Scusate il ritardo ragazze, ma tra il concerto e la scuola non ho avuto il tempo di postare. In ogni caso spero che sia andato tutto bene ai vostri concerti, al mio mi sono rotolata dalla felicità più totale.
xD
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Capitolo 8: Alysei. “Eccomi.” fece una pausa e si abbassò verso la lapide mentre un angolo della sua bocca si inclinava dolcemente.
“Come ti avevo detto sono venuta a trovarti.” non si sarebbe mai aspettata di sentirsi così calma, aveva pensato alla possibilità di potersi incupire appena entrata nel cimitero ma invece non era accaduto niente del genere.
Era serena, vagamente contenta.
Un'altra ragione per ringraziare Bill di averle inculcato in testa una visione più positiva del mondo.
Lyric alzò gli occhi per qualche istante, seguendo la scia bianca di un aereo appena passato sopra la sua testa, poi riabbassò il capo con il lieve sorriso ancora sulle labbra.
“Avrei voluto che fosse venuto anche lui, così ve lo avrei presentato.” nel dire ciò si voltò momentaneamente verso la lapide accanto, quella di suo padre.
“Sono certa che vi sarebbe piaciuto, soprattutto a te, papà. È il tipo di ragazzo che ti saresti divertito a prendere in giro ventiquattro ore su ventiquattro. Lui si sarebbe fatto prendere dall'ansia credendo di non piacerti e tu avresti continuato a trattarlo così solo per il gusto di farlo stare sulle spine.” rise, immaginandosi l'esilarante possibilità di quei due chiusi insieme nella stessa stanza “Però sareste andati d'accordo alla fine...”
Lyric accarezzò il viso ritratto di Sebastian Hörderlin. Gli occhi di suo padre, colorati di un nocciola molto intenso, la guardavano attraverso la fotografia.
Li aveva sempre amati quegli occhi pieni di calore.
“Già, a quanto pare sono dannatamente felice. Riesco persino a parlare con voi senza scoppiare in un collasso isterico. Decisamente Bill vi sarebbe piaciuto da matti.”
Scosse la testa per la completa assurdità del suo discorso ma rise con ancora più allegria di prima.
Chissà se la nonna lo avrebbe notato tutto quello splendore che la circondava, magari si sarebbe accorta di avere di fronte una persona completamente diversa da quella che conosceva.
Magari avrebbe capito che la vera Lyric era sempre stata anche questo lato ottimista ed energico.
Forse se Cassandra le avesse chiesto il perdono avrebbe potuto anche concederglielo.
Ma non ci contava troppo.
L'orgoglio era sempre stato un pezzo forte nella sua famiglia, sua nonna poi ne possedeva più di chiunque altro membro. Sarebbe stato più probabile vedere gli unicorni galoppare per le strade di Boston piuttosto che assistere allo spettacolo di sua nonna che chiedeva scusa.
“Ma comunque è meglio che sia qui da sola, voglio proprio farle vedere quanta acqua sia passata sotto i ponti, dovrà ammettere che il piccolo torrente sta diventando un fiume amazzonico. Sì, lo so, metafore dementi.”
Rise ancora presa da quella sensazione di leggerezza.
Doveva proprio essere il sollievo di non sentirsi più così male quando si trattava dei suoi genitori.
Il suo animo ora era davvero così leggero? Evidentemente era proprio così che stavano le cose.
Tolse la carta con cui erano avvolti i fiori che aveva portato e la depose accanto alle sue gambe mentre con l'altra mano infilava i crisantemi scarlatti nel vaso apposito.
Era sempre stato il colore preferito di sua madre.
Fatto ciò rimase per parecchio tempo in silenzio, seduta di fronte alle due lapidi, con la testa che vagava senza animosità.
Si ricordò inspiegabilmente delle passeggiate autunnali che lei e suo padre facevano ogni volta che, tornata a casa dalla scuola, lui aveva un poco di tempo da dedicarle dal lavoro. In quelle occasioni le era sempre piaciuta la stretta forte, ma al tempo delicata, del palmo paterno quando camminavano mano nella mano. Era come affermare che sarebbero stati inseparabili.
Per Lyric era sempre stato l'uomo migliore del mondo, il suo superman personale, invincibile. Pronto a coccolarla come se fosse un grande tesoro ma in grado anche di farle capire la differenza tra un'azione sbagliata e una giusta.
A otto anni era così innamorata della sua persona che, come qualsiasi bambina, aveva dichiarato che un giorno se lo sarebbe sposato.
Naturalmente Sebastian le aveva spiegato che ciò non era possibile, perché aveva già promesso alla mamma che sarebbe stato suo per sempre e un uomo vero le promesse le mantiene costi quel che costi, le aveva detto.
Lyric per ripicca allora aveva giurato sulla testa del suo pony Fairy-Wing (un pupazzo a forma di cavallo che doveva essere da qualche parte nella soffitta della casa di Boston) che se non avrebbe avuto lui, allora sicuramente si sarebbe innamorata di un uomo come lui.
Ricordò le lacrime agli occhi dei suo genitori per le risate e di come suo padre le avesse poi fatto un leggero sbuffo sotto il mento
“Come me? In che senso?” aveva domandato in quell'occasione. Una allora Lyric di otto anni era rimasta a labbra serrate per qualche minuto, cercando delle parole per spiegarsi. Incontrando lo sguardo di sua madre ebbe una scintilla d'ispirazione
“Non lo so, però vorrei tanto essere guardata come la mamma.” "E come viene guardata?” Lyric sorrise con i denti da latte ben in vista.
“Come se ci fosse solo lei.” aveva risposto con sincerità.
Naturalmente suo padre era scoppiato a ridere un'altra volta ma non della risposta in sé, più che altro per aver constato ancora una volta quanto sua figlia e sua moglie si assomigliassero.
e donne Alysei non si battono mai, era la prima regola che qualunque uomo intenzionato ad amarne una avrebbe dovuto conoscere. Sebastian lo aveva imparato da tempo.
“Se troverai qualcuno che lo fa, allora, me lo dovrai per forza presentare. Credo che diventerebbe mio genero.”
“Genero? Che cos'è un genero? Si mangia?”
“Dipende, tesoro. Potresti anche mangiartelo di baci ma nel caso te ne venisse mai voglia non farlo davanti a tuo padre. Farebbe male al mio stomaco.”
“Ok.” aveva pronunciato con convinzione, sgranando gli occhi al pensiero di suo padre preso dal mal di pancia per una cosa del genere.
“Allora non mangio nessuno con i baci, così la tua pancia non si fa la bua.” glielo assicurò lei, portandosi una mano sopra al cuore come a prometterlo, anche se non capiva come fosse possibile desiderare di mangiare qualcuno a forza di baci.
“Ecco, brava!” aveva commentato Sebastian ritenendo giusto mettere un minimo di freno a qualunque pensiero riguardo alla questione “ragazzi”. Ovviamente era di nuovo scoppiato a ridere.
Era sempre stato un tipo molto gioviale e amichevole, in un modo più eclatante di sua madre. Era stato un uomo a cui era piaciuto davvero essere venuto al mondo.
“Mi dispiace essermi allontanata così tanto da ciò che mi avevi insegnato, papà. Ma vedrò di rimediare.”
Lyric aveva aperto di nuovo bocca, ricominciando a parlare a senso unico con i suoi genitori. Si riferiva al fatto che c'era stato un tempo in cui pensava che vivere fosse qualcosa di così inutile e superfluo, un pensiero per cui suo padre l'avrebbe sgridata sonoramente.
Il rumore di un altro aereo che volava sopra di lei le fece alzare il capo per seguire ancora una volta la scia dei motori. Sembrava che qualcuno avesse fatto gocciolare della tempera bianca e candida sopra a della carta azzurrina.
Un po' di vento si alzò, cominciando a sussurrare tra i fili dell'erba.
Lyric tornò a guardare le due lapidi e questa volta un altro pensiero si fece avanti per parlare.
“C'è qualcosa...” si avvicinò, appoggiando una mano sull'incisione del nome di sua madre “C'è qualcosa che non riesco a capire. Forse sono io che mi faccio troppi problemi ma da un po' di tempo sento che c'è qualcosa di diverso.”
In modo molto lieve qualcosa nella sua testa frusciava come seta sotto la pelle. Un'intuizione che non aveva ancora un'identità precisa stava cercando di trovare una voce con cui farsi sentire e lei provava a tendere l'orecchio per ascoltarla.
Ma non ci riusciva.
Era lì a pochi centimetri dalla sua mano però Lyric non riusciva proprio ad afferrarla.
“Sta cambiando...” lo sussurrò pianissimo perché voleva a tutti i costi tenere quell'idea indefinita, che tanto indefinita poi non era, dentro di sé.
“Forse...è già cambiato...” si corresse senza ancora dare un soggetto a quelle sue frasi.
Tanti volti cominciarono a susseguirsi come in un vortice e per ognuno di loro attribuì dei ricordi, delle ragioni, delle parole, dei sentimenti. Tante persone, ugualmente importanti.
Eppure c'era qualcosa di diverso.
Sentì le guance scaldarsi mentre il cuore perdeva qualche battito.
Tanti volti, uno dopo l'altro, così semplici da riconoscere e da descrivere. Loro erano sentimenti comprensibili.
Poi l'ultimo viso, quello lasciato alla fine della coda.
Ecco il punto.
Un sentimento diverso, un sentimento che era cambiato.
“Sono passate due settimane da quando ho cominciato a chiedermelo ma sono sempre al punto di prima. Chissà se riuscirò mai a capirci qualcosa. In momenti come questi ci vorrebbe proprio la tua presenza, mamma.”
Quel viso due settimane prima era stato molto vicino, tremendamente vicino.
C'erano stati altre occasioni in cui i loro volti si erano trovati nella stessa situazione, forse non così vicini però quasi, ma quella sera di due settimane prima era stato molto diverso.
Quella volta aveva pensato a qualcosa di completamente nuovo per lei.
Qualcosa che non l'aveva mai toccata così intimamente.
Era stata la notte prima della sua partenza per Boston, in quell'occasione Bill e gli altri tre scapestrati erano venuti a trovarla a casa per una specie di festino d'addio. Passata ormai la mezzanotte zia Freia non aveva avuto remora nel buttarli fuori di casa (infatti per l'intera serata avevano fatto più casino in quattro di qualunque rave party a cui Freia Hörderlin avesse mai partecipato nella sua giovinezza ).
Bill si era trattenuto qualche minuto in più, solo con lei, e in quel lasso di tempo erano rimasti seduti sui gradini delle scale davanti alla porta di casa.
Avevano parlato dei progetti di entrambi in quel mese di separazione. Lyric aveva infatti deciso di prolungare la sua permanenza negli Stati Uniti perché suo zio Victor aveva espresso il desiderio di passare un po' di tempo con lei e in questo, sorprendentemente, si era ritrovata d'accordo.
Però erano dovuti arrivare i saluti definitivi.
Era tardi e Bill abitava a parecchi quartieri di distanza da casa sua. Inoltre gli altri tre, che lo attendevano ai cancelli, avevano abbastanza diritto di pretendere di andare a dormire.
Si erano alzati entrambi contemporaneamente, rimanendo fissi verso le tre sagome a dieci metri da loro.
“Allora fai un buon viaggio e appena puoi chiamami.”
“Certo. Se non riuscirò a chiamarti, ti spedirò delle e-mail e se non riuscirò a contattarti con quelle userò dei piccioni viaggiatori.” Bill aveva riso, voltandosi verso di lei.
In quell’istante aveva pensato che le sarebbero mancati tutti.
Gustav, con quella sua immancabile essenza fatta di correttezza, calma, silenzio e dolce affetto dimostrato con semplicità e riguardo. Un amico con cui parlare delle più piccole cose, anche le più banali, senza temere di non essere ascoltati o capiti. Il tipo di ragazzo a cui si potrebbe affidare ad occhi chiusi la propria vita, perché al mondo non si potrebbe trovare nessuno in grado di dimostrarti più fedeltà e fiducia di quel sedicenne biondo, leggermente timido e tendente al mutismo ma con il più grande cuore che si possa trovare nel creato.
