male ha deciso di restare in un impasse.”
“Sono sorpreso che tu sappia il significato della parola impasse.”
“Vorrai scherzare Gus? Qua dentro…” Georg si batté un dito contro la fronte “…dimora un cervello molto evoluto ma non lo do a vedere per non mettervi in soggezione.”
Gustav rise “Diciamo piuttosto che va a scatti quindi ti puoi permettere queste uscite solo quando ti capita.”
“Io non provo la stessa cosa di Bill. Non sono al suo stato e non penso nemmeno di poterci arrivare.” Tom aveva finalmente ripreso possesso del suo corpo. Santo cielo, sentiva un peso enorme pressargli i polmoni.
“Bè questo è ovvio.” Georg lo guardò come se fosse uno sciocco “Per quanto sia stupendo il fatto che tu possa essere stato avvicinato da un lume di maturità non sei ancora in grado di provare un sentimento complesso come l’amore.”
Gustav annuì d’accordo “Georg ha ragione. Ti ci vorrà del tempo e poi una ragazza che non sia già innamorata di tuo fratello.”
“Quindi la mia è solo una cotta un po’ più seria delle altre?” Tom sentì la sua pancia come trascinata verso il basso e gli parve di essere sospeso in uno stato di vuoto momentaneo.
“A quanto pare. Ti passerà presto, appena quei due sistemeranno le cose comincerai a non avere più problemi.” Georg gli alzò il pollice all’insù “Tranquillo capita di avere una cotta per la ragazza del proprio fratello gemello.”
“Adesso che pensi di fare?” domandò Gustav vedendolo pensieroso.
“Penso che andrò a picchiare quell’idiota.” Fu la prima cosa che gli venne da dire.
“E perché?”
“Perché non mi può usare come scusa per la sua infelicità! Se pensa di fare il mio bene si sbaglia. Quel deficiente non capisce proprio un cazzo!”
“Posso venire ad assistere?”
“Georg!”
“Maddai Gustav! Vuoi perderti i Kaulitz che si menano per una ragazza?”
“A quanto pare il tuo cervello si è nuovamente sconnesso.”

***

Tom

“Lo vedevo sai, Lyric?
Vedevo come anelavi alla ricerca di un contatto con Bill.
Vedevo come lo guardavi con estrema dolcezza.
Vedevo come sorridevi in una maniera speciale solo a lui.
Lo amavi talmente tanto, forse, addirittura senza renderti conto di quanto.
Per queste ragioni non ci sono mai state altre possibilità per voi due.
Lo ami ancora, non è così?
Dovunque ti trovi lo stai pensando, non è vero?
Già, deve essere così.
Perché anche Bill pensa ancora a te.
Anche Bill ti ama ancora.
Io lo so.”


***



Entrò nella sua stanza spalancando la porta con estrema irruenza e poi la sbatté violentemente dietro di sé, in un silenzio minaccioso si posizionò davanti a suo fratello. Bill, che in quel momento stava ripassando storia sdraiato a pancia in giù sopra al proprio letto, lo guardò corrucciato per essere stato interrotto in maniera brusca.
Se Tom era venuto a sfogare la sua scazzatura su di lui aveva sbagliato proprio momento, quel giorno era nervoso già di suo e non si sentiva in grado di restare calmo se qualcuno era intenzionato a far cascare il vaso della sua pazienza. Tom sembrava proprio quel qualcuno, il che lo innervosiva ancora di più.
“Che vuoi?” chiese scocciato.
Tom indurì la propria mascella “Penso che tu stia sbagliando tutto …” era entrato intenzionato ad essere duro ma nell’attimo in cui aveva incontrato il viso di Bill si era reso conto che non sarebbe stato l’atteggiamento giusto. Doveva farlo ragionare e questo era un compito che di solito gli costava molta energia.
“Riguardo a cosa?” la serietà di Tom lo mise in allerta. Una scossa lungo la spina dorsale gli fece presagire che qualcosa stava per accadere. Gli venne un groppo alla gola e si sentì dal basso delle sue viscere che doveva riguardare quella questione.
Tom assisté a quella presa di consapevolezza nella testa del gemello e un angolo della bocca salì un poco verso l’alto, come sempre si capivano al volo. Si lasciò cadere ai piedi del letto ed incrociò le gambe.
“Riguardo a Lyric, stai sbagliando tutto con lei. Non pensi che sia l’ora che tu le dica apertamente quello che senti?”
“Come mai all’improvviso sei tanto interessato alla questione?”
“Lo sono perché non mi va di vederla in malinconica attesa che tu ti dia una mossa. So che potrebbe farlo lei il primo passo ma non lo farà finché crederà di essere rifiutata. Fino ad ora le hai lanciato talmente tanti messaggi contraddittori che non ha la più pallida idea di cosa tu pensi mentre tu ti sei ormai fatto un’opinione certa di cosa lei provi per te.”
Bill chiuse il proprio quaderno e lo mandò a schiantarsi contro una pila di libri sopra alla sua scrivania.
“Quello che faccio con lei non sono problemi che ti devi porre.”
“Proteggere Tom…” riecheggiò dentro di lui “Non voglio essere la causa della sua infelicità.” Si diceva per mantenere salda la propria convinzione riguardo le scelte che stava portando avanti.
Come se il gemello avesse appena urlato quei pensieri Tom li ripeté a sua volta “Invece sono miei problemi se pensi di starmi facendo un favore. Io non voglio essere causa della tua infelicità, deficiente!”
“Così alla fine ci è arrivato…” Bill cominciò a sentirsi nervoso. Il suo stomaco fece una capovolta su se stesso “Ed ora che dico?”
Le parole gli uscirono dalla bocca da sole “Provi qualcosa per lei?”
Tom fece una smorfia, si sentì momentaneamente in difficoltà “Non è la stessa cosa che senti tu se te lo stai chiedendo…”
A Bill non piacque particolarmente la risposta “Non è quello che ti ho chiesto Tomi…”
“Uffa! Perché devi sempre cercare il pelo nell’uovo?”
“Perché se ti piace Lyric voglio saperlo.”
“Cazzo Bill! Spiegami cosa ti cambia se io ho preso una cotta per la ragazza di cui ti sei innamorato! Non vorrai dirmi che temi che te la possa rubare!” Tom si era intanto avvicinato al fratello e lo aveva preso per le spalle. Bill gli stritolò il colletto della sua t-shirt oversize “Ma sei stupido?! Pensi davvero che potrei ritenerti capace di farmi una stronzata simile?! Non offendermi testa di cazzo!”
“Imbecille! Allora dove cazzo è il problema?!” avevano alzato così tanto la voce che al piano di sotto loro madre li aveva sentiti “Il problema è che non voglio che tu ci stia male! Il problema è che non voglio che tu mi arrivi ad odiare se starò con lei! Il problema è che non voglio sempre stare all’erta pensando di star esagerando con Lyric e quindi di ferirti!”
Bill lo guardava preoccupato e Tom cominciò a capire.
“Non sono un pappamole! Non stiamo parlando della donna della mia vita anzi credo proprio che la donna della mia vita non esista proprio! Non sono innamorato di Lyric, porca troia! Renditi conto che mi piace e basta! Quindi non puoi ferirmi o cose del genere, non ci tengo abbastanza per starci veramente male e poi a mala appena ho capito di avere una cotta secondo te potrei mai soffrire?!”
“Forse non adesso, magari non subito ma potrebbe darsi che tu lo comprenda poi. Può darsi che ti renda conto che la volevi per te e che per questo tu potresti cominciare ad odiarmi. Sono certo che mi odieresti.”
“Non ti seguo.”
“Tomi io sono perso di Lyric, quando e se ci mettessimo insieme non avrei più nessun riguardo per nessuno, anche se tu soffrissi io non penso che saprei lasciarla per darti pace. So che sarei abbastanza egoista da lasciarti stare male.”
Le dita che tenevano i lembi della maglietta di Bill si allentarono “Questo incredibile scemo.” pensò Tom con estremo affetto.
“Bill devi stare tranquillo. Mi vuoi troppo bene per farmi del male, persino con questo tuo ragionamento estremamente complesso ti sei dimostrato per il premuroso fratellino che sei…” Bill sentì come una specie di nodo che si districava dentro la sua gola “…non riuscirei ad odiarti, non quando saresti felice. Sei odioso soltanto adesso visto che non muovi il culo.”
“Davvero? Posso davvero stare tranquillo.”
“Bè sì. È stato idiota farla aspettare per così tanto, soprattutto quando tu sei certo di essere ricambiato.”
“Nessun problema per te?” Bill continuò a chiedere per essere certo di quello che si stavano dicendo. Tom sbuffò prendendosi la faccia tra le mani, non riusciva a credere che si potesse essere tanto paranoici. Una leggera punta di soddisfazione per la preoccupazione di Bill però la provò lo stesso, in un angolino del suo cervello.
“Sì, scemo. Però va da lei al più presto se non vuoi che mi incazzi veramente come una iena.”
Bill si bloccò completamente e fissò qualcosa dietro alle spalle fraterne. Aveva appena ottenuto la libertà di agire, ora poteva fare ciò che voleva e senza doversi preoccupare. Un mucchio di terribili porte gli si aprirono davanti alla faccia.
“Ehi? Bill?”
Prima che potesse rendersene conto il gemello cominciò ad urlare in preda ad un attacco combinato di isterismo e felicità. Tom si spaventò seriamente.
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaa! Ed ora che cazzo faccio?! Come cazzo glielo dico?! Come cazzo glielo spiego?!” lo vide alzarsi da dove era seduto e cominciare a biascicare parole sconnesse una dietro all’altra, camminando disperato per la stanza.
Tom si sarebbe messo volentieri a ridergli in faccia ma non era il caso. Bill era appena entrato nel suo peggiore stato di trance e completo panico, sarebbe stato un suicidio vero e proprio interferire con la sua crisi esistenziale. Decise di defilarsi in silenzio e lasciarlo in preda di se stesso.
Chiusa la porta si ritrovò sua madre davanti agli occhi “Cosa sta succedendo in quella stanza Tom?”
“Niente il tuo secondogenito sta sclerando perché non ha idea di come dichiararsi.”
“Alla fine si è deciso?”
“Già.” Tom scrollò le spalle.
“Uhm…” sua madre gli passò una mano sopra i rasta “Vuoi un pezzo di torta al cioccolato? L’ho appena tirata fuori dal forno.” Era una proposta troppo strana per non essere guardata con dubbio. Ci volle poco per fargli capire che sua madre stava cercando di consolarlo.
“Lo sapevate tutti quanti e nessuno mi ha mai detto niente?”
“Bè tesoro pensavo che tu fossi abbastanza grande da capirlo da solo e comunque eri troppo gentile con Lyric per essere solo affezionato.”
“Bello, sono stato il vostro tontolone…”
“Solo un pochino. Bè sicuro che ti vada bene?”
“Certo!” si incamminarono verso la cucina al piano terra “Sono il primo sostenitore della loro coppia e non vedo l’ora che combinino. Sentirò i cori degli angeli quando accadrà.”
Simone gli diede un piccolo sbuffo alla guancia “Tranquillo, avrai anche tu la tua possibilità.”
“No, grazie. Preferisco restare sano di mente.”
L’ennesimo urlo isterico giunse alle loro orecchie “Scordati che mi incasini come Bill.”
Simone sorrise come se la sapesse più lunga di lui.


***



Domenica mattina.

Si svegliò piena di aspettative.
Guardò il cielo freddo e grigio di quel dicembre mattina con la sensazione che non ci fosse giornata più perfetta.
Percepì sotto la pelle una strana attesa che gattonava, pizzicandola ovunque.
Prima di scendere dal letto pregò che cadesse la neve. La neve le aveva sempre portato fortuna e poteva darsi che l’avrebbe potuta aiutare anche quella volta.

Pomeriggio.


