Vuoi sapere dove si trova l'eternità?

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Gillian Kami
view post Posted on 28/2/2010, 23:12




Salve.
Questo è il prologo della mia storia, una storia che mi è apparsa in un pomeriggio mentre giungeva il tramonto. Ero seduta in macchina quando nel flusso dei miei pensieri mi è apparsa una domanda dal nulla. Da quel quesito che mi sono posta è nato questo racconto. Non so se potrà piacervi o meno ma spero con tutto il cuore che sia così.
Questo mio scritto, che pubblico senza nessun scopo di lucro ai danni dei Tokio Hotel, è una rappresentazione fantasiosa partorita dalla mia mente, infatti i membri dei Tokio Hotel non mi appartengono in nessun modo. I fatti e i personaggi creati da me non sono realmente esistenti e se qualcuno o qualcosa sembra ritrovare dei riscontri nella realtà è solo per puro caso. Questa è solo la mia fantasia.
Ho iniziato questa fanfiction da molto tempo ed è attualmente ancora in corso di scrittura. Lo postata inizialmente su Efp e se vorrete andare là, o l'avrete già letta lì, questa fanfiction ha il medesimo titolo ma il nome dell'autrice è diverso. Prima che possa venire in mente a qualcuno IO sono l'autrice. La qui presente Gillian.
In Efp il nome con cui ho postato la fanfic è "VivienneWest" ma non preoccupatevi Gillian non l'ha rubata a questa Vivienne, Gillian e Vivienne sono la stessa persona, cioè la qui presente squilibrata. Se vorrete fare un controllo accedete su Efp nella sezione dell'autore, leggerete che fa un discorso contorno per affermare che dovete chiamarla Gillian.
Io sono Gillian.
XD, bene vi devo aver confuso, in ogni caso questa fanfic è mia e di nessun altro. Grazie.


Da quello che mi hanno detto è una bella storia e personalmente, con un po' di orgoglio, credo di poterlo confermare. E' iniziata circa due anni fa (credo) e per ragioni a me avverse (scuola e poco tempo) scrivo con molta lentezza, perciò anche se è passato tanto tempo sono ancora qui a scriverla. XD ma finché non mi stancherò, anzi, finché non la finirò non penso proprio che la lascerò da parte.
Siamo attualmente al capitolo 14 su Efp ma non preoccupatevi i miei capitoli sono davvero lunghi (e forse sarà un problema per qualcuno), quindi non temete di leggere poco. Forse avrete molta pazienza da portare per leggerla tutta e magari non capirete qualcosa, nell'eventualità ditemi pure. Io sono pronta ad ascoltare ogni commento, critica o domanda e saprò rispondervi.
Senza indugio vi lascio a questa storia.
Protagonisti? I Tokio Hotel, uno di loro in particolare, sì Lui: Bill.
Di cosa si tratta? Vedrete...
NC17? Scene di sesso crude e nude non ci saranno per ancora un po' ma prevedo di farle (niente di violento, niente di crudo nel senso stretto....tranquille), in seguito, quindi lascio la possibilità aperta fintanto che non le ho ancora scritte. In ogni caso non uso termini volgari, le solite parolacce che diciamo tutti, e nessuna scena violenta.
C'è dolore ma quello è dato dalla mia cattiveria.
Ecco a voi il primo morso.
Posterò il capitolo 1 martedì.
Un bacio e grazie a chiunque leggerà, spero che mi lascere un vostro pensiero o commento. :)
(ps: sì, sono logorroica, abituatevi).

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Vuoi sapere dove si trova l'eternità?


Prologo


- Promettimi che sarai felice.
Promettimi che farai tutto quello che potrai per esserlo.
Promettimi che manterrai questo giuramento.
Ti prego.
-




E’ davvero singolare ricordare memorie così profondamente sepolte da tempo. La sorpresa maggiore sta nel rivedere tali memorie in un momento inaspettato del presente.
A volte spuntano pian piano, quasi a farti la cortesia di non disturbare troppo, anche se alla fine si insinuano comunque. Altre volte non sono così gentili, non usano né tatto né cordialità, arrivando persino a dimenticare l’educazione e divengono invadenti. I ricordi passati irrompono nella mente costringendoti a ricordare qualcosa che si era perduto.
Non sapeva spiegarsi bene perché in quel momento le fossero apparse quelle frasi. Era sorpresa in modo quasi traumatico. Socchiuse le palpebre ed inspirò un poco d’aria prima di lasciarsi travolgere dai suoi pensieri.
Quando?
Qual’era stata la situazione in cui quelle frasi erano state pronunciate?
Chi? Chi era stato a dirle?
Si portò una mano al petto accorgendosi di aver cominciato a respirare in modo irregolare e troppo veloce, senza motivo.
Stava per caso andando in iperventilazione? Questo pensiero, naturalmente, l’agitò ancora di più.
Sì, lo era e ciò era decisamente un problema.
Il respirò divenne ancora più agitato, la mano che si era portata al petto aveva cominciato a stringere i vestiti come a volersi aggrappare a qualcosa, come se se stesse cercando di afferrare la salvezza in qualche modo. Era proprio il momento sbagliato per decidere di avere un attacco di panico, perché era proprio il panico ad averla assalita. Un panico illogico, originatosi da quelle frasi che si era ricordata.
Proprio il momento sbagliato, si ripeteva nella mente mentre si slacciava i bottoni del colletto per non soffocare. La sua stupida auto aveva deciso di sua spontanea volontà di fermarsi in mezzo alla strada, il centro abitato più vicino era a chilometri di distanza da dove si trovava e anche se aveva già chiamato qualcuno per aiutarla, quel qualcuno ci avrebbe impiegato del tempo prima di raggiungerla.
Fantastico!
Era veramente fortunata, quando si trattava di avere sfiga lei prendeva tutto il pacchetto senza lasciare da parte neanche gli omaggi. A volte si chiedeva se fosse stata maledetta da qualcuno quando era ancora in culla.


Promettimi che sarai felice...


Il panico l'assalì più forte. Il peso di quelle parole la fecero sentire impotente.
Perché nel momento della crisi la sua mente aveva la brillante idea di ripeterle le cose che l'avevano portata alla crisi stessa? Era per caso masochista?

Promettimi che farai tutto quello che potrai per esserlo.

Ma perché non ricordava dove avesse sentito quelle parole? Aveva promesso davvero a qualcuno che sarebbe stata felice a tutti i costi? Ma quando? Non era possibile...non era vero.
E poi anche se fosse davvero accaduto di aver promesso, perché quelle frasi erano così importanti da farla star male?
Perché?

Promettimi che manterrai questo giuramento.

Sentì un dolore pungente all'altezza dell'addome, il cuore si era contratto annebbiandole qualche secondo la vista. Il respiro non smetteva di essere agitato ed irregolare. Forse era questa frase, più di tutte, a mandarla nel pallone. Al di là del fatto che non ricordava nulla sul come, sul quando, sul dove e sul perché il punto della questione era proprio questo: aveva mantenuto questo giuramento? L'aveva mantenuto?
Rendendosi conto della risposta a questa domanda il suo stato peggiorò nuovamente.

Ti prego...


Ti prego che cosa?
Che cosa?!
Faceva male, un male insopportabile, tanto che non riusciva a pensare.
Stava affogando nella verità di quelle parole.
Delle parole spuntante fuori dopo che aveva ascoltato quella canzone.
Ansimava pesantemente. Sapeva benissimo come comportarsi in questi casi. L'iperventilazione per due anni della sua vita era stato il suo male costante però lo shock di quella canzone e di quelle parole le avevano azzerato le facoltà mentali.
Era una vera idiota.
I suoi occhi corsero verso il lettore cd della macchina. Quella cosa era ancora là dentro, il display ancora fermo alla canzone n°4. Chiunque avesse avuto la geniale idea di spedirle il pacco con all'interno quel cd doveva aver pensato che avrebbe avuto un qualche effetto su di lei. Bhè,ci aveva azzeccato. Non poteva scegliere niente di meglio per scardinarle l'equilibrio psico-fisico.
Il pacco era arrivato due giorni prima, al suo interno vi aveva trovato un cd anonimo di quelli masterizzati ed un biglietto stampato al computer con scritto soltanto un piatto: Ascoltalo. Il mittente aveva evitato di lasciar tracce di riconoscimento.
In un primo momento aveva pensato che fosse uno scherzo di Kat ma quest'ultima aveva negato tutto con un secco “Non dire cavolate. Ti sembra che sprechi il mio tempo a farti degli scherzi?”.
Accantonata quell'ipotesi non le rimanevano molte alternative che assecondare i desideri del mittente. Avrebbe ascoltato quel cd. Il fatto che fosse accaduto mentre era isolata era stato perché nei giorni precedenti aveva avuto molto da fare e il fatto che avesse voluto sentirlo proprio mentre la sua auto era morta era perché non aveva niente di meglio da fare.
“Di certo non scoppierà.” si era detta prima di inserirlo nel lettore della macchina, sicuramente se fosse esploso avrebbe fatto meno danni. Scelse una traccia a caso, non le piaceva partire dall'inizio dei cd musicali anche se non aveva mai capito il perché.
Si era appoggiata al sedile per mettersi comoda, la mente che volava al pensiero poco rallegrante dell'ennesima noiosa cena con la nonna e tutti i suoi leccapiedi ( o parenti se li si voleva chiamare in altro modo). Era stata una settimana stancante per questo aveva deciso di passare il sabato nella villa di famiglia in campagna. Aveva invitato anche Kat e Diane, l'avrebbero raggiunta verso sera.
Era tranquilla e sola mentre si accingeva ad ascoltare quel cd. Era stata una vera fortuna, perché nessuno avrebbe dovuto vedere quello che era successo dopo.
Nei pochi secondi prima dell'inizio della canzone i suoi occhi avevano indugiato sull'orizzonte arancione, era quasi il tramonto e ogni cosa stava prendendo il colore caldo del crepuscolo che si avvicinava. Il suo cuore era calmo e rilassato, per questo la reazione successiva era stata piuttosto accesa. Era impreparata.
Prima venne il suono dolce e ritmato di una chitarra, una melodia piacevole. Socchiuse gli occhi pensando che non fosse male. Dopo qualche secondo di assolo arrivò la voce del cantante e intorno a sé lo spazio si ricoprì di un suono suadente. Il suo cuore, prima di ogni suo altro organo o senso, fece un sordo rumore. Il suo cuore aveva capito immediatamente di chi era quella voce e avendo capito ciò sapeva anche a chi apparteneva quella canzone.
Spalancò gli occhi, i muscoli si irrigidirono.
“Non è possibile, non è possibile, non è possibile, non è possibile, non è possibile.” Si era ripetuta incredula mentre la sua mano si era portata alla bocca per soffocare un urlo che furiosamente pretendeva di uscire dall'interno del suo corpo.
Li riconosceva tutti.
Perfettamente.
Non poteva dimenticare quel loro modo di suonare.
Non avrebbe dimenticato mai quella voce. Non la sua.
Bloccò il lettore a metà canzone non potendo sostenere un minuto di più. Lo shock era evidente. Furono lunghi minuti in cui precipitò nel vuoto più assoluto.
Cosa avrebbe dovuto fare?
Come avrebbe dovuto comportarsi?
Era così stupido sconvolgersi per così poco! Era solo una canzone!
Era solo una loro canzone, tutto qui.
Sì, certo, tutto qui. Come se fosse davvero tutto qui.
Non era affatto pronta ad affrontarli. Per niente. Non lo sarebbe stata neanche con mesi di preparazione meditativa figuriamoci così inaspettatamente.
Non ere pronta ad affrontare la sua esistenza ancora una volta.
Non dopo che si era imposta di lasciarlo fuori dalla sua vita, non quando si era convinta che era l'unico modo per non creare sofferenza.
I minuti passarono nel silenzio, il suo sguardo non si era staccato di un millimetro dal display del lettore cd. La scritta “track 4” continuava a lampeggiare in attesa di essere ravviato o di essere spento, la decisione era sua. Cosa voleva fare?
Per parecchi, lunghi, minuti si sentì solo il palpitare arrancato del suo petto mentre cercava di capire se era meglio dare retta alla parte di sé che “doveva fare la scelta più ragionevole” oppure a quella che “doveva fare ciò che desiderava di più al mondo”.
Qualcosa di più forte della sua ragione prese infine la decisione e le sue dita si appoggiarono al tasto play.
Lo ravviò anche se aveva paura di farsi male.
Lo fece senza pensarci, lo fece perché ne aveva bisogno.
La canzone ricominciò una seconda volta e lei, inerme davanti al suo desiderio di risentirlo, lasciò aperto il cuore.
Ci aveva provato con tutte le sue forze e aveva anche creduto di esserci riuscita, però, ascoltando quella canzone il castello di carta che aveva costruito per ingannarsi si frantumò.
Tutto ritornò a galla e ogni cosa di nuovo alla luce.
Sia i ricordi felici, che quelli tristi.
Ogni singola parola detta e non detta.
Ogni preciso gesto che era stato compiuto.
I momenti passati con tutti loro.
I giorni passati assieme a quei due.
Gli istanti con lui.
Era veramente una stupida. Tutte le ragioni che aveva pensato per giustificarsi quando si era decisa a mettere da parte tutto questo, in quel momento, capì che erano tutte delle idiozie.
Si era mentita a lungo, si era aggrappata alla bugia che si era creata.
La musica terminò mentre in lei si rimescolavano sentimenti di tristezza e felicità assieme. Ricordare quel tempo era stato piacere ed insieme dolore. Qualche goccia le cadde dagli occhi, bagnandole le guance. Proprio mentre si stava asciugando quelle lacrime sbucarono nella mente quelle frasi.

Promettimi che sarai felice.
Promettimi che farai tutto quello che potrai per esserlo.
Promettimi che manterrai questo giuramento.
Ti prego.


Ed eccola lì, affondare nel panico totale. Il cuore che batteva all'impazzata. Mentre piegava il capo in basso appoggiandolo sul volante, proprio mentre credeva di star per perdere conoscenza si ricordò chi gliele avesse dette. Un lampo improvviso.
Era stata sua madre. Qualche settimana prima di morire.
Era stata lei a fargli quel discorso.
Il suo corpo si bloccò come incantato, rigido come una statua. A quel tempo non aveva capito il senso di quel discorso, l'aveva trovato piuttosto insensato vista la situazione. Come avrebbe potuto essere felice quando sua madre stava morendo, si era chiesta con rabbia ed incredulità. Come?
Le lacrime ricominciarono a cadere e questa volta senza posa. Ora ricordava tutto.
Mancava qualcosa in quelle frasi. Catturò l'ultima parte di quel ricordo.
Sua madre aveva anche detto...

Ti prego, chiediti sempre se quello che hai è davvero ciò che desideri. Domandati se sei felice. Domandatelo sempre. Solo così capirai come comportarti. Solo così non sarà troppo tardi.

Troppo tardi?...era troppo tardi?
Davvero?
Questo pensiero la terrorizzò a morte. Ebbe una paura folle.
Troppo tardi....
Era troppo tardi per rivederlo.
Era troppo tardi per dirgli che le dispiaceva.
Era troppo tardi per mantenere la promessa fatta alla madre.
“NO!!” Gridò quel no con tutta l'aria che aveva. Ci mise così tanta energia da perdere tutte le altre forze che le rimanevano. Svenne con un unico pensiero.
“Dimmi che non è troppo tardi...
Non è troppo tardi… vero Bill?”



 
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....:GiulY:....
view post Posted on 1/3/2010, 10:17




Per un momento mi si è fermato il respiro, molto bella, spiazza.
Quella frase all' inizio:
"Promettimi che sarai felice.
Promettimi che farai tutto quello che potrai per esserlo.
Promettimi che manterrai questo giuramento.
Ti prego"

è bellissima. Quando scrivevi di lei, non lo so come, ma mi sembrava di essere dentro la macchina nel sedile posteriore e di vederla respirare affannosamente e stoppare il CD.
Ora so perché sei First Class Author, mi dispiace di non aver partecipato al sondaggio, ma a casa mia era tutto un casino per la settimana bianca che non ce la facevo nemmeno a leggere una parola di un libro, e questa si aggiunge a delle cose di cui mi pento; bado alle ciance ma ch se lo immaginava che quella frase era della madre morente, non me lo sarei aspettato, spero di trovare in molti capitoli.
Posta presto che la curiosità mi assale!
 
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Lorelei;Gypsy
view post Posted on 1/3/2010, 19:32




Carina, continua =)
Immagino sia un prologo questo...
 
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Fee1702
view post Posted on 1/3/2010, 20:18




E' bellissimo questo inizio. Lo avevo già letto in un altro forum, ma, non essendo iscritta, non avevo commentato e, per mancanza di tempo, avevo smesso di leggere.
Io credevo che fossero di Bill quelle parole, sono rimasta spiazzata anche io.
Attendo trepidante il seguito!
 
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Gillian Kami
view post Posted on 1/3/2010, 23:11




Grazie a tutte voi per i commenti e per il coraggio di aver letto questa mia storia. Sono contenta che vi sia piaciuto il prologo. xD
Naturalmente non vi ho avvertito che ogni mio capitolo da qui in avanti sarà abbastanza lungo e forse vi perderete qualche volta (io spero di no ma ho sempre paura che accada ciò) lungo il mio vaneggiare. In tutti questi casi sono ben disposta ad accettare domande, critiche e quant'altro.
Questo mio primo capitolo l'avevo scritto molto tempo addietro e l'avevo fatto con grande foga, lasciandomi trascinare da una grande ispirazione. Probabilmente non ci troverete niente di speciale ma le storie forse sono sempre un po' banali alla loro origine. Chissà, spero comunque che passiate del tempo piacevole leggendo questo frammento di favolo.
Fatelo con pazienza e andate piano xD
Posto sta sera piuttosto che martedì perché non avrei tempo di farlo domani, ho da studiare molto. Essere al quinto anno mi rende decisamente occupata. xD Forse vi sembrerà che ci siano delle incongruenze ma fidatevi non ce ne sono, tutto sarà spiegato a dovere e si svilluperà in un modo molto chiaro. In sostanza capirete a lungo andare.
Buona lettura.
Gill
________________________

Capitolo 1: Ti stavo aspettando.