E poi Georg.
Con lui non c'erano mai sforzi ne finzioni, era in grado di farle passare il tempo con il sorriso (o il riso) a fior di labbra senza mai stancarla. Ed oltre quella scorza di adolescente casinista e amante del divertimento c'era il bravo ragazzo, il fratello maggiore che nel momento del bisogno è sempre lì a sostenerti anche se non l'hai chiesto. Quello che ti appoggia un braccio attorno alle spalle e con determinazione ti difende a spada tratta mantenendo quella sua leggerezza nei modi, con quella allegria viva e contagiosa. Conoscendoli, con il passare dei mesi, Lyric aveva scoperto di adorarli e in questo era ricambiata da loro.
E poi c'era Tom (con cui qualche volta si scontrava ancora, piccolezze di poco conto, più che altro un rimbeccarsi innocuo tra amici.)
Lui rappresentava un legame oltremodo importante. Quando parlavano tra di loro era come essere accanto a qualcuno in grado di comprenderti. Sotto allo spaccone fissato con le ragazze e con un ego enorme capace a volte di divorarlo, esisteva il Tom sorprendentemente dolce, quello che le voleva bene come se fosse stata sua sorella.
Quel Tom pieno di umana profondità (seppur così ostinatamente nascosta o forse così poco conosciuta dallo stesso possessore) che spesso Lyric aveva intravisto dietro ai gesti più insignificanti.
Lyric sapeva di essere la prima vera amica femmina che Tom avesse mai avuto e questa era una delle motivazioni per cui le piaceva il loro legame. Lei era la prima creatura di sesso femminile, oltre a sua madre, a cui avesse concesso di avvicinarsi quel che bastava per conoscerlo. Questo significava aver abbassato le difese che si era eretto, averle concesso una grande possibilità. Sotto un certo punto di vista Tom era il suo più grande amico e questo poteva pensarlo perché Bill, ormai, era qualcosa che andava oltre a quella descrizione.
Lui sarebbe stata la persona che le sarebbe mancata di più.
A morte, letteralmente mancata a morte.
Qualcuno glielo avrebbe dovuto proprio spiegare questo rompicapo.
Mesi addietro non sapeva neanche che esistesse un Bill Kaulitz al mondo, eppure, dopo così poco tempo, quel ragazzo le aveva sconvolta la vita. Era diventato punto immoto e allo stesso tempo incognita della sua esistenza. Se qualcuno le avesse chiesto cosa rappresentava per lei, Lyric non sarebbe riuscita ad esprimersi se non con la parola tutto.
Esagerato direte voi ma non sempre si può comprendere la verità.
Arrivati ad un punto in cui si considera qualcuno il baricentro della propria, personale, gravità cosa ci si può inventare per descriverla? Se qualcuno diventa talmente importante da farci ritenere superfluo il chiedersi del perché l'abbiamo elevata a tal punto, non significa forse che non ci importa più dei motivi ma ci interessa solo che quella persona ci stia accanto?
Questo era Bill.
Quell'agglomerato di vita non privo di difetti: un po' egoista, leggermente prima diva, dannatamente testardo, spruzzato di qualche infantile moina, insicuro, perfezionista, a volte chiuso e spesso azzardato.
Quel Bill in grado di farla sentire in pace, forte, accettata, al sicuro, proprio questo ragazzo era diventato una presenza insostituibile.
Le sarebbe davvero mancato a morte e in qualunque senso si possa pensare.
Per queste ragioni di cui era ormai a conoscenza, quella sera di due settimane prima, qualcosa dentro di lei si era acceso in un lampo folgorante.
Un secondo.
Era bastato solo un secondo per sconvolgere tutto quanto.
In un secondo la sua mente aveva formulato quel
bisogno impellente.
Una
necessità che ancora le formicolava nella testa, nel corpo, ovunque.
La suoneria del suo cellulare la riportò con i piedi per terra e per la sorpresa di essersi imbambola Lyric rispose senza neanche guardare chi fosse a chiamarla.
“Sì, pronto?”
“Ma belle au bois dormant! Sei ancora dai tuoi defunti?” chiese una voce maschile squillante, che riconobbe immediatamente per quella di Alphonse.
Chi diamine aveva dato il suo nuovo numero di cellulare a quell'esaltato di suo cugino? Si era rifiutata categoricamente di concederglielo in quelle due settimane di imposta convivenza.
Che fosse stato suo zio Victor?
Lyric sospirò rassegnata e guardò distrattamente l'orologio.
“Allie, guarda che manca ancora un'ora al nostro appuntamento. Non c'era bisogno di chiamarmi per ricordarmi che dovevamo incontrarci.” gli disse, avendo subito capito per quale ragione non l'avesse lasciata in pace neanche in occasione della visita alle tombe dei suoi genitori.
Pur non avendo particolari doti di crudeltà e cattiveria, quelle le aveva prese tutte la sorella Adele, suo cugino Alphonse non era mai stato in possesso di molto tatto.
Era un'insopportabile bocca sempre costantemente aperta, persino nei momenti meno opportuni. Era così da sempre e quasi nessuno ormai ci faceva più caso.
Solo quando c'era loro nonna si dava un contegno, l'istinto di sopravvivenza lo possedeva qualunque animale quindi perché lui avrebbe dovuto esserne sprovvisto?
“Lo so, lo so. Volevo solo sapere se andava tutto bene. Sapendo come ti riduci per certe questioni, volevo assicurarmi che non fossi esplosa in un lago di lacrime e urla. Mi preoccupava sapere se avrei dovuto aspettarti al locale con in mano una scatola di fazzoletti.”
Lyric rise lievemente. Comunque, pur non avendo particolare sensibilità quando si esprimeva, Allie era una persona gentile a suo modo. Gli poteva dare il merito di essere quello meno insopportabile tra tutti i suoi cugini. In confronto ad Hector, Ava e Adele, lui era sicuramente un angelo.
“No, tranquillo. Non ho versato neanche una lacrima. Sono stata brava, no?”
Sentì suo cugino ridere in modo quasi sollevato.
“Un giorno lo voglio conoscere.” affermò cambiando improvvisamente discorso.
Altro punto caratterizzante di Alphonse erano i suoi repentini cambiamenti d'argomento, viaggiava ad una velocità di pensiero troppo diversa dal resto dell'umanità o forse era solo il fatto che trovasse punti di collegamento tra questioni all'apparenza senza legami.
“Chi?” chiese sinceramente confusa.
“Superman.” affermò senza dare nessun'altra spiegazione.
“Superman?”
“Sì. Io voglio conoscere Superman.” confermò con fermezza.
“Alphonse Alysei De la Croix...” glielo disse con tutta la serietà possibile anche se intuiva il lato comico di quello che si stavano dicendo “…è illegale bere per strada, senza contare il fatto che sono solo le cinque del pomeriggio e ti ricordo che non hai ancora l'età legale per sbronzarti in pubblico. Cerca almeno di non farti scoprire.”
Alphonse rise ancora, con un'inflessione molto accattivante, quella che di solito esibiva quando voleva far strisciare ai propri piedi la prima ragazza che attirava la sua attenzione.
“Guarda che sono sobrio. Io sono la quinta essenza dell'innocenza.” non ci credeva nemmeno lui e Lyric evitò di ripetersi per l'ennesima volta riguardo la concezione di quel ragazzo di
“innocenza”. “Certo, va bene.”
“Lascia stare, ti spiegherò meglio un'altra volta. Allora ci vediamo tra un'ora. Sarò già dentro ad aspettarti.”
“Ok, a tra poco.”
“Sourette Lirì...” la chiamò improvvisamente come quando giocavano insieme da piccoli e Lyric ebbe la fugace visione di un bambino paffuto che correva assieme a lei tra le aiuole di una grande villa di campagna, quella della loro infanzia, tra le colline fuori da Boston.
“Dimmi, frérot Allie.” lo chiamò a sua volta con il nomignolo che usava per lui. Una risata quasi gutturale e bassa fuoriuscì dall'apparecchio telefonico e Lyric si immaginò il sorriso compiaciuto che si increspava tra le labbra perfette di suo cugino.
Doveva essere contento che lei si ricordasse ancora quel gesto d'affetto che correva un tempo tra di loro. Un tempo erano stati davvero uniti.
“Salutami gli zii, per favore.”
“Certo.” Questa volta fu lei a ridere di compiacimento “Ci vediamo dopo.”
“Ok, a tra poco belle au bois dormant!”
“Quando smetterai di chiamarmi in questo modo?”
“Mmm, finché avrò vita.” scherzò il cugino ma Lyric era sicura che non stesse scherzando.
“Allora mi adopererò affinché la tua dipartita sia compiuta nel più breve lasso di tempo possibile.”
“Mon chou! Io sono al di sopra di una cosa futile come la morte. Il mio essere trascende l'essenza umana.”
Ecco, altra cosa che lo distingueva dalle persone normali, era incomprensibile. Faceva troppi discorsi fuori dal mondo, non si capiva mai se stesse dicendo sul serio o stesse solo esagerando. Difatti si esprimeva con così tanto ardore e convinzione che sembrava essere sincero.
“Ok...ciao.” E pose fine alla chiamata, li avrebbe sorbiti dopo i suoi vaneggiamenti sulla sua perfetta persona.
Ritornò a guardare le due lapidi e non ci mise che pochi secondi per ritornare al flusso dei pensieri interrotti dalla telefonata.
Com'è che così all'improvviso non riuscisse più a spiaccicare una parola? Allora non era stata una sua impressione il fatto che fosse rimasta scossa dall'accaduto. Scosse il capo cercando di riportarsi su di un piano mentale meno pericoloso ma non fu per niente facile.
“Mi mancherai...” le era uscito dalla labbra due settimana prima. Bill allora si era avvicinato al suo viso per darle un'innocente bacio sulla guancia, per salutarla una volta per tutte, ma a pochi passi dalla meta si erano guardati in
quel modo.
Lei l'aveva guardato in
quel modo.Come se si fosse resa conto di essere cosciente.
Rimasero entrambi bloccati in quella posizione un po' sforzata per un tempo indefinito che, da un punto di visto oggettivo, doveva essere invece durato molto poco. Però era bastato.
La bella addormentata, per pochi minuti, aveva aperto gli occhi e si era accorta che il suo mondo era un po' più fitto di significati di quanto potesse immaginare. Per lo spavento però aveva di nuovo serrato le palpebre.
Lyric si impose di smetterla e si rivolse alla madre “Tu cosa ne pensi?”
Si immaginò perfettamente la risposta che le avrebbe dato. Era la sua risposta standard quando si trattava di questioni che le sembravano più semplici di quello che pensava sua figlia.
“Two plus two, my darling. It's very simply.”Decisamente avrebbe detto così.
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Al di sopra di qualunque dubbio, Alphonse De la Croix, era uno dei ragazzi più belli che avesse mai conosciuto nella sua vita, o quasi.
A sedici anni, poi, lui non sembrava essere intenzionato a diminuire la portata della sua presenza scenica. Anzi, le pareva che la sua bellezza col tempo crescesse di pari passo con la considerazione che lui aveva di se stesso.
Una considerazione alta.
Molto alta.
Incalcolabile?
Lyric non si sorprese quindi di rivedere, appena entrata dall'ingresso della sala da tè, una scena ripetutasi un centinaio di volte da quando lui aveva riconosciuto nell'universo femminile una ragione ludica. L'ennesima ragazza, in questo caso una giovane cameriera intorno ai sedici, che gli stava ronzando attorno come un’esaltata ape attorno ad un mucchio di miele.
Infondo i bei fiori avevano proprio questo scopo, attirare l'insetto dentro la propria corolla per poi dimostrare solo in seguito di essere la facciata di copertura di una pianta carnivora. Forse era un giudizio più severo di quello che si meritava suo cugino ma a volte a quel ragazzo gli riusciva troppo semplice calpestare le persone che non avevano nessun valore per lui.