“Non risponde. Non risponde. Non risponde. Non risponde.”
Era seriamente in ansia. L’aveva chiamata cinque volte di fila e neanche a una aveva risposto. Qualunque fosse il motivo di questo era certo che non gli sarebbe per niente piaciuto saperlo.
“Cosa può essere successo? La sua famiglia? Sua nonna?”
Sarebbe presto andato fuori di testa se non avesse sentito la sua voce che lo rassicurava. Ora che non c’erano più ostacoli non riuscire a contattarla gli sembrava un brutto segno e inoltre era davvero in pensiero.
Bill si alzò di scatto dal divano su cui era seduto facendo prendere un colpo al povero Gordon che stava dormicchiando accanto a lui. Tom distolse lo sguardo dalla scena madre del film per puntarlo contro la figura in apprensione del fratello “Che c’è?”
“Vado a casa di Lyric.” Fu la risposta secca. Tom non cercò neanche di obbiettare, si vedeva che non gli avrebbe rivelato niente, figuriamoci lasciarsi convincere ad essere meno precipitoso. Che se la sbrigasse da solo.
“Ok, cerca di non ucciderti.” Fu la raccomandazione che gli fece ma Bill si era già precipitato ad indossare la giacca. In pochi minuti lo sbattere della porta fece capire agli inquilini che se ne era andato.
“Cos’aveva Bill?” domandò Gordon ormai sveglio. Tom fece spallucce mentre prendeva sul grembo il loro gatto Kasimir e lo guardava nelle sue pozze giallo-dorate “Nulla di particolare. Pene d’amore.” Lo canzonò con un sorrisetto.
Gordon rise “Ah che bello l’amore! Ricordo che alla vostra età non ci pensavo proprio, ritenevo più utile darmi alla pazza gioia con più ragazze possibili. A quel tempo mi ritenevo biologicamente inadatto alla vita di coppia fissa, fortuna che Simone è riuscita a prendermi nel momento giusto sennò col cavolo che mi accalappiava…”
“Come scusa?” in quel momento era entrata proprio Simone con i mano una tazza di caffè.
Tom rise e accarezzò il pelo di Kasimir “Speriamo bene.”
Ultimamente Bill era cresciuto ancora un po’ in altezza e la sua figura longilinea figurava da lontano come una piccola pertica. Scendendo la strada in salita che portava verso la fermata dell’autobus le sue lunghe gambe mangiavano passo dopo passo l’asfalto. Svoltato l’angolo all’inizio della via, senza nessuna ragione logica, si mise a correre come se l’arrivare il prima possibile allo stop fosse stato di vitale importanza. Giunse alla costruzione in legno con un leggero fiatone e come un sacco atterrò sopra alla panchina. Dopo qualche minuto bloccato in silenzio mentale la sua attenzione fu catturata da dei piccoli frammenti bianchi tra i suoi piedi. Era neve.
Improvvisamente sentì più freddo e notò di non essersi coperto per niente. Nell’ansia di uscire aveva dimenticato di prendere con sé la sciarpa e i guanti, se l’autobus non fosse arrivato presto si sarebbe congelato. Imprecò contro se stesso e cercò di distrarsi pensando a qualcosa che non fosse il gelo che provava ai piedi.
Un fiocco bianco sospinto da una brezza fredda cadde sul palmo della sua mano. Il random dei suoi pensieri giunsero a Lyric appena quel pezzetto di brina si sciolse per il calore della sua pelle. Lei adorava la neve.
Gli aveva raccontato che con la neve aveva un rapporto particolare, si volevano bene, gli aveva detto.
Bill rise. Si era innamorato di una creatura più strana di quanto si potesse credere.
Da bambina, ogni volta che nevicava, faceva un mucchio di giochi allegri e crescendo il legame che aveva instaurato con quell’elemento era diventato una sorta di amuleto contro la tristezza. Lyric sosteneva con fervore che ogni volta che nevicava, in qualche modo, le accadevano solo cose belle. C’erano un centinaio di ragioni che rendevano quei freddi petali di cielo dei ricordi sempre positivi: il sapore dei ghiaccioli di neve immersi nello sciroppo d’acero, le scivolate in slittino con suo padre, le passeggiate sotto la prima neve dell’anno, i pomeriggi davanti al camino con sua madre che le insegnava il punto e croce, le gare a palla di neve con Alphonse, le melodie al piano suonate da zio Victor sono solo alcuni di quei momenti. Bill aveva impresso in mente il viso di Lyric mentre gli aveva confidato tutte quelle cose e per un attimo non capì più niente.
Come se il nominare il suo nome fosse stato un richiamo magico, dal nulla, si materializzò Lyric stessa.
Bill non aveva visto che l’autobus che stava aspettando si era appena fermato e che dalle sue porte era scesa lei. Non la distinse immediatamente poiché era soprappensiero. Indossava un cappotto pesante di un blu pavone molto particolare con una sciarpa di lana bianca attorno al collo e i guanti della stessa tinta. I capelli, che con il tempo gli erano arrivati qualche centimetro oltre le spalle, le disegnavano in testa un mare di onde nere. Ai piedi indossava dei buffi stivali da pioggia a leggeri pois bianchi su sfondo notte, disegno ripreso poi dall’ombrello che se ne stava aperto sopra il suo capo. Naturalmente il suo volto stava scandagliando con ammirazione il cielo. Una fata della neve, pensò Bill.
“Lyric…” lei si girò.
“Bill?” era stupita “Che ci fai qui?”
“Questo lo dovrei chiedere io. Stavo per prendere l’autobus e venire a casa tua.” Rimasero a guardarsi ognuno dalle proprie posizioni e Lyric in quel momento lo mise a fuoco.
Jeans blu sbrindellati in qualche punto, le sue improponibili Adidas bianche il cui effetto protettivo contro il freddo era di sicuro nullo, giacca di pelle nera chiusa a metà e da cui traspariva un maglione del medesimo colore. Non aveva i guanti perché teneva le mani dentro le tasche dei pantaloni e niente sciarpa, se ne stava lì sopra alla panchina di legno con la pelle delle guance arrossate e le orecchie in balia del vento che soffiava nella sua direzione. Doveva essere uscito senza pensare minimamente alla temperatura esterna.
“Volevi arrivarci completamente assiderato per caso?” lo indicò con un gesto del capo “Sei praticamente svestito.”
“Non fa così freddo!” si difese ma non era per niente credibile.
Lyric chiuse l’ombrello e si sistemò sotto alla tettoia della fermata, dietro di lei, intanto, la neve stava ricoprendo di candido bianco ogni spiraglio possibile. Si avvicinò a Bill mentre apriva la propria borsa alla ricerca di qualcosa.
“Per fortuna che stavo venendo da te per portartelo.”
“Portarmi cosa?”
“Un regalo.” Estrasse una matassa bianca fuori dalla borsa. Gliela avvolse immediatamente attorno al collo facendo in modo che lo coprisse bene, gli chiuse poi la zip della giacca.
Bill odorò la sciarpa di lana che Lyric aveva appena legato al suo collo. Aveva il suo stesso profumo.
“Regalo di natale in anticipo?”
“No.” Rispose e si girò nuovamente verso la lenta pioggia bianca “Ho fatto quella sciarpa con i ferri e quando l’ho finita ho pensato di regalarla a te. Il natale non c’entra proprio niente.”
“Grazie.”
“Non c’è di che.”
“Come mai stavi venendo a casa mia?” Bill guardò in basso “Solo per la sciarpa?”
Le dita di Lyric si avvolsero attorno al manico dell’ombrello, fece no con la testa senza guardarlo “No, ero venuta anche per dirti una cosa.” I fiocchi intanto danzavano, come ballerine vestite di evanescenti tutù di tulle, delicati ed irreali. Danzavano nell’aria in coreografie senza logica, sospinte dal caso, scrivendo una poesia senza versi.
Lyric sentì che doveva essere quello il momento.
Prese in mano la propria decisione e poi si girò verso di lui. Intanto Bill si era posizionato davanti a lei, con la fronte aggrottata “Dirmi che cosa?”
“In ogni caso qualcuno deve pur fare il primo passo…” si disse Lyric mentre appoggiava i palmi delle mani sul petto di Bill. Lasciò che il proprio capo si soffermasse per qualche attimo sopra al suo cuore.
“Ehi, cosa ti succede?” domandò lui risalendo con le braccia lungo la sua schiena fino ad abbracciarle le spalle. Vedendoli in quel modo era evidente che le parole che avrebbero dovuto dirsi non sarebbero state necessarie ma visto che non sempre le certezze sono tali in modo completo era meglio fare ordine.
Lyric respirò affondo il suo odore, li sciolse dalla loro posa e poi gli puntò addosso uno sguardo terribilmente penetrante.
Bill sentì che doveva essere arrivato quel momento. Uno fremito glielo fece capire.
“Tu lo sai vero di essere innamorato di me?”
Qualunque cosa si fosse aspettato non si era avvicinato minimamente alla sorprendente dichiarazione appena fatta. Suonava tanto ad un miscuglio tra un rimprovero e una provocazione. Come a chiedergli se riusciva a negare l’evidenza del fatto.
Cosa avrebbe dovuto rispondere? Non c’erano molte alternative.
Le sorrise come un pazzo e quasi ci manco che ridesse.
“Sì, lo so.” Rispose “Sono effettivamente innamorato di te.” ammise e vide lo sgranare degli occhi di Lyric, sconvolta per aver ottenuto la risposta così in fretta. Sentirselo dire per la prima volta dalla sua bocca l’aveva completamente mandata fuori dal mondo. Entrambi avevano il sangue che saliva al cervello a velocità impossibile.
“Volevi dirmi solo questo?” Bill la provocò.
“Non fare lo stupido. Non credo che tu abbia bisogno che te lo dica anche io.”
“Dirmi cosa?” Sogghignava come se fosse stato sul punto di proporle di vendergli l’anima, come se l’avergli dato in mano il suo cuore non fosse stato già un prezzo alto.
“Bill non provocarmi.” Però non lo sapeva ancora e forse per questo voleva sentirselo dire. Non le piacque la momentanea presa di potere di Bill, come sempre tendeva ad avvantaggiarsi. In ogni caso, anche se stava pensando ad un centinaio di cose contemporaneamente, agli angoli della sua mente Lyric si stava rendendo conto che le cose avevano una piega totalmente fuori controllo.
A quanto pare stava per arrivare anche quell’altro momento.
Bill si stava avvicinando con un’unica, nitida, intenzione nella testa. Lyric perse l’equilibrio pur essendo del tutto immobile e mancò poco che si ribaltasse all’indietro ma Bill la prese al volo per un braccio.
L’ombrello di lei cadde a terra e al suo posto, nella sua mano, ci fu quella di Bill.
Lui rise mentre Lyric si arrossava un poco per l’imbarazzo ma il momento comico passò subito. Nell’aria c’erano un migliaio di messaggi sottointesi dati dal loro essere così vicini e Lyric li stava cogliendo tutti. La nebbia di eccitazione le impediva di connettere in modo regolare. Lo sentiva fin dentro le ossa che quello che stavano per fare le avrebbe scardinato l’ordine psico-fisico. L’altra mano di Bill era finita tra i suoi capelli, senza che lei l’avesse vista passare lungo la guancia destra e con quella lui l’aveva accarezzata. Quei suoi occhi nocciola la osservavano pieni di attese.
Quando si immagina tanto allungo come un momento debba o possa essere quando poi accade ogni cosa non è mai come la si pensava. Per esempio Lyric non aveva pensato che si potesse contemporaneamente morire dal desiderio di farlo e allo stesso tempo avere paura che si arrivasse al nocciolo della questione però si era aspettata di sentire tutto il corpo tendersi verso di lui con il battito cardiaco irregolare.
“Stai per baciarmi?” fu una domanda stupida ma per Lyric c’era troppo silenzio. Voleva riprendere un minimo di controllo su stessa e l’aver parlato aveva momentaneamente spezzato il suo levitare in aria.
Il divertimento di Bill era evidente “Bè, sì. Questa sarebbe la mia intenzione. Perché avresti delle obbiezioni al riguardo?”
“Non ti senti un po’ troppo sicuro? E se io non volessi essere baciata?”
“Sono sicuro che tu lo voglia.”
“Potrei tirarti uno schiaffo dopo.”
“Correrò il rischio.” Bill abbassò la mano dai capelli al collo, lo prese da dietro e in questo modo l’avvicinò al suo viso “Comunque non lo farai.”
“Esaltato mitomane. Sei uno sbruffone!” Le tremavano le mani. Bill si intenerì sentendo le dita di Lyric avvinghiarsi attorno alle sue. Avvicinò le sue labbra al suo orecchio “Tu invece sei molto carina adesso.”
“Mi prendi addirittura in giro?”
Stringerla, stringerla fino a soffocarsi tra le sue braccia, ecco il pensiero che viaggiava dentro di lui. Non aveva mai tentennato così tanto nel baciare una ragazza, era veramente la prima volta.
“Però prima me lo potresti dire?” la voce di Bill supplicava, quasi.
“Credevo che ne fossi certo.” Ora era Lyric a sogghignare leggermente. Sentì, contro il proprio orecchio, un respiro trattenuto. Lo voleva guardare in faccia.
Vide Bill in attesa e lei smise di ragionare.
Lyric piegò il capo e fece in modo che le loro labbra fossero vicine, sul punto di incontrarsi e unirsi.
Mancava poco. Davvero poco. Quanto erano difficili.
“Pregami.”
Bill guardava le curve invitanti delle sue labbra. Il suo cranio sarebbe esploso a poco.
“Ti prego.” Si arrese senza pentirsi di aver appena ammesso la sua completa resa. Avrebbe fatto qualunque cosa, presto, poi, lei si sarebbe resa conto di tutto il potere che possedeva su di lui. Presto ma era già chiaro.
“Sono innamorata di te.” Sorrise mentre lui scioglieva il groviglio di aria trattenuta dentro i suoi polmoni “Ed ora?”
Non ebbe il tempo di formulare quelle due parole che Bill era già sulle sue labbra.
“Ah, ecco…” riuscì a pensare appena.
All’inizio si assaggiarono tentennando come due imbranati, confrontandosi con quella nuova e spaventosa realtà. La sensazione di calore che provarono entrambi inondò ogni parte del loro essere. In quel momento si sentirono entrambi come sulla cima più alta della terra, riempiti fino allo estremo di adrenalina pulsante, imbevuti di un’energia esplosiva. Soddisfazione, desiderio, piacere, ebbrezza, follia, felicità, totale estraniazione dal mondo, perdita della ragione, si mischiarono tutti quanti nel loro primo bacio.
Fu un continuo cercarsi e trovarsi.
Fu un bacio dolce che però stritolava i loro corpi in una morsa che li privava d’aria.
Fu un bacio passionale in cui confluivano desiderio e sentimento.
Nuovo, naturale, sentito fino in fondo, assolutamente necessario.
Il loro primo bacio profumava di neve.

 
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Gillian Kami
view post Posted on 23/5/2010, 13:00




Capitolo 11 : Ray of Sun.

“ Everywhere I’m looking now
I’m surrounded by your embrance
Baby I can see your halo
You Know you’re my saving graceYou’re everything I need and more…”
© Beyonce_ Halo


Magdeburg.
Giugno 2005.


Il cellulare vibrò nella tasca della sua gonna e per qualche secondo si sentì un ronzio farsi spazio nella quiete dell’abitacolo.
Lyric allora si svegliò, interrompendo il frugale sonnellino a cui si era lasciata andare, e con molta lentezza recuperò il telefono. Mentre sbloccava la tastiera cercò di fare mente locale di dove si trovasse, scavando alla ricerca delle informazioni riguardo al come e perché fosse lì.
Era la solita storia.
Svegliarsi per lei era spesso un trauma, soprattutto se questo avveniva all’improvviso, perché il suo cervello ci metteva sempre molto tempo prima di ritornare con i piedi per terra, il che la rendeva una creatura sperduta per un po’. Diventava incapace di intendere e volere, in balia di uno stato di smarrimento che rasentava il comico. Bill, vedendola in quelle condizioni, aveva finalmente capito perché Alphonse la soprannominasse “Bella addormentata” e lo aveva trovato molto divertente, pensava che la sua quasi perfetta ragazza avesse un tallone d’Achille tenero. Naturalmente solo Bill poteva trovarla tenera in quello stato catatonico, lei invece pensava che fosse una caratteristica abbastanza fastidiosa.
Soltanto quando si ricordò di essere nella Volvo di suo zio Victor e che stava tornando a Magdeburg Lyric si diede il permesso di leggere il messaggio ricevuto.
In un angolino di sé però sapeva già chi lo avesse mandato.

_ Dove sei? Ancora in strada?
C’è traffico per caso? Saresti già a Magdeburg in caso contrario.
Ho dedotto dal tuo silenzio stampa che devi anche esserti addormentata se no mi avresti avvertito che ritardavi. Vabbé almeno godo al pensiero di averti svegliata in malo modo, così stiamo male in due.
Perché mentre tu, di certo, eri addormentata io ero qui ad aspettarti nel tormento.
Non ti pare ingiusto che a soffrire fossi solo io? _


"Che scemo…” commentò tra sé mentre continuava a leggere quel logorroico intervento, possibile che riuscisse ad essere così prolisso persino con un sms? Bill era davvero in grado di fare qualunque cosa quando si trattava di parlare e lei non poteva obbiettare. Avevano scoperto da tempo che anche Lyric era capace di discorsi infiniti quando si impegnava ma lei sosteneva che era tutto dovuto alla cattiva influenza di una certa persona di sua conoscenza.

_ A parte gli scherzi, appena arrivi chiamami.
Sono stato troppo ottimista. Lo so che sono un idiota, può darsi, anche fissato.
Io, me e me stesso ti aspettiamo.
Ps: Tom dice che sono melenso, ora sta imitando un conato di vomito. Adesso lo prendo a calci... _


Rise per quel “Io, me e me stesso…” .
C’era una concentrazione di tale egocentrismo in quelle quattro parole che era quasi impossibile eguagliare tanto talento nel dimostrarsi così ammiratori di se stessi, però glielo perdonava, perché a seguito di quelle aveva scritto “ti aspettiamo.” il che stava a significare che la totalità della sua persona attendeva lei.
u un pensiero che la fece sentire bene. L’idea che qualcuno aspettasse il suo ritorno era qualcosa che non credeva potesse soddisfare così tanto, infondo era una cosa semplice e quasi scontata, eppure lei se ne stupiva piacevolmente.
Avere qualcuno che aspetta solo di vederti è molto più raro di quanto uno può pensare.
“Zio Vikki?”
“Yes, honey.” Rispose lui con lo sguardo puntato sulla strada.
“Quanto manca?”
“Trenta minuti circa. Perché?” domandò con un sorrisetto che raccontava un mucchio di cose.
Lyric non gli rispose. Era una domanda superflua, lo sapeva da solo il perché.
Non rispose al messaggio, sarebbe stato inutile incominciare un susseguirsi di sms con solo trenta minuti a dividerli. Gli avrebbe dato una risposta presentandosi direttamente a casa sua.
Lyric appoggiò di nuovo la testa sulla morbida pelle del sedile e fissò l’orizzonte attendendo di vedere i confini della città. Il sole non era ancora calato malgrado fossero già le sei e mezza e la campagna tedesca non si era ancora coricata nella sera. Per un po’ cercò di mantenersi calma, riprendendosi pian piano tutte le sue facoltà mentali, ma appena tornò ad essere pienamente lucida un brivido d’ansia prese possesso di lei.
“Grazie tante Bill.” Provò a distrarsi ma non le riuscì bene.
Corrucciò lo sguardo maledicendolo. Ora sarebbe stato praticamente impossibile stare calme.
Per colpa sua avrebbe passato i seguenti minuti in preda ad una snervante attesa, tesa fino all’inverosimile, con il malumore a farle compagnia.
Con una serie veloce di mosse rettificò l’intenzione di prima ed inviò una risposta stringata.