“In quel periodo mi chiedevo spesso quale fosse la ragione per cui ero venuta al mondo. Era una domanda che mi ponevo ogni volta che mi capitava di restare sola, quindi, per la maggior parte del tempo.
Ci riflettevo intensamente, con tutte le mie forze, però quella ragione non la trovavo.
Non esisteva in nessun luogo, in nessuna persona, in niente.
Producendo una tale conclusione mi pareva ovvio che la vita che tutti proclamavano tanto importante fosse del tutto inutile. Non poteva essere altrimenti o almeno doveva essere così nel mio caso.
Se a quattordici anni perdi ogni sogno, desiderio e volontà nel vivere ( fattori che riassumo insieme ciò di cui è fatta la vita) allora significa che non c'è alcuna speranza di salvarsi. Era quello che mi dicevo per giustificare la totale apatia in cui mi ero immersa. Era una scusa che avevo accettato volentieri per non dover sforzarmi di vivere per amor di me stessa.
Non speravo in nulla.
Non desideravo nulla,
Non pregavo nessuno.
Pensavo che la salvezza fosse per coloro che la desideravano, non per una che attendeva trepidante il momento di dire sayonara alla vita. Qualcuno, se avesse saputo di quei miei pensieri, avrebbe pensato che ero troppo melodrammatica ma io non lo ero affatto. Più che altro mi ritenevo debole.
Ero troppo debole per poter affrontare la vita.
Dopo tutte quelle disgrazie.
Dopo tutto quella sofferenza, avevo sviluppato una paura terrificante di vivere.
Come era possibile che tutte le persone che stavano intorno a me sembrassero così serene, così forti.
Come? Se nessuno possedeva il mio stesso terrore, se io ero la sola, se io ero sola allora che senso aveva vivere? Se non c'era quel senso allora andava benissimo che non sperassi in nulla, non desiderassi nulla, non pregassi nulla.
Andava bene. O almeno mi illudevo che fosse così...”


***



“Va bene. Fate come preferite. Portatevela via se ci tenete tanto, non mi interessa. Per quanto mi riguarda la Germania è persino troppo vicina.”
Tagliente.
Questo è l'aggettivo che le veniva in mente quando pensava a sua nonna. Tagliente in qualunque cosa facesse. Era quel tipo di donna che quando ti passava di fianco emanava un'aura pesante che atterriva qualunque barlume di fiducia in te stesso. Era quel tipo di persona che amava muovere il mondo in funzione della sua persona e che nel suo potere misterioso riusciva a farlo. Era una figura che aveva sempre ritenuto spaventosa.
Cassandra Alysei era un concentrato di fredda, calcolata, astuzia mista ad un'innegabile fascino. Assolutamente stupido chiunque decidesse di scontrarsi con lei.
Per questo Lyric aveva pensato che fosse stata una pazzia decidere di chiederle il permesso di andare a vivere in Germania, però la proposta così improvvisa di sua zia Freia le era parsa una prospettiva troppo allettante per non rischiare. Il fatto che andasse a vivere in un paese in cui non metteva piede da quando aveva sette anni e in cui praticamente non conosceva nessuno, se non quella zia sbucata dal nulla, non la preoccupava. L'importante era che si dividesse da quella donna.
L'importante era che potesse vivere la sua apatia lontana da lei.
L'importante era non vederla.
Era la madre di sua madre ma non avevano niente in comune che potesse far pensare che avessero dei legami di sangue. Se avesse continuato a dover dividere lo stesso tetto con lei sarebbe sicuramente morta di una lenta agonia. Quella donna non aveva niente a che fare con quello che era una famiglia. Non aveva intenzione di chiamare quella donna “la sua famiglia”.
Si odiavano. Profondamente. Una verità che entrambe conoscevano bene anche se non se l'erano mai detto apertamente. Tale sentimento era palese, soprattutto da parte di Cassandra. In ogni sua parola e in ogni suo gesto si annidava un rancore mal celato.
Lyric non aveva mai capito la ragione di questo odio da parte di quella donna ma visto il comportamento che aveva sempre ricevuto non aveva faticato a rispondere con un egual odio nei suoi confronti. La situazione era poi degenerata alla morte di sua madre Eleonor.
Erano passati sei mesi dalla sua scomparsa ma per Lyric il tempo si era fermato.
Se chiudeva gli occhi poteva ritornare lì davanti alla madre defunta, il giorno in cui si era addormentata per sempre. Lì, inginocchiata davanti al capezzale del letto, con gli occhi gonfi e rossi di lacrime che non smettevano di cadere mentre sua nonna era in piedi dalla parte opposta alla sua.
La sua figura impassibile e lo sguardo gelido che fissavano il corpo di sua madre con fare contrariato, come se Eleonor si fosse concessa di morire senza chiederle prima il permesso, erano rimaste impresse nella memoria di Lyric.
Gli occhi di sua nonna, in quell’occasione, sembravano feriti come se sua madre le avesse osato fare un oltraggio troppo grande da poter essere perdonato.
Lyric avrebbe ricordato per sempre il modo in cui, qualche secondo prima di uscire dalla stanza, sua nonna l'aveva guardata negli occhi trasmettendole rabbia e odio. Si sarebbe sempre ricordata come con quella occhiata le avesse detto: è stata colpa tua.
Dopo la sepoltura di sua madre, Lyric era andata a vivere assieme a sua nonna, divenuta la tutrice legale dopo varie dispute con suo zio Victor, l’unico della famiglia per cui riuscisse a provare del sincero affetto.
Il fatto di dover vivere nello stesso luogo di una persona che odiava e da cui era odiata le aveva fatto passare i sei mesi più lunghi e terribili della sua vita. L'inferno sarebbe stato sicuramente più leggero da sopportare.
E ancora si chiedeva del perché quella donna avesse insistito tanto affinché le venisse affidata quando non sembrava dimostrare nessun particolare interesse al suo bene.
A Lyric sarebbe piaciuto essere stata consolata, le sarebbe piaciuto avere parole d'affetto ma tutto questo non lo aveva ricevuto da Cassandra Alysei. Da lei aveva ottenuto indifferenza, oppressione, sarcasmo e gelo, tutte cose che si potevano riassumere in una specie di tortura psicologica a piccole dosi. Erano stati i sei mesi più desolanti che avesse mai vissuto.
Come essere state rinchiuse in una gabbia da cui non si vedeva il sole.
Quindi quando arrivò sua zia Freia, zia di cui ricordava vagamente l'esistenza visto che alla morte del padre i contatti con il ramo paterno della famiglia si erano affievoliti, Lyric non aveva potuto essere più felice. Anche se non aveva nessuna speranza di migliorare la sua condizione di sofferenza, allontanarsi da quella donna era meglio che niente. Sua zia doveva aver provato un moto di pietà per quella sua nipote così sfortunata, che a soli quattordici anni era diventata orfana di entrambi i genitori. Sicuramente era stato questo il motivo di una così azzardata offerta, si era detta Lyric mentre aspettava fuori dall'ufficio di sua nonna.
Nonostante non avesse bisogno di lavorare per vivere sua nonna continuava imperterrita a sedere sulla sua poltrona di presidentessa. Questo perché secondo lei non esisteva nessuno tra la cerchia di famiglia che potesse ereditare il suo ruolo. Non aveva ancora trovato nessuno all'altezza di diventare presidente di una società potente come la sua.
“Stavo giusto per chiamare la vostra famiglia per chiedervi di tenerla con voi qualche tempo. Un annetto o due sarebbe l'ideale, visto che al momento sono oberata di lavoro per la società. Un impresa come la nostra non si regge in piedi senza qualcuno che lo governi. E poi anche voi siete suoi parenti.” Lyric sentiva ogni cosa perché la porta non era stata chiusa perfettamente e lei era andata ad origliare la discussione.
Fece una smorfia. Come al solito sua nonna parlava come se fosse la dittatrice della terra.
“Credo che si troverà bene da voi. Infondo ci ha vissuto fino ai sette anni.” sua zia disse qualcosa a bassa voce. Sua nonna rispose con una risata che suonava di scherno.
“Crede davvero che mi possa mancare quell'esserino malinconico?” Lyric abbassò gli occhi, fissando i lacci delle sue scarpe, vergognandosi di essere un esserino malinconico. Una cosa che odiava profondamente di sua nonna era la sua capacità di farla sentire male con poche mirate parole. Sicuramente sapeva far leva sulle debolezze altrui.
Era una campionesse nel ferire l’animo di chi non era importante ai suoi occhi.
Ci fu un'altra risata “Di sicuro ne io, ne Lyric, troveremo giovamento nello stare insieme. Non voglio perdere tempo nell'educare qualcuno di così debole. Una nipote priva di forza non mi serve. È del tutto inutile.” Lyric strinse le mani in due pugni chiusi “La sua vista mi infastidisce e non mi è di nessun conforto per la perdita di Eleonor. Non assomiglia per niente a sua madre. Per me potrebbe essere una sconosciuta...”
Sicuramente avrebbe continuato con il discorso ancora per molto se non fosse intervenuta zia Freia zittendola “La smetta per favore! Ho capito. Se lei dà il suo assenso la bambina verrà con me in Germania. Non dovrà più sopportare di vederla. Appena i documenti saranno firmati partiremo. Arrivederci signora Alysei.” la voce della zia era come disgustata. Non era abituata ad affrontare il veleno di quella donna. Poverina.
Lyric, impassibile, rimase in piedi vicino alla porta e lasciò che sua zia uscendo dall'ufficio la vedesse. La giovane donna non disse nulla, la prese solo per mano e la portò via.
I documenti furono firmati tre giorni dopo. I bagagli per il viaggio pronti il giorno dopo ancora con il resto della sua roba già spedito prima della firma. Nessun saluto o parola da parte di nipote e nonna. Nessun tipo di contatto. Soltanto un insensibile “addio” pronunciato da quella donna prima che Lyric varcasse il check-in dell'aeroporto ed uno sguardo tra di loro, in cui il blu notte degli occhi di sua nonna trasmisero gelo.
Semplicemente desolante.

***



La morte di suo padre fu la prima grande ferita del suo cuore.
Accadde quando lei aveva appena nove anni, un evento tragico che le sconvolse la vita. La causa fu un incidente stradale causato dallo scontro con una macchina guidata da un ubriaco, una vera fatalità. Sua madre per lo shock ebbe un crollo di nervi e stette in ospedale per un mese intero. Oltre al dolore provato per la perdita del padre, Lyric temette per la prima volta nella sua vita di poter rimanere sola. Sperimentò sulla sua pelle lo sterile tocco della solitudine e ne ebbe una paura atroce. Furono i tempi in cui scoprì la sua fragilità.
Eleonor successivamente riuscì a ristabilirsi e con grande forza tornò alla vita normale. Fu un vero sollievo per Lyric poter riavere indietro la madre. Le rimaneva lei anche se aveva perso suo padre, dopo tutto non era ancora sola.
La vita però le decretò un destino veramente triste e senza preavviso le portò via anche Eleonor. Il suo cuore si era spezzato un'altra volta.
La solitudine a cui sentì di essere destinata, divenne come un presenza personificata che l'accompagnava passo dopo passo. Le ricordava continuamente che era sola, le rammentava che tutte le persone che aveva amato l'avevano abbandonata e le prediceva lo stesso fato se solo avesse provato a legarsi di nuovo a qualcuno.
La solitudine era dolorosa, una bestia nera che viveva dentro di lei, alimentata dalle sue debolezze e dalle sue insicurezze, una creatura dal ghigno beffardo, assolutamente orribile. Con la terribile presenza di questa compagna indesiderata Lyric aveva perso la possibilità di sorridere. Non ricordava neanche più l'ultima volta che avesse compiuto quest'azione. Non sapeva neanche se lo sapesse più fare. Però non le importava. Quello che le restava da fare era lasciarsi vivere.
Con questo stato d'animo arrivò in Germania.
La città in cui sua zia decise di farla stare si trovava lontana da Berlino. Zia Freia aveva ritenuto che sarebbe stato meglio per lei vivere in un luogo non troppo grande e caotico, per questo aveva fatto preparare una delle residenze di proprietà della famiglia.
“A dir la verità l'aveva comprata tuo padre.” le spiegò la zia mentre erano in macchina dirette alla fantomatica casa “Diceva che una volta finiti gli impegni in America vi avrebbe riportato tutte qua. Diceva che non c'era posto migliore della buona vecchia Germania. Seb ha sempre avuto un grande amore per il suo paese.” lo disse senza far notare alla nipote la vena di malinconia che abbracciava le sue parole.
Lyric cambiò discorso “Zia, puoi benissimo tornare a parlare tedesco. Sono passati anni da quando vivevo qui però lo parlo ancora. Devo solo rispolverare un pochino il mio vocabolario.”
“Oh cielo! Scusa! Credevo che te lo fossi dimenticato quindi mi era parso ovvio parlare inglese.”
Lyric scosse il capo “Fa niente.”
Era abituata a parlare entrambe le lingue visto che ambedue i suoi genitori avevano sempre ritenuto giusto farlo. Naturalmente negli ultimi anni, per quanto sua madre e lei parlassero qualche volta in tedesco, l'uso della lingua paterna era fortemente diminuito alla sua scomparsa. Infondo le occasioni per farlo erano state poche e anche se alquanto strano, lei e sua madre non avevano più messo piede in Germania. Lyric lo imputava alla sofferenza che avrebbe scaturito in sua madre il ritornare nella terra in cui era stata tanto felice con suo marito. Per quanto forte fosse stata, sua madre era pur sempre stata una persona.
“Vabbè. Per il momento andrà benissimo che tra di noi si parli in inglese. Non voglio costringerti a cambiare improvvisamente abitudini. Quel che conta è che ti abitui piano, piano a questa nuova realtà.” Sua zia Freia si voltò alla sua destra per poterla guardare “Ho sempre ritenuto che le decisioni, come i cambiamenti, non dovessero essere repentini. Quindi non c'è fretta di cambiare. Non c'è nessun sbaglio nel volere restare attaccati a qualcosa. Ciò che conta è capire in piena consapevolezza quando è il momento di mutare tale attaccamento.” Sua zia si avvicinò a lei “Quindi anche se adesso non riesci a cambiare arriverà il momento in cui desidererai farlo...” La zia le sfiorò il dorso della mano ma Lyric la scostò, rimase a guardare sua zia qualche secondo prima di voltarsi a fissare le cose fuori dal finestrino. A quanto pare zia Freia era brava a capire ciò che passava per la mente di qualcuno. Bhè, almeno non sfruttava tale qualità per fare del male, come sua nonna.
“Come si chiama la città?” domandò la ragazzina dopo un periodo di silenzio in cui era rimasta a fissare le macchine che sfrecciavano accanto alla loro. Erano veramente degli insetti in confronto alla Cadillac nera di sua zia. Pensò distrattamente che negli Stati Uniti macchine simili sarebbero state considerate microscopiche.
“Magdeburg. È una città non troppo grande e non troppo rumorosa. Suppongo che Seb l'avesse scelta per questo, è l'ideale per una vita tranquilla.”
“Non avrai problemi con il tuo lavoro?”
“Per quello non preoccuparti. Posso benissimo fare la pendolare e poi sono io il capo là dentro. Posso fare quello che voglio.” dopo qualche secondo di silenzio sua zia scattò “Ah! Naturalmente la casa è intestata a tuo nome.”
“Ah, davvero?” Lyric la guardò con la bocca leggermente aperta, si era spaventata a causa dello scatto.
“Già-già” annuì con convinzione sua zia, muovendo la testa su e giù “È di tua proprietà. Come anche tutto quello che i tuoi genitori ti hanno lasciato in eredità.”
“Ah... e cosa mi hanno lasciato?” Non si era mai chiesta cosa di preciso i suoi genitori le avessero lasciato. Sapeva che un'eredità c'era ma in quei sei mesi era stata l'ultima cosa a cui aveva pensato. Zia Freia rimase leggermente incredula.
“Lyric, ma ti hanno mai detto niente? Tua nonna non ti ha mai messo al corrente?”
“Riguardo all'eredità di papà sapevo che ci fosse e sapevo anche che c'era stato un testamento. Però la mamma non me ne ha mai parlato, credo avesse pensato che non era necessario farmi sapere cosa papà ci aveva lasciato, visto che lei era ancora viva ed era in grado di mantenere entrambe. Quando poi è morta a sua volta non ho pensato di informarmi” Freia la guardava a bocca aperta, con una domanda sulla punta della lingua “No. La nonna non mi ha detto nulla su quello che mamma e papà mi hanno lasciato.” rispose lei prima che potesse farle la domanda. Naturalmente zia Freia cominciò a mormorare velocemente degli impropri in tedesco contro sua nonna, ad una velocità tale che Lyric non riusciva a stare al passo. Era piuttosto rossa in volto, sembrava una pentola a pressione che da un momento all'altro avrebbe cominciato a emettere fumo dalle orecchie.
“Bé, domani chiamerò il notaio di famiglia per informarci della lista precisa di cosa ti ha lasciato Seb.” affermò dopo qualche minuto passato sicuramente a lanciare degli anatemi contro quella donna “e ci informeremo anche sul testamento di tua madre. Quella megera...” imprecò in tedesco.
Sua zia si dimostrava alquanto emotiva.
“Comunque sotto firma del tuo tutore legale, che al momento sono io, puoi usufruire di tutti i soldi che ti hanno lasciato e sono parecchi. Economicamente sei a posto.” Lyric evitò di dire qualcosa. Non le interessava particolarmente sapere di quanto denaro disponesse, infondo le avevano insegnato che i soldi non erano tutto. Anche se apparteneva da entrambe le parti a famiglie benestanti la cosa non le era mai interessata più di tanto. Per quanto il suo nome potesse essere influente e il suo potere economico enorme non era di certo interessata a questi aspetti della sua persona. A Boston era stata attorniata da una cerchia di persone della stessa pasta di sua nonna ma aveva sempre ritenuto che quel mondo non fosse il suo. Come sua madre del resto.
Il viaggio proseguì poi nel silenzio finché non giunsero a Magdeburg.
“Eccoci arrivati!” annunciò sua zia quando l'auto finalmente si fermò davanti a dei cancelli di ferro battuto. I portoni furono aperti e a dieci metri da esso, lungo un sentiero alberato, la sagoma di una villa dall'aspetto vissuto si parò davanti allo sguardo di Lyric. Non era grandissima ma faceva la sua figura.
Ad una prima occhiata Lyric pensò che era da suo padre scegliere qualcosa che avesse l'aria di vissuto. Una volta le aveva detto che riteneva che le cose di quel tipo avessero un'anima più interessante. Era un posto carino, pensò con noncuranza mentre scendeva dalla macchina. Sua zia sorrideva raggiante “Ecco qui la nostra nuova dimora! Benvenuta a casa!”.
Intanto che i bagagli venivano portati dentro, lei e sua zia fecero un giro della casa. Era una tipica villetta con giardino. Aveva i muri intonacati di un piacevole rosa-pesca con dei rampicanti su quello rivolto ad ovest. Il giardino era piuttosto ampio, con un bel prato verde ed una serra per fiori in disuso. All'interno c'erano sei stanze da letto, due saloni, quattro bagni, una cucina con relativa sala da pranzo adiacente ed una palestra che sua zia aveva fatto aggiungere prima del loro arrivo, il tutto suddiviso su due piani.
Lyric rispettò l'entusiasmo di zia Freia ma non cercò di parteciparvi. Quel luogo, per quanto bello che fosse, non era casa.
Più tardi, verso sera, nella stanza che zia Freia aveva insistito che scegliesse da sola, Lyric si ritrovò a rimanere sdraiata nel buio. Stava respirando attraverso un sacchetto di carta praticando il metodo che il medico le aveva consigliato nei momenti di iperventilazione. Gli attacchi di quel genere erano comparsi da quando la madre era morta. La prima volta fece così male che aveva pensato di star morendo.
Il dottore le aveva spiegato che era tutta una questione di stress e stato emotivo. In situazioni di agitazione o di panico poteva capitare di avere attacchi improvvisi di iperventilazione. A lei erano capitati molto spesso in quegli ultimi mesi, tanto che ormai era diventata un'abitudine sdraiarsi a pancia in su, con le gambe alzate e un sacchetto di carta sopra alla bocca all'arrivo di una crisi. Avrebbe dovuto evitare di angosciarsi troppo o di subire lo stress continuo che accumulava, però non sapeva come fare.
Mentre inspirava ed espirava aria dal sacchetto si chiese se non lo facesse apposta ad agitarsi. Forse era l'unico modo che l'era rimasto per ricordarsi che a dispetto di tutto aveva ancora una vita. Forse era il suo modo per dirsi di svegliarsi.
O forse era un modo per arrendersi.