Più che volontariamente crudele si poteva dire che Alphonse era di un'insensibilità incosciente.
Vide la ragazza sorridere in modo adulatorio, sbattendo civettuola gli occhioni marroni e ridendo per compiacere quella che era diventata una preda. Poverina.
Non che credesse Alphonse incapace di provare sentimenti veri per qualcuno ma era in quella fase in cui i maschi non pensano, neanche per sbaglio, ad essere maturi e desiderosi di una relazione seria. Quel pensiero gli rimbalzava addosso come una pallottola contro un carro blindato.
Lyric ricominciò a camminare, decisa a porre fine a quel quadretto idilliaco, incapace di vedere la poveretta continuare a flirtare con suo cugino in quel modo così irresponsabile.
“Ciao Alphonse, scusa il ritardo ma ho trovato traffico.” in un nanosecondo suo cugino dimenticò l'esistenza della ragazza, che ancora stava in piedi di fianco a lui, e catalizzò tutta l'attenzione verso di lei.
Come presumeva era stata soltanto un tappa-buchi per ammazzare il tempo.
In verità lui non abbordava mai ragazze che non erano alla sua altezza o almeno a quella che credeva fosse la sua posizione di superiorità. La cameriera era molto carina ma Alphonse prediligeva provarci solo con chi era di una bellezza quasi eccessiva. Così, tanto per dimostrare a se stesso che se avesse voluto il meglio lo avrebbe potuto avere con uno schiocco di dita.
La vanità era l'unica e vera grande pecca che Lyric non riusciva proprio a digerire. Per il resto le stava anche simpatico, essendo sempre stato uno tra i pochi incuranti delle faide interne della famiglia. Una sua grande qualità era che non gli importava per niente il concetto di potere.
In questo era sempre stata più brava la gemella Adele.
Alphonse l'accolse con un'allegria sproporzionata e si alzò da dove era seduto, per stritolarla poi in un abbraccio un po' troppo enfatizzato “Mon trésor! Finalmente! Credevo che ti fossi schiantata contro un albero, visto che non ti facevi più viva. Infondo sei sempre stata l'orologio svizzero della famiglia.”
“Allie, non esagerare. Sono in ritardo di soli dieci minuti.” ricambiò l'abbracciò perché dopo tutto le piaceva la sua compagnia. Da quando era tornata aveva notato quanti sforzi quell'esaltato da strapazzo avesse fatto per riallacciare i rapporti con lei. Pur non capendo bene le ragioni non le dispiaceva dargli una possibilità. Contro di lui non aveva mai avuto particolari screzi.
A parte quel periodo in cui era stato alla deriva e si era leggermente fatto influenzare dalle idee di sua madre Amelia, che lo avevano allontanato da lei con mutismo e freddezza, erano sempre stati due perfetti cugini-amici.
Alphonse era stato il primo amico che avesse mai avuto e per questo, quel breve periodo di tradimento, era stata una pugnalata alla schiena. Ma non lo aveva mai realmente odiato per questo. Lyric sapeva quanto poteva essere pesante l'influenza di zia Amelia su di lui. Suo figlio comunque l'amava quell'arpia di donna e questo non poteva di certo impedirglielo.
Alphonse le fece segno di sedersi sulla poltroncina di fronte alla sua mentre riprendeva posto al tavolo e poi, come se si fosse ricordato solo in quel momento dell'esistenza della cameriera, si rivolse all'altra presenza attorno a loro “Ora che è arrivata la mia ospite non è che potrebbe portarci la lista dei tè? Vorremmo ordinare.” lo stupore per quel repentino cambiamento di atteggiamento si lesse a caratteri cubitali sulla fronte stupita della ragazza, Lyric gli scoccò un'occhiata ammonitrice che lui ignorò con un sorriso tremendamente innocente.
Era così schifosamente privo di tatto.
“Certo, ve le porto subito.”
“Grazie...” cercò di leggere il cartellino appeso al grembiule della cameriera “Carrie...” questo fu il punto di non ritorno. La ragazza scappò via a tutta velocità, nera in volto. Di certo ad Alphonse si era presentata ma lui però non doveva averla ascoltata più di tanto.
Era schifosamente privo di qualunque tipo di tatto.
“Non ti ho forse detto già una volta che le parole feriscono?” lo rimbeccò Lyric facendogli pesare addosso uno sguardo molto eloquente. Alphonse ghignò innocente, facendo spallucce.
“Credo di averti risposto che non capivo assolutamente nulla di quello che stavi dicendo.”
“Speravo comunque che il tuo intelletto andasse oltre al guardarsi allo specchio ogni mattina e constatare di essere meglio del dio Elios.” Il ragazzo ridacchiò portandosi una mano tra i capelli biondi, si accarezzò i fili lisci e chiari che ricadevano scalati fino alle orecchie mentre i suoi occhi cerulei si lamentavano con ironia della predica in atto.
“Come al solito non capisco il motivo per cui ti ho fatto arrabbiare. Ogni volta che riservi questo tipo di uscite mi sento così confuso. Eppure non mi sembra di aver fatto qualcosa di così crudele. Non sono di certo come Didi.”
“Allie, tua sorella Adele non c'entra proprio niente. Se ti rimprovero è solo perché ne hai bisogno.”
“Uhm...sarà ma io continuo a non capire cosa faccia di così sbagliato. Ok!” la fermò prima che esplodesse nella lunga lista dei suoi crimini “Potrei ammettere di essere un po' insensibile. Ma ti giuro che non mi accorgo per nulla di quando lo faccio.”
“Quindi dovrei abbonarti la pena per incapacità di intendere e volere?”
“Esatto...Ehi!”
“Lo hai detto da solo.”
Lyric si lasciò sfuggire una piccola risatina vedendo l'evidente gaffe del cugino.
La cameriera intanto era ritornata con i menù in mano.
Alphonse colse l'occasione per farsi perdonare “Grazie infinite per la tua gentilezza.” espresse con una voce morbida e uno sguardo incantevole, da brivido lungo la schiena, e Lyric non dubitava che la ragazza lo avesse provato “Mi dispiace di averti fatto perdere tempo prima, costringendoti a sopportarmi mentre aspettavo mia cugina. Ti sono davvero grato della compagnia che mi hai concesso. Ogni volta che verrò qui sarà un piacere per me rivederti, Carrie.” Sarebbero bastate le prime cose che aveva detto ma come era nel suo stile aveva voluto strafare a tutti i costi.
Qualunque ragazza sarebbe rimasta imbambolata a fissare un ragazzo in grado di esprimersi così elegantemente e senza problemi di grammatica, se poi si aggiungeva il fatto che suo cugino era di una bellezza così pressante, allora era chiaro che il perdono era qualcosa di scontato.
Lyric si lanciò nel silenzio, scorrendo la lunga lista di tè tra cui scegliere, mentre quella ragazza di nome Carrie si propinava in mille ed imbarazzate assicurazioni sul fatto che non si era per niente sentita costretta nel fargli compagnia.
Quando li lasciò nuovamente soli, per andare a preparare le loro ordinazioni, Alphonse guardava Lyric come ad aspettarsi da un momento all'altro il biscotto di contentino per aver fatto il cagnolino educato. Ci mancò poco che non gli scoppiasse a ridere in faccia in modo sguaiato.
“Va bene così? Sono perdonato?” l'espressione sul suo volto avrebbe fatto incrinare chiunque, lei però ne era immune. Ma per averci provato lo accontentò.
“Puoi migliorarti ancora ma posso accettarlo come inizio.”
Allie ne fu visibilmente contento.
Dopo qualche tempo di innocente e disimpegnata chiacchiera il ragazzo le chiese di sua zia Freia.
“Tutto bene. È arrivata questa mattina a Berlino. Sono contenta che sia riuscita a riposare prima di riprendere l'estenuante lavoro in banca.” mentre rispondeva si lasciò trascinare dal piacere che le dava il caldo sapore del tè ai frutti rossi che aveva scelto.
Alphonse annuì sorseggiando a sua volta dalla tazzina, lui aveva optato per un più vigoroso tè nero “Credevo che sarebbe rimasta almeno fino al ricevimento di questo sabato. Mi sembrava così tesa nel lasciarti tutta sola nelle nostre grinfie.” sbuffò lievemente, ironico.
L'occhiatina che gli venne lanciata addosso gli fece capire che sua cugina aveva intuito la battuta riguardo al comportamento dell'altra parente.
Effettivamente sua zia Freia aveva esagerato con l'apprensione e non avrebbe mai pensato che per l'ansia si sarebbe trattenuta due intere settimane a New York, con lei, solo per minacciare di morte suo zio Victor nel caso le fosse accaduto qualcosa ( sottolineando il fatto che se anche un sasso fosse caduto dal cielo e l'avesse colpita la colpa sarebbe stata, comunque, imputata alla cattiva condotta dell'Alysei.).
Ovviamente zio Victor l'aveva trovata divertente.
Grazie al cielo Lyric era riuscita a convincerla a stare tranquilla e godersi la permanenza nella grande mela nel modo più sereno possibile. Erano state due settimane davvero bellissime, contando il fatto che neanche una volta aveva pensato all'imminente rimpatriata di famiglia che si sarebbe svolta a Boston giorni dopo. La presenza poi di Alphonse, così spiritualmente avvolto da un'aura da Nirvana, l'aveva poi aiutata a passare il tempo in allegria e senza pensieri ottenebranti. Era perfettamente a suo agio e per di più aveva riabbracciato un'altra parte di se stessa, quella parte di lei che amava l'america, quella che rimaneva ancora affascinata dalla libertà che lì vi si respirava.
“Che vuoi farci, lei non si fida affatto di nessuno di voi. Anche se si farà venire una cisti a forza di impensierirsi per me non riesco a biasimarla. Gli Alysei le stanno indigesti.”
“Fino a prova contraria anche tu sei una Alysei.”
“Fino a prova contraria sul mio passaporto c'è scritto Hörderlin.”
“Lyric svia su queste sciocchezze. Lo so io, lo sai tu, lo sa chiunque.” sorrise in modo affilato, quasi compiaciuto delle parole che stava per pronunciare. Lyric non si trattenne dall'inclinare la testa all'indietro, un po' irritata.
“Non importa il cognome che porti o quanto lontano tu possa essere. C'è una sola che su cui non potrai mentire. Il fatto che nelle tue vene scorre il sangue della nostra famiglia.”
I due si guardarono per qualche secondo, in silenzio, prima di scoppiare a ridere.
“Oddio! Per un attimo ho pensato di avere davanti tua madre che mi faceva una delle solite prediche riguardo il nostro portare rispetto per il nome con cui siamo nati.”
Alphonse si mise in una posizione più comoda, ostentando tanto divertimento che gli usciva persino dai pori della faccia “Ti immagini se pensassi davvero a quello che ho appena detto? Santo cielo. Va bene che sono un esaltato ma non ho mai capito come la mamma riuscisse ad essere convinta di questi discorsi.”
“Lei ci crede.” fu il commento di Lyric, una semplice constatazione.
Alphonse si rabbui immediatamente sul volto. Sembrava pensieroso
“Già, loro ci credono. Veramente.” nel dirlo fissò i decori blu sulla preziosa teiera inglese che aveva davanti a sé “A volte mi chiedo come facciano a non stancarsi di tutta questa pressione che mettono nel nostro cognome...”
Lyric comprese subito di cosa stesse parlando.
Un tempo erano stati anche suoi pensieri.
Chissà quanto tempo Alphonse aveva passato rimuginandoci sopra.
Chissà quanto quel ragazzo, all'apparenza perfetto, fosse attanagliato da una posizione rigida come quella in cui erano nati loro.
Le persone normali di solito in una famiglia ritrovano semplicemente un'insieme di persone, più o meno piacevoli, che condividono legami d'affetto oltre che di sangue. Ma per loro appartenere a quella famiglia era sempre significato qualcosa di molto più difficile.