_ Contento? Hai ottenuto il tuo scopo.
Adesso sono nelle tue condizioni.
Se mi rivedrai, cosa su cui non conterei, sarò particolarmente intrattabile. _


Lo inviò senza neanche rileggere.
Ovviamente la sua era una minaccia a vuoto ma Bill poteva crederci veramente per qualche minuto.
Se almeno avesse continuato a dormire non avrebbe passato il resto del viaggio pregando di arrivare il prima possibile. Inoltre non avrebbe dovuto simulare calma di fronte allo zio, per evitare interrogatori strani riguardo all’andamento della sua relazione amorosa, come piaceva fare a lui ogni volta che ne aveva occasione.
Sentendosi in dovere di fare le veci del padre zio Victor tentava, in maniera a volte fin troppo espansiva, di essere partecipe dei suoi fatti personali. Lyric però riteneva che dopo aver affrontato il discorso, terribilmente imbarazzante, della sua prima volta lo zio poteva anche fermarsi lì nelle sue conoscenze.
Essendo stato tra i primi ad aver ricevuto la notizia della perdita della sua verginità Lyric non pensava che potesse essere ancora affamato di informazioni. Cos'altro poteva mai interessargli se non assicurarsi che lei non commettesse sciocchezze come il rimanere incinta? Cosa a cui aveva già pensato da sola e per cui non erano necessarie delle raccomandazioni.
Assieme a zia Freia era arrivata alla conclusione che lo faceva soprattutto per divertimento personale. Lo zio adorava metterla alla prova e vedere se lei se la cavava a sostenere discorsi spinosi.
Era un sadico però le voleva molto bene.
A parte quel leggero sorrisetto di divertimento agli angoli della bocca, quando avevano parlato della sua prima volta, Lyric aveva visto chiaramente un luccichio affettuoso nei suoi sfavillanti occhi azzurri. Era rimasto ad ascoltare in un rispettoso silenzio il poco che lei volle raccontargli e si era espresso con tatto quando era arrivato il suo turno di parlare. Le disse di essere felice perché lo aveva fatto partecipe di un evento tanto importante e che, per qualunque dubbio potesse avere in futuro, non avrebbe dovuto temere di riferirglielo.
Lyric allora aveva sorriso, contenta per essersi confidata.
Se suo padre Sebastian fosse stato vivo si sarebbe comportato alla stessa maniera, aveva pensato, anche se sospettava che avrebbe poi fatto qualche finta scenata di collera con Bill, così, per fargli pagare di essere stato il primo ragazzo ad aver toccato la sua bambina.
Zia Freia invece in un primo momento ne rimase un po' sconvolta, come se non avesse mai pensato alla possibilità che sua nipote potesse fare sesso con il suo ragazzo, e poi con molto calma aveva fatto una serie di domande.
Lyric le parlò del quando e del dove assicurandole che il dolore era stato sopportabile dopo tutto. Poi le aveva assicurato che era giunta a quel passo perché lo aveva sentito, dentro se stessa e nella propria pelle, che lo voleva veramente. Le aveva spiegato che ci aveva riflettuto, molto anche, ma la risposta le era stata evidente fin da subito. Il desiderio fisico che aveva di Bill unito ad un desiderio viscerale ed irrefrenabile di sentirsi ancora più legata a lui l'avevano portata a compiere il salto. Zia Freia si era calmata avendo ricevuto ammissioni tanto sincere.
Era stata comprensiva e disponibile, in seguito, senza fare ulteriori pressioni per essere informata.
Lyric allora si era sentita fortunata perché le due persone che ora considerava come genitori si erano comportate meglio di quanto si sarebbe mai immaginata, eliminando ancora una volta, quella diffidenza nel prossimo che si era costruita dalla morte della madre.
In un certo senso le sembrava che la vita avesse davvero preso il verso giusto e di questo ne era oltre che felice anche intimorita. La felicità e la sicurezza erano stati elementi spesso instabili nella sua vita e sapendo ciò non si permetteva di adagiarsi troppo sugli allori.
Il cellulare vibrò per la seconda volta.
Lyric cercò di ignorarlo perché provava a dirsi che non mancava ancora molto al suo arrivo, se avesse letto l'sms sicuramente si sarebbe sentita lontana da Bill più di quanto non lo era in verità. La mente le tirava brutti scherzi quando cominciava ad agitarsi.
“Non lo leggi?” smise di interessarsi in maniera così tenace degli alberi che scorrevano fuori dalla Volvo e guardò suo zio esibire quel dannato ghigno “Quel poveretto di Bill si corroderà dall'ansia se non gli darai una risposta.” proseguì non provando neanche a mascherare l'ironia che sprizzavano le sue parole, il ghigno era sempre vivo sulla sua faccia.
Il sorriso di cui erano capaci gli Alysei era sfrontato, sapeva di malizia, proprio lo stesso che le stava porgendo Victor in quel momento. Era il sorriso di un dio, uno di quelli che si burlano dell’ingenuità dell’umanità.
Bill sosteneva che lo faceva anche lei, molto spesso quando si trattava di prenderlo un po' in giro, a dir la verità, ma Lyric non si credeva ancora in grado di riprodurre quell'espressione. Le mancava ancora una piccola qualità che apparteneva in modo così spontaneo a zio Victor ed Allie, una specie di realizzazione personale nel provocare il prossimo.
“Al momento merita di corrodersi.”
“Come mai parole tanto dure?”
“Nulla di particolare, mi ha svegliato.”
Zio Victor non si trattene e gongolò qualche secondo “Mi ricordi tua madre quando dici queste cose.”
Lyric si incuriosì “In che senso?”
“Anche lei, quando si svegliava, ci metteva un po' a carburare e se qualcuno lo faceva in malo modo rimaneva scorbutica per parecchio. Eleonor ti deve aver trasmesso questa sua deliziosa caratteristica. Una volta Seb la svegliò così male che Nory non gli parlò per tutto il giorno. Fu una giornata fantastica, mai riso tanto, tua madre era divina quando si trattava di punire. Aveva un raro senso di sadismo che neanche io saprò mai eguagliare.” Mentre lo diceva Victor si riempì di ammirazione e per qualche minuto l'auto venne riempita dalle loro risate.
“Sicura che sia solo perché ti ha svegliato?
“Non credo che la seconda parte della spiegazione ti piacerebbe. Potresti anche vomitare.”
“Ho capito: troppo zucchero.”
“Se vuoi chiamarlo così. Zia Freia lo definirebbe una pazzia da mela cotta.”
“Freia è davvero buona, almeno non ti prende in giro come il sottoscritto.”
“Già! qualcuno almeno dimostra l’età che ha.”
“Ohh! Recepito, sei davvero di cattivo umore.” Nel modo in cui lo disse però non sembrò intenzionato a smettere di scherzarci sopra “Comunque tranquilla te lo ha già detto Alphonse: non è un male avere debolezze tanto umane.”
“Non citarmi quell’essere!” Lyric scattò in uno sprizzo di aggressività, l’ultima cosa che voleva sentire erano le battute di quell’insopportabile saccente di suo cugino. Si era appena liberato di lui e non aveva intenzione di sentirlo nominare per parecchio tempo.
Appena superato il cartello stradale con su scritto - Benvenuti a Magdeburg.- decise di leggere il messaggio. Ormai era abbastanza vicina e la morsa della lontananza non era più così acuta, se ne sentì sollevata. Victor bofonchiò qualcosa mentre le sue spalle sussultavano un poco per le velate risate.
Lyric fece come se non esistesse.

_ Io sono un egoista, mi dispiace.
Risolviamo i miei difetti uno per volta, ok? Siamo a buon punto con l’orgoglio.
Per l’egoismo ci vorrà un bel po’.
Sì, sono contento che tu senta la mia mancanza.
Come io di te quindi, anche se per poco, verresti a incontrarmi? _


“Sentire la mancanza di qualcuno” ora capiva cosa potessero significare in verità tali parole.
Tutto il suo magistrale controllo scemò in pochi attimi. Le venne da ridere per come si stesse riducendo, era diventata una tossica.
L’essere innamorata per lei avrebbe sempre significato emozionarsi in quel modo distruttivo, irrefrenabile, devastante. Anzi per essere corretti era essere innamorata di Bill, di lui in particolare, a muovere il suo universo.
Se fosse stato qualcun’alto dubitava che avrebbe provato lo stesso.
Da un po’ aveva cominciato ad affrontare la questione dell’entità vera e propria della sua relazione con Bill ma evitava di fare parola delle sue conclusioni in giro. Le certezze di una sedicenne potevano essere interpretate da altri come castelli in aria molto esagerati e Lyric non voleva che qualcuno si prendesse in diritto di giudicarli. Ciò che apparteneva a loro andava al di là di quanto potesse essere compreso dagli estranei.
E poi neanche loro era arrivati a quantificarlo. Era difficile ammettere la portata di ciò che possedevano, forse era qualcosa di troppo serio per le spalle di due adolescenti, o magari, era troppo presto per accettarlo.
Però ammetteva che il distacco da lui si rivelava come una condizione difficile, anzi, dolorosa.
Era forse un bene essere così legati a qualcuno? Quando sarebbe stato necessario darsi un contegno?
Lyric si diede per l’ennesima volta della stupida. Spedì una risposta a Bill poi si rivolse allo zio “Mi faresti un favore?”
“Dimmi pure.”
“Prima di andare a casa potremmo passare da Bill?”
Il ghigno di divertimento fece un solco sul viso dello zio.