***



Passarono sette giorni senza particolari avvenimenti.
Lyric e sua zia furono piuttosto impegnate a sistemare i mobili che quest'ultima aveva fatto trasportare dal suo appartamento a Berlino. Differentemente dal padre, sua zia amava molto l'arredamento moderno, quel tipo di arredamento che sua nonna avrebbe definito “buono solo per persone frivole o hippy restii a scomparire dalla faccia delle terra.”
Dai divani ai piatti si poteva scorgere l'amore di Freia per i colori vivaci: per esempio il divano sistemato nel primo salone era assurdamente rosso e le poltrone erano di arancione luccicante, per non parlare del tappeto verde fluorescente che aveva aggiunto nella medesima stanza. Vasi di vetro di murano pieni di fiori freschi in ogni spazio libero e uno spargimento quasi spaventoso di quadri, di cui l'esemplare più strano, Lyric lo riteneva, fosse quello da un metro per un metro completamente indaco con al centro un solitario puntino bianco. Chiunque entrasse in quella casa non poteva accusare gli abitanti di essere monocromatici.
Lyric apprezzò il tentativo di sua zia di rallegrarla nei giorni seguenti ma non si sentiva per niente in grado di rispondere positivamente a tale sforzo. Cercò in tutto quell’arco di tempo di recitare la parte della nipote serena anche se indubbiamente non doveva essere stata brava nel farlo.
Un Sabato pomeriggio, infatti, sua zia le chiese di fare una strana commissione “Sarebbe fantastico se tu potessi andare a prendere questa cosa per me.” le diede un foglio con su scritto un indirizzo.
“Non può pensarci Karl?” Karl era il loro maggiordomo.
“Purtroppo è molto impegnato qui in casa.” la zia sorrise e Lyric alzò un sopracciglio in un'espressione di perplessità, le sembrava di aver appena visto Karl poltrire in cucina davanti ad una tazza di tè.
“Ma io non so come arrivarci in questo posto.”
“Ti accompagnerà Steven.” Steven era il loro autista.
Lyric inarcò l'altro sopracciglio ma se Steven l'accompagnava non era più semplice mandare direttamente lui a fare il lavoro? Sua zia continuò a guardarla con un sorriso sulle labbra mentre rifletteva su questi punti e osservando meglio la sua espressione Lyric comprese.
“Zia, non è che per caso vuoi solo mandarmi fuori di casa per un po'?”
“Noooo!” usò volontariamente un'espressione finta.
“Ok. Va bene. Ci vado anche se non so che bisogno ci sia.” acconsentì la nipote.
“Ti farà bene un po' d'aria fresca.”
“Per quella c'è anche il giardino.” mormorò Lyric mentre si congedava. Che fosse l'aria fresca del giardino o di qualunque posto fuori dai cancelli della villetta le cose non cambiavano. Non per così poco.
La commissione riguardava prendere un mazzo di fiori in un negozio esageratamente lontano dalla casa. Di sicuro zia Freia aveva pensato che vedere posti nuovi avrebbe sortito qualcosa di positivo in lei. Lyric ritenne che fosse stato un tentativo piuttosto maldestro. Infondo aveva fatto tutto il tragitto in macchina e quindi il contatto con l'esterno era stato limitato.
Stava accingendosi a salire in macchina quando Steven le consigliò di farsi un giro a piedi prima di tornare a casa.
“Te la chiesto mia zia” la faccia del suo autista quarantenne fu piuttosto chiara.
Lyric sbuffò.
“D'accordo. Va bene, facciamo come vuole lei...ehm...quindi devo farmi un giretto per rischiararmi i pensieri?”
“Già. Io l'aspetterò qui.”
“Ok. E quanto soddisfacentemente lungo dovrebbe essere il mio giro prima di tornare da te?”
“Una mezzora andrà più che bene.” Lyric sospirò rassegnata. Se questo è quello che voleva Freia.
Con un entusiasmo praticamente nullo si avviò per il suo “giro”.
Camminò distrattamente per qualche minuto stando parzialmente attenta a non allontanarsi troppo. Arrivata ad un bivio imboccò la strada a destra, la percorse interamente fino a trovarsi all'entrata di un parchetto. Guardò l'orologio notando che erano passati soltanto una decina di minuti. Sospirò annoiata.
Non aveva per niente voglia di camminare ancora quindi decise di fermarsi lì e restarsene seduta per i fatti suoi.
Era un parco piuttosto piccolo: da una parte c'erano i giochi per i bambini tra l'erba e dall’altra parte una fontanella che zampillava acqua. Si sedette di fronte a quest'ultima. Ad animare il silenzio leggero di quella oasi di verde c'erano solo le voci di qualche bambino sulle altalene, accompagnate dalla presenza delle madri e dal cinguettare rado di un paio di piccioni. Intorno a sé c'era un'atmosfera calma e rilassata.
Però lei non si sentiva ne calma ne rilassata. Si sentiva irrequieta ed irritata.
In lei scorreva il pensiero irrazionale che tutto il mondo la stesse prendendo in giro. In un posto così pieno di pace e di persone felici lei si sentiva inadeguata ed estranea. In quel parchetto dove i bambini sorridevano alle madri lei si sentì semplicemente presa in giro dalla vita. Così stronza da farle vedere quanto gli altri stessero meglio di lei. Chiuse gli occhi cercando di darsi una calmata. Non era il momento di farsi venire un attacco,no, non era il momento. Il buio cominciò a farsi spazio dentro di sé. Li riaprì immediatamente, turbata da un'immagine così spaventosa.
Intanto il suo spazio visivo si era riempito di tre nuove figure.
Erano dei ragazzi: un armadio corpulento, un ceffo dalla faccia per nulla sveglia ed un ragazzo che doveva avere più o meno la sua età.
Quest'ultimo era vestito con dei jeans oversize che faticava a credere potessero restare attaccati alle gambe di una persona normale, sopra ai pantaloni aveva una maglietta altrettanto grande che dalle maniche faceva penzolare due lunghe braccia. Aveva i capelli biondo scuro, divisi in tanti lunghi rasta che teneva legati con una coda alta. Era un look che avrebbe visto passare inosservato se fosse stata in America ma quella era la Germania e i gli adoratori di Eminem stavano dall'altra parte dell'oceano.
Assomigliava ad una versione europea di un cantante hip-hop americano, era strano vedere un individuo del genere in mezzo ad un parchetto tanto comune. Lyric rimase a guardarlo stranamente incuriosita da quella nuova presenza. Il ragazzo in questione stava parlando con il pachiderma che le dava le spalle.
Da dove era seduta non riusciva a sentire cosa si dicessero ma dall'espressione contrita del ragazzo dalla faccia di bradipo rivolta verso il rasta Lyric pensò che, molto probabilmente, stavano discutendo. Osservò anche che il tipo tarchiato che serrava sempre di più le mani in due pugni ad ogni parola pronunciata dal ragazzo biondo.
Chissà cosa si stavano dicendo?
Il rasta sorrideva in un modo che Lyric ritenne strafottente e piuttosto derisorio, come se stesse provando una certa soddisfazione nel vedere l'effetto che producevano le sue parole. Lo vedeva sprezzante nel modo di porsi: mani in tasca, capo leggermente inclinato, l'aria di sfida e di superiorità nei suoi occhi nocciola. Non era un'aria da snob ma piuttosto l'aria di uno che credeva ciecamente in se stesso. Dal suo sguardo divertito alla piega ghignante sull'angolo destro delle labbra, quel ragazzo sprizzava una cieca sicurezza in se stesso. Sembrava così pieno di autostima.
E la cosa le diede un certo fastidio. In qualche modo le ricordava la sicurezza che sprizzava da ogni suo poro quella vipera di sua nonna. Provò l'irrazionale desiderio di alzarsi e dargli uno schiaffo con tutte le sue forze. Distolse lo sguardo dal ragazzo ritenendo che stava decisamente perdendo la ragione se cominciava a pensare di prendere a schiaffi uno sconosciuto. Forse era meglio tornare a casa.
Nel momento stesso in cui formulò questo pensiero accadde l'inaspettato: i tre ragazzi si misero a fare a pugni.
Non era perché non aveva mai visto nessuno darsela di santa ragione il motivo per cui rimase ferma seduta a guardarli come se fosse l'ultimo esaltante spettacolo di un circo. Era piuttosto l'inaspettata sorpresa di vedere quel rasta, che non sembrava particolarmente dotato fisicamente, tenere testa a quei due bisonti.
Il ragazzo prese tra le mani la testa di quello rimasto in piedi e gli diede una violenta testata non riflettendo sul fatto che era una mossa poco furba. Il contraccolpo e la sicura durezza della fronte avversaria aveva fatto del male più a lui che all'altro.
Gridò “MERDA!” mentre si portava una mano sulla zona dolorante “Ma che cazzo hai al posto della testa?!” il bisonte più sorpreso della mossa usata, che dolorante per il colpo subito, ne approfittò per dargli un pugno nello stomaco.
Lyric si era alzata, trovandosi inspiegabilmente a pochi metri di distanza. Si era avvicinata senza ragione.
Aveva gli occhi sbarrati e la sensazione di trovarsi davanti ad una scena piuttosto irreale. Stava accadendo sul serio? Se sì, doveva forse chiamare qualcuno per fermarli?
Nel porsi tali domande vide che il ragazzino si era ristabilito e questa volta quello pensò bene di colpire una parte più sicura: sferrò un calcio in mezzo alle gambe dell'avversario mentre con un pugno faceva nuovamente atterrare a terra l'altro ragazzo. Sembrava sul punto di vincere.
Pensò Lyric, ancora indecisa se andarsene e lasciare che continuassero a menarsi oppure rimanere lì e lasciare che continuassero a menarsi davanti ai suoi occhi.
Scelse la seconda opzione. Infondo era curiosa di vedere chi avrebbe vinto.
Al culmine dello scontro, quando sembrava che le cose andassero per il meglio, il rasta si ritrovò incastrato da dietro dal ragazzo- faccia-di-scimmia mentre il suo compare sghignazzando si preparava a usarlo come sacco da boxe. Sicuramente sarebbe stato ridotto male e i pugni che stava per ricevere sarebbero stati molto violenti ma quel ragazzo, come se niente fosse, manteneva quella sua insistente espressione di sicurezza. Questo fece irritare molto il tipo grasso e allo stesso tempo anche Lyric. Come faceva a stare lì con quella faccia? Come?
Era forse affetto da masochismo?
Allora Lyric fece una cosa molto stupida.
Presa da non sapeva quale raptus si avvicinò alla schiena dell'armadio e con la borsa a tracolla che aveva con sé lo colpì per farlo girare. Appena questi lo fece Lyric gli tirò una nuova borsata, questa volta in pieno volto e con una forza tale da fargli immediatamente sanguinare il naso. Il tipo, preso alla sprovvista, si portò le mani sulla protuberanza ferita ed indietreggiò di qualche passo. Intanto il suo socio sbigottito dall'entrata in scena aveva allentato la presa. Il rasta ne approfittò per dargli una gomitata e allontanarlo da sé.
“E tu chi sei?!” le urlò contro il grassone insanguinato.
Lyric che non capiva per quale motivo avesse agito così, fissava il grassone a terra pensando che non avrebbe dovuto intromettersi. Idiota!
Era palese che non avrebbe dovuto intromettersi!
Doveva per forza aver lasciato il cervello a casa.
Dallo sguardo che il tipo sanguinante le stava rivolgendo era chiaro che gliela avrebbe fatta pagare. Forse se si scusava se la sarebbe cavata...
Forse...
Prima che potesse dire qualunque cosa il ragazzo con i rasta aveva già deciso per entrambi. Le prese la mano e senza molti indugi cominciò a correre. Trascinandola a forza fuori dal parco. Lyric, che non sapeva cosa diamine fosse accaduto, semplicemente corse mano nella mano con il ragazzo senza minimamente pensare. Corsero senza mai fermarsi finché non si bloccarono chissà dove.
Lyric era dietro di lui, gli stava guardando le spalle chiedendosi che cosa sarebbe accaduto ora. Il ragazzo si girò verso di lei con la bocca aperta nell'atto di riprendere fiato. Lei notò per la prima volto che portava un percing al labbro inferiore della bocca, lo fissò qualche secondo chiedendosi se non facesse male portarlo proprio lì. Abbassò ancor di più lo sguardo fissando inspiegabilmente il sudore lungo il suo collo che faceva su e giù. Fece risalire i suoi occhi fino a quelli di lui. E rimasero poi fermi ed immobili a guardarsi senza dire una parola. Finché quello non si decise a parlare.
“Perché cazzo ti sei intromessa nei miei affari?!”
Lei, sorpresa dal tono usato, inarcò il sopracciglio guardandolo male “Come prego? Vorresti ripetere per favore?”
“Perché ti sei intromessa? Deficiente!” ripeté lui come se si stesse rivolgendo a qualcuno di non particolarmente sveglio.
Lyric inarcò anche l'altro sopracciglio “Se io non mi fossi intromessa a quest'ora saresti riverso al suo suolo nel tuo stesso sangue!”
“E se io lo avessi voluto?! Eh?! Se mi fosse andato bene essere pestato a sangue, ti saresti intromessa lo stesso?!”
Le caddero letteralmente le braccia “Ma stai dicendo sul serio o ti sei drogato?”
“Sto dicendo sul serio!”
“Allora sei un'IDIOTA!”
“NO che non lo sono!”
“Sì che lo sei! Un idiota con la I maiuscola!”
Il ragazzo proseguì “Stava andando tutto così bene finché non sei arrivata tu!”
“Come stava andando tutto bene?” ma con che razza di cretino era finita a parlare?
“Se non te ne fossi accorto ti stavano per fare la pelle! Idiota. Come diamine pensavi di potertela cavare?”
“Ce l'avrei fatta.”
“Certo perché sei superman vero?”
“No. Perché io sono io.” nel pronunciare questa cosa il ragazzo assunse nuovamente l'aria di totale fiducia interiore che lei aveva visto prima. Fece persino un sorriso compiaciuto. Era una risposta strafottente che la diceva lunga su come quel ragazzo vedesse se stesso. Lyric si trattenne dal fare una smorfia.
“Ah sì. E tu saresti?”
“Tom Kaulitz.” rivelò in tutta tranquillità, come se la risposta fosse ovvia e sufficiente.
Forse avrebbe dovuto lasciare che venisse pestato. Sì, forse sarebbe stato meglio. Almeno così non avrebbe dovuto sostenere quella conversazione inconcludente.
“Tom...te lo ha mai detto nessuno che sei nato stupido?”
“Sì, mio fratello, decine di volte al giorno.”
“Fantastico! Dagli retta.”
Ci fu un secondo di interdizione da parte di entrambi. Lyric lo guardava con un'espressione assolutamente truce mentre Tom la fissava indeciso sul da farsi. Aprì la bocca per dire qualcosa ma ci ripensò subito dopo richiudendola. Fece circa tre tentativi nello stesso modo, con Lyric davanti a lui che aspettava. Sembrò arrivare ad una conclusione.
“Ok. Ricominciamo da capo.” si grattò la fronte con l'indice come se in quel modo potesse schiarirsi le idee “Mi vorresti spiegare per quale motivo ti sei intromessa?” nel dire ciò Tom cercò di usare tutto il tatto di cui era dotato.
Lyric ci pensò qualche secondo, riflettendo sul motivo per cui aveva agito. Pensandoci intensamente arrivò ad una unica risposta, piuttosto illogica ma era l'unica. Lo guardò negli occhi vedendo ancora quella luce di sicurezza interiore che non riusciva a mandar giù. Stronzo, pensò leggermente alterata.
“Il motivo non è molto sensato.” esordì lei spostando i suoi occhi verso qualcosa che non fosse quel suo modo di fare così irritante “Comunque lo fatto perché non volevo che ti prendesse a pugni...”
“Perché ti piaccio forse?” Tom fece un sorriso.
“NO!” sbarrò gli occhi “Ma ti sembra? È la prima volta che ti vedo come fai a pensare che tu mi piaccia?”
“Bhè i colpi di fulmine esistono per un motivo.” Tom fece spallucce “ E poi non ti biasimerei, sono troppo bello.”
Lyric alzò gli occhi al cielo “Oh my Godness! You are the biggest idiot that I've ever seen! OH God! What a hell do you have in your brain?!”
“Come scusa?” Tom non aveva capito una parola.
“What's wrong with you?!”
“Eh?”
“Idiot!” si portò una mano sulla faccia dopo lo sfogo.
Tom restò in attesa chiedendosi cosa quella pazza avesse appena detto.
Lei fece un respiro “Non volevo che ti prendesse a pugni perché volevo essere io a farlo.”
Ecco. Questa era stata la motivazione. Aveva agito solo per il desiderio di essere lei a dare un pugno a quel faccino strafottente.
Illogico? Sì, ma chi ha mai detto che le persone lo fossero.
Tom assimilò la spiegazione prima di prorompere in un “E l'idiota sarei io?! tu sei PAZZA!” scosse la testa quasi sconvolto “Mi hai aiutato solo perché volevi prendermi a pugni?!”
“Sì.” rispose lei.
“Ma sei scema?” Tom era sbigottito.
“No!” non c'era molto che potesse dire. Il fatto stava messo in quel modo.
“E perché volevi prendermi a pugni?” ora Tom la guardava come se fosse un aliena.
“Perché hai quella faccia!” e lei indicò il suo volto “la faccia di un esaltato. Pieno di sicurezza in se stesso. Mi avevi irritato anzi mi irriti.”
“E ti sembra una ragione questa?” Tom corrucciò le sopracciglia.
“Sì.”
Tom immobile restò muto come incredulo allo scambio di battute appena avvenuto.
“Ok. Prima che mi incazzi sul serio sarà meglio che dividiamo le nostre strade.” i suoi occhi nocciola si fecero duri, Lyric capì che era arrabbiato “Non so che razza di problemi tu abbia, ma mia cara sarebbe meglio che li risolvessi. Non sei molto normale se vai in giro ad odiare la gente solo perché dimostra fiducia in se stesso. Non è un comportamento che ti potrà giovare a lungo andare.”
Lyric era sorpresa: che cosa accidenti pensava di ottenere con quelle parole? Perché diamine si era arrabbiato?
“Quelli come te che si compiangono di se stessi sono le persone che disprezzo di più al mondo.” la voce di Tom suonava aspra e disgustata. Lyric sentì di cominciare a respirare in modo irregolare. Strinse una mano in un pugno, le parole facevano male.
“Pensano di essere perduti e odiano tutti quelli che invece ce la fanno. Sei tu ad essere irritante.”
I suoi occhi cominciarono a diventare lucidi, i battiti più forti. Quel Tom stava esagerando. Quel Tom stava parlando come sua nonna. Le stesse identiche parole. Si sentì come se fosse davanti a lei, proprio in quel momento. Le venne da piangere. Quando sarebbe finito il tormento di quelle parole?
“Se pensi che abbia troppa autostima allora fottiti! Se pensi che io sprizzi di forza allora cercatene una tua idiota!” Non stava urlando ma era come se lo stesse facendo “E non rompere le palle agli altri!” detto questo si voltò e cominciò a camminare, allontanandosi da lei con passi veloci. Il suono lontano di quei passi che si affievolivano concesse a Lyric il diritto di lasciare che le lacrime cadessero e che il suo respiro diventasse angosciato. Si appoggiò al muro di mattoni che le era accanto lasciandosi contemporaneamente cadere a terra. Cosa ne poteva sapere Tom di ciò che provava. Di ciò che sentiva. Per lui era stato facile dire quelle cose ma davvero pensava che fosse così semplice? Ne era così sicuro? Se era così allora perché non le diceva dove poteva trovare un po' di forza?
Dove doveva cercarla?
Se qualcuno gliela avesse mostrata forse l'oscurità e il gelo in cui stava annegando non sarebbero stati nemici così terrificanti.
“Non c'è nessuno... “ pensò lei, il capo riverso sulle gambe che si era abbracciata al petto.
“Ormai non c'è più nessuno che venga a cercarmi. Ne mio padre, ne mia madre.” Sussultò mentre piangeva.
“Non c'è più nessuno a cui vorrei regalare un mio sorriso.” Strinse le il labbro inferiore in una morsa.
“Non c'è nessuno...”
Piano, piano il suo corpo si immobilizzò in una posa di ghiaccio mentre la sua mente si lasciava scivolare verso una nebbia densa ed incolore. Il resto del mondo svanì nel vuoto e lei rimase lì in mezzo al niente, sola.
Quando riemerse da quello stato il sole stava calando all'orizzonte, la sua ombra si allungava dinnanzi a lei. La contemplò mentre il suo cervello riprendeva i contatti con il suo corpo. Doveva esser passato parecchio tempo mentre era rimasta seduta in quella stradina. Forse qualcuno era passato per di lì, forse aveva pensato ad una barbona, chissà. Restava il fatto che ora doveva tornare da Steven. Questo però era un problema visto che non sapeva assolutamente dove era finita.
Grandioso! Esultò la sua testolina.
E adesso cosa poteva fare? Imprecò qualcosa in inglese contro Tom per averla trascinata in quel luogo sperduto prima di alzarsi da terra.
Si pulì come poté i pantaloni sporchi di polvere e decise poco entusiasta che avrebbe cercato di rifare la strada verso il parchetto, sperando di non incontrare i brutti ceffi di prima e in particolare Tom. Aveva pianto parecchio o almeno doveva averlo fatto, non se lo ricordava, quando entrava in quegli stati era come se la sua persona si estraniasse dall'universo e perdeva qualche battuta della sua vita. Sentiva gli occhi gonfi e pesanti, pregò di non incontrare nessuno perché sicuramente doveva avere un aspetto terribile.
Si guardò intorno cercando di vedere se riusciva a ricordarsi come tornare al parchetto. Proprio nel momento in cui optò per seguire una direzione i passi di qualcuno che correva le giunsero all'orecchio. Era molto vicino. Sentì qualcuno sbucare da dietro l'angolo. Lei rimase inspiegabilmente immobile, in attesa.
Quel qualcuno parlò da dietro la sua schiena.
“Ah! Per fortuna che sei ancora qui!” Lyric si irrigidì, sembrava la voce di Tom, anche se leggermente più acuta. Non si voltò per paura di vedere il brutto muso del rasta.
“Credevo che te ne fossi già andata. Grazie al cielo invece sei ancora qui.” la voce era ansante, era la voce di uno che aveva appena corso a per di fiato. Lei si volse per vedere in faccia il suo interlocutore e per sua sorpresa non si trovò davanti a Tom. Si portò una mano all'altezza della fronte per coprirsi dal sole che stava colpendo entrambi. Riuscì a vedere che era un ragazzo della stessa altezza, con corti capelli neri ed una frangia che gli cadeva sul lato sinistro del volto. Portava anche un percing al sopracciglio destro e i suoi occhi erano dello stesso colore dell'altro ragazzo. Al momento quegli occhi stavano osservando lei.
Lyric si chiese chi fosse e perché gli stesse parlando.
“Appena quell'idiota aveva finito di raccontare la storia sono corso qui a cercarti.” fece un piccolo sorriso, la sua voce si era calmata e ora si dimostrava gentile “Ti ho visto qui seduta mentre tornavo a casa. Da come quello stupido ti aveva descritto non ho faticato a capire che eri la stessa persona che avevo visto.” la velocità con cui parlava impressionò leggermente la ragazza che ancora non capiva cosa c'entrasse lui con lei. L'aveva vista? Bene, bella figura doveva aver fatto. Il ragazzo manteneva le distanze come imbarazzato, senza però distogliere mai lo sguardo da lei.
“Ho pensato che dopo quello che ti aveva detto il deficiente era ovvio che fossi sconvolta, ho pensato che forse non eri di queste parti e che quindi ti fossi persa. Ho concluso quindi che avevi bisogno di aiuto ed...ed eccomi qui a parlarti come un salame.” Lyric non sapeva cosa dire, era semplicemente sorpresa che quel ragazzo avesse pensato tutte quelle cose. Dopo qualche istante le venne da fare solo una domanda “Il deficiente sarebbe?”
“Tom! Mio fratello...” spiegò il ragazzo.
“Ah...sei il fratello che gli dice decine di volte al giorno che è uno stupido?” lo guardò negli occhi non sapendo cos'altro dire.
“Sì, sono io!” assentì lui. Altri istanti in cui nessuno dei due disse nulla. La testolina di Lyric, che era praticamente messa k.o. le suggerì di presentarsi. Ubbidì.
“Ah! Ehm...io sono Lyric. Piacere.” la testolina aggiunse un ringrazialo “Grazie.”
Il ragazzo si avvicinò cautamente a lei, dicendo “Di niente.” sorrise in modo cortese ancora una volta “Dai vieni con me. Ti porto a casa mia così potrai chiamare qualcuno per farti venire a prendere.” propose lui con voce tranquillizzante. Aveva un suono particolare pensò Lyric.
“Ah…” riuscì solo a dire.
Era una soluzione accettabile vista la sua situazione.
Avrebbe dovuto rivedere la faccia di Tom ma di certo non poteva vagare per la città senza metà.
Il ragazzo si avvicinò ancora di più a lei, stringendo poi senza preavviso una sua mano. Lyric guardò il gesto senza opporsi, sorpresa. Era così esausta emotivamente e fisicamente che la comparsa di quel ragazzo, seppur legato alla figura di quel Tom, in un certo senso la confortò.
Mano nella mano cominciarono a camminare e stranamente lei si sentì come una bambina. Sconveniente dare la mano ad uno sconosciuto? Forse, ma era troppo stanca per dare importanza a questa possibilità.
Lui si immobilizzò e lei andò a sbattere contro la sua schiena. Alzò lo sguardo chiedendosi perché si fosse fermato. “Non mi sono ancora presentato, scusa.” Fece un sorriso così grande e così spontaneo che Lyric ne rimase quasi scioccata. Era impressionante quanto sembrasse luminoso.
“Io sono Bill.” nel dirlo i suoi occhi nocciola non si staccarono mai dai suoi “Bill Kaulitz.”
 