“Come fanno a respirare in un'aria così soffocante? Sia la mamma e Didi pensano troppo a difendere un concetto di onore e dignità che trovo così opprimente. Quando mi accorgo, in qualche momento di lucidità, che tutti i soldi e la posizione che abbiamo non valgono la mia sanità mentale mi sento fuori posto. Come se io stessi rifiutando volontariamente il dono di essere un Alysei...”
Lyric lo interruppe perché non aveva intenzione di vedere suo cugino Alphonse così dilaniato dai dubbi. Non lui che sembrava, da capo a piedi, nato per essere ciò che gli altri vedevano.
Bello, affascinante, ricco e di carattere piacente. Il perfetto ragazzo di una famiglia dell'alta società.
Il principe azzurro delle favole.
“Ho sempre pensato che tu te la cavassi benissimo nella nostra posizione, di certo, meglio di quanto sia mai riuscita a fare io. Credo che se riesci a tenere a mente i limiti di ciò che ci hanno sempre detto allora puoi perfettamente respirare in questo mondo, Allie. A parte l'ossessione per ciò che vorrebbero che fossimo non siamo stati così sfortunati.”
“Dici quindi che non sia un male se qualche volta penso di essere inadatto al ruolo? Voglio dire, è plausibile sentirsi la pecora nera del gregge immacolato?”
Lyric sorrise “Certo, se non provassi qualche volta una cosa simile saresti un robot e inoltre non ti devi preoccupare...” lei avvicinò il volto verso di lui come a volergli confidare un segreto “... la vera ed un'unica pecora nera di casa sono io.”
“Non è vero.” le disse, tornando sorridente come prima.
“Sì, invece.”
“Nono”
“Perché no?”
“Perché io ti ho vista sempre troppo bene circondata dalla luce accecante del nostro mondo. Tu sei nata per essere una di loro.” e la indicò con un dito mentre finiva di bere dalla sua tazzina. Quando la riappoggiò sul tavolo Lyric lo stava già guardando con gli occhi sorpresi.
“...non essere leccapiedi.” sventolò la mano come a soffiare via qualcosa “Io non sono per niente più bella di Adele, ne più elegante di Ava e tanto meno così educata come pensi.”
Lei si riteneva l'ultima persona al mondo da definire adatta all'alta società o comunque a quel tipo di ambiente. Poteva perfettamente mantenere una bella maschera sul viso quando si trattava di stare attorno a tanti squali ma a viverci essendo solo se stessa le risultava impossibile.
“Tu, come al solito, ti sottovaluti.” fu la risposta di Alphonse e come sempre sembrava sicuro delle sue parole.
“E tu, come sempre, esageri.” fu l'argomentazione di Lyric, anche lei certa di essere nel giusto.
Alphonse roteò i bulbi oculari, convincendosi che anche se le avesse ficcato davanti uno specchio lei non si sarebbe mai resa conto di tutte le qualità che racchiudeva dentro di sé. Quando un giorno ne avesse preso coscienza allora le avrebbe detto in faccia un bel “Te lo avevo detto!”.
“Comunque c'è un perché se ti ho invitato qui oggi ed è anche molto importante.”
“Dai spara pure.” naturalmente Lyric si aspettava qualcosa del genere. Fin da quando si erano rivisti per la prima volta le era sembrato che ci fosse qualcosa di cui Allie volesse parlare.
“Spara pure?” il biondo corrugò la fronte “Da quando parli come la plebe?”
“Mmm...Alphonse...” prima o poi gli avrebbe dovuto fare un discorso sul fatto che doveva contenere il più possibile i suoi exploit da snob. A forza di farlo così involontariamente sarebbe risultato antipatico ad un mucchio di persone.
Gustav l'avrebbe definito snervante, Georg e Tom lo avrebbero mandato a quel paese prima ancora che avesse avuto il tempo di riprendere fiato mentre Bill, invece, lo avrebbe guardato storto, peggio di un insetto.
“Sì, scusa, scusa. Ma non riesco mai a trovare il termine con cui definire l'altra gente.” sì, decisamente aveva bisogno di una seria rieducazione. L'innocenza con cui lo diceva, inoltre, lo rendeva più fastidioso.
Grazie al cielo lei ci era cresciuta con quella sua inclinazione.
“Solo perché grazie a tuo padre hai ficcato davanti al tuo nome un antiquato titolo nobiliare non significa che le altre persone poi chiamarle plebee. E poi non hai il sangue blu.”
“Per essere precisi è di un brillante blu-notte.” questa volta fu una battuta fatta di proposito, per questo Lyric rise “Allie...”
“Ok, scusa, scusa. Cosa stavamo dicendo?” si imbambolò alla ricerca del pensiero perduto.
“Dovevi parlarmi del motivo per cui mi hai trascinato qui.”
“Ah! Sì!” fortunatamente lo ritrovò “Prima di tutto: di che colore è il vestito che ti metterai al ricevimento di sabato sera?” Ovviamente fu un'uscita che non aveva il minimo senso.
“E questa che razza di domanda è?”
“È molto importante invece, forse dalla tua risposta dipenderà la tua sopravvivenza. Dammi retta, è meglio che tu sia sincera.” se non fosse stato Alphonse a parlare in quel modo sarebbe stata certa di trovarsi di fronte ad uno un po' esaurito.
“Un abito color madreperla.” rispose infine, quasi al limite di un esaurimento energetico. Sostenere una conversazione con quel ragazzo era un'impresa estenuante. Il fatto di non viaggiare sulla stessa lunghezza d'onda poi non aiutava per niente.
Alphonse parve rimuginare sulla risposta prima di annuire soddisfatto “Bene, allora la serata andrà divinamente.”
“Vorresti spiegarmi?”
“Oh! Ma è molto semplice. Dovevo accertarmi che tu non indossassi, neanche lontanamente, qualcosa della stessa tonalità cromatica del vestito da sera di Didi. Visto che lei ci verrà in cremisi e tu praticamente in bianco non ci saranno problemi.”
Per qualche istante Lyric cercò di trovare il collegamento logico tra quello che aveva appena detto e l'affermazione sul fatto che la serata sarebbe andata in modo splendido. Non la trovò.
Non ci riuscì proprio, si arrese davanti alla sconfitta “Vorresti cercare di essere più chiaro?”
Forse sarebbe stato meglio non farlo.
Perché era quasi certa che stesse per arrivare una spiegazione molto stramba, di cui avrebbe trovato difficile la comprensione.
“Vuoi la spiegazione dettagliata oppure il riassunto spiegato con parole semplici?”
Optò per il male minore “Il riassunto con parole semplici.”
Alphonse si mise a schiena dritta ed incrociò le dita della mani sopra la tovaglia bianca del tavolo, come uno studente durante un'interrogazione alla cattedra.
“Allora. Sappiamo perfettamente che sei tornata qui in America perché la nonna ti voleva parlare di qualcosa, è ovvio.” Lyric decise di stare zitta per tutta la durata della spiegazione, così da vedere cosa ne sarebbe uscito fuori “Sappiamo entrambi, poi, che al ricevimento saranno presenti tutti i componenti principali della famiglia. Già, tutti quei insopportabili e boriosi parenti”.
Si scambiarono un sorriso complice “Oltre a loro saranno presenti almeno un centinaio tra i più importanti azionisti della società, i vecchi del consiglio di amministrazione, le famiglie della buona società di Boston e i rappresentanti dei partner industriali dell'impresa. Praticamente l'intera fiera della vanità si ritroverà ad occupare villa Silver-Dust e ciliegina sulla torta, verranno tutti a porgere i saluti alla veneranda regina delle nevi: nonna.”
Detta in quel modo era un'immagine terrificante ma per qualche inspiegabile motivo si sentiva molto positiva riguardo all'andamento della serata di sabato. Quello che le interessava era fare un discorso a quattro occhi con sua nonna, i suoi galoppini non erano in nessun modo considerati.
“Mi pare ovvio che nella serata di sabato succederà qualcosa.”
“Non è detto. Siamo certi che lei perderà tempo ad appartarsi con me, per farmi un discorso, quando dall'altra parte ha l'intero universo che le scorrazza attorno?”
“Oh, sì che ne siamo certi.”
“Che vuoi dire?”
“Beh, perché se nonna non ti parla sabato non ci sarà nessun'altra occasione per farlo. Il giorno dopo parte presto per un viaggio d'affari e tu torni in Germania tra due settimane. Te lo detto, non avrebbe altra occasione.”
“E tu come fai a saperlo?”
“Ho origliato per sbaglio una telefonata tra mia madre e la nonna prima che tu arrivassi a New York.”
“Al solito. Sei sempre nel posto giusto al momento giusto.”
“Dipende dai punti di vista. Ma intanto fammi finire...” le fece segno con il dito di tacere, così da permettergli di proseguire. Lyric intanto rifletté.
Effettivamente suo cugino aveva ragione. Se era in programma un viaggio d'affari sua nonna non avrebbe cambiato i suoi piani. Cassandra doveva aver convenuto che quello che voleva dirle avrebbe necessitato di poco per essere esposto. Beh, non le interessava. Se voleva agire in quel modo allora non avrebbe fatto proteste, si era aspettata di peggio.
“Allora...visto che l'ultima volta che hai discusso con la nonna di qualcosa di serio hai tirato su un pandemonio.”
“Io non ho mai fatto niente del genere.”
“Volevo dire che quando parli con la nonna di solito diventi abbastanza intrattabile.” Lyric accettò la correzione, infatti aveva ragione, le poche volte in cui aveva parlato con sua nonna ne era sempre uscita distrutta.
“Quindi per affrontare il dialogo che avrai con lei dobbiamo fare tutto il possibile per farti arrivare a quel momento senza stressarti.”
“E questo cosa c'entrerebbe con il colore del mio vestito?”
“Fammi finire... allora, se tu avessi indossato qualcosa dello stesso tono dell'abito di Didi, lei si sarebbe molto arrabbiata e sai quanto me che tra di voi non è mai scorso buon sangue. Se ti avesse visto con qualcosa di lontanamente simile a quello che indossava lei ti avrebbe fatto passare la serata a suon di frecciate velenose e colpi bassi. Naturalmente questo non avrebbe aiutato la tua mente a stare tranquilla e saresti arrivata al momento della discussione già irritata.”
Lyric sbatté le palpebre per qualche istante, cercando di rimuginare sulla spiegazione appena ricevuta. Dopo essere stata certa di aver capito bene si piegò in avanti, in preda alle convulsioni.
Rideva.
“O santo cielo!” esclamò con una mano sulla bocca e gli occhi strizzati dalla ilarità “È una delle cose più contorte che mi abbiano mai detto. Comunque suppongo che ci sia qualcosa di sensato in tutto questo anche se...non ne sono certa.” Alphonse la guardò mentre rideva, con un sorriso sul viso che ricambiava la reazione.
“Comunque grazie.” le disse Lyric dopo un poco, asciugandosi poi le lacrime impigliate tra le ciglia.
“Di niente. Sto solo cercando di ripagare il mio pegno. Sai, tento di essere un uomo maturo.”
Una cosa che le era sempre piaciuta in suo cugino era la sua capacità nel mostrarsi in quel modo.
Era l'espressione che gli si addiceva di più.
Molto tenera.
Semplicemente dolce.
Il volto buono della sua anima allo scoperto.
***
“Guarda che non sono stato io a sbagliare l'accordo. Sei stato tu!” Tom l'accusò senza riserve di tutti gli sbagli commessi durante la prova strumentale di dieci minuti prima.
Georg, come da copione, lo accusò a sua volta di essere lui la fonte di ogni errore. Come al solito quando si trattava di arrangiare un pezzo e qualcosa andava storto si davano contro avvicenda, solo per avere qualcuno contro cui prendersela.
La cosa insolita era che, la prima persona che si lamentava se c'era stato un presunto sbaglio, non era in stanza a rompere i coglioni.