*****



Il cellulare nelle sue mani squillò ancora.
Bill si alzò dall’angolo in cui si era acquattato come un gatto ed uscì con un paio di falcate dal salotto. Senza poi staccare gli occhi dal piccolo schermo del suo apparecchio telefonico si mise a camminare avanti ed indietro per il corridoio adiacente alla stanza. Tom, Georg e Gustav lo osservarono in quel inconsulto andare e venire, cercando di cogliere ogni volta che ripassava davanti alla porta quali tipo di notizie avesse ricevuto.
Il responso di tale quesito avrebbe decretato l’andamento della serata. Se fossero state buone nuove allora sarebbero stati tranquilli in caso contrario si prospettava un calvario che non avrebbero sopportato.
Naturalmente speravano nella prima opzione perché occuparsi di un’instabile trottola emozionale come Bill andava al di là delle loro capacità.
Tom si era stancato di sopportare il gemello e questo non era da tutti giorni mentre Gustav e Georg stavano sperimentando il limite fisico-mentale dello stare a così stretto contatto con un Kaulitz fuori di sé.
“Pensate che sia recuperabile?” Tom fece una domanda che suonò retorica ancor prima che uscisse dalle sue labbra ma pur conoscendo la risposta non si stancava mai di chiederselo.
L’espressione scettica di Georg fu sufficiente e Gustav, come sempre estremamente gentile, scrollò le spalle con fare bonario.
Tom sparò contro uno zombie accaparrandosi così altri cento punti, andando avanti di questo passo avrebbe battuto Georg senza troppo sforzo ed era tutto ciò su cui voleva concentrarsi al momento. Qualunque cosa era buona per allontanare da sé quel senso di estraneità che gli saltava addosso quando constatava che il legame tra Bill e Lyric si faceva giorno dopo giorno più stretto. A volte si spaventava vedendo come era diventato il gemello: dipendere da qualcuno come faceva lui ed amarlo in maniera così costante e fedele per Tom erano atti ancora incomprensibili. Innamorarsi era una faccenda da affrontare solo nel caso si fosse stati indistruttibili o almeno sufficientemente coscienti del massacro a cui si andava incontro e lui non era ancora provvisto di tanto coraggio. Pur non capendo tutto, però, gli era chiaro che la felicità di suo fratello dipendeva, adesso, anche da Lyric e questo lo aveva accettato. Non aveva più paura di lei in quel senso ed non c’era dubbio che la sua cotta era bella morta.
La faccia di Bill spuntò da un angolo della porta e fu come se da questa si fosse sporto il viso appuntito di un folletto della foresta, praticamente fece un’apparizione d’alieno poiché la sua espressione ebete era ben lontano dal renderlo umano. Quell’’incomprensibile mimica del suo viso impedì ai tre di capire se fosse o no felice, per tanto attesero che parlasse.
Trattennero il respiro, Georg pregò persino, mentre Gustav era più o meno convinto di quello che sarebbe successo.
“Tra dieci minuti sarà qui.” esclamò al cento per cento perso nella felicità. Faceva davvero impressione.
Il sollievo generale comunque rasentò l’esultanza.
Ora, forse, Bill avrebbe passato un po’ di tempo a gongolare nel suo fatato mondo delle meraviglie e loro avrebbero potuto sfruttare questo suo smarrimento cognitivo.
Da quando il loro album era stato completato ed era stato programmato ogni loro più piccolo impegno da lì fino all’uscita del primo singolo in tutti loro era cresciuta l’eccitazione e la tensione. Non avevano nessuna garanzia riguardo al futuro di quella loro creatura musicale e per questa ragione ogni membro della band voleva riprendere fiato prima di affrontare il mondo esterno, volevano essere preparati.
Erano davvero arrivati a incidere un disco con una grande casa discografica e stavano davvero per venderlo al pubblico, avevano il diritto di essere spaventati a morte. Nel caso ce l’avessero fatta, come Bill prevedeva con straordinaria sicurezza da essere quasi sfrontato, tutta la loro vita sarebbe cambiata da come la conoscevano. Quei momenti di tranquillità, così normali, sarebbero diventati ricordi di una vita molto lontana. La loro routine sarebbe stata travolta ma non sapevano ancora quanto.
Si godevano quei giorni cercando di vivere come sempre avevano fatto, come adolescenti incasinati e casinisti, semplicemente nel loro chiassoso modo di farlo. Tra una settimana le loro esistenze sarebbero mutate irrimediabilmente, lo sentivano da qualche parte nei recessi del loro animo, tra una settimana sarebbero stati i Tokio Hotel.
Tale pensiero metterebbe nel panico chiunque figuriamoci i diretti interessati.
Quel sabato erano andati a casa dei gemelli per una serata in profonda tranquillità ma nessuno si era ricordato che quel giorno Lyric tornava dal viaggio in Francia. Erano quasi giunti al comune accordo di imbavagliarlo e legarlo dentro l’armadio delle scope per esasperazione.
“Fantastico! Possiamo liberarci di lui!” fece Georg alzando le braccia al cielo in segno di vittoria.
Tom rise e Gustav pure.
“Grazie del sostegno ragazzi, vedo che mi volete terribilmente bene.” Fece Bill portandosi le braccia sui fianchi e squadrandoli.
“Fratellino ti assicuro che se non ti volessimo bene, ora, il tuo corpo sarebbe già sotterrato da qualche parte nell’orto della nonna.”
“Oh taci Tom! Sentite adesso vado fuori ad aspettarla, rimarrà solo per qualche minuto quindi se vi azzardate a disturbarmi giuro che vi uccido.”
“Se facciamo i bravi prometti che poi dopo resterai tranquillo?” A parlare fu Gustav che uso tutto il suo potere nel far ragionare le persone. Il che dovrebbe far intendere quanto fosse esausto di reggere la sua presenza.
Bill annuì guardando la mezza faccia di rimproverò dell’amico, ammise che aveva dato un po’ troppo di matto.
“Bene, allora vai.” Gli fece il batterista indicandogli con la testa l’uscita, Bill non se lo fece ripetere.
Scomparve subito dalla loro vista.
“Mi spieghi perché quando sei tu a dire o chiedere le cose le persone ti danno sempre retta?”
“Ho una cosa che tu non hai Tom.”
“Sarebbe?”
Georg rispose prima di Gustav anche se non era esattamente il modo in cui voleva dirglielo “Semplice: la sua faccia ispira fiducia, la tua al massimo fa venire voglia di prenderti a schiaffi. Per questo quando parli parti svantaggiato, si ha già il pregiudizio che dirai una cazzata. Il che è vero il novantanove virgola nove percento delle volte.”
“Spiritoso Moritz, vediamo se lo sarai anche dopo che ti avrò fatto il culo.”
“Non credo proprio mentre tu eri distratto ad ascoltare il mio brillante intervento ti ho superato di mille punti. Non riuscirai neanche morto a raggiungermi.” Ora la faccia da schiaffi era quella di Georg.
Gustav si rassegnò: che riuscisse o meno a liberarsi di Bill restavano sempre quei due, insieme, da sorbirsi, sarebbe mai finito quel circolo vizioso?
Per non dover riflettere troppo Bill, fuori dalla casa, si era messo a contare e quello probabilmente era il metodo più stupido a cui avesse potuto pensare per distrarsi.
“Uno, due, tre, quattro, cinque, sei..” se qualcuno l’avesse visto avrebbe pensato che era decisamente strambo e non a torto “sette, otto, nove, dieci, undici…” ma era un modo come l’altro per riempire il tempo “Dodici, tredici, quattordici, quindici, sedici…” continuò scandendo i numeri con calma.
Erano passate due settimane ma gli sembrava che fosse passato molto di più, soprattutto perché non si erano sentiti per niente durante quel periodo.
Lui si era molto concentrato sul lavoro, in maniera maniacale a dir la verità, senza prendersi neanche il tempo di respirare. Aveva fatto in modo che fosse messo al corrente di ogni mossa promozionale da parte della casa discografica oltre che di qualunque idea fosse baluginata nelle menti dei loro produttori. Assieme agli altri e a David aveva studiato tutto nei minimi dettagli: quando la prima canzone sarebbe stata presentata alle radio, le interviste che avrebbero rilasciato (a bravo sopra a qualunque altra rivista), la data di vendita del loro primo singolo, quella dell’album, i servizi fotografici, le loro esibizioni in pubblico, la promozione da città in città, i loro appuntamenti in televisione e tanto ancora. Bill aveva davvero lavorato sodo per ottenere la materializzazione dei suoi sogni ed ora che era ad un passo da ciò che aveva sempre desiderato non aveva voluto lasciare niente al caso.
Lyric invece era stata a Parigi con suo zio.
A convincerla ad andare in Francia era stata la proposta dello zio di passare del tempo con lui, fatto piuttosto raro visti gli impegni lavorativi che lo occupavano, e la prospettiva di assistere ad alcune sfilate nella città culto della moda. Inoltre a Parigi, le aveva detto, ci andava anche per informarsi di persona dei corsi di designe che dopo il diploma aveva l’intenzione di frequentare. Anche Lyric aveva i suoi sogni e come Bill voleva farlo con le sue forze, guadagnandosi da sola qualcosa che fosse solo suo.
“Venti, ventuno, ventidue, ventitre…” già, anche Lyric aveva le sue aspirazioni e ciò che avrebbe dovuto fare per realizzarle l’avrebbe condotta, poteva darsi, su una strada che non sarebbe stata necessariamente la stessa che percorreva lui.
Bill aveva cominciato a pensare anche a questo.
La distanza o comunque i futuri impegni che lo avrebbero tenuto occupato, la possibilità di diventare un personaggio pubblico, erano fattori che avrebbero condizionato fortemente il suo legame con Lyric. Perché implicavano degli sforzi che avrebbe dovuto compiere per mantenere salda la loro relazione.
Si fermò al numero quaranta appena una Volvo argentata parcheggiò di fronte alla casa. Era arrivata.
Le sue mani formicolarono subito e le affondò dentro le tasche dei jeans. Non doveva permettersi atti troppo plateali, c’era lo zio di Lyric in quella macchina, lo aveva riconosciuto, e non voleva minare la simpatia già precaria che quell’uomo nutriva nei suoi confronti.
Lyric scese dal veicolo qualche attimo dopo. Dietro di lei intanto il sole scoloriva al di là dell’orizzonte.
“Eccomi qui! Ancora una volta ho accontentato i tuoi capricci.” Lyric lo disse come se fosse realmente arrabbiata ma Bill capì che stava bleffando. Restò al suo gioco ed interpretò il ruolo del fidanzato colpevole “Mi dispiace se ti ho costretta a vedermi quando potevamo perfettamente rimandare a domani. Però non è colpa mia se ti sei messa con un ragazzo infantile e capriccioso.”
“Vuoi dire che sono stata io a sbagliare nel sceglierti?”
“Già!” le puntò il dito con fare accusatorio “Quando ti sei innamorata di me lo sapevi che avresti dovuto prendermi così com’ero.”
“Bè potrei rimediare al mio errore lasciandoti.”
“Se ritieni di poterti liberare di me in modo tanto semplice allora non ti resta che provare.”
Lyric fece un passo verso di lui, fino a quel momento era rimasta accanto alla Volvo, lanciandogli uno sguardo di sfida “Dici che non sarei capace di mollarti su due piedi?”
In pochi passi se la ritrovò davanti, come una visione divenuta straordinariamente reale in pochi istanti, lo squadrava sfidandolo ad una degna risposta.
Bill provò qualcosa di indecifrabile mentre allungava istintivamente le mani verso di lei, qualcosa di molto forte, non sapeva come descriverlo ma da quando aveva il permesso di toccarla quel qualcosa era una costante.
Assieme alle mani mosse all’unisono anche il suo corpo sentendosi trascinato dalla forza di attrazione che lei esercitava su di lui. Le sue dita si appoggiarono sui fianchi di Lyric senza neanche accorgersene e la strinse in quel punto con una leggera pressione. Peccato che ci fosse quel fastidioso strato di cotone a dividere le loro pelli.
“Allora pensi davvero che non riuscirei a liberarmi di te?”
Il blu degli occhi di Lyric lo trapassarono da parte a parte e lui si lasciò catturare senza rimostrare alcuna protesta per quell’ennesimo dialogo di sguardi. Dopo tanto, tanto, tempo Bill riusciva a comprendere quel mare che quando l’aveva conosciuta gli era apparso così lontano. Così come Lyric aveva imparato a sua volta.
Al momento però stavano solo discutendo su chi tra i due sarebbe capitolato per primo e questa era una sfida difficile da risolvere perché entrambi non concedevano mai niente troppo facilmente.
Bill non le rispose subito.
Prima preferì abbracciarle le spalle e accarezzarle la fronte con le labbra, Lyric venne punzecchiata dalle famigliari scariche elettriche.
“Non è questo il punto. Il fatto è che io poi non sarei d’accordo con la tua decisione.”
“Bill sei un despota!”
Lui rise compiaciuto a qualche centimetro dal suo orecchio.
“Lo devo essere Lyric, perché se non tiranneggio un po’ finisce che l’equilibrio crolla. Renditi conto che devo fare quel che posso da quando mi sono incastrato con te.”
Lyric intuì una dichiarazione di resa piuttosto inconsueta in quelle parole.
Interruppero il discorso perché Bill aveva iniziato a chinare il capo.
“Questa volta ho vinto io.” Fu il fugace e soddisfatto pensiero di Lyric mentre chiudeva le palpebre. Prima ancora che le loro labbra si posassero le une sulle altre sentì come sempre la testa iniziare a girare mentre nelle orecchie si propagava un battito martellante, il suo cuore.
In una manciata di secondi le loro bocche finalmente si toccarono.
Dapprima fu una lenta carezza che divenne meno dolce man mano che trascorrevano gli istanti. Da quella specie di esercizio di riscaldamento passarono infine al bacio vero e proprio, la quale si dimostrò famelico e stordente.
Le labbra di Lyric si mossero su quelle di Bill alla ricerca di quella loro alchimia che esplodeva quando si baciavano e non dovette cercare allungo. Il ragazzo infatti ci mise tutte le sue energie per non deludere le sue aspettative anche perché, lui per primo, ci teneva a soddisfare le proprie.
Si erano baciati così innumerevoli volte, spesso in maniera estremamente intima, per questo avevano imparato ad avere i giusti tempi e una, seppur imperfetta, misura. Lyric e Bill sapevano, a seconda della situazione, come controllarsi e quel momento era uno di quelli in cui non dovevano esagerare. In questo caso particolare si trattava di avere un minimo di decenza e tatto davanti allo zio di lei, però se fossero stati soli in una stanza appartata l’ultima cosa a cui avrebbero dato importanza erano decenza e tatto.
Bill provò a fermarsi prima che predominasse la vocina avida dentro la sua testa, quella che diceva di trovare un modo qualunque per portarla in camera sua, dove avrebbero potuto approfondire. Non fu facile portare a compimento la scelta più ragionevole, soprattutto perché Lyric lo bloccò un paio di volte prima della meta, usando la lingua in una maniera tale che sentì i brividi correre a passo di danza tra i suoi muscoli.
“Lyric, per favore…” l’ammonì in uno spiraglio di lucidità.
Lei allora si fermò, scostandosi di pochi centimetri, ancora disponibile a continuare se lui avesse voluto o lei avesse deciso di fare la bastarda. Proprio in quel momento sul suo viso si formò il ghigno che tanto rimproverava allo zio.
“Per favore cosa?” fece la finta tonta come se non conoscesse il problema.
Bill scosse il viso e poi ridacchiò un poco mentre le dava un altro bacio, piccolino però.
“Tu mi ucciderai. Lo so che presto o tardi mi farai fuori.”
E questo lo pensava davvero. Da quando stavano insieme gli aveva rivelato una parte molto audace e sbarazzina, quella a cui piacevano molto le loro attività intime per intenderci, anche se manteneva la sua imperturbabile discrezione. A Bill non dispiaceva neanche tanto subire di persona quell’aspetto della sua personalità ma a volte era davvero dura tenerle testa.
“Non ti è piaciuto?”
“Ti assicuro che mi è piaciuto fin troppo.” Bill sospirò premendo il suo corpo contro di lei e prese a sussurrare pianissimo “Infatti adesso ho dei seri problemi.”
Lyric capì immediatamente e si fece porpora, vagamente imbarazzata, anche se i suoi occhi sprizzavano una insana luce di divertimento “Mi dispiace, non credevo di provocarti questo.”
“Mi dispiace un corno!”
“Non posso dirti o farti nient’altro per mettere apposto le cose.”
“Farti?” lei scoppiò a ridere di gusto e Bill la trucidò con gli occhi “Sei una strega!”
Lyric continuò a ridere, era troppo divertita per quell’imbarazzante fataccio “Pensa a qualcosa di poco eccitante e sexy. Forse così torna tutto apposto là sotto.”
Bill seguì il consiglio anche perché non poteva di certo ripresentarsi in casa messo in quella maniera oscena, se poi fosse corso a per di fiato verso il bagno di camera sua sarebbe stato troppo facile per quei tre capire cosa gli fosse accaduto. Si staccò pian piano da lei e limitò il loro contatto fisico alle loro mani poi chiuse gli occhi pensando seriamente a qualcosa che gli facesse ribrezzo.
Riuscì a calmarsi nel giro di dieci minuti.
Il pericolo era scampato, per il momento, però avrebbero dovuto al più presto risolvere in altre modalità. Magari portando a compimento il corso naturale di certi stati d’eccitazione. Dopo tutto era un ragazzo stramaladettamente uguale a qualunque altro. Lyric mise da parte il suo personale divertimento e si dimostrò realmente attenta a non farlo ricadere in tentazione.
“Farai la brava?” chiese Bill non vedendo più la malizia nei suoi lineamenti.
Lei si portò una mano sul petto “Certo, farò la brava finché non saremo soli.”
Bill stava per accusarla di aver appena fatto un appunto inopportuno quando il signor Alysei la chiamò dalla Volvo. Lui e Lyric cominciarono a parlare in inglese ed ovviamente Bill non capì nulla di quello che si stavano dicendo.
Lei si avvicinò alla macchina lasciandogli andare la mano e i due Alysei formularono delle frasi ad una velocità al di là delle lacunose capacità linguistiche di Bill. Lo zio le consegnò infine la borsa e dopo un ultimo scambio di parole la Volvo partì alla volta di chissà dove.
“Ehm…cosa è successo?”
Erano rimasti soli. Lyric sorrise.
“Mi ha detto che se ci tenevo tanto potevo restare a casa tua un altro poco. Verso mezzanotte manderanno il mio autista a prendermi.”
“Fantastico!!” esultò Bill ad alta voce salvo ricredersi subito dopo “Oh, cazzo!”
“Perché quella faccia delusa adesso? Eri tu quello che insisteva nello stare insieme.”
“Ci sono quei tre.” Disse con faccia moggia “Non possiamo fare molto se ci sono loro.”
“Quei tre” non potevano essere altro che i suoi inseparabili compagni di vita.
Lyric lanciò un'occhiata verso l'interno della casa e da una finestra riuscì a distinguere le sagome di Georg e di Tom in piedi uno di fronte all'altro, sembravano battibeccare per qualcosa. Sorrise, effettivamente non avrebbero combinato molto con loro in casa. Qualunque tipo di privacy si annullava quando in un luogo c’era quella banda di rumorosi se poi si univa il quarto membro, ovvero Bill, non c’erano speranze di avere un singolo attimo di serenità.
No, decisamente non avrebbero fatto cose troppo hard.
“Dì soltanto una parola e io li butto fuori da casa a calci.” Bill le aveva preso la mano supplicandola con gli occhi di essere cattiva e capricciosa quanto lui ed imporgli di liberarsi dei suoi amici. Ovviamente sapeva già che Lyric non avrebbe mai fatto niente del genere. Era troppo educata per fare certe cose e poiché andava pazzo anche di questo suo lato sempre così corretto e ragionevole non protestò tanto quando gli rispose di no.
“Non possiamo mandarli in mezzo ad una strada solo perché ci serve la casa e poi questo è il vostro primo giorno di riposo dopo tanto lavoro, no?”
“Non siamo tanto stanchi.” Buttò lì, poco convincente.
Lyric gli sfiorò con le punta delle dita le occhiaie “No? Allora mi sto proprio immaginando di toccare queste borse che hai sotto gli occhi.”
“Reazione allergica dovuta all’uso eccessivo di matita nera di qualità scadente.”
Non commentò neanche “Staremo insieme domani. Casa mia sarà libera.” Bill si arrese.
“Come mai sei sicura che casa tua sarà libera?”
“I miei zii vanno entrambi a Berlino per lavoro domani. Zio Victor poi tornerà a New York.”
“E i tuoi dipendenti?”
Lyric sospirò per l’insistenza ma lo fece bonariamente “Bill, tranquillo, in casa mia ci saremo solo io e te. Sul serio.”
“Lo stavo chiedendo a titolo informativo, nient’altro.” Neanche questa scusa suonò convincente il che dimostrava quanto fosse stanco. In condizioni normali ne avrebbe dette di più realistiche anche se poi lei si sarebbe accorta dell’inganno comunque.
Entrarono in soggiorno proprio mentre Georg inspiegabilmente rovesciava in testa a Tom un bicchiere di coca-cola. Sia Lyric e Bill li guardarono esterrefatti mentre Gustav si era portato le mani sulla faccia e da lì sotto aveva iniziato a strozzarsi con dei singulti che dovevano essere risate.
“Visto che ci tenevi a dimostrarmi cosa sai fare! Ora puoi usare i tuoi capelli per quello che sembrano essere stati ridotti in dread: assorbire liquidi!”
Tom si toccò con un dito la massa bagnata ed appiccicosa che era diventata la sua testa e dopo essersi reso conto che Georg aveva veramente fatto quello che aveva fatto i suoi occhi lampeggiarono di un sinistro istinto omicida.
“Lo sai quanto cazzo ci vuole a lavarsi i miei capelli?”
“Non importa tanto fanno schifo anche se sono puliti.” Fu il commento all’unisono di Bill e Georg.
Tom guardò in cagnesco il fratello “Tu non metterti in mezzo Bill!”
Così Gustav si accorse di loro due “Oh salve! Volete unirvi allo spettacolo? Vi assicuro che sono un duo di comici fantastico.”
“Cos’è successo qua dentro?” domandò l’altro Kaulitz non propriamente entusiasta di conoscere la verità.
Fu Georg a rispondere “Nulla, il tuo gemello scemo farnetica sul fatto che abbia barato per vincere la partita. Non vuole ammettere che è negato al gioco.”
“Negato sarai tu brutto coglione! Io stavo vincendo!!” in quel momento sembrava che Tom fosse regredito allo stadio infantile. Non che Georg fosse da meno, evidentemente era esausto anche lui, e comunque era stato istigato ad abbassare la propria maturità al livello di Tom “Scordati che ti conceda la rivicinta. Hai definitivamente perso! PERSO!”
“Hai paura di essere sconfitto!” lo accusò punzecchiandogli il petto con un dito.
“Continua pure a dare aria alla bocca se ti fa sentire bene ma resta il fatto che sei il perdente!” L’ultima parola la scandì sillaba per sillaba e Tom sembrò più che mai intenzionato a fargli del male.
Lyric si unì alla bolgia rumorosa seguito da un Bill lievemente deluso di doverla dividere con gli altri. Sapeva però quanto ci tenesse a passare del tempo anche con loro, erano suoi amici dopo tutto e doveva approfittare di ogni occasione. Una volta che avessero debuttato serate simili non sarebbero state più molto possibili e di questo lei ne era consapevole. Voleva goderseli fin tanto che le loro esistenze non erano di dominio pubblico.
“Dai Tom ti sfido io!” si intromise nella contesa e prese in mano il joy-stick della play.
Georg allora diede una pacca sulla schiena del sempre più innervosito Kaulitz “Dai fatti fare il pelo anche da Lyric! Sono sicuro che ti straccerà. Lei ti batte sempre!” Tom, in risposta, gli lanciò addosso una ciotola di pop-corn.
Era bello tornare in Germania. In nessun altro luogo si sentiva a casa come con loro quattro.