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....:GiulY:....
view post Posted on 2/3/2010, 22:20




Finalmente sono riuscita a finire di leggere il capitolo, avevo iniziato oggi alle tre, ma poi tra compiti e altra roba non sono riuscita a finirlo di leggere (fino ad ora), pensavo che erano meno lunghi, se non sono sottoforma cartacea non ce la faccio a leggermela tutto senza mai staccare, ma andiamo al capitolo.
Allova, molto bello, sopratutto la parte in cui descrivevi la nonna fredda tipo fanta dopo essere stata 3 ore in freezer, adoro come descrivi le persone: con poche cose ma buone; la scazzottata è stata epocale.
Sono sicura che la zia di Lyric diventerà il mio personaggio preferito; carino il nome Lyric, molto particolare e insolito, posso chiederti come ti è venuto in mente codesto nome?
 
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Fee1702
view post Posted on 3/3/2010, 12:14




Oh wow... veramente wow.
Finalmente una storia "completa", completa perchè sappiamo con chi abbiamo a che fare, chi sono i personaggi e con "sapere chi sono" intendo non un nome e una descrizione fisica, ma riuscire proprio a capire i loro caratteri, pensieri. La fragilità di Lyric, la sicurezza di Tom, la fredezza della nonna.
Non so perchè, ma quello che più mi ha colpito è stato proprio il rasta.
Quando hai descritto la mimica del viso, le sue espressioni, durante la rissa, è come se lo avessi avuto davanti. Al contrario di Lyric lo avrei ammirato, non avrei avuto voglia di tirargli uno schiaffo, ma forse è così anche per lei. Forse, sotto a quella reazione, si cela solo invidia.
Non vedo l'ora che posti di nuovo, Gill, complimenti ^^
 
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Gillian Kami
view post Posted on 3/3/2010, 15:05




CITAZIONE
carino il nome Lyric, molto particolare e insolito, posso chiederti come ti è venuto in mente codesto nome?

Eh! Lo so che la lunghezza sarà sempre una mia costante quindi armati di pazienza mi raccomando (anche perché questi miei primi capitoli sono ancora corti per i miei stardard ma non temete non supererò mai la ventina di pagine xD).
Il nome di Lyric è molto bello a mio parere. In inglese, in senso stretto, significa testo. Nello specifico testo musicale e possiamo dire che abbia un senso il fatto che si chiami così.
Come mi è venuto in mente? Mi ha trovato xD Nel senso che mentre pensavo alla storia e vagliavo nel dizionario dei nomi inglesi qualcosa che suonasse (istintivamente) bene con il personaggio che nella mia testa già esisteva. Non trovandolo ho pensato a Bill e ciò che per lui è importante. Sono passata per connessione a musica-canzoni-parole-testo. Lyric è stato istintivo.
Lyric suonava perfetto.
Ho pensato poi che non sarebbe stato strano come nome per una ragazza americana. Negli USA i nomi particolari sono all'ordine del giorno e ho immaginato la madre e il padre di lei discutere sul nome della bambina e di come abbia vinto la madre! (Sì, io immagino anche questi dettagli a volte. xD). Se ve lo siete chieste Lyric si legge proprio "Liric" e Alysei si legge "Alisei" ....
Spiegazione esaustiva?
Grazie a te, Giuly.

CITAZIONE
l contrario di Lyric lo avrei ammirato, non avrei avuto voglia di tirargli uno schiaffo, ma forse è così anche per lei. Forse, sotto a quella reazione, si cela solo invidia.

xD No, non direi che ci fosse invidia. No, voleva tirargli uno schiaffo proprio perché tutta quella supponenza e sicurezza la iritavano. Poi leggerete (nei capitoli successivi) perché era tanto irritata con Tom la prima volta che si sono incontrati e anche perché Tom ha fatto rissa (che testa calda ma lo dice sempre anche il Tom vero che da piccolo scalciava parecchio.) con quei ragazzi.
Sono certa che lo noterete appena ve lo mostrerò nei capitoli seguenti, credo di essere chiara. Basta starmi dietro e spero di non confondermi mai.
Grazie Fee per il tuo commento.

Posterò sta sera, dopo che avrò finito di studiare matematica. Domani ho una verifica e devo impegnarmi prima xD.
Nel prossimo vediamo un po' di Bill, spero che vada tutto bene. Baci a tutte voi!
 
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view post Posted on 3/3/2010, 17:20

Ciò che ti sta rendendo felice,
rende me più triste.
사랑해, 바보 ♥


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CITAZIONE
“Io sono Bill.” nel dirlo i suoi occhi nocciola non si staccarono mai dai suoi “Bill Kaulitz.”

*muore*
Non so perchè me lo sono immaginato un sacco x°D
Bellissima; mi piace davvero molto. Scrivi divinamente e la storia è molto interessante *-*
Continuala al più presto!
 
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Gillian Kami
view post Posted on 3/3/2010, 21:38




Capitolo 2: Lei, lungo la mia strada.