Bill era corso fuori dalla sala prove appena avevano finito la penosa esecuzione della canzone, lasciando litigare il chitarrista e il basista della band mentre il batterista sistemava i piatti del suo strumento. Classico pomeriggio di un gruppo rock allo sbaraglio se non fosse stato che tutti erano più o meno tesi per l'eminente incontro che avrebbero avuto con la Sony.
Finalmente, dopo mesi di lavoro estenuante, una grossa casa discografica aveva palesato il suo interesse ai manager dei ragazzi e aveva espresso il desiderio di metterli alla prova di persona. Se ogni cosa fosse andata liscia avrebbero avuto un contratto da lì a un mese.
Questo difatti infervorava gli animi e faceva salire la tensione alle stelle. L'unico che manteneva un aspetto apparentemente calmo e per nulla turbato era Gustav, gli altri tre invece, erano come gatti indiavolati sul punto di graffiarsi tra di loro.
“Senti testa di minchia, taci per favore che stai dando aria a quella cazzo di fogna!” Georg si sedette su una sedia e cominciò a trafficare con le corde della sua Sandberg, alla ricerca di quella non accordata.
“Merda! Va a farti fottere coglione! Sei davvero irritante quando pretendi di avere ragione ad ogni costo!” Tom alzò ancora di più la voce, cominciando a camminare intorno alla stanza, la fronte il più possibile corrugata dallo stress.
Gustav rivolse ad entrambi un'occhiatina di biasimo con la coda dell'occhio, scuotendo la testa. Non sarebbero riusciti neanche morti a darsi una calmata. Cavoli loro se poi, per colpa del casino che facevano, non fosse riuscito a trovare lo spirito giusto per eseguire alla perfezione i suoi esercizi alla batteria.
Avrebbero poi visto chi si sarebbe incazzato veramente in quella stanza.
In quella nebbia di giovani menti visibilmente stressate e al limite di una crisi di nervi, un cellulare si mise a suonare richiamando dal loro mondo le tre creature. Si guardarono subito nelle ballotte degli occhi per sapere chi di loro si doveva incolpare per quel rumore inaccettabile in un momento così delicato.
A quanto pare l'imputato del crimine era l'unica persona assente.
Tom si mosse alla ricerca dell'aggeggio infernale, sbuffando come un bufalo selvatico. Quando finalmente lo trovò che vibrava dentro lo zaino del fratello, con l'eleganza di un'intera squadra di giocatori di football, lo estrasse fuori. Poi diede un calcio al borsone, facendolo schiantare contro la gamba di un tavolino.
“Il deficiente non è qui a rompere, chi cazzo lo desidera?” Rispose in modo educato.
Dall'altro capo del telefono una voce maschile disse qualcosa di incomprensibile, in un'altra lingua, poteva darsi. Qualcuno, quello che doveva tenere la cornetta, rispose alla prima voce “Alphonse, shut up!”
“Lyric?” domandò il rasta per essere certo di non sbagliarsi. Una tipa che sgridava qualcuno in inglese, con quella voce femminile inconfondibile, non poteva essere che lei.
“Oh, ciao Tom! Sì, sono io. Ma va tutto bene là dentro? Mi sembri piuttosto alterato in questo momento.” Almeno lei, da quello che sentiva, era allegra. La vacanza negli States stava andando per forza a gonfie vele.
Tom mugolò un lamento “Alterato è il minimo che si possa dire! Sono così girato di coglioni che pesterei il primo stronzo che mi capita a tiro. Se mi provocassero comincerei a menare le mani.” nel dire questo Georg si lasciò scappare un sorriso sbilenco, Tom era molto serio riguardo a quello che aveva appena detto, per questo trovava divertente il pensiero di qualcuno così stupido da non capire che non era l'aria giusta per rivolgergli la parola.
Ovviamente la cosa non lo preoccupava, dopo tutto anche se incazzato rimaneva un quattordicenne un po' mingherlino, desideroso più che altro di compierne quindici il settembre venturo. Era una minaccia solo per la sua santa pazienza.
“Tom, prendi un bel respiro per favore? Quando cominci a parlare in modo così sboccato mi diverti, certo, ma ti preferisco quando sei meno volgare. Devi proprio essere preoccupato per l'incontro di domenica se hai cominciato a sclerare come Bill.”
Per qualche infinitesimo di secondo apprezzò la battuta riferita all'altro Kaulitz, tanto che si rischiarò in volto, ma sentendo di nuovo quella cosa che sarebbe accaduta presto gli ritornò subito il crampo all'intestino.
“Sì, signora. Ora cerco di darmi un contegno.” scherzò lui chiudendo gli occhi mentre si lasciava cadere, come un vero e proprio peso morto, su un divanetto che si trovava nella stanza.
Sentì Lyric ridacchiare lievemente “Allora, come va lì signorini Tokio Hotel?”
Tom se la immaginò gongolare sorniona nel pronunciare quel nome.
Fin da quando aveva saputo del nuovo titolo che avevano scelto per la band non c'era stata una sola volta che Lyric non avesse espresso la sua opinione al riguardo. C'era stata anche un'occasione in cui lui e Bill avevano dovuto prenderla a cuscinate per farle smettere di scherzarci sopra così spudoratamente.
Sotto, sotto però quel nomignolo campato per aria le piaceva.
“Aaaaaa...” brontolò lui in modo acuto, rimbalzando con il corpo sull'intera superficie del divano, l'immagine stessa di una presenza distrutta fisicamente e mentalmente “Tu non ci crederai ma i grandiosi Tokio Hotel si stanno cagando in mano.”
“Non è vero, non parlare per tutti quanti.” lo corresse Georg che con un orecchio ascoltava le risposte del chitarrista mentre con l'altro si concentrava per mettere apposto l'amplificatore del suo basso.
“Sì, ha ragione Georg. L'unico che si caga addosso è lui, noi altri siamo solo su di giri.”
“Fottiti Tom!”
“Altrettanto Hagen!”
Tom la sentì ridere nuovamente. Trovava da tempo che quel tipo di umore si addiceva a Lyric molto più che la tetra tristezza. Restò in ascolto con le labbra tirate in un'espressione già più serena di prima, ancora stanca, ma meno tesa.
“Non stento a credere che abbiate paura. Ma sono piuttosto fiduciosa nella vostre possibilità e nel vostro talento. Inoltre se non andrà bene con questa casa discografica ce ne saranno altre pronte a prendere al volo l'occasione. Poi, come sempre, vi farete un mazzo per riuscire in quello che vi siete prefissati e l'otterrete.”
Tipico di lei fare un discorso contorto e lunghissimo per augurare buona fortuna al gruppo. Sinceramente non capiva come facesse a sapere tutti quei termini.
“Sento che hai molta fiducia nel nostro brillante destino.”
“Finché ci credete voi, io non smetterò certo di sostenervi e comunque cosa sono queste lagne? Non vorrai dirmi che hai bisogno del sostegno morale di qualcuno per andare avanti?”
Tom ridacchiò, portandosi una mano sugli occhi per massaggiarseli e togliersi la stanchezza che gli stava incollata addosso.
“Se è il tuo non è che ci dispiace. Comunque non farti strane idee, non mi sto affatto lagnando. Ti esponevo solo la situazione.”
“Certo, certo. Se è così non perdere tempo e lavora.”
“Guarda che ad aver interrotto sei stata tu. Io ho fatto la gentilezza a Bill di rispondere ad una sua chiamata.”
“Se quella di prima vogliamo chiamarla gentilezza allora dovremmo anche ammettere che tu piaci veramente alle ragazze.”
“Le ragazze mi adorano.”
“Sese, credici.” dissero due voci, una era Lyric mentre l'altra apparteneva a Georg che lo stava guardando in modo scettico. Tom gli fece segno di tacere se non voleva ricevere una scarpa volante in fronte.
“Quando sarò circondato da un nugolo di grupies ogni sera ti verrò poi a dire che avevo ragione io.” ribatté sentendo però su di sé lo guardo di scherno di Georg. Girandosi lo vide indicare se stesso e mimare “Quello sarò io, non tu.”
“Sogna pure segaiolo!” fu la risposta immediata del rasta. Al che si sentì Gustav ridere dall'angolo che divideva con la sua batteria.
“Scusa se disturbo il tuo intelligentissimo dialogo con Georg ma sai se Bill torna presto?” ovviamente doveva aver chiamato perché voleva parlare con suo fratello, si era scordato che quello che teneva in mano era il suo cellulare.
“Non lo so. Non so nemmeno dove sia sparito, forse è andato al cesso o a prendersi qualcosa al bar di sotto, non ne ho idea.”
“Capisco...” la pensò riflettere se rimanere in linea ed aspettare chissà quanto che tornasse oppure mettere giù e richiamare, forse, il giorno dopo.
Tom dal profondo del suo affetto per Bill disse “Potresti aspettare in linea? Bill sta sbandando fuori dalla carreggiata e credo che se non gli fai un discorsetto sullo stare calmo arriverà all'incontro con i peli rizzati.”
“Ma non riesci a farlo ragionare?”
“Ti ricordo che sono più o meno nella stessa situazione, non sarei d'aiuto. Inoltre se continua così finisce che lo affogo in una vasca.”
Era una mezza bugia. Avrebbe potuto lasciarlo sbollire da solo, in questioni di tipo professionale Bill riusciva a trovare la forza di riprendere lucidità al momento giusto e questo lo sapeva anche Lyirc. Ma Tom sperava di far leva sull'incapacità dell'amica di lasciare in balia dello stress quel rimbambito del gemello.
E poi Bill aveva bisogno di sentirla.
Si leggeva lontano un miglio che lo scemo bramava di ascoltare la voce di Lyric.
Se ne erano accorti persino i mattoni che a lui mancava, anche se cercava in tutti i modi di dissimulare.
E per dirla tutta lo faceva di merda.
“Non è che non voglia aspettarlo. È solo che non vorrei rubarvi del tempo. Mi preoccupa interferire con il vostro lavoro.”
Tom sbuffò, gli venne in mente quel proverbio famoso
“Dio li fa e loro si accoppiano.” e convenne che c'era un fondo di verità. Quei due tonti ci avrebbero messo una vita prima di concludere qualcosa, era quasi palese che ci sarebbero girati attorno un'eternità.
Di fronte a cose del genere si chiedeva per quale motivo alla fine si preoccupasse tanto.
Lo percepì molto chiaramente, quel cercare di trattenersi da parte di lei, come a provare a non dimostrare che tutto quello che riguardava Bill era al centro di ogni sua più piccola attenzione.
Forse non se ne rendeva neanche conto.
Come pensava erano una coppia di salami.
“Non dire cavolate, per piacere. Dico sul serio, se non ci parli io arriverò ad ammazzarlo per farlo stare zitto una volta per tutte, quindi se non vuoi avere sulla coscienza un omicidio resta attaccata a quel telefono.”
“Thanks Tom.” Lyric lo ringraziò con dolcezza.
“Massì! Io infondo sono una specie di fata turchina.”
“Eh? Ed adesso che stai dicendo?” Georg alzò uno dei suoi indici e lo portò alla tempia, facendolo poi ticchettare contro di essa. Stava dando del mentecatto a Tom.
Come annunciato dal precedente avviso una scarpa del rasta centrò rapidamente il cranio del basista, così che la giustizia si compisse come il cielo comandava.
Gustav, sapendo bene come sarebbe andata a finire da lì a poco, prese in mano la situazione: tolse dalle mani del Kaulitz il cellulare di Bill, così da permettere a Georg di saltare addosso a Tom per suonargliele, impedendo a Lyric di sentire anche solo una singola idiozia che sarebbe uscita fuori.
“Tom?”
“Ciao, Lyric.” lo salutò il biondino sedendosi sulla sedia dietro alla sua batteria, sapendo perfettamente che sarebbe stato protetto da ogni evenienza, poiché i due litiganti sapevano che se avessero toccato anche un solo pezzo del suo strumento, lui li avrebbe uccisi a sangue freddo.