“ It’s like I’ve been awaken
Every rule I had you breakin
It’s the risk that I’m taking
I ain’t never gonna shut you out.”


Amburgo.
Ottobre 2005.


Quando le sue palpebre gli permisero di vedere nuovamente Lyric era dove l’aveva lasciata.
Accanto a lui, nel suo letto, addormentata a pancia in giù e con la faccia un po’ schiacciata contro il materasso.
Quando dormiva era uguale identica ad una bambina assopita: i suoi lineamenti si rilassavano fino a distendersi completamente mentre le palpebre tremavano un poco seguendo il ritmo regolare del suo sonno. Quei suoi lenti respiri le davano l’aria di un neonato che sognava pacificamente mentre il resto del suo corpo se ne stava disteso in pose spesso scomposte, proprio come in quel momento.
Bill le sfiorò qualche secondo il profilo della guancia, piano, per non turbare il suo riposo e si ritrovò a pensare a quanto in meno di un anno Lyric fosse cambiata.
Prima di tutto era più alta, il che rappresentava un vantaggio perché anche lui lo era, se lei fosse stata troppo bassa sarebbe risultato un po’ faticoso baciarla. Anche se c’era da dire che la probabilità di andare incontro a futuri torcicolli non era una minaccia sufficiente a farlo smettere. Oltre alla sua altezza si era sviluppato improvvisamente anche il resto del suo corpo: era più slanciata, le forme erano meno fanciullesche, il suo seno era una seconda piena ed aveva davvero delle belle gambe.
Lyric era diventata una bella ragazza, fin troppo bella a dir la verità, e non solo per i suoi gusti.
Ovviamente non c’era niente di male in questo, anzi, se le piaceva come era prima ora che stava pian piano fiorendo sotto ai suoi occhi la cosa non poteva che renderlo entusiasta. Però molti più ragazzi la notavano adesso e Bill non riusciva a restare indifferente quando beccava certe occhiatine da parte degli altri esemplari maschili della specie. Era più forte di lui essere geloso marcio.
Aveva sempre avuto il sospetto che sarebbe andata a finire così: Lyric infatti prima era solo carina, a parte quei suoi occhi spezza-fiato, ma dopo aver notato che ogni membro della sua famiglia sembrava essere predisposto alla bellezza Bill si era convinto che anche lei avrebbe seguito lo stesso destino.
La genetica non poteva mentire e così era andata.
Quindi da sempre sapeva che la gelosia sarebbe stato un suo fidato segugio.
Già, il grande Bill Kaulitz, cantante della band più osannata della Germania, non che ragazzo più desiderato della nazione diventava un giovane adolescente come tanti altri quando si trattava di lei. Per quanto apparentemente forte potesse dimostrarsi non era ancora immune dalle ordinarie preoccupazioni sentimentali.
Ora più che mai si sentiva preso da attimi d'ansia quando si domandava come sarebbero riusciti a portare avanti la loro storia nel modo più normale possibile. Gli ostacoli che erano nati riguardavano la crescente fama dei Tokio Hotel, l'impossibilità di vedersi spesso, la lontananza, la sua ascesa come personaggio del mondo dello spettacolo, i giornalisti invasivi e la perdita della sua identità come persona qualunque. Insomma, fin da subito, era apparso chiaro che la loro particolare storia sarebbe diventata ancora meno normale.
Perché oltre a Bill anche Lyric non aveva una posizione comune.
Come avrebbero reagito i giornalisti se avessero scoperto che Bill Kaulitz von Tokio Hotel era fidanzato con l'ereditiera Lyric Hörderlin? Già, perché lei era un'ereditiera e questo non poteva essere ignorato.
“Non pensare che te lo dica per vantarmi o per metterti in soggezione. Voglio solo che tu capisca che stare con me è una faccenda complicata, forse non adesso, ma lo potrebbe diventare in seguito.” Aveva detto lei in quell’occasione, dopo qualche mese che stavano insieme, con un fare tranquillo seppur avesse mostrato un che di infastidito nel dover parlare di quegli argomenti.
Bill si era incuriosito perché non era abitudine di Lyric parlare troppo della sua famiglia “Cosa potrebbe esserci di tanto terribile da dirmi? So che sei ricca da far schifo ma non è mai stato un problema per noi. Anzi, ne sono contento, significa che se non dovessi sfondare in seguito potresti sempre mantenermi tu.”
Si era abbandonata ad un risolino ma quasi subito era tornata seria.
“Diventerete famosi e sfonderete ne sono convinta al cento per cento. Lo sento, non riesco a pensare ad altro futuro quando vi ascolto suonare o vi guardo su di un palco. È qualcosa che vi spetta come di diritto, volenti o dolenti, sarà la vostra vita.”
Lyric ci aveva riflettuto molto e questo implicava qualcosa di abbastanza serio.
“Grazie della tua fiducia. È bello che tu ti aspetti certi traguardi da noi.”
“Dico solo che andrà a finire così, non cerco di adularti.”
“Dai continua…”
l’aveva incitata “Spiegami dove starebbe la difficoltà nel frequentarti dopo che sarò diventato famoso.” L’idea di poter essere speciale agli occhi del mondo non gli pareva così orribile soprattutto perché poi avrebbe potuto stare accanto a lei senza doversi sentire fuori posto.
“La difficoltà starebbe nel fatto che non avremmo più privacy se i giornalisti scoprissero che stiamo insieme. Salterebbe fuori un vero putiferio! Perché non solo tu saresti il cantante di una band idolatrata ma saresti anche il ragazzo di un’ereditiera milionaria di appena sedici anni. Il che, come senti tu stesso, suona tremendamente da tabloid.”
Aveva capito bene?
“Sei un’ereditiera?” le chiese anche se suonò surreale chiamarla in quel modo. Ereditiera era un appellativo adatto al personaggio di un film hollywoodiano o comunque a qualcuno che viveva una realtà lontana miliardi di chilometri dalla sua. Lyric invece era là davanti e gli stava dimostrando quanto un tale mondo fosse diventato tangibile da quando avevano incrociato le loro strade.
Era diventata rossa “Sì. Però al momento non beneficio direttamente dell’eredità lasciatami dai miei. Potrò entrarne in possesso solo alla maggiore età. Comunque ereditiera è l’unica parola con cui posso descriverti la mia situazione.”
“Milionaria?” Anche quella parola suonò terribilmente surreale.
“Più o meno.” Fu vaga e Bill allora capì che era meglio non saperlo con esattezza “Non ho voluto sapere quanto mi hanno lasciato, volevo risparmiarmi per qualche anno un mucchio di responsabilità, non è da tutti avere uno o più milioni sul proprio conto bancario. L’unica che lo sa esattamente è zia Freia, il mio attuale tutore legale, e ovviamente i notai delle mie due famiglie.
“Uno o più milioni?”
Bill!”
lo supplicò “Per favore è già imbarazzante senza che tu faccia quella faccia.”
“Ok, ok. Ora mi riprendo.”
Parecchi minuti di silenzio dopo era tornato più o meno normale anche se si sentiva come se un camion lo avesse investito ai duecento all’ora.
“Suppongo che se i tuoi hanno potuto lasciarti tanti beni da renderti un’ereditiera milionaria anche il resto della tua famiglia è sommersa di denaro.” vide la sua espressione un po' apatica e immediatamente la tranquillizzò “Non pensare male ok? Sto solo cercando di rendermi conto di cosa mi stai mettendo a conoscenza, tutto qui. Lo sai che a me non è mai fregato molto dei tuoi soldi.”
Lyric annuì, gli credeva “Ho incontrato tante persone che si sono sempre interessate di più di ciò che ho, piuttosto che di ciò che sono, quindi detesto quando qualcuno scopre quanto sono fortunata. Ci sono molte persone viscide al mondo.”
“E pensi che io potrei essere una di loro?”
“Non essere sciocco! Non penso affatto una cosa del genere!”
“Allora cosa pensi?”
“Penso che è stato sorprendente scoprire che esistesse qualcuno in grado di essere sincero e disinteressato con me così come hai fatto tu. Per questo ti voglio ripagare con la medesima sincerità.”

Molte cose gli furono più chiare alla fine di quel loro colloquio, per esempio, capì perché i rapporti tra i suoi parenti fossero tesi e complicati. Su una cosa concordarono: i giornalisti, fin tanto che erano vulnerabili, non avrebbero dovuto avere il minimo sospetto su di loro, perciò di comune accordo avevano deciso di tenere segreta la loro storia, decisione più che gradita a David, naturalmente.
Da quando i Tokio Hotel avevano debuttato le occasioni di trascorre del tempo insieme erano diminuite rispetto a prima ma nessuno dei due si lamentava troppo. Lei aveva accettato di doverlo dividere con il lavoro e il pubblico mentre lui aveva accettato di non essere costantemente presente e di essere meno possessivo.
Avere una relazione non è il connubio dei soli sentimenti, a volte non basta il più ardente degli amori per tenere a galla una storia, si tratta di saper vivere nei compromessi rispettando opportunamente l’individualità del compagno.
Solo quando si stima e non si teme l’io dell’altro si può parlare di un noi stabile.
Bill e Lyric vivevano così il loro legame.
L’altra notte, comunque, era piombata davanti all'appartamento privato della band senza avvertirlo. Lui ovviamente si era subito chiesto cosa mai fosse successo per farle attraversare mezza città ma Lyric gli aveva spiegato che non c'era una ragione particolare.
“Sei tornato in città già da quattro giorni ma non siamo ancora riusciti a vederci di persona quindi, appena concluso lo spettacolo, ho pensato di venire da te invece che aspettare domani.”
Bill l'aveva abbracciata cercando di non gongolare troppo “Ti mancavo così tanto?”
“Non ho detto questo!”
lo riprese districandosi dalla stretta delle sue braccia.
“L'hai sottinteso però!”
“No. Per niente ma illuditi.”
“Dovresti semplicemente arrenderti all'evidenza: ti mancavo così tanto che non sei riuscita ad aspettare domani per vedermi.”
“Ha parlato quello che mi ha chiamato all'una di notte per ascoltare la mia voce.”
“Quello è stato un momento di debolezza passeggero!”

Battibeccando erano saliti al secondo piano, dove erano situate le camere da letto di tutti. Gli altri dormivano già da un pezzo per questo c'era un tale innaturale silenzio in casa. Giunti nella stanza di lui Lyric aveva cominciato a cambiarsi mentre Bill si era sistemato sul letto aspettando che lo raggiungesse.
Ovviamente non le staccò gli occhi di dosso mentre indossava una vestaglia da notte color panna con le maniche corte a sbuffo. Nell’armadio c'era sempre un completo da notte, aveva deciso lei di lasciarne un paio, per quando rimaneva a dormire così non doveva sempre portarsi dietro i vestiti.
Restò concentrato su di lei così allungo che non si accorse che era gattonata al suo fianco.
Naturalmente Lyric era una pura tentazione.
Era stato un vero peccato, quasi una tragedia, che entrambi avessero avuto un aspetto così esausto. Con un sospiro interiore si era dovuto accontentare di poterle dormire accanto e in meno di venti minuti si erano poi appisolati.
Lyric cominciò a muoversi finalmente.
Bill adorava quando si svegliava: quei suoi occhi freddi erano sempre smarriti e persi, come se non avessero punti fermi o famigliari che la tranquillizzassero. In quei momenti cercava qualcosa che la rassicurasse e a lui piaceva da matti essere quel qualcosa.
Lei aprì le palpebre molto lentamente finché quel suo blu brillante e gelato non si piantò, direttamente, sui suoi occhi nocciola. Come aveva previsto non lo riconobbe immediatamente e per qualche attimo percepì il suo respiro ansimare, piano, in modo irregolare.
Quel modo di respirare le veniva fuori a causa della lieve ansia che provava appena sveglia. Durava pochissimo ma lui aveva imparato a riconoscere il guizzo di confusione che balenava nelle sue iridi quando veniva fuori. Era un istante di fragilità a cui gli era concesso assistere e la trovava adorabile, anche se nessuno avrebbe detto lo stesso.
Ovviamente lui era pazzo.
Lyric sembrò davvero persa mentre attraversava la fase di transizione tra il suo subconscio e la realtà ma, lui si immaginava, qualcosa le diceva che gli occhi di fronte ai suoi appartenevano a qualcuno che conosceva, qualcuno di cui non si poteva dimenticare da un giorno all’altro. Infatti smise di guardarlo con smarrimento e gli regalò il suo primo sorriso, così bello perché coinvolgeva tutto il volto, e lui provò a ricambiare temendo però di non essere all'altezza.
Illuminata dal sole appena nato Lyric si avvicinò con l’intenzione di dargli il buongiorno. Trascinò con sé le coperte bianche e Bill accolse quell’abbracciò ben volentieri. Raccolse poi il delicato bacio che gli veniva offerto mentre un odore di pelle calda e fiori lo avvolgeva con dolcezza.
“Buongiorno”
Bill le spostò un boccolo dal viso e lasciò poi vagare la mano tra i suoi capelli (sua personale ossessione).
“Buongiorno. Per nostro grande piacere potrai approfittarti di me per tutto il giorno. Ne sei felice?”
“Accidenti non potrei sentirmi più fortunata di così!” le scappò una risata mentre si accomodava nell'incavo del suo collo, si doveva ancora riprendere e qualche minuto di sue attenzioni sarebbe servito allo scopo “Non è da tutti i giorni poter trastullarsi con Bill Kaulitz. Mi sento una donna realizzata.”
“Almeno lo riconosci.”
“Già, qualunque ragazza vorrebbe essere al mio posto. Perché, ovviamente, tutte vorrebbero essere abbracciate e coccolate dal cantante più amato dalle teenagers. Quello strafigo fotonico coi capelli assurdi, dall'aspetto assurdo, che va in giro con dei vestiti assurdi…”
“Mi sembrava strano…” pensò lui “Finito di dire stronzate?” aveva capito che lo stava prendendo in giro.
Comunque era un ottimo segno, di prima mattina, stava ad indicare che era allegra.
Lyric annuì chiedendogli scusa “Però è vero che un mucchio di ragazze ti venderebbero la propria anima se questo significasse passare del tempo al tuo fianco.”
“Sarebbe uno spreco vendersi l’anima per un misero ritaglio di tempo. Non è un affare vantaggioso. Almeno si deve pretendere tutto il tempo che può durare un'anima, solo in questo caso, l'affare sarebbe equo per chi decide di cedere.” Se ne uscì con quella risposta particolarmente articolata e lei lo fissò domandandosi come gli fosse venuto in mente.
“Parli dell'eternità?” chiese interessata dall’argomento.
“Esatto.” Bill si interruppe per poterle giocherellare con i suoi capelli e Lyric per qualche secondo non prestò molta attenzione, era in astinenza da troppo tempo per non subire l’effetto-Bill “Dammi la tua anima come pegno ed io ti giuro che passerò l'eternità con te.”
“E passeresti l'eternità affianco a qualcuno in cambio dell’anima?”
“Io non sto parlando di qualcuno in generale.” A volte si chiedeva se facesse finta di essere ingenua o semplicemente si divertisse troppo a fargli sputare fuori la verità così facilmente. Non che lei non fosse già, in qualche modo, a conoscenza di ciò che gli frullava nella testa “Io parlavo della tua. Che me ne faccio delle altre?”
Il discorso era molto strano soprattutto perché nessuno dei due aveva idea di dove sarebbero andati a finire. Si fecero muti, studiandosi attraverso il contatto dei loro sguardi. Lyric ebbe la sensazione di aver già parlato di qualcosa di simile, anche se non ricordava con chi, ma passò in secondo piano appena comprese a cosa si stesse riferendo.
In silenzio si riportò, con grande sorpresa di Bill, alla posizione di prima: distesa sul suo corpo, con i gomiti appoggiati ai lati del viso e la faccia sospesa a qualche centimetro sopra di lui. Una coltre di capelli gli annullò la visuale ed ogni cosa scomparve a parte il viso di lei.
“Sei un ragazzo presuntuoso, sfrontato, pretenzioso, egocentrico, egoista, con alte vette di paranoia e geloso…”
Era una sensazione che non poteva essere descritta. Il mondo là fuori andava avanti, imperterrito e abituale, eppure in quella camera il tempo aveva smesso di respirare. Era ipnotizzato da quello sguardo intenso e concentrato come lo era Bill.
“Effettivamente sono un pessimo soggetto.” riuscì a rispondere, la voce rantolante.
“Ma sei anche l’unica persona a cui non saprei rinunciare.”
Una delle tante cose che amava di lei era che parlava la sua stessa lingua.
Bill annuì, arrendevole, le credeva.
La prese alla base della nuca e la trascinò verso il basso.
“Purtroppo non sparirò mai dalla tua vita.” sussurrò prima di cedere a sua volta.
Era una condanna più che accettabile pensò Bill.