-Ti ricordi cosa ti dissi il giorno in cui mi hai detto addio?
Mentre ti aggrappavi a me con una forza disumana?
Le ricordi le mie parole sussurrate al tuo orecchio mentre eravamo entrambi sconvolti dalle lacrime?
Te lo ricordi il più brutto giorno della mia vita?
Io sì.
Lo ricordo come se fossi ancora lì, posso ancora vedermi pregarti di scegliere me.
Ricordo di non aver mai pianto quanto quel giorno.
Ricordo una promessa, arriverà il momento in cui potrò mantenerla Lyric? -



***




La scuola era il posto che più si avvicinava all'inferno per i gemelli Kaulitz.
Se avessero potuto avrebbero voluto tanto darle fuoco. Per Bill in particolare quel luogo era asfissiante. Non provava nessun tipo di felicità nello stare seduto ore ad ascoltare quelle vecchie mummie dei professori, cosa doveva trovare di istruttivo in quello che dicevano non lo avrebbe mai capito.
Il rapporto che c'era tra lui e loro si esauriva in saluti freddi quando entravano, verifiche ed interrogazioni quando c'erano e l'inespresso accordo che finché lui non disturbava, loro non rompevano. Tom invece, come al suo solito, preferiva attaccare quando si trovava ad affrontare una situazione di conflitto ed infatti le sue visitine dal preside erano una chiara conseguenza di ciò che combinava quando reagiva.
Erano ritenuti dei bravi studenti per quando riguardava il rendimento scolastico, forse entrambi un po' carenti nell'inglese ma per una materia sola si poteva sorvolare. Però per quanto riguardava il comportamento, a detta dei professori, erano dei veri piantagrane.
Nei consigli di classe Tom veniva definito un arrogante saccente, sempre pronto a rispondere in modo inappropriato agli insegnanti, uno che litigava con gran parte dei compagni ( in verità solo con i bulli che lo provocavano o con chi faceva la spia quando combinava qualcosa. Non era un criminale, semplicemente viveva nella convinzione del proverbio -occhio per occhio, dente per dente- e per chi lo pugnalava alle spalle c'era solo quel destino) ed uno che andava in giro vestito in un modo a dir poco oltraggioso.
Però, per quanto riguardava un vestiario al limite della decenza, Bill era quello che veniva considerato il peggiore. I professori non evitavano di dargli certe occhiatacce quando lo intravedevano per i corridoi o in classe. Vestito con quelle magliette nere inneggianti a gruppi musicali dalla dubbia fama (come se i Green Day o i Placebo fossero la banda da parata del demonio), i bracciali di pelle, le cinture borchiate, i jeans sfatti, quel percing al sopracciglio e, cosa sconvolgente, il fatto che a volte venisse a scuola con la matita nera attorno agli occhi.
Per i docenti era un modo “violento” di attirare l'attenzione altrui, per Bill era semplicemente il modo in cui sentiva di essere, che poi quegli adulti lo comprendessero non erano fatti che lo riguardavano. Un'altra cosa che criticavano in Bill era che non riuscisse a socializzare con i suoi compagni di classe, se ne andava sempre e solo in giro con il fratello e quello strano ragazzo biondo ossigenato di nome Andreas.
Bill con qualcuno della sua classe ci parlava ma di amici nel senso vero della parola là dentro non ne aveva nemmeno uno. Non era tutta colpa sua però, era vero che era un ragazzo timido a quel tempo ma il problema era un altro.
Nessuno voleva essergli amico.
Lo scansavano praticamente tutti e c'era persino chi gli dimostrava apertamente un disprezzo immotivato. Era per il fatto che fosse così particolare come persona, anche se a quell'età così precoce non aveva ancora dimostrato tutto il carisma di cui un giorno il mondo si sarebbe accorto, però possedeva comunque un principio di quel fascino che centinaia di migliaia di persone avrebbero adorato. E quel fascino non piaceva a tutti, anzi, era temuto per questo.
Troppo strano, troppo ambiguo, sempre con quel sorriso immenso, sempre a scribacchiare qualcosa sui quaderni, sempre lì a canticchiare a labbra chiuse qualcosa, di lui pensavano tutte queste cose ed anche di più. Nessuno aveva mai cercato di conoscerlo o di capirlo, qualcuno lo offendeva e lo denigrava per quel suo aspetto androgeno ( sicuramente chiunque abbia pensato queste cose di lui si sarà soffocato con la sua stessa saliva nel vedere quanto Bill fosse desiderato una volta divenuto ciò che è oggi, a prescindere proprio da questa sua bellezza particolare).
Per Bill la scuola rappresentava anche questa realtà. Ci era abituato ma a volte sentiva il peso di quell'odio.
Era l'Ottobre dei suoi quattordici anni e Bill in quel periodo stava lavorando costantemente al sogno della sua vita: i Develish erano ad un bivio importante.
Bill credeva fermamente che ce l'avrebbero fatta, sicuramente la loro musica avrebbe sfondato. Era il suo desiderio più grande e come gli altri componenti della band era assolutamente concentrato in quel progetto.
Era un giorno come qualunque altro, terza ora di una giornata scolastica che si prospettava desolatamente tediante e Bill aveva il muso praticamente spalmato sul banco. I suoi occhi, che vedevano obliquo per via della posizione della faccia, si tenevano faticosamente aperti mentre con sforzo titanico la sua testolina cercava di capire che cosa stava dicendo la professoressa d'inglese.
Odiava l'inglese o meglio odiava doverlo studiare. Ma perché il mondo non usava il tedesco come lingua internazionale? Avrebbe avuto meno problemi.
La vecchia donna dai capelli rosso tinti, che stava dicendo qualcosa riguardo una incomprensibile regola sul past simple, si bloccò sentendo bussare alla porta.
Bill ringraziò il cielo per quei attimi di pausa, ormai il suo cervello stava chiedendo da minuti interminabili una dose di morfina. Ma non ebbe tempo di respirare perché dalla porta sbucò la testa pelata dell'attempato direttore della scuola. Tutti gli studenti si alzarono per salutarlo e anche se di mala voglia lo dovette fare anche lui.
“Seduti, state pure seduti ragazzi!” ordinò il preside muovendo febbrilmente le mani. Il vecchio signore andò a parlottare qualche secondo con la professoressa, permettendo così ai ragazzi di distrarsi un po'.
Bill sbadigliò senza ritegno, facendosi poi passare le mani sopra gli occhi.
Era a pezzi e non era solo a causa d'inglese.
La sera prima era rimasto sveglio fino a tardi a scrivere il testo di una canzone che da settimane non riusciva a finire, non sapeva perché ma non trovava le parole adatte e questo era frustrante. Tom diceva che non doveva stressarsi in quel modo se non voleva che gli cadessero i capelli prematuramente ma la faceva facile lui.
Se le parole facevano schifo, la canzone faceva schifo.
Soffiò dell'aria dalla bocca, producendo un verso simile ad un “fiuuuu” e si tolse le mani con cui si era stropicciato gli occhi dalla faccia.
Appena riaprì le palpebre si accorse della figura che si era accompagnata al direttore.
Era una ragazza di cui non si vedeva il volto poiché dava spalle alla classe.
Il preside la stava presentando alla professoressa d'inglese.
A quanto pare si sarebbe unita a loro una nuova studentessa ed i compagni di Bill stavano già bisbigliando curiosi quando l'anziano signore si decise finalmente a presentarla agli altri.
Quando lei si voltò, permettendo così di non avere solo la visuale dei suoi capelli neri, Bill ne rimase sorpreso. Sbatté le palpebre per essere certo di non star sbagliando. Ma poiché vide la stessa reazione nella faccia di lei, Bill comprese di non essere in errore.
Era la ragazza che aveva aiutato una settimana prima, proprio la stessa che aveva portato a casa, quella che aveva sperato di rivedere.
“Questa ragazza è Lyric Hörderlin, si è da poco trasferita dagli Stati Uniti ma parla correttamente il tedesco poiché ha passato l'infanzia nel nostro paese. Da oggi in poi sarà una vostra compagnia di classe quindi spero che l'accogliate nel modo migliore...” il preside continuava a parlare ma non lo stava ascoltando.
Era ancora lì imbambolato dalla sorpresa.
Le rivolse uno dei suoi sorrisi però lei non lo ricambiò e per tutto il tempo della presentazione evitò accuratamente di volgere il suo sguardo dalla sua parte. Ovviamente lui ne rimase sorpreso.
Che cosa aveva fatto di male?
Quando infine la ragazza andò a sedersi in un banco libero vicino alle finestre dell'aula, lei lo guardò per qualche istante. Ciò che Bill lesse in quegli occhi blu fu come una dichiarazione di rifiuto, come se gli stesse dicendo che loro due non dovevano parlarsi e quant'altro.
Per il resto della lezione l'attenzione di Bill fu concentrata nel guardare Lyric, chiedendosi perché non volesse essere avvicinata, mentre quella teneva il capo rivolto verso tutto fuorché a lui.
Continuò ad ignorarlo insistentemente per il resto della settimana seguente.

***

“Aspetta, aspetta, aspetta! Parla più piano che non ci ho capito un accidenti. Lo sai perfettamente che sono un essere umano quindi dovresti arrivarci al fatto che le mie orecchie non riescono a percepire gli ultrasuoni.” Tom lo aveva interrotto proprio nel mezzo del suo discorso, con la faccia di uno che cadeva giusto-giusto in quel momento dal pero. Bill fece roteare gli occhi.
“Forse se quando ti parlo ti togliessi le cuffie magari riusciresti a sentire qualcosa.” gli fece notare.
“Scherzi vero? E perdermi un momento idilliaco, come è ascoltare le canzoni di Samy Deluxe, per cercare di capire uno dei tuoi discorsi contorti? Guarda che hai proprio capito male la vita fratellino...”
Bill smise di camminare per tirargli uno scappellotto in piena regola. Tom assorbì il colpo senza protestare ma in cambio gli regalò uno dei suoi migliori sorrisi sfottitori, da ciò naturalmente scaturì uno dei loro battibecchi.
Proprio mentre Bill stava per dire che Samy Deluxe quando reppava assomigliava ad una scimmia alcolizzata una voce spuntò fuori da dietro le loro spalle.
Bill si irrigidì.
“Per favore potreste spostarvi mi state venendo addosso.”
Tom fece un piccolo saltello vedendo che a pochi centimetri da loro era spuntata fuori quella. Non si trattene dal sorridere nel modo che Lyric aveva definito fastidioso.
“Oh, scusa!” fece il rasta in modo fintamente ossequioso “ Non sia mai che la nostra principessina dei ghiacci tocchi un essere mortale come il sottoscritto.”
Lyric affilò gli occhi come se potessero in qualche modo divenire delle lame.
“Kaulitz tu non hai proprio niente di meglio che dire queste cose?”
“Quali cose Hörderlin? Io sto solo dicendo la verità. Sei fredda come il ghiaccio e per di più ti comporti come se fossi la regina del mondo con quel tuo modo di fare da dura.” Tom si era avvicinato a lei ed entrambi si guardavano dritto negli occhi, fronteggiandosi come due schermidori pronti a tirare fuori le spade per il combattimento.
“A cosa ti stai riferendo?” infastidita chiese spiegazioni.
“Al fatto che te ne vai in giro sempre in quel modo altezzoso. Non permettendo a nessuno di avvicinarsi solo perché ti credi troppo superiore agli altri. Guarda che lo hanno notato tutti, qui a scuola.” Tom si stava riferendo al fatto che chiunque aveva tentato di entrare in contatto con lei in quella settimana era sempre stato allontanato e che girasse per la scuola con la faccia sempre impassibile. Naturalmente gli altri avevano pensato che era una snob e solo Bill aveva capito che era una solo facciata per coprirsi. Per questo quando Tom disse quelle cose avrebbe voluto tanto impedirgli di fare una delle sue solite cavolate. Troppo tardi.
Lyric sgranò gli occhi incredula “Tu non sai niente di me. Non sai proprio nulla.” con un gesto rapido aveva preso Tom per il colletto della t-shirt, stringendolo nervosamente. Il rasta rimase impassibile, gli occhi accesi dal desiderio di provocarla senza remore. Non sapeva perché ma provava uno strano gusto nello sfidare la pazienza di quella ragazza.
Non era mai stato una persona che ci provasse gusto nel tormentare la gente (forse solo quando si trattava di Georg), non era il tipo da fare certe cose e di certo non stava facendo una cosa simile con lei. Però da quando aveva saputo da Bill che quella era arrivata nella loro scuola, non c'era stata occasione quando si incontravano in cui lui non avesse fatto qualcosa per farle girare i cancheri. Decisamente un comportamento infantile ma Tom non si sentiva per niente in colpa. Era ormai diventato normale il fatto che quando incrociassero le loro strade finissero per battibeccare come cane e gatto.
La trovava troppo taciturna e non gli piaceva che fosse sempre in disparte a subire le malelingue che avevano cominciato a criticarla, quando invece con Tom tirava sempre fuori una forza del cavolo. Non capiva come potesse tenere dentro tutta quella cocciutaggine e quel suo modo di fare impulsivo con tanta facilità. L'aveva osservata a lungo, quasi quanto Bill, e aveva concluso che se non si rivelava per la ragazza che era da sola, l'avrebbe fatta uscire lui al suo posto. Qualcuno si chiederebbe perché farlo? Bhe, questo soltanto Tom (e visto che si conoscono bene anche Bill) lo sapeva. Secondo uno sguardo superficiale uno poteva credere che non la sopportasse, come lei non sopportava lui, ma in pratica gli dava più fastidio che non si facesse conoscere per chi era in verità.
“Oh! Invece sì che so qualcosa di te.” Bill si domandò se suo fratello non fosse un suicida “So che sei una che si nasconde. Sicuramente non saprò esattamente cos'hai ma di certo ho capito che sei una codarda. Perché te ne vai sempre in giro ignorando chi vuole semplicemente fare amicizia con te?” e nel dire ciò Tom lanciò una occhiata di sfuggita a suo fratello. Ecco un'altra cosa che non riusciva proprio a mandare giù: che quella avesse anche il coraggio di ignorare Bill. Poteva andare bene che odiasse lui ma che trattasse come una pezza da piedi il gemello lo infastidiva.
Ovviamente Tom non ci aveva capito niente. Era proprio perché Lyric non riusciva ad ignorare Bill il motivo per cui lo teneva a debita distanza. La spiegazione completa per cui lo facesse i Kaulitz l'avrebbero compresa soltanto in un secondo momento.
“Perché non voglio amici. Non voglio proprio nessuno. Vorrei essere semplicemente ignorata, vorrei essere lasciata sola...”
“Non è vero!” si intromise finalmente Bill, che era stato lasciato in disparte mentre quei due discutevano “Non penso che tu stia dicendo sul serio, non è possibile.” fece calare la mano che teneva ancora stretta la maglietta di Tom e si frappose tra di loro. Ora era lui a stare davanti a lei. Lyric e Tom furono entrambi presi incontro piede.
Gradualmente dal volto di Lyric scomparvero furia e nervosismo, al suo posto invece giunse un'espressione strana, come di tranquilla rassegnazione. A lui la belva umana mentre a Bill l'agnellino. L'universo era ingiusto, decretò il rasta.
“Tutti vogliono qualcuno accanto. Tutti vogliono avere qualcuno con cui essere se stessi. Nessuno vuole essere ignorato.” Bill sputò fuori tutto con grande velocità, come suo solito, lasciandosi trascinare dell'enfasi di ciò che diceva.
Lyric lo guardò per qualche secondo negli occhi, come imbambolata, prima di dire “Tu non puoi capire.” lui percepì tristezza nella voce.
“Allora permettimi di farlo. È da una settimana che tento di avere un contatto con te ma tu mi respingi sempre. Io vorrei solo esserti amico.” Tom, ora che era lui ad essere messo in disparte, li guardava indeciso se andarsene oppure no. Non aveva voglia di sentire una stucchevole marea di affermazioni zuccherine. In più non lo stavano cagando di pari passo.
“Solo perché mi hai aiutato quella volta non significa che siamo costretti a diventare amici.”
“Infatti non sono costretto, io lo voglio.” c'era una tale determinazione in quel -io lo voglio- che Lyric ne rimase completamente interdetta. Ma perché insisteva tanto? Non poteva lasciarla in pace?
“Io invece no. Sono l'ultima persona che qualcuno dovrebbe avere come amica.” finito di dire ciò si allontanò a passi spediti. Bill l'accompagnò con gli occhi, fino al momento in cui arrivò a salire sulla Cadillac nera che ogni giorno la veniva a prendere.
Forse era stata una sua espressione, però era stato come se gli avesse detto che era tempo sprecato starle accanto.
“Quella ha qualche rotella che non le funziona.” Tom lo fece tornare al mondo reale “Non credo che sia molto normale. Sei sicuro di voler davvero farci amicizia?” i due ricominciarono a camminare per uscire dal cortile della scuola.
“Certo.” rispose Bill senza pensarci. Il gemello lo fissò con le sopracciglia a venti metri dagli occhi.
“Ehi! Sveglia! Ti ha appena detto che non vuole diventare tua amica o mi sbaglio?”
“Non stava dicendo sul serio.”
“Non stava dicendo sul serio?” Forse si era perso qualcosa.
“Sì.” rimarcò Bill, ignorando la bocca di Tom che si apriva in un muto sconcerto.
“Oddio! E tu come fai a dire questo?”
“Perché me lo ha detto lei.”
“Quando?”
“Proprio qualche minuto prima.”
“Non ricordo affatto che abbia detto qualcosa del genere. Sai assistevo anche io al vostro discorso.”
“Non lo ha detto a voce.”
“Ah no? E come l'avrebbe detto? Con l'alfabeto muto?”
Bill lo fermò in mezzo alla strada e lo prese per le spalle, guardandolo negli occhi “Tom...” iniziò sospirando “la sua faccia...”
“La sua faccia cosa?” non ci stava capendo più niente.
“Mentre andava via la sua faccia mi ha detto ciò che la sua voce non riusciva ad esprimere.” spiegò infine il moro.
Tom sbarrò gli occhi “La sua faccia ti ha detto questo?”
“Ja.” Bill annuì con un sorriso a trentadue denti.
Il fratello lo guardò perplesso “Bill, dì la verità. Georg ti ha venduto una canna, non è così?...”

***



Magdeburg
Giugno 2009.