“Oh, ciao Gustav. Mi spieghi cosa è successo?”
“Ordinaria amministrazione: Georg ha preso in giro Tom, questi ha lanciato in testa all'altro una delle sue scarpe e per vendetta l'hobbit sta cercando di massacrarlo di botte.” lo disse con la stessa naturalezza di un inglese che discorre serenamente del tempo.
Per questa ragione Lyric scoppiò a ridere. Era certa che anche in futuro quei quattro sarebbero stati sempre una compagnia di comici.
Mentre Gustav e Lyric si lanciavano in un discorso sulle ultime interessanti novità musicali che lei aveva scovato in madre patria, Tom e Georg avevano fatto qualche scena idiota, rotolando sul pavimento in una specie di insensata e orripilante danza di corpi.
Dopo qualche minuto che Listing lo teneva bloccato contro il suolo Tom decise di cedere l'armistizio.
“Ti arrendi?” chiese Georg mentre sovrastava il rasta con tutto il corpo.
“Sì,sì, va bene! Ora lasciami andare! Il tuo peso mi sta rompendo la schiena!” di fronte alle ultime suppliche lo lasciò andare e poi alzò i pugni verso il cielo in segno di vittoria, ridendo con la sua solita verve.
Tom si sedette per terra, appoggiandosi contro il divano “Questa te la farò pagare, Moritz.”
“Quando vuoi scopettone, ti batto quando mi pare.” il rasta gli alzò un dito medio con la smorfia più carina che al momento gli poteva uscire dal volto. Georg ricambiò con un sorrisone da spaccone.
Tempo qualche minuto di silenzio, in cui entrambi riprendevano le forze, e si erano già dimenticati del perché avessero cominciato a fare la mini-rissa.
Il basista guardò in modo pensieroso Gustav, al momento impegnato a intrattenere Lyric, e poi si voltò verso Tom con le pupille verdi impegnate in una domanda.
“Che c'è?” chiese Tom non capendo cosa fosse quell'occhiata indagatrice.
“Ma...senti...” disse piano Georg avvicinandosi al chitarrista con fare da cospiratore “...quei due come stanno messi?”
Lo aveva già detto, persino le pietre inanimate se ne erano accorte, persino Georg era a conoscenza della cosa, chi altro avrebbe dovuto aprire gli occhi?
Solo due persone, i diretti interessati ovviamente.
“Di merda. Proprio di merda.” fu la risposta che si sentì di dare Tom.
“Ah! Allora non era una mia impressione...” il fatto stesso che Georg Listing per una volta esponesse ciò che capiva da una certa situazione significava che la cosa era ormai del tutto smascherata ed impossibile da fraintendere. Ci mancava solo che Gustav dicesse che l'aveva capito anche lui e i giochi erano finiti.
No return to back.
Capolinea.
Finito.
Era così e basta.
Dovevano solo muoversi.
“Che idioti…” “Voglio dire, non credevo che sarebbero arrivati a questo punto senza aver concluso ancora niente. È come se ignorassero deliberatamente la gigantesca insegna luminescente che scatta ogni cinque secondi sopra le loro teste...”
Metafora azzeccata pensò Tom, anche se sotto, sotto alla fine non era pronto per affrontare il momento in cui si sarebbero finalmente avvicinati in quel modo, ufficialmente, in pubblico.
“Che vuoi che ti dica. Sono così incomprensibili ai miei occhi. Ma non possono semplicemente saltarsi addosso e farla finita?”
Georg gli mise una mano sulla spalla, come a compatirlo “Tom, mio caro, sciocco Tom. Quando si tratta dell'amore non è mai così semplice. Lascia fare come vogliano, noi continueremo a fare finta di non sapere un tubo. Dei finti tonti, come le brave fate madrine devono essere, così da compiere le magie all'insaputa della principessa.”
La porta si aprì violentemente facendo sobbalzare i due ragazzi seduti a terra. Gustav invece si voltò, calmo, per vedere chi fosse.
Bill era tornato ed in mano teneva una lattina di red-bull, ecco dov'era andato a finire.
“Finalmente sei tornata principessa!” dissero in coro Tom e Georg indicandolo.
Gustav rise “È entrato Bill.”
Il nuovo arrivato li squadrò arcigno e sorrise in un modo inquietante. Si portò la lattina alla bocca finendone il contenuto, prima di lanciarla contro le teste dei due cretini che lo avevano chiamato in quel modo “CHI SAREBBE LA PRINCIPESSA?!” crepitò con voce acuta e alterata.
Evidentemente il lungo giro che aveva fatto per comprarsi la bibita non doveva essere servito a molto. Era più incazzato di prima.
Gustav sospirò, rassicurando Lyric per il rumore spaventoso appena udito “È solo Bill che sta per uccidere gli altri due...”
“Invece di starvene lì a pomiciare come due piccioni in calore potreste alzare i vostri didietri e prendere in mano gli strumenti. Sapete avete fatto letteralmente SCHIFO prima!”
No, decisamente era più che alterato.
Era stato un puro caso che se ne fosse andato senza lamentarsi, forse, aveva fatto loro un piacere ad uscire prima che potessero fiatare. Quasi di certo se fosse rimasto li avrebbe devastati a forza di acuti.
Tom e Georg erano imbambolati, incapaci di decidere se era meglio scontrarsi contro di lui con la stessa violenza ( e in quel caso avrebbero ottenuto solo di radere al suolo quella sala insonorizzata) oppure non ribattere per evitare di dover commettere un assassinio.
Come prima ci pensò Gustav a risolvere la situazione “Bill, Lyric ti stava aspettando al telefono da un po', tieni.”
Quando disse la parolina magica il viso di Bill cambiò espressione in un nanosecondo contato, dalla pura estasi del furore passò allo sbigottimento e subito dopo all'incontrollabile attesa. Strappò di mano il cellulare a Gustav con una velocità degna di un felino.
Era un'altra persona, come se non stesse aspettando altro da un giorno intero.
Gli occhi sprizzavano una gioia incalcolabile.
“Lyric...” sussurrò una volta ottenuto il telefono, quasi in devozione.
Era partito, senza via di ritorno.
Andato, caput.
Con la velocità con cui era comparso Bill si dileguò dalla stanza, richiudendo la porta che prima aveva aperto con un calcio. Completamente assorbito dalla chiamata.
“È del tutto fuso.” Pensarono contemporaneamente tre menti, che solitamente non viaggiavano in nessun modo sulla stessa lunghezza d’onda.
Una volta uscito la coppia di scemi ancora seduti per terra si voltarono verso il batterista e dissero “Dankeshon Gustav.”
“Di niente.” fu la sua semplice risposta “Se vi avesse ucciso la band sarebbe stata formata solo da lui e da me e questa sarebbe stata una vera tragedia. Per la disperazione vi avrei raggiunto quasi subito tra la schiera dei morti.”
Sicuramente la chiamata sarebbe durata quel che bastava per andare a bersi qualcosa, per questo i due alla fine si alzarono, riprendendo un certo ordine prima di scendere giù al bar.
“Gustav, vuoi venire anche tu?” chiese Tom sistemandosi la coda dei rasta che si era allentata.
“Uhm, va bene. Ho una certa sete.” accettò il biondo, sistemando da una parte le sue bacchette “Comunque io penso che siano abbastanza comprensibili quei due...” se ne uscì il ragazzo senza preavviso.
Georg e Tom lo guardarono perplessi.
“Stai parlando di Bill e Lyric?” Chiese mister grandi occhi verdi.
Gustav annuì. Era rimasto in ascolto, con il suo fine orecchio, di quella conversazione.
“Vedete la cosa è molto semplice.” Iniziò ad esporre la sua analisi sulla situazione
“Da una parte c'è Bill, così palesemente attratto da lei, che non si decide perché non sa se verrà ricambiato, e sapete quanto alto sia il livello dell'orgoglio di quel ragazzo, detesterebbe un rifiuto, soprattutto dopo aver scoperto i suoi sentimenti davanti ad una persona così importante come è Lyric per lui. Inoltre credo che sia piuttosto intimorito dalla portata della posizione sociale di lei, non tanto perché non si ritiene all'altezza, a lui certe cose non gliene frega niente, ma perché teme di essere incompatibile con il tipo di cultura ed educazione che Lyric ha ricevuto fin da piccola. Crede che se lei starà mai con lui, poi Lyric riceverà critiche per la scelta fatta. Senza contare poi che se diventassero qualcosa di più la loro amicizia potrebbe cambiare e non è certo che la situazione debba per forza migliore in questo senso.”
Fece una pausa per riprendere fiato mentre Tom e Georg rimanevano imbambolati a fissarlo piuttosto stupiti. Spiegata in quel modo sembrava quadrare ogni cosa.
“Poi c'è Lyric: ha appena passato un anno travagliato e difficile, in cui ha ritrovato da poco una certa serenità. Secondo me per lei Bill è già qualcuno di veramente importante, la prima persona nella lista per cui donerebbe volentieri il proprio cuore se fosse necessario. Ma non riesce a inquadrare i suoi sentimenti, non ci riesce perché forse non è ancora pronta per affrontarli. Se lo facesse significherebbe per lei mettersi in gioco. Esporsi completamente e stringere un legame dal significato troppo importante. Però credo che ultimamente se ne sia accorta in modo indiretto. Tenete poi conto che quei due hanno un approccio verso l'amore molto diverso da come lo concepite voi, loro non pensano che il fine ultimo sia semplicemente lanciarsi su di un letto e trombare come conigli.”
Finita la lezioncina da parte di Gustav gli altri due sembravano avere una faccia oltremodo sconvolta, erano piuttosto sconcertati che quei due avessero tutti quegli intrippi mentali.
Vedendoli con quelle facce ammutolite il batterista non riuscì a trattenersi dal fare una battuta “Non preoccupatevi, era scontato che l’unico cervello pensante di questo gruppo fosse il mio. Non ho mai preteso molto dalle vostre menti poco brillanti.”
Dopo di che uscì velocemente dalla stanza, correndo. Da lì a pochi secondi, infatti, sarebbe stato inseguito dagli altri due componenti della band, che avrebbero avuto il chiaro intento di fargli passare l’ironia.
***
Cristallo e seta cangiante.
Luci brillanti e adornamenti d'argento.
Fiori eleganti e profumati, musica classica che viaggiava nell'etere.
Per festeggiare l'anniversario della fondazione della società, la vasta distesa della sala da ballo di villa Silver-Dust era stata preparata con minuziosa cura per ricevere un evento più unico che raro.
Più di un centinaio di tavoli, altrettanti camerieri che avrebbero servito ai suddetti, uno squadrone di cuochi nelle cucine dell'immensa dimora, più inoltre un complesso orchestrale affittato direttamente dal più importante teatro della città. Ogni cosa aveva il suo posto e la sua ragione.
Ogni più piccolo dettaglio era stato controllato e ricontrollato più volte.
La perfezione era il marchio di sua nonna Cassandra.
Quasi si era scordata quanta imponenza poteva scaturire una cena di gala all'interno di quella villa fuori misura. Avrebbe dovuto ritenersi fortunata che a certi eventi avesse già partecipato, poiché se non avesse avuto un'esperienza passata non avrebbe potuto reggere il grondare quasi estenuante di tutto quel lusso. Le persone normali si sarebbero sentite così piccole ed insignificanti dinnanzi a quello spettacolo di astri splendenti.
Le sfuggiva a volte che quello era anche il suo mondo.
Lyric chiuse la piccola pocchette di velluto pervinca con un colpo secco e poi osservò la grande scalinata dell’ingresso, constatando che la villa non aveva perso il suo eterno fascino. Era come se il tempo, tra quelle pietre, non trovasse un appiglio per svolgere la sua funzione di corrosione.
Era un luogo all’apparenza immutabile.
Non si trattenne nel portare una mano sul cuore per controllare che non fosse scappato per qualche motivo. No, c’era. Batteva.
Salì le scale di pietra rosata, per poi trovarsi nella grande anticamera del piano terra, attorno a lei c’erano già un mucchio di persone che chiacchieravano animatamente.