*****



Alphonse sbadigliò ancora una volta e tentò di nascondersi dietro ad una mano.
Sperò in cuor suo che gli ospiti di sua nonna non se la prendessero troppo per quegli evidenti segnali di noia, aiutati in gran parte dalla stanchezza, anche se non potevano pretendere molta attenzione. Con quel loro inglese monotono e pesantemente accentato era impossibile concentrarsi, gli ricordava troppo il modo di parlare del suo anziano, più morto che vivo, professore di francese.
Era persino più divertente flirtare svogliatamente con la biondina seduta al tavolo di fronte che seguire quel blaterale continuo di affari. Guardando il viso di granito di nonna Cassandra si chiese se anche lei si stesse annoiando ma liquidò il quesito ricordandosi che quella donna viveva per il lavoro.
Tutti i suoi famigliari, a dir la verità, vivevano per il lavoro.
Una delle ragioni per cui si ostinava ad essere l’ultimo superstite dell’isola-che-non-c’è era l’orrida idea di non avere altra scelta, una volta deciso di maturare, che occuparsi della società di famiglia.
Fin da quando era nato ogni suo passo era già stato programmato affinché un giorno occupasse una posizione importante alla Mirage Group, superando suo cugino Hector possibilmente, poiché era l’avversario che il senso di supremazia di sua madre aveva deciso di affibbiargli. Sinceramente non era mai stato interessato alle faide, richiedevano uno sforzo per cui non valeva la pena, era Adele ad impazzire di estasi quando si trattava di competere. Lei era l’orgoglio dei coniugi Alysei-De la Croix, esaudiva ogni loro aspettativa e compiaceva la maggior parte delle loro richieste.
Questo perché era perfettamente a suo agio nella gabbia dorata mentre Alphonse non si era mai fatto una ragione per come si comportavano con lui, come se non fosse stato un individuo capace di intendere e volere.
Un ingrato? Non riusciva a pensarla così.
Voleva poter fare esperienze personali, magari anche sbagliare e commettere un mucchio di errori, poter insomma fare da sé. Forse in fine sarebbe arrivato alla conclusione che il futuro tanto agoniato dai suoi era davvero il futuro migliore per lui, infondo amava il tenore della vita che conduceva, ma voleva capirlo da solo. Non era la meta finale ad interessargli ma la possibilità di arrivarci con le sue sole forze.
Nell’ultimo anno quella frustrante situazione era pian piano peggiorata fino al punto che Alphonse, per ribellione, aveva combinato un paio di guai nella sua vecchia scuola tra cui, per citare il culmine, allagare la modernissima palestra dell’istituto, distruggendo attrezzature sportive dal valore di migliaia di dollari.
Qualche parte ingenua di sé gli aveva fatto credere di poter ottenere un’attenzione vera questa volta e non la solita superficiale ed insipida di sempre. Avrebbe voluto vedere preoccupazione in loro o magari un tentativo di comprensione ma si era visto troppe fiction strappalacrime: i genitori non erano divinità immuni dall’imperfezione umana.
I suoi non di certo.
Risolsero i suoi guai nella solita maniera: una grossa donazione e una punizione per niente spiacevole. Una vera tragedia, aveva pensato sarcastico, non avere il permesso di guidare le macchine sportive di papà e vedersi ritirato le carte di credito per due mesi.
Didi gli aveva consigliato di arrendersi “Dovresti apprezzare l’indifferenza di quei due, avresti molto più libertà se ti decidessi ad essere, anche solo per finta, come vogliono loro.”
L’aveva detto che la gemella era più furba di lui?
La frustrazione continuò a crescere tanto che vivere a Boston divenne insopportabile. A Febbraio parlandone con l’unica persona che poteva comprendere quell’insoddisfazione, ovvero Lyric, era uscita fuori l’idea di trasferirsi per un po’ in Europa, a Parigi, dai suoi nonni paterni.
“Un po’ d’aria nuova ti farebbe solo bene. Se continui a vivere così finirai per fare una grossa stronzata.”
“Di stronzate ne ho fatte a centinaia. Non credo che rimangano tante cavolate in grado di sconvolgermi la vita.”
“Ti ricordi di Taylor King?”

Allie aveva fatto una smorfia allo specchio di fronte a cui era seduto “Non finirò come quell’idiota di King! Non ho nessuna intenzione di drogarmi!”
L’aveva sentita brontolare in tedesco mentre qualcuno altro rideva, sicuramente Bill.
“Ok, può darsi che abbia sbagliato esempio ma il punto è un altro. Ci sono serie infinite di cavolate che potresti combinare ed io sono preoccupata per l’eventualità che tu ceda alle tue manie di protagonismo.”
Allie aveva borbottato per lamentarsi della scarsa fiducia.
"Comunque maman et papa non mi permetteranno mai di lasciare Wiston, lo sai che è il miglior college del Massachussets. È il loro sogno che mi diplomi lì e poi dritto, dritto fino ad Harvard.”
“Se ci rimetti la sanità mentale non credo che conti molto dove ti diplomi e comunque di scuole pompose ce ne sono anche a Parigi. Tenta.”