C’era luna piena quella notte e anche se era insolito si riuscivano a vedere le stelle in quel cielo di città.
Apparivano come piccoli bottoncini rotondi sparsi sopra ad un mantello nero, mentre la luna era una luccicante spilla dorata, posta sul vestito del firmamento per attirare l’attenzione di chiunque avesse alzato gli occhi. Era così pallida la luna di quella sera eppure per quanto la sua luce fosse fievole, illuminava gentilmente ciò che il suo sguardo riusciva a raggiungere.
Quella sera madama luna stava sbirciando il volto di un giovane uomo che se ne stava seduto per terra, tutto solo ai piedi di un grande albero. Sotto alla luce opaca si scorgevano i lineamenti di un volto malinconico e pensieroso, dei lunghi capelli neri ed uno sguardo ambra scuro concentrato nella riflessione di un pensiero.
Era un'immagine suggestiva.
Al momento quel giovane si sentiva confortato nell'avere la sola compagnia degli astri del cielo.
Si sentiva confortato perché non doveva parlare con qualcuno, era liberatorio non dover sorridere forzatamente, poteva restare di cattivo umore senza che nessun gli venisse a chiedere spiegazioni. Sicuramente si stavano preoccupando a casa, ma questo non gli interessava particolarmente. Era grande abbastanza per avere il diritto di stare fuori quanto gli pareva e poi se fosse tornato proprio in quel momento avrebbe sicuramente litigato ancora con suo fratello.
Vista la premessa non entusiasmante preferiva di gran lunga restarsene lì a fare l’eremita, mentre il flusso dei suoi pensieri viaggiava senza sosta, tutto rivolto verso la sua personale ossessione.
Era un fatto certo che lui di fisse ne avesse molte: come per esempio la manicure che doveva essere perfetta, i capelli in ordine assoluto, il fatto che al suo fianco ci dovesse quasi sempre essere una traduttrice e il puntiglio pignolo che ci metteva ad ogni sua esibizione. Erano tutti chiodi fissi che si portava dentro praticamente da sempre.
Però il suo vero, continuo, tormento era un altro.
Bill si portò le mani ai lati della faccia, premendo le dita intorno alle tempie ed emettendo nello stesso tempo un sospiro di fastidio. Quando si deprimeva gli veniva sempre un grande mal di testa. Cercò di scrollarsi di dosso tutti i pensieri negativi con un movimento agitante del capo ma la sua dubbia strategia non sortì l’effetto desiderato. Imprecò a denti stretti mentre appoggiava la testa sul tronco della pianta.
Cosa poteva fare per sentirsi meglio?
Sfogarsi con Tom in una sana discussione l’aveva già fatto e non aveva funzionato.
Sperperare un po’ di denaro in compere era qualcosa che faceva abbastanza con regolarità da non avere nessun effetto calmante su di lui.
Cantare come un ossesso era l’ultima cosa che voleva fare, per non contare il fatto che sarebbe stato stonato e lui se doveva cantare non poteva stonare.
Avvilito prese a fare uno dei suoi strani rituali con la faccia: aspirò aria con la bocca fino ad avere una guancia gonfia come quella di un criceto che si è strafogato di semi di girasole, fece poi passare la bolla d’aria all’altra guancia, attese qualche secondo e la fece ritornare dove era prima. Alla fine, dopo un po’ che faceva questo movimento, svuotò la guancia aprendo un angolino tra le sue labbra, imitando il suono di un palloncino che si sgonfia.
Non servì a molto. La sua mente continuava a pensare ossessivamente a quella cosa.
Ma perché non esistevano interruttori per spegnere il proprio cervello? Sarebbe stato bello averne avuto uno in quel momento.
“Finalmente ti ho trovato, cretino!”
Un secondo. Era una sua impressione o aveva appena sentito la voce di qualcuno dargli del cretino? Assomigliava spaventosamente a quella di Tom.
“Ho sprecato della benzina per trovarti, ritardato! La mia Escalade è stata costretta a consumarsi per te...”
No. Non era una sua impressione.
C'era effettivamente una voce in lontananza che gridava contro di lui e purtroppo doveva appartenere per forza a Tom. L'unico che possedeva una Cadillac Escalade e ne parlava come se fosse umana era suo fratello.
Bill aguzzò lo sguardo nel buio e riuscì a distinguere in qualche modo la figura dell'altro che si avvicinava velocemente.
“Merda” sibilò a denti stretti.
Come cavolo aveva fatto a trovarlo? A volte avrebbe preferito non essere il suo gemello, Tom lo conosceva troppo bene.
Era già depresso di suo senza che dovesse arrivare quel tizio ad aumentare il suo mal di testa.
“Ti rendi conto che in questo momento potevo essere da qualche parte a spassarmela con qualcuna? Invece sono qui! Sperduto in un posto dimenticato da Dio perché il mio fratellino decide di giocare a nascondino per la città!”
“Non essere stupido Tom, sono troppo grande per giocare a nascondino. Al massimo se dovevamo giocare ti avrei proposto una sfida di -trova l'assassino-” replicò Bill “E poi tu te la spassi sempre con qualcuna. Se per una notte fai qualcosa di diverso non credo che la tua arma ne morirà.”
Il fratello maggiore dei Kaulitz, arrivato nel frattempo a qualche centimetro dall'altro, gli tirò un calcio al ginocchio sinistro per aver avuto il coraggio di replicare con un'idiozia alla sua battuta sul nascondino.
Bill si alzò da terra oltraggiato “Ehi! Ma che ti prende?”
“Dopo tutta la fatica che ho fatto mi prendi anche per il culo?!” Tom non smetteva di usare un tono aggressivo. Nella sua ricerca si era preoccupato veramente per lui. Sparire così per un intero giorno, senza dire a nessuno dove andasse e per di più tenendo il cellulare spento, lo aveva allarmato. E poi se ne era andato via di casa dopo la loro lite accesa e Tom sapeva che quando Bill era così alterato poteva essere impulsivo, più del solito.
“Io non ti stavo prendendo per il culo, moccio vileda! E poi se hai faticato tanto perché cavolo ti sei messo a cercarmi?” Bill gli diede un calcio al ginocchio per pareggiare i conti.
“E me lo chiedi anche?” Tom cercò di colpirlo ancora per aver osato fare una domanda del genere ma Bill lo evitò con un piccolo saltello “Sono venuto a cercarti perché non hai risposto alle mie chiamate per trenta volte di fila! Mi stavo preoccupando, imbecille.”
“Imbecille lo dici poi a tua sorella...” Bill incrociò le braccia facendo il broncio.
“Appunto: sei un imbecille.” Tom incrociò a sua volta le braccia, guardandolo come se fosse un tafano.
“Tom!” esclamò con tono infantile.
“Bill!” copiò il gemello alzando un sopracciglio in segno di sfida.
Restarono a fissarsi in malo modo per qualche minuto o almeno era quello che stavano facendo, anche se non c’era abbastanza luce per essere certi che l’altro stesse ricevendo l’occhiataccia. Ma erano pur sempre loro due e ognuno di loro sapeva perfettamente quale espressione avesse l’altro, luce o non luce.
Erano fratelli.
Erano fratelli gemelli.
Erano i gemelli Kaulitz, potevano benissimo fare qualcosa di altamente stupido come quello e farlo passare come un’azione naturale.
Tom alla fine si portò le mani sulla faccia, emettendo poi un urletto esasperato. Anche se erano ormai grandicelli loro due tendevano sempre a comportarsi in modo assolutamente infantile. Non sarebbero mai cambiati sotto questo punto di vista.
Bill, vedendo che per il momento l'ascia di guerra era stata sotterrata, smise di fare il broncio e attese che il fratello parlasse. Pensò che stesse arrivando una discussione spinosa riguardo al fatto che si trovasse lì.
“Sei un vero idiota.” ecco. Prevedibile che cominciasse con un offesa. Bill sorvolò ma non evitò la leggera smorfia ad un angolo delle labbra.
“Anzi no. Tu sei un masochista.” proseguì Tom movendo la testa in diniego “Ma ti diverti così tanto ad essere un autolesionista convinto? Voglio dire, deve per forza essere così...”
Bill incrociò nuovamente le braccia al petto.
“...vai in giro vestito come un feticista...” ed indicò i suoi vestiti “...con quel cespuglio al posto della testa...”
“parla lo scopettone per i pavimenti bagnati” pensò Bill.
“...ti sei perfino fatto un buco in mezzo alla lingua...”
“Tom...” Credeva che prima o poi se ne sarebbe uscito con qualcosa di serio ma a quanto pare si era sbagliato.
“...questi erano elementi evidenti della tua tendenza a farti del male, sia dal punto di vista fisico, sia da quello della tua immagine personale...” il rasta continuava imperterrito a parlare.
Bill alzò gli occhi al cielo chiedendosi come era possibile che quello condividesse i suoi stessi geni.
“...al nostro prossimo compleanno ti regalerò un set completo di lamette da barba, così ti metti a giocare con le tue vene...”
“Tom, credo che tu abbia perso il filo del discorso...se mai ce n'era uno.”
“...prenderesti due piccioni con una fava in questo modo: continueresti ad essere un masochista d.o.c e, cosa più importante, faresti felice gli ignoranti che sostengono che sei Emo...”
“TOM! Ma la finisci di dire stronzate?!” urlò Bill scontroso.
“BILL! Stavo arrivando al punto, deficiente!” rispose Tom in cagnesco, detestava quando venivano interrotti i suoi discorsi, spesso se erano così goliardici.
“Ciò che volevo dire è che tra tutti i posti in cui potevi andare a deprimerti proprio questo dovevi scegliere?”
Bill abbassò immediatamente lo sguardo preso in contropiede dalla domanda.
In silenzio se ne tornò a sedere per terra, con la schiena contro l'albero, evitando di stare sotto la parte illuminata dalla luna.
“Come hai fatto a capire che ero venuto qui?”
“È stato più difficile di quello che pensi. Ho girato praticamente tutta Magdeburg prima che mi venisse in mente questo posto. Comunque nella lite di sta mattina ne avevi fatto riferimento...”
Bill alzò gli occhi verso il fratello. Anche se non riusciva a vederlo, Tom sapeva che il buio stava celando un'espressione triste. Si sedette accanto a lui senza aggiungere altro e nell'attesa che dicesse qualcosa, Tom alzò il capo verso il cielo. La luna sembrava così malinconica, pensò che si addiceva all'umore di Bill.
“Non è venuta ad incontrarmi.” cominciò dopo un poco.
Tom non ebbe bisogno di chiedere a chi si stesse riferendo, percepì la delusione nella sua voce. Non quella infantile e testarda di quando insisteva nel dire che era stato stonato in un concerto. Era la delusione di quando non si era avverato qualcosa che per lui era veramente importante.
“Ho creduto che una volta arrivati negli Stati Uniti lei sarebbe di certo venuta ad incontrarmi. Vista tutta la pubblicità che ci siamo fatti, era matematicamente impossibile che lei non sapesse che ero là.”
“Tu non sei mai stato una cima in matematica.” cercò di fare una battuta ma ottenne solo del silenzio.
“Ho sperato di poterla intravedere in mezzo alla folla dei nostri concerti.” Bill ricominciò “Ho pregato di poterla vedere per caso, ogni volta che uscivamo per strada. Ma lei non c'era mai.” la sua voce era ferma ma Tom sapeva che se avesse abbassato gli occhi dal cielo che continuava a guardare, avrebbe visto due occhi lucidi illuminati dalla luce lunare.
“Ho passato tutta la nostra permanenza laggiù dicendomi che sicuramente lei sarebbe sbucata davanti a me da un momento all'altro.” Tom lo sentì deglutire “Ma giorno dopo giorno questa speranza affievoliva e al suo posto ho cominciato a pensare a qualcos'altro.”
“E ti sei fatto una delle tue solite seghe mentali melodrammatiche tragiche, vero?” gli stava venendo il torcicollo a forza di fare lo struzzo, si decise a guardarlo e vide proprio ciò che si era aspettato di vedere: molta tristezza. Non percepiva così tanta tristezza in Bill da anni. Possibile che fosse così grave?
“Sto solo cercando di sdrammatizzare.” si giustificò Tom “Continua. Stavi dicendo che ti sei messo a pensare a qualcos'altro.”
Bill socchiuse le palpebre degli occhi “Ho cominciato a pensare che forse non veniva ad incontrarmi perché non voleva farlo e poi anche che, forse, si era dimenticata di me. Convincendomi di questo ho cominciato ad essere arrabbiato e di cattivo umore.”
“Già, una gigantesca sega mentale.” pensò Tom
“Quindi?”
“Quindi mi sono trascinato l'incazzatura dall'America per questi tre mesi ed oggi sono scoppiato.”
“Ok. Questo l'avevo capito. Dimmi qualcosa di cui non sia consapevole.”
“Grazie di avere il tatto di uno scimpanzé.”
“Di niente, però resta il fatto che non hai spiegato ancora niente.”
“Bhè, potresti arrivare ad intuire da solo il resto.”
“Non ci tengo ad entrare nel tuo cervello malato. Non ne uscirei indenne.”
“Dio perché mi hai dato questa piaga?”
“Questa piaga è l'unica al momento che ti stia ad ascoltare.”
“Ooooh che grande consolazione!”
Dopo questo scambio di battute cadde il silenzio per qualche secondo. Bill aveva espresso in modo molto semplice tutto quello che gli era passato per la testa, o quasi. Non si era dilungato a spiegare quanto gli facesse male la delusione subita.
“Non credevo che tu stessi ancora pensando a lei...” se ne uscì Tom con una faccia pensierosa.
“Come no? Mi sembrava evidente. Voglio dire, tutte le ragazze che ho avuto fino adesso le ho scaricate sempre dopo un breve periodo e poi sono sempre di cattivo umore quando penso a lei.”
“E io dovevo intuire che era per questo motivo?”
“Ja. Sei mio fratello, dovresti conoscermi meglio di chiunque altro.”
“Io ti conosco più di chiunque altro ma se non mi dici niente, che cazzo ne posso sapere io? Comunque intuivo qualcosa del genere.”
“Sì, certo.”
“Dico sul serio...” Tom parve pensare a cosa dire “Quindi, in questi tre anni quando frequentavi tutte quelle ragazze, tu...” gli punto un dito al volto “...sotto-sotto pensavi a lei?”
Ma aveva bisogno della dichiarazione scritta per arrivarci?
“No, aspetta. Quando stavo con loro io ci stavo perché mi piacevano veramente...” mise in chiaro l'altro.
“Ma?”
“Ma pensavo sempre che sarebbe stato meglio avere lei al loro posto e quindi le lasciavo.” Bill fece un profondo sospiro prima di riprendere “Continuo a pensare a Lyric.”
Il nome tanto evitato fu finalmente pronunciato e Tom stranamente comprese solo in quel momento quanto Bill si fosse tormentato.
“A dir la verità non ho mai smesso di farlo.”
Quell'idiota si era tenuto dentro tutto quanto in quei tre anni e non ne aveva mai parlato a nessuno. Aveva nascosto la verità a tutti quelli che lo circondavano e forse un pochino anche a se stesso.
Tom lo sapeva che un giorno quella questione sarebbe uscita fuori di nuovo. Prima o poi sarebbe tornata alla ribalta, non poteva essere altrimenti, non dopo il modo in cui si erano lasciati quei due.
Il giorno in cui Lyric tornò in America, Tom aveva perfettamente capito che Bill era completamente fregato. Gli appoggiò una mano sulla spalla “Perciò dopo che te la sei presa con me sei venuto a deprimerti nella vecchia casa in cui viveva? Lo dicevo che eri masochista. ”
Bill non lo contraddisse. Pur con dispiacere doveva ammettere che aveva ragione. Con tutti i posti in cui andare gli era venuto in mente solo quello. Era stato più forte di lui.
Anche se patetico, aveva voluto solo tornare in quel giardino, sotto alla finestra della sua vecchia camera. La stessa a cui spesso si era apostato quando andava a trovarla.
Una finestra che ormai restava sempre chiusa.
Bill fece un sorriso amaro, voltando lo sguardo proprio verso quella finestra, ricordando in un secondo di quando Lyric si affacciava da là e gli ordinava di andarsene perché era ormai buio.
Era uno dei pochi ragazzi che poteva affermare di avere avuto tutto dalla vita ma l'unica cosa che desiderasse se l'era fatta scivolare dalle mani. Che idiota.
“Però non credo che si sia dimenticata di te.” decretò dopo un po' Tom, gli occhi rivolti di nuovo verso il cielo notturno. Bill tornò a guardare il fratello.
“Non sarà venuta ad incontrarti perché ci saranno state ragioni al di fuori della sua volontà. Ti ricordo che era un tipino piuttosto contorto e una donna complicata tende a rimanere tale anche con il passare degli anni...”
“Non aggiungere quello che stai pensando. Ti prego, non rovinare questa immagine di te che dice qualcosa di sensato con una delle tue battute sul mio presunto lato femminile...” lo fermò prima che aggiungesse qualcosa del tipo “...ne abbiamo una prova proprio qui...tu sei rimasto una donna complicata in questi anni.” di sicuro era quello che aveva pensato. Tom rise, si conoscevano troppo bene.
“E poi voi due siete sempre stati una coppia di masochisti.” riprese “Perciò anche se sono un po' scettico, io credo che lei provi ancora lo stesso sentimento per te, come tu lo provi per lei. Ci sono solo cose e situazioni che vi dividono e che vi impediscono di vedervi. Di certo, c'è anche l'effetto delle vostre turbe psicologiche, in questo eravate simili.”
“Ci credi veramente in quello che hai detto?”
“Io credo sempre in ciò che dico, se no, non direi niente.”
“Però tu non hai mai creduto a queste tipo di cose.”
“No. Non ci ho mai creduto ma questo non significa che non esistano. Il vostro sentimento per me è qualcosa di assolutamente troppo astratto per essere reale, ma tu...”
“Ci ho sempre creduto.”
“Già, come ci credeva lei. E anche se nella realtà in cui viviamo è praticamente impossibile provare un sentimento del genere tanto a lungo voi forse potreste essere l'eccezione che conferma la regola.”
Il discorso del fratello stranamente lo consolo un poco dalla sua tristezza. Gli fece provare uno spiraglio di coraggio e fece risalire dal buio un'idea che aveva da tempo ma che aveva messo da parte a causa degli impegni di lavoro. Un'intenzione che aveva evitato anche per paura di ricevere una risposta negativa. Ma era ormai arrivato al limite della sopportazione, non gli restava che agire se voleva dare pace alla sua anima.
“Tom, ho deciso.” Bill si alzò da terra “Appena i nostri impegni in Europa saranno finiti io e te ce ne andremo in America a cercarla.” decretò con decisione. Tom sbatté gli occhi.
Ecco, tipica decisione impulsiva dell'animale Bill Kaulitz.
“Dopo quello che mi hai detto non posso evitare di fare altrimenti.” Tom in allibito silenzio continuava a sbattere le palpebre chiedendosi cosa aveva fatto di male nella vita precedente per meritarsi quella creatura come fratello.
“L'America è grande.” cercò di farlo tornare con i piedi per terra.
“Boston.”
“Come?”
“Lei abita di sicuro a Boston. Abitava lì, prima di venire in Germania.”
“Ok, ma chi ti dice che non si sia trasferita da qualche altra parte?”
“Il mio sesto senso.”
“Wow...questo mi dovrebbe rincuorare?” Tom emise un lamento “E io che c'entro?”
Bill lo prese per le spalle “Non vorrai abbandonarmi dopo avermi incitato in questo modo?”
“Io non ti ho incitato in nessun modo! Tu ti immagini le cose...”
“Tom, tu mi accompagnerai perché mi vuoi bene e perché sei mio fratello maggiore, devi comportarti di conseguenza.”
“Ma va a cagare! Sono tuo fratello maggiore solo quando ti fa comodo.”
“Tomi per favore!”
“Non osare chiedermelo, ti pare che David ci lascerà andare? Tu sogni...”
“Tom!”
“Bill, va al diavolo!”
E poi Bill lo guardò in uno dei modi più seri che Tom riuscisse a ricordare. C'era una volontà così assolutamente ferrea in quegli occhi, che il rasta si sentì come inadeguato, come se non potesse comprendere a fondo la ragione che lo animava.
La ragione? C'era davvero un essere che ragionava dietro a quell'espressione tesa e determinata? No, sicuramente no.
Quello era il Bill che apparteneva a Lyric.
Il Bill che aveva tirato fuori lei.
Un Bill di cui Tom a volte si era spaventato.
“OK! Va bene! Però smettila, mi fai impressione...” il rasta si tolse di dosso le braccia del gemello. Per un attimo aveva pensato che fosse inquietante, aveva sempre trovato un pochino inquietante il sentimento che quei due provavano l'uno per l'altro. Era qualcosa che Tom non riusciva proprio a capire, non ci arrivava. Se faceva così male amare veramente qualcuno, allora perché suo fratello continuava a portarsela nel cuore?
Non sarebbe stato meno doloroso smettere?
“Ah-ah! Dankeschon Tomi!” ringraziò Bill battendo le mani come un bambino. Sorrise improvvisamente, in quel modo che solo lui riusciva ad avere e nei suoi occhi si poté notare una scintilla di felicità, rincuorato nel non dover intraprendere quell'azione suicida da solo.
“Su! Ora andiamo a casa, mi sono rotto di stare qui a congelarmi le chiappe.” Tom si alzo da terra e si sistemò la visiera del cappello prima di cominciare ad incamminarsi verso l'uscita.
Bill si trattenne qualche secondo in più per dare un'ultima occhiata alla finestra della camera di Lyric.
Appena fece il primo passo per raggiungere Tom si ricordò senza una ragione precisa di quella volta che cantò per lei in quel giardino, le aveva cantato per la prima volta la canzone che poi sarebbe diventata la sua preferita. Ogni volta che gliela cantava Lyric muoveva le labbra impercettibilmente, formando un sorriso delicato. A Bill era sempre piaciuto quel sorriso.
Una leggera brezza estiva cominciò a soffiare e nella quiete di quella notte si poté ascoltare la voce di Bill che vibrava nell'aria.
“In qualunque luogo tu ti trovi, mi stai ascoltando vero? Le senti queste parole?” pensò mentre la canzone si elevava fino alle orecchie della pallida luna.