In lontananza vide la testa di suo zio Victor che si avvicinava a salutare un gruppetto di uomini in smoking. Non aveva avuto tempo di accompagnarla di persona, come sempre era il secondo uomo più impegnato della casa. Era già stato bravo a dedicarle due settimane intere quindi non si era aspettata di più da una persona talmente occupata.
Dopo aver dato un colpetto alla grinza inesistente sull'ampia gonna dell'abito madreperlato, s’incamminò decisa verso il grande portone della sala in cui si sarebbe tenuto il ricevimento. Il passo cadenzato dei suoi tacchi a virgola si perse tra le voci dell’ampio corridoio e in pochi minuti superò speditamente il gruppo di persone che camminava nella sua stessa direzione.
Prima di poter giungere a varcare la soglia una mano la prese per il gomito, voltandola.
Si ritrovò davanti il cugino Alphonse, vestito nel suo elegantissimo e costosissimo completo scuro di Paul Smith (capo che non era ancora in vendita al pubblico, per la cronaca).
“Dove stai andando così di fretta? Guarda che non c'è bisogno di correre così allegramente verso il patibolo.” Nel dirlo si stava sistemando con una certa apprensione il nodo della cravatta. Tra i due era visibilmente il più teso.
“L’unico che in questo momento pensa ad un’esecuzione capitale sei tu, io a dir la verità sono calmissima.” Il cugino la guardò male, stringendo in una smorfia uno dei suoi labbri.
Lyric, vedendo l’improvvisa incapacità del suo interlocutore nell’annodare quel pezzo di stoffa, gli tolse le mani dalla cravatta e si prese l’impegno di fargli un nodo decente senza strozzarlo (come invece Allie stava facendo).
“Mi spieghi che ti prende? È solo un cena, nient’altro. Ne abbiamo già attraversati tanti di eventi del genere.”
Il biondo sbuffò, abbassando il petto in modo quasi esausto. Lo sguardo era un po’ tetro.
“Lo so, ma questa è la prima volta che rivedi tutti quanti. Per come sono messi i nostri rapporti famigliari è possibile che questa sera salti qualche testa.”
“Stai scherzando, vero? Ad un evento pubblico di questa portata, come di regola, si comporteranno tutti nel più perfetto dei modi. Inoltre gliene importa poco della mia presenza.” Lyric accarezzò la seta nera della cravatta di Allie, per lisciargliela, prima di convenire che il nodo le era venuto bene.
Le persone intanto li sorpassavano senza degnarli di uno sguardo, tutti esultanti per ciò che brillava attorno a loro, meravigliati per la grandiosità della villa.
Loro due invece a tutto questo ci avevano fato il callo fin dall’infanzia. Da bambini, quando erano solo una coppia di mocciosi infantili e senza grattacapi per la testa, si erano divertiti un mondo a giocare a nascondino tra le colonne imponenti di quei corridoi labirintici.
Purtroppo, molto presto nella loro infanzia, avevano dovuto fare i conti con la posizione in cui erano nati. Erano dovuti crescere in fretta per non essere divorati.
Allie spostò la testa da destra a sinistra, controllando che nessuno di sospetto fosse all’ascolto, poi prese ancora una volta il braccio di sua cugina e la trascinò in pochi secondi in un anfratto buio, sotto a delle rampe di scale.
Le prese le spalle e la inchiodò con uno sguardo molto serio “ Qualunque cosa la nonna voglia dirti devi promettermi che non ci darai più peso di quello che devi.”
Lyric prese le mani di suo cugino tra le sue e gliele strinse per rassicurarlo “Mi spieghi per quale ragione sei diventato così apprensivo? Un tempo non era così, se ti ricordi bene. Eri tu quello che offriva sempre il braccio se traballavo.”
“Guarda, che tra noi due, sei tu quella è cambiata. Io sono sempre il solito inetto che annaspa dentro ad un bicchiere di vino bianco.” La sua voce tradiva pena.
Alphonse aveva l’animo sospeso nell’ansia di veder appagato un suo desiderio.
Ciò che voleva era essere perdonato, aspirava a cancellare le sue colpe. Se non ci fosse riuscito gli occhi accusatori di zia Eleonor lo avrebbero tormentato fino alla fine della sua sciocca vita.
“Sono molto preoccupato. In modo quasi spaventoso.” Si morse il labbro inferiore in un tic nervoso “Perché la nonna è sempre riuscita a fare il bello e il cattivo tempo con tutti noi. Nessuno sembra essere immune dal magnetismo che esercita sulla nostra stabilità, è così pesante da sopportare.”
Il cugino le prese il viso tra le mani morbide e unì le loro fronti.
Lyric si sorprese perché era un gesto così umano, così fragile. Lui non dimostrava mai così apertamente il suo affetto, come lei, si conteneva.
“Ma ora tu sei libera. Sei libera dalla nostra prigione d’argento e cristallo, non sei più costretta ad affondare con tutti noi. Lo penso io, lo pensa zio Vikki e sotto, sotto lo pensi anche tu.” Stava cercando di dirle qualcosa, lo capiva dall’intensità con cui era velato il suo azzurro “Quindi non permetterle di ricacciarti nella fossa. Anche se ti ferirà oppure ti colpirà duramente, non cedere e…”
Lyric rise “Alphonse, credi davvero che dopo tutto ciò che ho passato abbia ancora intenzione di farmi mettere i piedi in testa?” si separò dal cugino “Allora, vorresti spiegarmi cosa ti frulla nella testa per fare certi discorsi?”
Se avesse dichiarato di sentirsi in colpa per averla abbandonata nel momento del bisogno l’anno prima, che risposta avrebbe ricevuto?
“Pentimento” confessò con una vocina sottile e bassa, quasi troppo fievole.
“Allora, in qualche modo hai maturato un briciolo di sensibilità.” E così era questo ciò che lo tormentava maggiormente. Lyric si sentì particolarmente commossa.
Era piuttosto dolce il modo impacciato con cui le stava chiedendo scusa.
“Quindi i miracoli possono accadere…mi sembrava che ti stessi impegnando molto per riallacciare i nostri rapporti.”
“Non scherzare ti prego, già sono teso per quello che potrebbe accadere e comunque anche se non ricevessi il tuo perdono voglio almeno farti tornare in Germania così come sei arrivata….”
Bloccò la valanga delle sue parole mettendogli la mano sulla bocca “Allie, sul serio: stai tranquillo. Andrà tutto bene.” Poteva bastare, non c’era bisogno che si torturasse così tanto.
“Ma…ma…” balbettò il cugino.
Lyric scosse la testa da destra a sinistra “Niente ma. Ora porgimi il tuo braccio e accompagnami in sala. Abbiamo una cena a cui presenziare, ricordi?”
Prima di fare quello che aveva comandato Lyric si avvinghiò a lui in un rapido abbraccio “Inoltre, non c’è bisogno del mio perdono. Non ne hai mai avuto bisogno.”
“Davvero?” domandò Alphonse con l’ansia che cominciava a scemare.
“Davvero.” Confermò lei ridendo.
Allie rise di rimando “Ribadisco il mio desiderio di qualche giorno fa: voglio conoscere Superman.”
“Poi mi spiegherai di cosa stai parlando.”
“Non, mon chou! Il cattivo e figo, sottolineiamo figo, non può rivelare i suoi piani di distruzione. Toglieremo suspense all’intera faccenda!”
Lyric lo lasciò libero dall’abbraccio, scuotendo la testa mentre lo prendeva a braccetto. Neanche dopo cinquant’anni avrebbe mai capito come riuscisse a passare dall’estremamente serio al completamente idiota in così poco tempo.
Tanto valeva accettarlo bacato così come era.
****
Meine augen schaun mich an und finden keinen trost
Ich kann mich nich’ mehr mit anseh’n-bin ichlos
Alles was hier mal war - kann ich nich’ mehr in mir finden
Alles weg- wie im wahn
Ich seh mich immer mehr verschwinden...
Lyric canticchiò le parole pronunciandole appena dalle labbra mentre la luce bluastra della luna la illuminava.
Sfiorò la superficie un po’ fredda delle grandi vetrate di vetro che aveva di fronte, soprapensiero.
Era lontana, in una dimensione in cui la sua psiche l’aveva trascinata senza preavviso e senza ragione.
Chiuse gli occhi, facendosi trasportare dalla musica che riecheggiava come in un sogno dentro la sua testa, provando un desiderio immediato di trovarsi dove si trovavano loro.
Di essere dove era lui.
Cercò poi negli angoli della sua mente la sua voce e un sospiro di soddisfazione rimbombò nel silenzio quando riuscì finalmente a catturarla dai ricordi.
Ich bin nich’ich wenn du nich’ bei mir bist - bin ich allein
Und das was jetz noch von mir übrig ist- will ich nich’sein
Drauβen hängt der himmel schief
Und an der wand dein abschiedsbrief
Ich bin nich’ich wenn du nich’bei mir bist - bin ich allein...
“Dove sei?”
Io sono qui quando invece vorrei esserti accanto.
“Cosa stai facendo?” “Sono nei tuoi pensieri come tu lo sei nei miei?” Spero di sì. Perché, se no, sarei l’unica pazza tra noi due.
“Lo sai che mi manchi? Questo vuoto è peggio di una asfissia.” Aprì di scatto le palpebre, diventando immobile.
Si portò le dita sulle labbra morbide e sentì il tremore che le stava facendo agitare.
La mano poi scese, fino ad arrivare all’altezza del petto e lì vi rimase: il cuore stava gridando.
“Quindi?” “Quindi…non è il momento dei quindi. Non è proprio l’occasione per quel quindi.” Rispose ad alta voce prendendo ispirazione dalla parte razionale di se stessa o forse era quella codarda.
“Prima o poi quel quindi dovrai per forza affrontarlo. Già il fatto di ammetterne l’esistenza significa…” “Non ora.” Zittì la vocina della sua coscienza.
Si girò alle sua spalle perché aveva sentito qualcuno aprire la porta e in un attimo si ritrovò a guardare la figura eretta e salda di sua nonna.
“Non ora…” ripeté a se stessa con vigore.
“Prima devo affrontare lei…pronta bestiolina nera? È il momento di addormentarsi.” Parlò alla sua antica paura, quella che le aveva condizionato la vita dopo la morte di sua madre, quella che era decisa a sconfiggere.
Bill l’avrebbe perdonata se per poco lasciava da parte quei pensieri. Del resto, dopo, si sarebbe lasciata sconvolgere dal loro peso come era inevitabile che fosse.
Quasi sorrise per quella riflessione così semplicistica, in verità, quei pensieri avrebbero cambiato la dimensione stessa dell’universo. Presumendo che il suo cosmo non fosse già tutto sconquassato da tempo, cosa assai più probabile.
“E comunque, se dovesse andarti male, potrai sempre tornare da me. Non avrò problemi nel ricominciare la terapia di risanamento psico-fisico alla Kaulitz.” Come sempre Bill era lì, custodito in lei. Con lei.
Più che altro quel quindi sarebbe stato superfluo però Lyric non era il tipo da facilitarsi così tanto la vita.
Lei era autolesionista.
Almeno quanto lui ma nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso.
“Vai e dimostrale il tuo valore. Lo stesso che mostri sempre a me, ogni giorno.”
Grazie, grazie, grazie, grazie, grazie…
Grazie di queste parole. Sono il mio sostegno, il mio coraggio. Abbracciò quell’incoraggiamento e qualunque timore fosse nato nel suo animo smise di respirare in quell’istante.
“Buonasera, nonna.” Salutò la ragazza, spavalda e sicura per la prima volta dinnanzi a lei. Lyric si diresse con piccoli passi verso quella dama delle nevi che era Cassandra Alysei e prima che potesse capirlo sapeva già che sarebbe andato tutto bene.
Era chiaro, non poteva essere altrimenti.