Straordinariamente Amelia e Leonard gli diedero il permesso di trasferirsi. Avrebbe dovuto rispettare alcune regole fondamentali però: niente più casini a scuola, voti sempre tirati al massimo, comportamento più tranquillo, niente eccessi e nessun tipo di spesa esorbitante.
Un sollievo enorme aveva inondato i suoi polmoni dinnanzi a quella inaspettata risposta.
A Marzo si era trasferito a Parigi e nei seguenti mesi la sua stabilità interiore andò migliorando. La nuova sistemazione in Europa inoltre era risultata un’ottima occasione per frequentare di più la cugina preferita. Abitavano ancora in due stati diversi ma ora c’erano meno ore di volo a dividerli.
In quei giorni si trovava in via eccezionale ad Amburgo, era difatti una settimana scolastica, per fare compagnia a Cassandra anche se lei non ne aveva affatto bisogno, da un punto di vista umano, intendiamoci.
La signora Alysei era sempre seguita dal suo staff personale: i due segretari (uno solo sarebbe andato al manicomio con tutto il carico di lavoro che c’era), un assistente tutto fare (il secondo aveva avuto un collasso di nervi proprio il giorno prima della partenza) ed infine la fedelissima guardia del corpo Walker ( che Alphonse sospettava fosse un androide fregato ai servizi segreti ).
L’unica, e vera, ragione per cui si trovasse nella terre teutoniche era che alla nonna serviva un orpello. La gradevole e magnetica presenza della sua persona doveva rendere Cassandra più amabile agli occhi dei media, quelli americani in particolare.
In patria infatti, alcuni giornali nazionali, l’avevano giudicata una statua di ghiaccio che non mostrava alcun tipo di sentimento e poiché vivevano nell’era della televisione, del gradimento popolare e dell’apparenza che veniva giudicata si era convenuto migliorare l’idea che aveva la gente della signora Alysei.
Per questo Allie era stato convocato, geograficamente più vicino alla Germania rispetto agli altri suoi nipoti, in modo tale da darle l’apparenza di una dolce nonna che passa un po’ di tempo assieme al giovane nipote.
Ecco tutto: mera questione di immagine.
Alphonse aveva svolto il suo compito in modo impeccabile e si era anche divertito perché assieme a lui si era unita Lyric. I ricevimenti, i brunch e gli spettacoli erano risultati meno pesanti grazie a lei. Pur non essendo costretta a farlo aveva chiesto di passare un po’ di tempo con la nonna. La lontananza l’aveva resa meno suscettibile alla freddezza di sua maestà l’imperatrice delle nevi. Ora che non la temeva più Lyric cercava di comprenderla.
Quella decisione, secondo Allie, aveva sancito una volta per tutte la totale guarigione di sua cugina e questo lo rendeva felice. Qualcuno almeno si era salvato da quel loro gioco al massacro.
Si accorse che gli ospiti se ne stavano andando e rapidamente tornò indietro dal regno dei sogni ad occhi aperti. Si alzò dalla sedia per stringere la mano a quegli uomini in giacca e cravatta, contento che finalmente si levassero dai piedi.
Una volta che si furono dileguati, quei dannati leccapiedi si erano accontentati di fare solo un paio di riverenze alla nonna, Alphonse ricadde sulla sedia come un sacco di patate e si massaggiò gli occhi.
Era davvero esausto ed era tutta colpa della conquista della sera precedente.
Aveva scoperto con suo profondo sconcerto che quel grandioso esemplare di bellezza nord-europea, straordinariamente brava a letto, russava fastidiosamente con il naso quando si addormentava.
“La prossima volta ti consiglio di evitare eccessiva attività sessuale quando non sei a casa tua.” Fu il sorprendente commento di sua nonna alla vista delle sua faccia pallida e delle occhiaie bluastre sotto agli occhi.
Alphonse emise un suono sommesso. Si tolse la mano dagli occhi e le sorrise a metà tra l’innocente e il furbo.
Era inutile anche solo pensare di fregarla quindi optò per la tattica della verità ostentata con sicurezza.
“Stai tranquilla. Non sono stanco per via del sesso, più che altro è stato il dopo a troncarmi le energie. Ho scoperto che la mia compagnia notturna aveva problemi di respirazione solo dopo che avevamo finito di divertirci.”
Fece una pausa per poter seguire l’ancheggiare sensuale della biondina di prima. Ad un passo dalle porte di cristallo quella gli aveva lanciato un ultimo sguardo, abbastanza eloquente riguardo le sue mire. Rise e poi tornò a sua nonna, ovviamente aveva visto ogni mossa.
“Prima che tu lo dica, lo so perfettamente ma accetta le mie scuse e cerca di comprendere i miei volubili istinti maschili. Mi perdo purtroppo in un bicchiere d’acqua.”
“Giustificarti dietro alla tua natura, Alphonse, non ti servirà molto. Prima o poi finirai per incappare in un disastro terribile con questo tuo girare da una ragazza all’altra, al pari di qualunque cagnolino in calore.”
“Se ti riferisci alle problematiche legate al sesso occasionale ti assicuro che prendo sempre precauzioni…”
Se sua madre avesse scoperto che stava discutendo con la nonna di sesso come minimo lo avrebbe fatto fucilare.
“Se te lo stai chiedendo non ho malattie sessuali ne tanto meno sono così stupido da non indossare il preservativo. Sarò pure un libertino ma non fino al punto da rovinarmi la vita.”
Cassandra Alysei sollevò un angolo della bocca, divertita. Una cosa l’era sempre piaciuta di quel nipote: la capacità di essere sfrontato al limite della maleducazione e dell’inopportuno. In qualche modo, almeno, Alphonse non si era mai dimostrato un’ipocrita.
“So perfettamente che non sei uno sciocco, sappiamo entrambi che ti ami troppo per rovinarti la salute con una scappatella qualunque. Per disastro non intendevo di certo questo tipo di cose ma hai abbastanza testa sulle spalle per ragionarci da solo.”
Il giovane ci rimase un po’ male.
Da ciò che aveva appena detto sembrava che lei lo conoscesse bene, anche se nella loro lunga frequentazione Allie non aveva mai avuto l’impressione di essere interessante ai suoi occhi. Non seppe come prendere le sue parole.
Era abituato a vedere la belva che era in lei e non quella persona pacata e cordiale.
Cassandra chiamò un cameriere al loro tavolo.
“Disastro?” pensò al primo morso della omelette al formaggio che gli venne poi servita.
Lo smarrimento durò solo fino al terzo boccone e attaccò spinto dalla curiosità.
“A parte mettere incinta qualcuna, per sbaglio, o ammalarmi di qualche orribile malattia che diamine ci sarebbe di tanto brutto nel mio comportamento?”
Sua nonna non gli rispose e proseguì a mangiare. Alphonse attese invano, ma sembrava non essere intenzionata a dargli una risposta. Se ne stava impassibile come ad ignorarlo intenzionalmente.
Si aspettava da un momento altro una di quelle stangate di cui solo lei era capace.
La vide fare cenno a Walker di andarsene, voleva privacy, il che era strano. Di solito non ce ne era mai bisogno.
Quella guardia del corpo era pagata per tenere la bocca chiusa, pena il licenziamento e una causa legale da parte degli avvocati della famiglia, i migliori nel settore “distruggi e annienta la vita altrui”.
“Pensi che ciò che fai con quelle ragazze non sia una brutta cosa? Dovresti darti dell’inetto.” Cassandra iniziò così quella che poteva essere la prima irripetibile lezione che gli veniva insegnata da lei.
Allie ripensò ad una cosa che gli aveva detto Lyric tempo addietro “ E se anche noi fossimo crudelmente indifferenti nei confronti della nonna? E se noi non l'avessimo mai capita veramente? Se ti capitasse cerca di cogliere la verità Alphonse. Potremmo scoprire che è una bella persona, infondo.”
“Io non sono un inetto! Faresti prima a spiegarmi le cose così come le pensi invece di girarci intorno.”
“Respira.” Gli ordinò con irritante calma prendendo un sorso di caffè “Stavamo parlando da persone civili quindi non hai bisogno di scaldarti.”
“Perdonami.” Si scusò abbassando brevemente il capo “Ma sai che non mi piacciono molto i discorsi contorti. Sono sempre stato un tipo piuttosto schietto.”
“Oh, tranquillo sono consapevole della tua schiettezza…” e lasciò in sospeso la frase schernendolo con un’occhiata
“Bè, allora potresti dirmi di cosa accidenti stai parlando? Non credo di essere abbastanza intelligente per intuire da solo cosa vortica nella tua mente.”
“Vedi mio caro in cosa pecchi? Trasbordi sicurezza in te stesso da risultare fastidioso eppure quando si tratta di dimostrare il tuo reale valore fingi incapacità. È un peccato perché avresti delle possibilità piuttosto elevate di eccellere se solo smettessi di nasconderti.”
Alphonse la studiò per un minuto buono, stava dicendo sul serio? Non voleva sbagliarsi ma gli era parso di aver appena ricevuto dei complimenti, tra le righe, sarebbe stata la prima volta da lei.
“Sono abbastanza sorpreso. Non credevo che avessi un’opinione positiva di me.”
“Ovviamente hai un mucchio di lati negativi.”
“Certo.” Fece con sarcasmo “Mi sembrava che ci fossero troppe rose e fiori.”
Cassandra proseguì per niente turbata di averlo preso in contro piede, anzi, era a suo agio quando qualcun altro non lo era in sua presenza. Le piaceva il vantaggio.
“Ma si possono ignorare. Chiunque può avere la presunzione di credersi perfetto ma a conti fatti nessuno lo è mai, comunque riguardo alla mia opinione su di te non ti stupire. Io ho un’opinione su tutto e tutti.”
“Naturalmente.” Preso dal discorso Alphonse non mangiava più, era troppo interessato “Ma stai facendo un mucchio di digressioni, io volevo solo sapere a che tipo di disastro ti stessi riferendo prima.”
Cassandra si appoggiò allo schienale della sedia e lo esaminò per un po’ prima di fargli una domanda che lo spiazzò “Quale è la tua opinione su di me Alphonse? Sinceramente, non temere ripercussioni.”
Cosa c’entrava questo, adesso?
Provò panico tanto da spalancare gli occhi, ma poi decise di risponderle “Sei una puntigliosa perfezionista, che adora in modo sviscerale il lavoro, ma lo fai perché ci tieni e mandare avanti l’azienda a cui il nonno teneva tanto.”
Notò di averla sorpresa con l’ultimo appunto ma non lo bloccò per delle spiegazioni. Comunque era sincero, aveva sentito una volta sua madre parlarne con la zia Eleonor ed aveva scoperto che prima della morte del nonno lei era stata un’altra persona.
Nel posto giusto al momento giusto, dicevano di lui, ma più che altro finiva sempre per farsi gli affari degli altri.
“Sei capace di instillare terrore, panico ed insicurezza nell’animo di chi ti circonda. Risulti calorosa come un iceberg e sei altrettanto pericolosa, ma un tempo eri capace di gesti d’affetto.”
Anche questo lo pensava d’avvero.
Quando era piccolo, in un’occasione, venne sgridato dalla madre perché non aveva avuto un contegno appropriato davanti a degli ospiti, per la vergogna si era nascosto in un armadio a piangere. Cassandra lo aveva trovato tra i giacconi tutto singhiozzante e straordinariamente invece di sgridarlo lo aveva consolato. Ricordava perfettamente l’unico abbraccio che c’era mai stato tra loro, l'unica volta che aveva avuto il dubbio di essere amato da lei.
“Ti trovo rigida, avversa a tutto ciò che mina la posizione e la stabilità della famiglia, sei tremendamente seria e per te ogni cosa deve essere affrontata come una trattativa commerciale. Non ti lasci mai andare e non fai entrare nessuno nella tua vita.”
Titubò prima di parlarle della più importante e rischiosa tra le sue opinioni.
“E poi a volte mi viene da pensare che tu, indistruttibile divinità tra i mortali, sia triste. Perché nel centro di una sala, pur essendo circondato da un mucchio di gente che pende dalle tue labbra, tu sembri provare solitudine.”
“Cosa ti fa dire questo?”
“L'espressione del tuo viso.” Indicò con un gesto rapido il suo volto mentre prendeva un po’ più di confidenza con quell’atmosfera “È impercettibile, ma è capitato di coglierla. Anche io provo a nascondere un sentimento simile quando mi trovo in mezzo alle altre persone.”
La nonna inspiegabilmente increspò le rughe della faccia con gentilezza e gli parve di vedere la stessa persona che tanti anni prima si era presa cura di un moccioso piagnucolante “Quindi anche tu saresti triste?”
Era decisamente irreale, pensò, quello che stava avvenendo era un evento irreale.
“E se anche noi fossimo crudelmente indifferenti nei confronti della nonna?”
Alphonse scrollò le spalle per levarsi di dosso lo stupore e anche per apparire tranquillo di fronte alla domanda che gli era stata fatta “Sì, ma è una tristezza che va e viene. Giunge solo quando mi fermo troppo allungo a pensare oppure quando mi ricordo di non avere un senso da portare avanti.”
“Vedi?”
“Cosa?”
“Il disastro di cui parlavo è proprio questo.” il palmo della sua mano era rivolto verso di lui come a offrirgli un vassoio colmo della verità più evidente del mondo. Ma Alphonse non coglieva proprio.
“La mancanza di un senso nella tua vita ti rende triste, ma piuttosto che cercarlo preferisci interpretare la parte di un moderno Casanova. Se ti importasse davvero solo divertirti e portarti a letto più femmine possibile allora ciò che fai sarebbe più che normale, ma tu non lo fai solo per questo. Continuando su questa strada finirai per perderti.”
“E se anche noi non l'avessimo mai capita veramente?”
“Il disastro sarà questo mio caro: tu che non cerchi quel senso perché drogato dall’illusione di avere fatto una scelta vantaggiosa. Ciò di cui non ti rendi conto è che finirai per essere arido di valori e questo ti condurrà ad una cecità permanente. Hai capito?”
“Più o meno...” rispose frastornato.
Non avrebbe mai creduto che sua nonna pensasse quelle cose.
Che la crudele strega avesse davvero un cuore? Doveva capirlo.
“Ma anche se finisse così per me, te ne importerebbe davvero qualcosa?” azzardò a chiedere stupendosi del suo coraggio.
Cassandra non mostrò il minimo tentennamento “Certo. Riguardo a voi giovani...” si riferiva a tutti i suoi nipoti “...ho sempre tenuto in considerazione solo il bene. Ho sempre pensato a cosa fosse giusto per voi anche se spesso i miei piani non corrispondo ai vostri.”
“Oh...” gli uscì dalla bocca leggermente aperta “Mi dispiace, ma sono scettico. Abbiamo sempre pensato che fossi più o meno infastidita da noi.”
Sua nonna sospirò e per un attimo le si incupirono le iridi “Alphonse se vuoi puoi credermi in caso contrario non ne sarò rattristata. So di non aver mai avuto successo nel dimostrarmi una nonna esemplare.” Era seria, aveva la stessa serietà di sempre a cui però si era aggiunta della stanchezza.
“Pensavi al mio bene quando hai convinto i miei a mandarmi a Parigi?”
Questa era una domanda che aveva bisogno di una risposta. Quando zio Victor gli aveva spifferato quello che aveva fatto la nonna non gli aveva veramente creduto. Era inverosimile che lei lo avesse aiutato.
Cassandra non dovette chiedere come lo sapesse.
C’era una sola persona che andava in giro a distruggere la sua fama di signora delle tenebre “Certo. I tuoi hanno sempre avuto troppo la testa sulle nuvole per accorgersi che stavi male. Ho pensato che liberarti di loro per un annetto o due ti avrebbe giovato. Comunque la prossima volta che ti viene voglia di fare l’esibizionista per frustrazione fermati a pensare e non metterti a demolire le proprietà scolastiche.”
Fu ovviamente una rivelazione pesantissima da ricevere. Era seduto con una perfetta estranea.
“Ti ho turbato con questo discorso?”
“Ovviamente!” saltò su Allie strabuzzando gli occhi “È stato peggio che presenziare ad una delle nostre fantastiche rimpatriate di famiglia.”
“Esagerato.” Liquidò il paragone con uno schiaffetto all’aria “Non vedo tuo prozio Alfred barcollare ubriaco mentre ricorda a tutti la sua eccitante vita, ne sento l’odore orrendo dell’acqua di cologna della cugina Beth e poi non c’è gente che si squadra con progetti bellici in mente.”
Effettivamente aveva esagerato. La riunione annuale dei venti membri che componevano l'intera famiglia Alysei era un avvenimento catastrofico che lasciava ogni anno cicatrici terrificanti.
“Come mai queste confidenze?”
“Ne avevo voglia.”
Il ragazzo annuì in modo distratto.
Quando ne avrebbe parlato con Lyric si sarebbe turbata persino lei.
“Se ti capitasse cerca di cogliere la verità Alphonse.”
“Nonna!” la fermò mentre questa si stava alzando dalla sedia “Potrei azzardare una domanda?”
Annuì tornando a sedersi e attese con la solita intaccabile sicurezza. Attribuiva quel suo momentaneo eccesso di umanità alla stanchezza anche se era più plausibile il fatto che avesse scelto, per una volta soltanto, di aprire le porte blindate del suo spirito.
“Quale…voglio dire… il senso della tua vita?”
Decisamente era la domanda più delicata che le fosse stata rivolta da anni, ma non ne ebbe paura o fastidio.
Cassandra vagò per un poco in se stessa anche se i suoi occhi rimasero fissi su quelli del giovane. Con il passare del tempo la risposta era sempre la stessa, lo sarebbe stata fino alla fine.
“Tuo nonno Thomas, senza ombra di dubbio.” E davanti ad Alphonse comparve qualcuno che non aveva mai incontrato “Ti stupirà saperlo, ma ho sempre pensato che la ragione per cui veniamo al mondo è quella di lenire la solitudine di un altro essere umano. Venire al mondo per qualcuno non è una prospettiva tanto brutta. Per questo ti consiglio di smettere di fare il bambino.”
“L'amore?” era più che scioccato, adesso si aspettava di vedere cadere rane dal cielo. Un’apocalisse di fuoco sarebbe stata più che appropriata adesso “Stai dicendo sul serio?”
Cassandra alzò un sopracciglio sottile e lo interrogò con lo sguardo. Stava dicendo sul serio.
“Però anche se trovi questa persona, per ragioni che non dipendono da noi, puoi sempre finire per perderla.”
“E tu come hai fatto allora?”
“Appunto: io non ce lo fatta.”
“Potremmo scoprire che è una bella persona, infondo.”
“Alphonse come va la storia tra Lyric e quel Bill Kaulitz?”
“Molto bene.” rispose stupito che lei sapesse di loro, ma infondo la nonna finiva sempre per conoscere tutto di tutti “È molto felice, direi in maniera estatica.”
Cassandra annuì rimuginando qualcosa tra sé. Non aveva ancora abbandonato quella sua aura addolcita, quei suoi occhi leggermente sfumati d'affetto, era molto bella.
“Allora spero che sia più fortunata di me.” augurò infine con un sospiro di stanchezza strascicato verso la fine.
“Già…” Alphonse si vergognò di aver passato anni credendola una persona che non era.
“E ovviamente lo auguro anche a te.” Fu l’ultima cosa che gli disse prima di alzarsi per andare incontro all’ennesimo impegno del giorno. Alphonse colse una brillante scintilla d’affetto nella carezza che gli fece sulla guancia, fu il suo ultimo gesto prima di rinchiudersi di nuovo dietro alle porte di ghiaccio.
Scommetteva che Lyric avrebbe provato la stessa struggente morsa allo stomaco. Avrebbe sentito la stessa tristezza.
Non avrebbe più guardato la nonna con gli stessi occhi.