“...Das Fenster öffnet sich nicht mehr
hier drin ist es voll von dir und leer
und vor mir geht die letzte Kerze aus.
Ich ware schon ne Ewigkeit
endlich ist es jetzt soweit
da draußen ziehen schwarzen Wolken auf..


La finestra non si apre più
qui è pieno di te e di vuoto
e l'ultima candela si consuma di fronte a me.
Io sto già aspettando l'eternità
finalmente è giunta l'ora
là fuori delle nuvole nere si stanno levando...

Ich muss durch den Monsun
Hinter die Welt.
Ans ende der Zeit
bis kein Regen mehr fallt.
Gegen den Sturm,
am Abgrund entlang
und wenn ich nicht mehr kann denk ich daran.
Irgendwann laufen wir zusamm
durch den monsun...


Devo attraversare il monsone
Dietro al mondo.
Fino alla fine dei tempi
finché la pioggia non smetterà di cadere.
Contro la tempesta,
sul bordo dell'abisso
e quando non ne posso più mi ricordo.
Prima o poi correremo insieme
attraverso il monsone...

Ein halber Mond versinkt vor mir der eben noch bei dir?
Und hält er wirklich was er mir versprich.
Ich weiss das ich dich finden kann.
Hör deinen Namen im Orkan.
Ich glaub noch mehr dran glauben kann ich nicht...


Una mezzaluna sta sprofondando di fronte a me, ti è appena stata vicina?
E mantiene veramente le promesse che fa?
Io so di poterti trovare.
Sentendo il tuo nome nell'uragano.
Penso che non ci potrei credere più di così...

...Irgendwann laufen wir zusamm.
Weil uns einfach nichts mehr halten kann.
Durch der Monsun....


...Prima o poi correremo insieme.
Perché semplicemente nessuno ci può più trattenere.
Attraverso il monsone...”

_________________________________

Un po' di spiegazioni: sapete che ho iniziato questa storia molto tempo fa (circa due anni) e tra alti e bassi (causati da molti impegni scolastici e complicazioni personali) sono ancora qui a scriverla (c'è da dire che sono anche lenta di mio, perché ho un modo di affrontare la scrittura che non mi permette di lasciare niente al caso). Questo che c'entra?
Il fatto è che nella scena finale di questo capitolo abbiamo uno scorcio del futuro con Bill e Tom e volevo mettere in chiaro una cosa. Quando ho scritto questo capitolo pensavo, con molta speranza nel cuore xD, che Humanoid (che allora non aveva nome) sarebbe uscito verso la primavera del 2009 e mi ero messa avanti con l'immaginazione pensando ad un Tour estivo per il terzo album. Così se Tom ha ancora i rasta (nei seguenti capitoli in cui citerò il futuro) è perché dovevo mantenere la coerenza con i fatti che ho intrapreso.
Se non avete capito niente non fa nulla. Sono solo io ad avere delle paranoie e cerco di spiegare tutti i miei dubbi. Perdonatemi.
Buona lettura e spero che sia piacevole.
 
Top
Gillian Kami
view post Posted on 8/3/2010, 22:31




Salve ragazze!
Avete letto il capitolo 2? Se sì vi ringrazio di averlo fatto, molto probabilmente posterò il capitolo 3 domani sera perchè gli altri giorni sarò molto impegnata.
Un bacio.
 
Top
Gillian Kami
view post Posted on 10/3/2010, 00:46




Capitolo 3: Under the rain.


“L’acqua non mi ricopre più come una volta.
I tempi in cui ci affogavo dentro sono completamente passati.
Naturalmente l’acqua rappresenta una metafora.
Acqua scura e torbida.
Acqua ghiacciata e dolorosa.
Acqua soffocante.
L’acqua lega tutte queste memorie, un mucchio di ricordi.
Come nei più ovvi dei cliché, al funerale di mia madre aveva piovuto, ricordo che l’acqua cadeva così violentemente al suolo che le gocce sembravano in grado di frantumare ciò che bagnavano. L’acqua quel giorno era stata la mia unica compagnia, mia nonna non mi aveva abbracciato neanche una volta, ricordo di essermi lasciata colpire da quella specie di tifone fino ad inzupparmi le ossa.
Nel momento in cui la bara veniva fatta calare, la pioggia fu così forte che tutte le persone si misero a correre per cercare un riparo. Io invece rimasi in piedi, quasi in attesa che tutta quell’acqua mi sommergesse veramente.
Per tanto tempo ci annegai dentro.
Ora le cose sono cambiate, anche dopo averti lasciato, non ci sono ricaduta dentro. Credo che questo sia fondamentalmente un vostro merito.
L’acqua, ora, rappresenta anche qualcosa di piacevole…
Dovrebbe esserlo anche per te, mi sbaglio, Bill?…”


***



Scappa.
Le veniva in mente solo questo. Doveva scappare velocemente, fuggire il più lontano possibile, se non l'avesse fatto non ci sarebbe più riuscita. Voleva andarsene ma i piedi restavano inchiodati a terra, i muscoli completamente atrofizzati.
L'ansia e l'agitazione continuavano a serpeggiare animosamente dentro di lei mentre la ragione del suo desiderio di evadere si faceva sempre più vicina. Così prossima che poteva sentire, chiaramente, il suo fiato sul collo.
La cosa brutta degli incubi è che tutto ciò che non vuoi che accada inevitabilmente avviene. Nei migliori dei casi in modo rapido, così da porre fine a tutto celermente, come una tortura abbreviata per uno sprizzo di pietà da parte del carnefice.
“Svegliati, svegliati, svegliati, svegliati...” ripeteva a se stessa continuando, però, imperterrita a restare immobile, intrappolata tra le pareti di quella fantasia terrificante.
Continuava ad essere in bilico sul bordo di un abisso infinito. Il panico le impediva di essere lucida, anche se c'era da dire che non sarebbe servito a molto esserlo. Dal labirinto che è la propria mente non ci sono uscite di emergenza.
Da un momento all'altro sentiva che sarebbe precipitata ma questo non era ciò la spaventava maggiormente. Abbassò gli occhi verso le tenebre che aspettavano di inghiottirla, prima di percepire proprio dietro di lei una presenza. Talmente vicina che con un piccolo movimento si sarebbero sfiorate.
Non ebbe il coraggio di voltarsi a guardarla negli occhi mentre percepiva il tocco di una sua mano lungo la spalla. I muscoli le si contrassero simultaneamente e lei poté percepire la sensazione che l'incubo stava per finire, non in modo piacevole, ma sarebbe finito.
Fu una pressione leggera e quasi inconsistente ma bastò per farle perdere l'equilibrio, in un attimo stava già volando dentro la voragine. Non poteva fare nulla per fermarsi, non aveva modo di salvarsi, avrebbe continuato a scendere verso il basso all'infinito e questo perché, ne era certa, il fondo del baratro non esisteva.
“Tutti vogliono avere qualcuno con cui essere se stessi.”Mentre rovinava in mezzo alle ombre quella frase riecheggiò nel suo subconscio.
“Me stessa? Non so se una me se stessa esiste ancora...” si ritrovò a pensare mentre il suo corpo cadeva.
“..Nessuno vuole essere ignorato.”
Precipitava sempre più giù, sempre più in fondo, in un luogo da cui non si faceva ritorno. Eppure pensava solo a quelle cose dette da lui. In un incubo in cui viveva una morte tanto angosciosa riusciva solo a pensare a quello che aveva detto.
Era vero: l'ultima cosa che desiderava era essere ignorata.
Ma non contava molto questa piccola verità, infondo stava già cadendo.
E fu allora che urlò.
Urlò con tutta la forza che poteva.
Urlò con tutta la disperazione di chi provava un dolore lacerante.
Era un grido disperato il suo, quasi fosse l''invocazione di un aiuto.
Per quanto tempo ancora avrebbe dovuto continuare a gridare prima che quella pena riuscisse a divorarle l'anima? Il tormento era qualcosa di davvero stancante.
Mentre riapriva finalmente gli occhi da quel sogno la porta della sua stanza venne spalancata con forza e la figura di sua zia Freia in vestaglia rosa pallido irruppe dal nulla.
Ella accese immediatamente la luce e si guardò attorno, in cerca di un fantomatico ladro che fosse entrato nella casa, provocando così le grida della nipote. Purtroppo per lei non c'era nessun intruso che potesse giustificare quello che era accaduto. In quella camera da letto c'era solo Lyric, sdraiata sotto le coperte.
Dovette per forza convenire che la prima cosa a cui aveva pensato non fosse la più ovvia.
Si accostò frettolosamente al letto della nipote.
“Cosa è successo?” domandò.
Lyric rimase muta, non sapendo bene cosa rispondere e nel frattempo si mise a sedere sul materasso.
Si accorse in quel momento di sentire un freddo raggelante provenire dalla sua destra. Voltò il capo per vedere se avesse erroneamente lasciato la finestra aperta prima di coricarsi, era serrata.
Eppure stava congelando. Strinse le coperte al suo corpo.
“It's too frozen here.” mormorò così piano che poteva essere scambiato per un soffio.
“Come?” zia Freia la guardò con apprensione. Aveva la netta sensazione che sua nipote fosse in stato di shock, inoltre era tutta sudata e rabbrividiva come una foglia.
“Very cold...” Lyric la guardò finalmente in faccia, si sentiva spaesata ed aveva veramente tanto freddo. Notò che le sue mani tremavano mentre stringevano convulsamente la coperta color cobalto.
“Hai gridato come un'ossessa.” Lyric tenne gli occhi spalancati mentre la zia parlava, l'immagine della caduta girava ancora nella sua mente come la pellicola di un film.
“Ah...” fu la prima cosa che le venne in mente di dire in tedesco “Scusa se ti ho svegliato.” aggiunse modo spento.
“Scusa se ti ho svegliato?” zia Freia sbatté gli occhi “Lyric, hai gridato come se ti stessero uccidendo. Avrai svegliato l'intero vicinato.” si sedette sul fianco del letto.
“Beh, allora scusa se ho svegliato anche loro...” Lyric non stava affatto scherzando mentre diceva quelle cose. Era così concentrata nel cercare di stabilizzarsi dopo l'incubo che non si rendeva conto di ciò che le usciva dalla bocca.
Zia Freia notò che Lyric stringeva i denti per impedire che tremassero. Restarono entrambe immobili, lasciando che il silenzio le abbracciasse, occhi negli occhi.
Qualche minuto dopo Lyric abbassò il capo incapace di trattenersi: cominciò a singhiozzare.
Non ce la faceva più, non aveva abbastanza energia per continuare in quel modo, persino nei sogni non aveva pace. L'aspetto più brutto della faccenda era che, nel profondo della sua volontà, per prima non volesse essere ridotta in quelle condizioni ma aveva troppa paura.
Paura di provare a superare il problema, paura di provarci e non riuscirci.
Nessuno è così forte da potersi permettere il lusso di credersi invincibile, ogni persona di questo mondo, in un punto oscuro del suo cuore, è afflitto dalla debolezza.
Se la sua vita significava pregare di non soffrire talmente tanto, se voleva dire vivere ogni giorno pregando che passasse come acqua tra le mani, se era questo il significato, allora era davvero uno schifo.
Era dentro una trappola.
Mentre questi pensieri la inondavano proprio come le sue lacrime, sentì le braccia di sua zia circondarla. Lei non le disse nulla, le rimase semplicemente accanto, non pretendendo che Lyric ricambiasse.
Una delle ragioni per cui aveva cominciato ad apprezzare sua zia era il fatto che non la sforzava mai a sputare fuori tutto quanto. Lei sosteneva il fatto che ognuno avesse la necessità di fare i conti prima con se stesso, prima di poterne fare con qualcun altro.
E poi Lyric aveva quasi la certezza che zia Freia potesse comprendere anche se non le si diceva niente, proprio come faceva suo padre.
Non ebbe il coraggio di rivelarle che aveva fatto tutto quel pandemonio per un incubo, quindi, per tutto il tempo in cui rimasero insieme non fece altro che piangere.
La mattina seguente, al suo risveglio, ricordò solo che sua zia l'aveva lasciata con una carezza tra i capelli.

***




Non era stata lei a scegliere di frequentare quella scuola, se fosse stata per sua volontà avrebbe voluto seguire delle lezioni private a casa, come aveva fatto a Boston da quando era morta la madre ma sua zia aveva insistito. Poiché era stata l'unica cosa su cui avesse fatto pressioni l'aveva assecondata.
Per niente al mondo, però, avrebbe pensato che proprio in quell'istituto avrebbe rincontrato quei due. In particolare era rimasta sconvolta dallo scoprire che quel ragazzo di nome Bill Kaulitz fosse uno dei suoi nuovi compagni di classe. Se non fosse apparsa come una pazza, nel momento stesso in cui lo aveva riconosciuto tra i volti anonimi di quella mattina, avrebbe fatto marcia indietro correndo il più lontano possibile da quel posto.
Nella settimana seguente il loro casuale incontro si era ritrovata spesso a pensare senza motivo a quell'episodio. Doveva aver vagliato almeno un centinaio di volte la gentilezza e la spontaneità dei modi che Bill aveva espresso nei suoi confronti una volta che si era ritrovata a casa loro. In tutto il tempo che aveva atteso che Steven la venisse a prendere, per qualche ragione, lui non aveva chiesto nulla riguardo l'averla vista sul ciglio di una strada a piangere.
Erano sempre rimasti da soli, Tom non aveva mostrato il suo brutto muso neanche una volta e sospettava che fosse stato per via di un ordine del fratello.
In quella frazione di tempo era stato lui a parlare per entrambi e si era stupita della voracità con cui sputava fuori un discorso dietro all'altro, senza quasi riprendere fiato tra una frase e l'altra. Con certe persone avrebbe trovato fastidioso questa mania di parlare continuamente ma quella volta, invece, l'era quasi piaciuto fare solo l'ascoltatrice. Era come se quel ragazzo avesse intuito che di discorre non ne avesse avuto molta voglia e che la facesse distrarre in quel modo dai pensieri che la tormentavano.
Forse era stato il modo in cui parlava: allegro, frizzante e diretto o forse era stato il fatto che non l'avesse fatta sentire come l'estranea che era, in tutti i modi, in quella occasione aveva lasciato da parte il senso di inadeguatezza che ultimamente l'accompagnava a braccetto.
Perfino nei momenti di silenzio non aveva sentito il senso del disagio.
Era stato un momento per nulla sgradevole. Due dettagli, per precisione, aveva rivissuto mentalmente con più frequenza degli altri: il suo sguardo e il suo sorriso.
Il primo perché aveva realizzato, imbarazzata, di essersi più volte soffermata con fare ebete a fissargli gli occhi. Si sarebbe presa a randellate con una pala da giardino per la figura idiota che aveva fatto ma nel momento in cui aveva compiuto tale azione non se ne era proprio resa conto. La ragione per cui l'aveva fatto era ancora più imbarazzante, ogni volta che ci pensava si arrossava intorno agli zigomi. Il suo sguardo le aveva fatto ricordare suo padre.
Era stato uno sguardo attento ma non invadente, vivace, limpido, semplice. Anche suo padre la guardava in quel modo, con la stessa identica intensità, ogni volta che lo faceva era come se le dicesse che era davvero interessato alla sua esistenza. Bill le aveva fatto lo stesso effetto o meglio le faceva lo stesso effetto.
Per quanto riguarda il sorriso, stentava a credere che esistesse qualcuno in grado di non rimanere colpita da una cosa simile. Era enorme: una fila infinita di denti bianchi, aperti in un'espressione così assurdamente gioiosa e infantile. Come quella dei bambini piccoli che sorridono felicemente per la più piccola stupidaggine. Era un sorriso che l'aveva spinta a chiedersi se era umano farne uno del genere.
Bill aveva sorriso spesso mentre erano insieme, tra un argomento e l'altro, come se non riuscisse proprio a trattenersi dal farlo. Nei confronti di quel sorriso, Lyric, da una parte aveva sviluppato un certa ammirazione, dall'altra un po' di fastidio.
Il motivo principale per cui gli stava alla larga da quando era entrata nella sua classe era proprio il fastidio che gli dava la presenza di Bill. Non c'entrava nulla l'averla aiutata, non c'entrava neanche lui se per questo, era tutto nella sua testolina bacata.
Il fatto era che, se gli stava troppo accanto, si sentiva come se venisse rimproverata. Lei che non ricordava neanche come si facesse più a sorridere, si biasimava da sola quando guardava Bill, sempre sorridente e sempre allegro. Non gli piaceva essere costretta a vedere in faccia la sua debolezza, sapeva di esserlo ma questo non significava che volesse averci a che fare. In particolare odiava che per colpa di uno sconosciuto dovesse affrontare i suoi problemi. Voleva tenerli tutti chiusi dentro di sé, non farli mai uscire allo scoperto, ormai aveva smesso di combattere.
Per questo ignorava Bill Kaulitz, quasi lo detestava per come riuscisse a mandarle in palla il sistema nervoso. Lui era ciò che doveva essere lei, lui era ciò che era stata un tempo lei, lui le ricordava ciò che non era più.
Era un continuo promemoria, il post-it della sua attuale condizione di, come aveva detto sua nonna, esserino malinconico. Non le piaceva, non le piaceva per niente.
Quando Tom l'aveva accusata di nascondersi non aveva avuto tutti i torti, ma non era in vena di dimostrare il contrario. Preferiva essere affiancata dall'appellativo di codarda piuttosto che dover sostenere la presenza di quell'essere umano chiamato Bill Kaulitz. Era molto più semplice che tirare fuori il coraggio.