Come il fatto che l’universo tende al disordine e le persone non smetteranno mai di compiere errori. Sua nonna aveva smesso di essere il suo personale buco nero, non era più la figura più spaventosa della sua vita.
Stringendole la mano poi capì anche di non averla mai odiata veramente, lei aveva sempre solo riflesso l’odio che l’era stato dimostrato. In verità, la reale Cassandra, la vedeva per la prima volta e in quel momento comprese perché zio Victor e sua madre non avevano mai avuto timore di lei.
Era una persona visibilmente stanca dell’esistenza e quasi provò compassione.
Di fronte a quella consapevolezza Lyric pensò che non gliene importava più niente di tutti gli anni di angoscia che aveva pianificato di rinfacciarle. Non dopo aver scrutato in quegli occhi blu ghiaccio una tristezza paragonabile a quella che l’aveva avvolta un anno prima.
Lei era già salva mentre sua nonna, forse, non lo sarebbe mai stata.
Come punizione bastava.
“Allora, sediamoci.” La donna le indicò impassibile le due poltrone posizionate una di fronte all’altra, affianco al camino spento.
Lyric annuì, calma e rilassata.
Si posizionò sulla grande poltrona di pelle e allo stesso tempo cercò di non distogliere lo sguardo dalla sua interlocutrice. Quando questa si sistemò a sua volta parve che fosse passata un’era.
Quel momento sarebbe stato il capolinea del suo passato, doveva essere naturale che ogni cosa apparisse più lenta del normale. Come in un rito solenne e rigido che aveva bisogno di tutto il tempo possibile per essere compiuto nella dovuta maniera.
“Bene, da cosa vogliamo cominciare?” domandò la nipote con un tono che suonava alle orecchie della nonna come assurdamente spensierato.
Per pochi battiti di ciglia Cassandra sentì che tutto era ormai cambiato.
Quella ragazzina di quindici anni, composta ed elegante in quell’abito madreperlato, non era più la nipote tremante che gridava quando di notte aveva gli incubi. Le occhiaie livide che avevano accompagnato i suoi occhi avevano fatto posto ad uno sguardo limpido, sicuro, vivo.
Osservandola così, dopo lungo tempo, le pareva di vederci la sua Eleonor quando aveva cominciato a conoscere la forza di cui disponeva.
“Adorabile, non pensi? Il fatto che il passato trovi sempre un modo per trovarti è assolutamente delizioso, comunque poiché non smetti di soffrire per i tuoi antichi sentimenti spero almeno che non calpesterai quelli giovani di chi ti sta attorno. Papà ti avrebbe rimproverato una cosa del genere.” Victor aveva una terribile lingua biforcuta, avrebbe dovuto evitare di rivolgere alla sua stessa madre quel rimprovero tra le righe, dopotutto non era così mostruosa. Cassandra aveva già cambiato i suoi piani iniziali quando l’aveva vista arrivare al JFK di New York assieme alla sua parente tedesca. Spiandola senza che Lyric se ne accorgesse aveva potuto capire una cosa.
Dentro al suo cuore, Eleonor le chiese di non essere meschina.
Se lei non riusciva più ad essere felice che lasciasse che sua nipote lo fosse, perché provocare altro dolore non era il modo di salvarsi.
Era solo un altro anello della catena che la legava al fondo dell’oceano nero in cui si trovava, tutto qui.
L’idea di concederle la libertà assoluta l’aveva sfiorata quando Victor le aveva fatto il resoconto della missione in Germania. Quando infine aveva visto con i suoi stessi occhi la verità dei suoi racconti si era finalmente decisa.
Cassandra avrebbe voluto annientarla, solo perché si era dimostrata più forte di quanto lei era riuscita a fare. Per spegnere l’invidia di quella vita sanata mentre la sua continuava tragicamente a bruciare.
Ma anni passati accanto ad una persona meravigliosa come lo era stato suo marito le avevano insegnato cosa era giusto fare.
Questo sarebbe stato il primo ed ultimo regalo che avrebbe fatto a Lyric in quanto amorevole nonna.
Cassandra si era un po’ persa nei suoi ragionamenti, tanto che la nipote la fissava chiedendosi se non avesse avuto una paralisi improvvisa. Quando riprese coscienza della realtà l’anziana donna aveva già deciso di non seguire la scaletta che si era precedentemente costruita e per di più, una volta tanto, avrebbe messo da parte la sua rigidezza.
Se quello doveva essere il loro ultimo incontro che almeno le lasciasse il ricordo di una persona in grado di parlare con un minimo di sentimento.
“Avevo preparato una serie di cose ma ci ho ripensato.” Parlò infine la matrona, muovendo poi le labbra in una posa strana per lei.
Era forse una specie di sorriso quello che stava guardando? Era rattrappito e lieve ma era sempre un sorriso e poi aveva cambiato il modo di esprimersi, sembrava più rilassata.
“Vedi, avevo intenzione di terrorizzarti a morte. Minacciandoti nel modo che mi riesce tanto bene quando voglio torchiare qualcuno fino all’esasperazione. E credimi ci sarebbe stato da divertirsi se l’avessi fatto. Ma ho deciso che è il momento di smetterla con questi giochetti. Sei ormai una giovane donna e questo significa che ti devo trattare come conviene alla tua condizione.”
E così sua nonna stava mettendo a terra la spada, voleva trattare civilmente. Lyric sorrise raggiante.
“È una piacevole sorpresa.”
“Che cosa, cara?”
“La tua inconsueta benevolenza nei miei confronti.”
Cassandra ghignò furbescamente mentre prendeva una sigaretta dal contenitore d’argento che aveva sempre appresso. Come sempre era come osservare i gesti di una fata.
La nonna inspirò una boccata dal suo fumo preferito prima di ricominciare a parlare “Io sono sempre stata benevola con te, anche se non te ne sei mai accorta. Come in questo momento, lasciandoti frequentare quelle compagnie…”
Certo, Cassandra sarebbe stata buona ma questo non significava che avrebbe fatto digerire la pillola senza un po’ di amaro come contorno. Lyric non dovette neanche chiedere a cosa si riferisse, questo lo aveva previsto.
“Gli amici che ho in Germania non devono preoccuparti. Sono tutte persone rispettabili, se ti eri posta un dubbio per la reputazione del nostro buon nome, e poi mi sono d’aiuto più di quanto le compagnie da te preferite mi siano mai state.”
L’anziana signora inarcò il sopraciglio destro, stupida dall’audacia. Quindi sotto, sotto il gattino era una piccola tigre. Eleonor l’avrebbe definita una dote di famiglia.
“Prima di lasciarti continuare con il tuo discorso vorrei che mi lasciassi dire delle cose.” Cassandra le fece segno con la mano di proseguire.
Lyric era tornata solo per questa possibilità, la possibilità di spiegare l’evoluzione dei suoi pensieri “C’è stato un tempo in cui la tua considerazione era stata fondamentale. Bramavo avidamente di ottenere una tua attenzione, anche minima, anche per poco. C’è stato un tempo in cui volevo il tuo rispetto.”
“Ora è tutto passato?” domandò Cassandra spegnendo i resti della sigaretta in un posacenere.
“Sì.” Nel dirlo la guardò dritta nelle iridi.
Semplice ma vero, lei era già libera.
Non le sarebbe servito il suo permesso.
“Proprio perché cercavo un modo di essere amata da te non mi sono mai soffermata a chiedermi perché lo stessi facendo. Volevo ottenere il tuo affetto senza domandarmi la ragione. Ero molto infantile.” In lontananza il suono dei fuochi d’artificio che venivano fatti lanciare dal parco arrivò a loro come l’eco di un’esplosione “Però ho smesso di farmi male così gratuitamente, nonna. Da adesso in poi non ti inseguirò più. Non ho più intenzione di farmi trascinare da te in quel luogo buio che è il tuo spirito.”
Cassandra la contemplò in silenzio con il petto che rimbombava di ammirazione.
“Così, ecco tua figlia, Eleonor. Complimenti.” Pensò.
“Lyric, dimmi una cosa.”
“Uhm?”
“Tu sei davvero felice?”
Sua nipote illuminò la stanza con la sola luce del suo sguardo “Non hai idea di quanto lo sia.”
Cassandra mugolò un verso sospirante mentre si appoggiava con la schiena contro l’interno della poltrona, distese le gambe avvolte in quel lungo abito di satin nero e appoggio le proprie mani all’altezza dell’addome. Chiuse gli occhi.
Uno…Se le cose fossero andate diversamente loro due sarebbero andate d’accordissimo.
Due…Se la Cassandra di un tempo ci fosse stata ancora avrebbe fatto tutto il possibile per proteggere quella Lyric che le stava di fronte, qualunque cosa per mantenerla così come era.
Tre…
“Basta aspettare. È il momento di tagliare la sua catena d’oro.” La nonna tenne gli occhi serrati mentre pronunciava finalmente la sua decisione.
“Lyric, sei libera.”
Ecco tutto, niente di più semplice da dire. Era tutto qui.
“Non ti costringerò più a venire qui in America sotto un mio ordine, non intralcerò più la tua vita come ho cercato di fare da quando è morta Eleonor. Smetterò di pensare per te cosa sia meglio per il tuo futuro e la tua posizione. Sei libera di vivere senza tenere conto di essere una Alysei.”
Quando li riaprì vide che la nipote si era quasi alzata da dove era seduta, la bocca semiaperta e lo sguardo dilatato dalla sorpresa.
“Cosa?” balbettò Lyric senza fiato. Incapace di crederci, neanche dopo averle sentite pronunciate da quelle labbra di acciaio e ghiaccio.
“È così, sei libera di fare quello che ti pare. Ti prego solo di rispettare i limiti della decenza e dell’educazione che i tuoi genitori ti hanno impartito. Per tutto il resto hai il completo potere sulle tue azioni. Lo avevi anche prima ma la mia ombra ha sempre rappresentato la costrizione dei tuoi desideri.”
Lyric era rimasta senza parole.
Libera?
Veramente?
Libera di fare ciò che voleva senza essere richiamata dalla sua onnipresente presenza? Libera di non preoccuparsi delle sue opinioni e delle sue opposizioni?
“Libera…” sussurrò non riuscendo a trattenere il flusso di adrenalina che le annebbiava la mente e le bloccava i muscoli.
“Quando vorrai, questa casa sarà sempre aperta per te e anche se non vorrai mai più metterci piede non ci saranno problemi.”
Ecco, aveva finito. Era stato più rapido di quello che si era aspettata, aveva tagliato molto sulle questioni superflue. A quelle ci avrebbe pensato Victor.
Lyric aveva gli occhi praticamente lucidi, evidentemente quel suo permesso aveva comunque il suo valore.
“Ora mi scuserai ma devo andare a porgere i miei saluti agli ospiti, dopo di che andrò a riposarmi. Domani parto per Tokyo.”
Si alzò dalla poltrona, ora che aveva finito il suo dovere voleva andarsene il più in fretta possibile.
“Nonna!” la chiamò Lyric prima che potesse aprire la porta della stanza, anche lei si era infine alzata in piedi “Vorrei che questo non fosse un addio tra noi due. Se fosse possibile, per te, vorrei ricominciare da qui. Alla mamma non sarebbe dispiaciuto.”
Cassandra annuì soltanto e poi sparì dietro lo spesso strato del mogano scuro.
Dopo pochi minuti Lyric si accasciò a terra ormai priva di forze, pur avendo fatto la spavalda, era stata comunque in tensione per tutta la durata del colloquio. Sorrise nella solitudine della stanza, ancora incredula per quello che era successo.
Si sdraiò a pancia all’insù sopra al persiano che copriva buona parte del pavimento e prese grandi quantità d’aria per ristabilire il fiato smorzato.
Era finita.
Rise come una pazza portandosi una mano sul cuore.
La bestia nera era stata fatta fuori. Che meravigliosa sensazione!
“Libera…” assaporò il retrogusto dolce di ogni lettera che componeva quella piccolissima parola.
E così era libera.
Veramente.
L’universo si era davvero smosso.