*****



“Mi dispiace che non ti possa riposare neanche oggi.”
Georg mugugnò non potendo parlare con la bocca piena e strinse le spalle. Lyric attese che ingoiasse il boccone di pancake.
“Tranquilla. Sono io che avrei dovuto mettermi avanti con i compiti, ho lasciato che si ammucchiassero. Mi passi la cioccolata?”
“Certo.” Gli porse il vasetto di cioccolata liquida e lui lo spremette sulle frittelle ricoprendole quasi completamente, poi ricominciò a mangiarle con evidente gusto.
“Grazie per la colazione! Ero già rassegnato ad accontentarmi dei cornflakes di Tom.”
Lyric non riuscì che sorridere compiaciuta. I pancake erano apprezzati e tutto ciò le faceva solo piacere. Non avrebbe dovuto avere dubbi visto che Bill li aveva divorati, ma poiché lui tendeva a mangiare più o meno qualunque cosa quando era affamato non poteva essere certa che fossero veramente buoni.
“Grazie. Ho pensato che avreste gradito non occuparvene voi. Dovete essere veramente stanchi.”
Georg beve del succo d’arancia e rise “Davvero premurosa, ma stiamo bene. Non siamo così esausti come sembra, dobbiamo ancora arrivare allo stadio dell'esaurimento nervoso. Comunque, per quanto riguarda la cucina, non ce ne occupiamo mai noi, potremmo avvelenarci da soli se ci provassimo.” Incrinò il labbro in una piega disgustata mentre inghiottiva un'altra porzione di pancake “Gli unici che vagamente sanno mettere in piedi qualcosa di commestibile siamo io e Gustav, ma il risultato non è di certo qualcosa che vorresti mangiare tutti i giorni, tre volte al giorno. Finiamo sempre per ordinare qualcosa.”
“Ed è così che andrete in ospedale per una lavanda gastrica completa. Potreste imparare a cucinare.”
“Si realistica! Pentole e fornelli sono off-limits, finiremo per far esplodere la cucina e non sapremo neanche come ci siamo riusciti.” Lyric roteò gli occhi per quell’esagerazione anche se sotto, sotto pensava che una briciola di verità c’era in quelle previsioni.
Georg la guardò di sottecchi “Comunque ci sei sempre tu ad occuparti di noi quando stiamo ad Amburgo.” Le diede una pacca sulla spalla illuminandosi di gratitudine “Ma ammetto che è un’impresa che alla lunga stanca. Mi chiedo come tu non ci abbia ancora denunciato per inquinamento ed abbrutimento dell’ambiente.”
Ridacchiarono “Da quando esiste il reato di abbrutimento dell’ambiente?”
“Bè a qualcuno verrà in mente di fare questa legge se vede le condizioni della nostra casa.” Ed indicò il disordine in soggiorno e in cucina. Niente di così disastroso considerati i loro standard, erano spazi ancora vivibili “Credo proprio che dovremmo riordinare un pochino.” Annunciò mentre guardava mesto la pila di piatti, superstiti della sera prima, che occupavano il lavandino.
“Dovrebbe rimanere anche Bill a darvi una mano, scommetto che metà del casino qua dentro è opera sua.”
Georg fece una faccia che più o meno confermava quello che aveva appena detto “Non dire cavolate, è da un po' che non passate del tempo da soli e poi Bill più che d’aiuto sarebbe d’intralcio. La diva non ha idea di come si usa una scopa.”
“A me piace avervi tra i piedi.”
“E a noi piace avere te tra i piedi, ma non è altrettanto piacevole guardarvi mentre vi trattenete. Senza offesa non voglio essere un blocco per le vostre smancerie, sono per l'amore libero.”
Era sempre divertente parlare con Georg, i muscoli del sorriso erano sempre al lavoro quando passava del tempo con lui, a dirla tutta, quando passava del tempo con tutti loro. David Jost avrebbe dovuto venderli come cura contro la noia e la depressione.
“Ok. Vorrà dire che per fare la nostra parte ci occuperemo della cena.”
Georg restò impalato con la forchetta a mezz'aria, il viso dubbioso.
“Io preparerò la cena. Bill non toccherà niente di ciò che mangerete.” precisò.
Al che l'amico riprese a mangiare spensierato, si era preoccupato.
Gustav entrò in cucina proprio in quel momento.
Aveva addosso dei pantaloni neri da ginnastica, un asciugamano era appeso attorno al suo collo e un po' di sudore gli imperlava la fronte. Doveva essere appena uscito dalla palestra, era da lui fare del sano movimento alle otto e mezza del mattino. Cosa inconcepibile persino per Georg e non parliamo neanche dei gemelli.
“Gustav!” Lyric si alzò e andò ad abbracciarlo incurante del fatto che fosse bagnato e a petto nudo. Non c’era mai stato imbarazzo tra di loro.
“Ehi...ciao.” Disse lui, sorpreso, ricambiando l’abbraccio “Ma tu non dovevi arrivare alle nove? Bill continuava a ripeterlo tutto ieri.” Si lasciarono e lei gli rispose allegra “Sono venuta in anticipo.”
“È sgattaiolata nel castello a mezzanotte, come Cenerentola.” Disse Georg, che intanto si era alzato ed era in procinto di lavare i piatti.
“Mi risulta che Cenerentola a mezzanotte scappa via dal castello, non che ci sgattaiola dentro.”
“Quisquilie, variazioni del tema…” rispose l'altro mentre cominciava a insaponare la spugna “I fratelli Grimm non avrebbero protestato se modernizzavo un po' una della loro storie, Gustavino.”
“Certo, certo.” gli accordò Gustav e poi si accorse dei pancakes sul tavolo “E questi?”
“È la carrozza che è stata trasformata in frittelle.” proseguì Georg ridendosela tra sè, Lyric scosse la testa. Forse aveva esagerato con la cioccolata e lo zucchero gli aveva dato alla testa.
Vedendo anche su Gustav un’espressione poco fiduciosa mentre studiava il suo preparato, lo rassicurò “Le ho cucinate io.”
Il biondo sospirò sollevato e prima di tuffarsi sul piatto si prese del latte dal frigo “Oh, grazie. Mi ero rassegnato a mangiare i cornflakes di Tom.”
“Scherzi? Anche io avrei mangiato i cereali di Tommolo, ti avrei preceduto. Cosa avresti mangiato poi?” i due sghignazzarono.
“In questo caso mi sarei buttato sugli ultimi biscotti di Bill.”
“Che persone orribili che siamo Gustav!”
“Non dirlo a me, ogni giorno mi sento in colpa per quello che combino alle spalle dei gemelli.”
Era fantastico far parte di quell’atmosfera che si creava in una stanza occupata da loro. La serenità e la felicità che le scoppiava in petto nascevano tutte da loro.
Chiacchierò ancora, facendosi raccontare tutto ciò che poteva sul tempo che non passavano insieme e poi, guardando l’orologio al polso, si accorse che doveva andare a cambiarsi.
Aveva lasciato a Bill il tempo di prepararsi per primo e vista l’ora doveva per forza aver finito.
“Lo sa che non deve uscire fuori in maniera troppo appariscente.” Lyric si alzò dalla sedia.
Georg le cinse le spalle con un braccio dandole delle pacche comprensive “Non c'entra niente il dover uscire o no in modo appariscente, Bill deve per forza essere perfetto, dovresti aver imparato. Sicuramente starà ancora davanti allo specchio, valutando se ha usato o meno la quantità necessaria di lacca affinché i capelli restino in posa come vuole lui.”
Non aveva tutti i torti.
Lyric imbronciò le labbra e lanciò uno sguardo alle scale che portavano al secondo piano “Vada per la lacca e i capelli, se quelli non sono apposto non esce neanche morto da una stanza, ma non ditemi che si sarà anche truccato?”
Ci metteva un’eternità quando si trattava di truccarsi.
“Con tutta probabilità, poiché esce con te e senza trucco si sente quasi nudo....sì.” fu la sincera e crudele risposta di Gustav.
“Oh! Santo cielo, deve comunque lasciarmi il bagno! Ne ho diritto quanto lui.”
“Siete sempre piene di queste problematiche voi ragazze!” fece Georg ma era le sembrava più una battuta da Tom.
Gustav si era affiancato a loro alzatosi dalla sedia.
“Ancora grazie per la colazione.” Disse mentre uscivano dalla cucina e l’accompagnavano verso le scale.
“Di nulla e se la cosa ti fa piacere ti informo che ci sarà una replica sta sera a cena.”
“Più che piacere. Oltre che portarti via Bill per tutto il giorno ci prepari anche da mangiare, dovremmo farti un regalo per quello che fai.”
“Non dire stupidaggini.” Lo liquidò come se avesse detto una sciocchezza “ E poi Bill mi ha detto che mi farà un regalo per la mia pazienza.” Le si illuminarono gli occhi al pensiero e il battito del cuore per qualche attimo si fece irregolare, si dovette fermare per il lieve annebbiamento che seguì. Si voltò verso di loro per spiegare l’improvviso blocco “Anche se io non vedo la necessità di farlo. A me fa solo piacere passare del tempo con tutti voi.”
“Sicuramente vorrà farlo soprattutto per se stesso. Vorrà dirti quanto conti per lui.” Suggerì Gustav.
“È dolcissima la nostra diva.” E Georg sbatté le ciglia come le svampite dei vecchi film muti.
Lyric agitò un po’ la testa, costernata. Non ce ne era davvero bisogno.
Fin dall’inizio non chiedeva o pretendeva conferme e dimostrazioni. Era presuntuoso da parte sua ma lo sapeva di contare per Bill, anche se non era certa di cosa ci trovasse in lei, sentiva di essergli necessaria. Quasi quanto lui era indispensabile per lei.
Quindi era ridicolo anche solo pensare di poterlo lasciare. La sola idea la terrorizzava.
“Ti ha detto cosa?” chiesero assieme i due ragazzi.
“Sì, lo torchiato per avere l’informazione. Le sorprese da parte sua mi fanno leggermente paura.” la felicità si arrampicò velocemente lungo il suo viso “Mi ha detto che mi dedicherà Durch den Monsun, alla prima tappa dello Schrei tour.”
“Ah...” uscì dalla bocca di Georg, non era tanto semplice.
Cioè, a malapena quello riusciva a non guardarla come un pesce lesso, e poi quando parlava di lei si capiva perfettamente che tra loro c'era qualcosa. Le fan sarebbero diventate isteriche e ne sarebbe uscito un pandemonio se Bill avesse dedicato la canzone a Lyric.
Lei sembrò leggere i loro pensieri “Calmi, so che non può fare il mio nome. Le vostre ammiratrici e il resto del mondo non devono sapere di me, lo so.” parte del suo entusiasmo diminuì “Infatti non farà un annuncio con i megafoni o cose simili, eviterà anche solo le allusioni. Mi basterà sapere che la sta cantando per me.” fece spallucce cercando di essere convincete.
Le sarebbe piaciuto poter dire alle persone, soprattutto quando qualcuno ci provava, che il suo ragazzo era Bill Kaulitz. Non per vantarsi, non erano cose da lei, più che altro per poter rendere chiaro al resto del globo che era la sua ragazza.
E ovviamente che lui era suo.
Era uno stupido ed irrazionale desiderio d'appartenersi avvicendevolmente, tutto qui, ma non riusciva a farne a meno.
Già non era semplice come situazione, lo sapevano tutti, ma era necessario non far trapelare nulla soprattutto perché i media ci si sarebbero tuffati dentro come pescecani affamati.
“Bè allora ci impegneremo per fargli fare bella figura.” Georg le fece l’occhiolino, complice.
“Avreste fatto del vostro meglio in ogni caso. Ma apprezzerò il gesto.”
Una mano finì sulla sua testa e le stropicciò i capelli in una carezza un po' brusca, dietro le sue spalle.
“La prossima volta fatti regalare qualcosa che non implichi il nostro aiuto. Diventerà ancora più ossessivo se ha intenzione di cantartela. Scema.” Lyric allora si girò per vedere in faccia il ragazzo dall'inconfondibile voce e dall'inconfondibile delicatezza.
“Se vuoi prendertela con qualcuno fallo con tuo fratello. L’idea è sua, comunque, buongiorno nulla-facente.”
“ ’Giorno a te, pedante.” Fece un saluto abbozzato con il capo anche agli altri due “Tutto bene nella nuova scuola?” chiese sbadigliandole sonoramente in faccia. Garbato ed educato come sempre.
Lyric annuì ritornando di buono umore “Sìsì. Mi piace molto, non mi aspettavo di trovarmi così bene.”
Una delle poche richieste di sua zia era stata iscriverla in quello specifico istituto una volta venute ad abitare ad Amburgo, uno di quelli pomposi per capirci, perché pur non avendo le pretese dei genitori di Alphonse anche la zia aveva un’idea precisa di educazione. Lyric aveva accettato sapendo che voleva solo il meglio per lei e poi dopo tutto ciò che aveva fatto era il minimo.
Si erano trasferite per necessità lavorative della parente alla fine di Agosto.
Mandare avanti gli affari della banca da Magdeburg era stato piuttosto complicato per Freia, pur cavandosela bene, e all’inizio dell’estate Lyric aveva insistito per agevolarle il compito. Avrebbero dovuto andare a vivere a Berlino, a dir la verità, ma la zia aveva fatto uno scambio di ruolo con il fratello maggiore, Mark Hörderlin.
“Stai tranquilla, ogni tanto facciamo a cambio. Così non ci stanchiamo troppo delle nostre poltrone e poi Mark potrà smetterla di viaggiare così tanto, avrà più tempo da passare con sua moglie e il figlio.” Le aveva assicurato, poiché lei aveva espresso il dubbio che lo avesse fatto per darle una possibilità maggiore di vedere Bill.
Adesso Freia si occupava degli affari esteri e doveva viaggiare un po’ più spesso.
In quei giorni si trovava a Londra per un convegno e appena possibile l’avrebbe chiamata per avere notizie.
“Ho seguito i tuoi consigli e mi sono fatta qualche amicizia femminile. Contento?”
“Ah! Era ora, so che Bill può sostenere benissimo conversazioni sui trucchi, i vestiti, le unghie e annessi, ma è sempre un maschio.” Tre persone risero ed una invece si corrucciò.
Tom ricevette ovviamente un schiaffo al collo, era diventata rapida nelle punizioni “Eviteresti certe battute in mia presenza.”
Il rasta sbadigliò ancora passandosi la mano sulla parte lesa “Sei troppo suscettibile, comunque, Bill mi ha appena detto di aver finito, puoi usare il suo bagno adesso.”
“Fantastico!” e corse immediatamente su per i gradini, facendo svolazzare la camicia da notte per via della velocità. Era impaziente di uscire.
Georg allora si avvicinò a Tom e lo condusse verso la cucina con una faccia allegra “Lyric ha preparato la colazione, non sei contenta dolce matrigna?” e fece l'occhiolino a Gustav.
“Matrigna?...” domandò il rasta non collegando l'associazione di idee tra colazione e matrigna.
Gustav che era dietro di loro ridacchiò “Per caso noi saremmo le sorellastre?” fece curioso.
“Io sono Gertrude!”
“Ma che?...” Tom non finì neanche la frase.
Era tempo sprecato cercare di capire i borbottii mattutini di Georg e Gustav, li ignorò.
“Cosa ha cucinato?”
“Pancakes.” risposero.
Tom batte le mani “Grande! Mi ero arreso all'idea di mangiare i cornflakes integrali che mi ha costretto a comprare la mamma.”
Gustav e Georg ridacchiarono di nuovo.

“ Hit me like a ray of sun
Burning through my darknes night
You’re the only one that I want
Think I'm addicted to your light
I swore I’d never fall again…”

Quando entrò in camera lo trovò davanti allo specchio.
Vestito di tutto punto si stava provando la giacca che avrebbe usato per uscire. Non era il suo genere. ma gli stava bene, sarebbe servito allo scopo pensava, non lo avrebbero riconosciuto con quello addosso.
“Mi sta bene?” fece una giravolta su stesso per farsi ammirare e poi si piantò a guardare lei.
“Stupenda.” Commentò con soddisfazione.
“Grazie, ma credo che tu volessi dire stupendo.”
“E chi stava parlando di te?” il Bill-centrismo era una filosofia di cui lui era, troppo, fedelmente adepto in certi casi “Io mi riferivo alla bellissima giacca che stai indossando. Quella creata dalle mie mani.”
“Aaaa…era troppo strano che mi facessi un complimento così a buon mercato.”
“Te ne fai già tanti da solo, non credo che te ne servano altri anche da me.”
“Io però te ne faccio!”
“E chi te li ha chiesti?”
“Che stronza.” E mise su un muso da cucciolo di foca “Credevo che mi amassi.”
“Oh quanto sei cretino!”
Si avvicinò per controllare se la giacca gli cadesse bene sulle spalle. Di solito non faceva abiti maschili, non erano proprio il suo forte, ma aveva dovuto trasformare in realtà l’ispirazione fulminea di quando si era immaginato quel capo. All’inizio lo aveva fatto per Alphonse, era qualcosa di particolarmente estroso visto il colore blu accesso del tessuto esterno, ma il cugino le aveva detto “È proprio uguale al blu della tuta di Superman. Idea! Regalalo a Superman!” riferendosi ovviamente a Bill.
Le piaceva molto quella sua creazione soprattutto perché indossandolo si stava comodi e al caldo, aveva lavorato con cura sull’imbottitura interna e le cuciture, e poi aveva fatto anche un ampio cappuccio perché così Bill avrebbe potuto proteggersi le orecchie sensibili.
“Lo senti in qualche modo scomodo?”
Quando si trattava dei suoi vestiti e di chi li indossava Lyric perdeva completamente la testa, diventava maniacale ed insistente, come se non fosse mai convinta del tutto. Quando avrebbe frequentato i corsi di design a Parigi, qualche anno più tardi, avrebbe di certo esasperato i suoi professori, pensava Bill.
“Credo di avertelo detto almeno un centinaio di volte. È perfetto. Ti assicuro che è comodissimo.”
Fece scivolare le dita lungo la fila di bottoni dorati, soffermandosi su quello centrale, su quello si era lasciata andare all’ironia. Allie era diventato letteralmente entusiasta vedendo che Lyric vi aveva fatto incidere il simbolo di Superman.
Bill lo aveva trovato molto divertente.
“Sicuro?”
“Quando accidenti ti convincerai che i tuoi vestiti sono sempre perfetti?”
“Il tuo parere è di parte. Sei il mio ragazzo.”
Sbuffò e le prese le spalle “Allora, visto che non mi credi, non chiedermelo.”
Fece quel ghigno compiaciuto alla Alysei “Tanto mi daresti la tua opinione in ogni caso. È più forte di te.” E gli coprì la testa con il cappuccio. Lyric si immaginò la vocina di Georg “Ci mancava proprio la fata turchina!” e rise.
“Sto parlando con un muro.” Così dicendo andò a sedersi sul letto.
Lyric allora provò qualcosa di famigliare mentre guardava la sua figura illuminata dai raggi di un raro sole d’ottobre.
Si inginocchiò di fronte a lui “Scusa se sono un muro.” Disse, cercando di ammansirlo. Come se le fosse difficile.
Toccò con le punta delle dita il contorno dalle sue labbra. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di saperlo, ma trovava che avesse una bocca stupenda. L’unica che concepiva di baciare.
Dalla sua posizione studiò il cambiamento della sua espressione, che divenne concentrato su di lei.
Oh come percepiva l’influenza che aveva su di lui! Ne era a conoscenza, ma era equilibrata dalla medesima influenza che a sua volta esercitava su di lei. Nessuno dei due vinceva mai.
Mentre le punta delle dita di Bill accarezzavano le sue di labbra Lyric ebbe un flash.
“Vuoi sapere dove si trova l’eternità?” riecheggiò nella sua testa.
“Cos’hai?” le chiese Bill.
"Quando ci sarai davanti te ne accorgerai. Sentirai come una specie di scossa, potente, come il più forte dei solletichi alla pancia e a quel punto…a quel punto ecco!”
Era stato decisamente il discorso più assurdo che si potesse fare ad una bambina di appena nove anni. Suo padre era sempre stato una persona eccentrica, forse era per quella ragione che sua madre lo aveva sposato, con soggetti simili non ci si annoia mai almeno.
Lyric rise tra se scuotendo la testa “Mi sono ricordata che devo andare a cambiarmi.”
Però ora che si era ricordata capiva anche il senso di quel vecchio discorso.
Si alzò da terra ridendosela ancora. Si sentiva felice. Troppo felice.
Bill rimase a guardarla confuso, il momento magico era stato spezzato in maniera troppo brusca. Forse non doveva pretendere troppo romanticismo, a quanto pare mandava fuori di testa anche lei.
“E quando te ne renderai conto, quando ti sarà chiaro, saprai anche che si può vivere per sempre. Lì dove hai scelto di essere.”
Era stata fortunata ad averlo capito tanto presto.
Davvero fortunata.

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Il piccolo riferimento al titolo della storia in questo capitolo, verso la fine, non è che un accenno di spiegazione al significato che il titolo porta. xD
Quello completo lo si avrà nei capitolo successivi. So che sto postando veramente lentamente, ma con la scuola di mezzo non riesco a fare altrimenti. Perdonatemi, baci!
 
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22 replies since 28/2/2010, 23:12   395 views
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