****



La mattina seguente all'incubo notturno era particolarmente stressata.
I sorrisi luminosi, le chiacchiere spensierate e le persone che producevano tali gesti erano una vista che la urtavano. Avrebbe tanto voluto che sparissero tutti quanti, voleva solo che scomparissero quei maledetti estranei che la circondavano. Sarebbe stata in pace se li avesse visti circondarsi di una nuvola bianca, fare puff e poi non vederli più. Erano asfissianti.
Più volte nel corso della mattinata fu tentata di chiamare sua zia e farsi venire a prendere, per porre fine a quel tormento ma ogni volta una parte del suo cervello le faceva cambiare idea. Principalmente per evitare di far notare alla sua tutrice di quanta instabilità fosse pregna la sua mente e quindi evitare che a sua zia venissero strane idee: chiamare uno strizzacervelli, per esempio.
Lyric odiava gli psicologi, con tutto il suo cuore.
Odiava il modo di finta comprensione con cui la guardavano, quando in verità la studiavano di sottecchi come una cavia. Gli analisti le mettevano ansia, la facevano sentire “anormale”, sbagliata. Un'altra brutta esperienza che le aveva fatto vivere quella santa donna di sua nonna Cassandra. Aver frequentato settimanalmente, per due mesi, degli specialisti non l'aveva mai aiutata. Se solo quella matusalemme avesse compreso che bastava parlare a quattrocchi tra di loro per poterla aiutare, non avrebbe sviluppato una avversione così aggressiva nei confronti di quel tipo di medici.
Decise quindi di sopportare l'indescrivibile tortura che era la scuola.
Persino Tom non osò rivolgerle una delle sue battute abituali, quando la incrociò in mezzo ai corridoi. Forse fu più per il secco “Dì soltanto una parola e ti faccio diventare un eunuco” che Lyric gli rivolse appena lo vide avvicinarsi, a frenare la sua lingua ma di fatto il rasta ebbe la “straordinaria” sensibilità di scorgere il suo malumore.
In verità, ciò che l'aveva fermato era stato il fatto che per la prima volta da quando conosceva quella rompiballe di Lyric Hörderlin, aveva notato sul suo viso qualcosa a cui non aveva mai dato peso.
Mentre la schiena della ragazza scompariva dietro un angolo, Tom era rimasto immobile nella posizione in cui era stato lasciato, con il pensiero rivolto a ciò che aveva detto una volta Bill. Era stato un commento di una settimana precedente, al ritorno dalla sala prove.
“È sempre triste, sai?” se ne era uscito il gemello minore dopo un po' che camminavano in silenzio.
Tom non dovette nemmeno chiedere a chi si stesse riferendo.
“Lo nasconde piuttosto bene, però, dopo molto tempo passato ad osservarla me ne sono reso conto.” aveva proseguito increspando le labbra pensieroso “Lyric soffre.”
Per la prima volta Tom comprese cosa avesse voluto dire suo fratello e per la prima volta il silenzio e il gelo di Lyric gli apparvero per quello che erano: maschere.
Si sentì un vero idiota a non esserci arrivato prima. Sì sentì talmente stupido che quasi si stupiva della sua totale mancanza di spirito di osservazione. Era così sorpreso dalla scoperta della sua deficienza che soltanto una volta che la campana di fine intervallo suonò, si accorse di essere ancora piantato in mezzo al corridoio, rivolto verso il punto in cui Lyric si era volatilizzata. Il cervello gli si era così svuotato che ci mise due minuti contati prima di tornare alla realtà e comprendere di aver sprecato l'intera pausa a fare la bella statuina. Ci mise altri due minuti per rendersi conto che essendo dall'altra parte della scuola rispetto alla sua classe, avrebbe ricevuto l'ennesima paternale dal professore di tedesco sull'importanza di arrivare puntuale. Inoltre, dopo altri due minuti, mentre cominciava a incamminarsi molto lentamente, si avvide di una idea sconcertante.
“Cazzo fottuto...” esclamò rivolto a se stesso.
Già. E il re dei tonti doveva essere suo fratello.

***



L'aveva combinata grossa.
Questa volta era proprio stata una azione avventata, anzi no, l'azione più stupida fatta nella sua giovane vita e per di più aveva un'emicrania atroce. Non sapeva proprio dove trovasse la forza di stare in piedi, forse il suo corpo si muoveva per inerzia oppure era sostenuta da un'energia di conservazione a cui non aveva mai fatto caso. Magari il fatto che i suoi nervi fossero andati tutti a puttane significava che il suo corpo se ne stava là seduto solo perché, ormai vuoto come un vaso, non poteva effettivamente muoversi.
In tutti i casi il fattaccio era stato compiuto e non le restava che sostenerne le conseguenze. O accidenti alla sua dannata instabilità psico-emotiva!
E soprattutto accidenti a quella fogna ambulante di Doris Gruguer.
Se non fosse stato per il veleno che aveva sputato a mitraglietta su di lei, forse non avrebbe perso i suoi freni inibitori e forse, in quel momento, non avrebbe dovuto sostenere lo sguardo contrariato del signor Hertz. Quell'anziano signore che rappresentava la massima autorità dell'istituto, era il preside, così all'apparenza innocuo e pieno di bontà (quest'idea forse era dovuta al suo lucido cranio pelato, non sapeva perché ma riteneva che le persone pelate avessero ricevuto abbastanza disgrazie nella vita per via della perdita dei capelli, che dovevano per forza aver sviluppato una pazienza ascettica) celava un atteggiamento intimidatorio quasi marziale.
Aveva così mal di testa ed era ancora così scossa dalla rabbia che non era particolarmente ricettiva nei confronti della paura che, in teoria, avrebbe dovuto provare.
Già, evidentemente i suoi neuroni dovevano proprio godersela quella improvvisa vacanza nel paese dei balocchi. Stupidi neuroni! Stronzissimi vigliacchi! Abbandonarla a quel suo destino infame...naturalmente il fatto che facesse tali pensieri contro le sue stesse cellule celebrali denotava la sua condizione di totale follia.
“Si rende conto della gravità del suo comportamento, signorina Hörderlin?” la voce del preside Hertz si fece finalmente sentire dopo lunghi minuti di attesa.
Lyric sbatté gli occhi cercando di comprendere quello che aveva appena detto. Annuì fingendo di aver capito, il suo evidente crollo psitico le aveva succhiato via tutta l'energia. Era stanca e per di più le pareva che il suo cranio da un momento all'altro si sarebbe frantumato in tanti pezzettini. Era quasi certa di percepire le crepe che si allungavano tra le ossa.
“Stupida oca!” pensò con rabbia, rivolgendosi a Doris. L'idiota patentata all'origine del suo attuale problema “Stupidissima deficiente...fanculo!” proseguì mentalmente.
“Episodi simili non dovrebbero verificarsi all'interno di istituti scolastici.” Lyric osservava le labbra del preside, come se avesse potuto capire cosa stava dicendo in questo modo. Peccato che non sapesse assolutamente leggere il labiale.
“Quindi se lo avessi fatto fuori dalla scuola sarebbe stato assolutamente legittimo? Me lo ricorderò la prossima volta che mi metterò a prendere a schiaffi qualcuno.”
Il preside aprì la bocca completamente allibito e non fu l'unico. Nel momento stesso in cui ebbe messo punto alla frase si era accorta di averla detta. Ma cosa le veniva in mente?
Una vena molto vicina al suo cranio cominciò a pulsare, non era un bel segnale.
“Come, prego?”
“Ho detto che la prossima volta che mi metterò a prendere a schiaffi qualcuno le assicuro che mi accerterò di essere ad almeno tre metri fuori dalla proprietà scolastica.”
Era come se si fosse sdoppiata: dentro al suo cranio, rinchiusa dentro una stanza vuota, la Lyric razionale osservava la sua vita su uno schermo gigante mentre là fuori, nel mondo reale, la Lyric che aveva il crollo di nervi agiva senza alcun tipo di controllo.
Quella che al momento stava parlando non aveva alcuna intenzione di starsene zitta. A quella là fuori non gliene fregava più niente di nessuno. Quella là fuori stava imboccando ad occhi chiusi l’autodistruzione.
“Signorina Hörderlin, mi stia a sentire…” La Lyric dentro alla testa, mettendo le mani sullo schermo, pregò con tutto il cuore che non avesse veramente intenzione di dire quello che aveva sulle punte sulle labbra. La supplicò di non dire nulla.
“No. Senta signor Hertz, stia a sentire me.” No, nulla da fare. Era lanciata, nessun freno
“Quello che ho fatto è stato assolutamente legittimo. So perfettamente che la violenza non è mai una soluzione, però non me la sento di dirle che sono dispiaciuta dell’accaduto.”
Il suo corpo vuoto, quel involucro di carne e sangue, prese a tremare. La rabbia non se ne era andata, non ancora. Bruciava ancora.
“Non mi giustificherò in nessun modo, perché non mi pento di esser venuta alle mani con quella vipera.”
Doris Gruguer, gatta morta e reginetta delle barbie snodabili della sua classe, era praticamente priva di qualunque tipo di sensibilità. Quando quel giorno le aveva rivolto la parola per stuzzicarla come al suo solito, non aveva previsto che Lyric avrebbe reagito in quel modo, non lo aveva previsto neanche la diretta interessata, figuriamoci quell'oca.
Solitamente la ignorava nel modo più calmo possibile ma quel giorno le sue parole erano state le gocce che avevano fatto traboccare il vaso. Sapete la storia delle ampolle con i senni delle persone racconta da Ariosto nel “L'Orlando furioso”? Beh, il suo senno era stato imbottigliato proprio nell'istante in cui Lyric non aveva più retto.
“Per quanto mi riguarda, se potessi farlo ancora una volta, non ci penserei due volte a prendere nuovamente Doris Gruguer e darle tutti i santi schiaffi di cui ha bisogno!” la sua voce aveva cominciato ad alterare di volume.
“Signorina Hörderlin, la prego, mantenga la calma…”
“No! Non ho alcuna intenzione di mantenere la calma!” batté i palmi delle mani sulla lucida superficie della scrivania che la divideva dal preside Hertz “Doris Gruguer ha sputato una miriade di cattiverie nei miei confronti. Cose che riguardano la mia vita privata!” Si alzò dalla sedia su cui era seduta, facendola cadere con un sonoro tonfo “Cose che non dovrebbe neanche sapere! Cose che per me sono importanti, signore. Quindi non mi venga a dire che il mio comportamento è stato scorretto!” Sembrava una fiera pronta ad attaccare. Naturalmente non lo avrebbe fatto, però restava in qualche modo inquietante che una ragazzina di quattordici anni potesse contenere una tale carica aggressiva.
Come quella gallina sapesse del fatto che i suoi genitori fossero entrambi morti lo avrebbe scoperto ma a parte questo dettaglio, niente le aveva dato il diritto di dire quelle cose.
“Poverina, dovremmo comprenderla, voglio dire: è un’orfana. Non ha nessuno al mondo, ormai. Per questo si comporta in modo tanto freddo. È completamente sola.”
Veleno.
Pure gocce di veleno sparse su di lei senza preavviso.
Lyric si era bloccata, con gli occhi spalancati dalla sorpresa più totale. Completamente sconvolta. Come faceva a saperlo? Perché stava dicendo quelle cose?
Quelle domande non contarono più molto, perché quella ragazza aveva continuato a parlare di fatti suoi con voce squillante e fastidiosa, come una esperta pescivendola, davanti a tutti. Aveva sparso ai quattro venti la sua vita, la sua solitudine, i suoi sentimenti.
“Non aveva un posto dove stare. Sai, Clarisse? La famiglia di sua madre la appioppata a quella di suo padre. Mi hanno detto che li hanno praticamente costretti a sorbirsela. Non ti sembra una cosa patetica?”
Da qualche parte, in un angolo del suo cervello, qualcosa si era spezzato.
“Patetica?” si era ripetuta mentre concentrava tutto il suo essere alla calma “Chi sei tu per dirmi queste cose? Chi ti credi di essere?”
Tutte quelle parole erano inutili. Erano superflue, non c’era bisogno di rivelarle al mondo. Doris Gruguer non aveva nessun diritto.
“Non ti fa pena? A me molto. Voglio dire, nemmeno la sua famiglia la vuole tra i piedi. Non la vuole proprio nessuno.”
Shiaff!
Diretto e conciso, proprio così, uno schiaffo perfetto. Abbastanza forte da mandarla a cozzare contro il muro di fianco e sufficientemente veloce per impedirle qualunque tipo di reazione.
Uno schiaffo perfetto.
Lyric l'aveva presa per le spalle, inchiodandola al muro “Sei una stronza!” le aveva detto senza urlare, voleva evitare di scendere al suo livello “Sei solo una viziata ragazzina di provincia che crede di essere superiore solo per il suo denaro. Hai sbagliato persona a cui pestare i piedi!”
Doris avrebbe potuto stare zitta e evitare tutto quello che sarebbe successo dopo. Invece quelle grandissima bastarda le rivolse un sorriso maligno “Che c’è? Difficile sopportare la verità? Mi dispiace mia cara addormentata nel bosco, la realtà fa piuttosto male. Avresti dovuto accettare la mia amicizia quando te l'avevo offerta. Ora tutti sanno che sei solo una patetica orfana.”
Le persone sono in grado di compiere le più grandi nefandezze per compiacere i propri desideri. Sono in grado di calpestare qualunque cosa gli possa capitare sotto i piedi. Sono capaci di non avere pietà.
Doris Gruguer semplicemente rispondeva a questa descrizione. Se non otteneva ciò che desiderava, lo distruggeva. Lyric si era rifiutata di diventare l'ennesima amica-lecchina del suo seguito, allora doveva essere estirpata come l'erbaccia ai cigli delle strade.
Ecco, semplice.
Quello che accadde dopo, fu uno scontro piuttosto rumoroso, niente di veramente violento ma neanche una passeggiata a ciel sereno. Ci volle l'intervento di due insegnanti per fermare Lyric dal ridurre quella bambola bionda in brandelli. Non che quella si fosse lasciata assaltare senza difendersi ma tra le due Lyric era la più motivata a spezzare le ossa. Le aveva procurato parecchie abrasioni e graffi, per non parlare di un gigantesco livido sul volto. Lyric, invece, si era rimediata solo qualche graffietto sulle braccia e un segno rosso intorno al collo, marchio distintivo di quando Doris aveva cercato di strozzarla.
Naturalmente furono entrambe spedite in presidenza con effetto immediato.
Doris era stata la prima a essere ricevuta e naturalmente se ne era uscita con una lagnosa solfa da vittima tragica, il preside credendo che fosse troppo sconvolta per sostenere una spiegazione sull'accaduto, l'aveva mandata a farsi curare in infermeria. Mentre a Lyric era toccata la corte d'inquisizione.
“Mia zia glielo ha spiegato non è così?! Glielo ha spiegato il motivo per cui sono venuta in Germania?! Non è così?” Lo urlò come se comportandosi in quel modo avesse potuto spiegare tutta la sua rabbia, tutta la sua frustrazione. Come se quell'uomo avesse potuto capire anche solo per un secondo ciò che la uccideva. Ogni secondo, sempre più affondo.
“Signorina Hörderlin...io, beh...” il signor Hertz balbettò “Posso solo immaginare come si sente in questo momento. Una perdita del genere...naturalmente...”
No, non capiva. Non aveva minimamente prestato attenzione.
“Doris Gruguer ha infierito su di me raccontando ad estranei la mia vita.” parlò molto lentamente, al ritmo del suo cuore, con una stanchezza infinita “Quindi per quanti discorsi su etica, morale ed educazione può snocciolarmi non mi riterrò mai colpevole di alcun reato. Al momento me ne frego altamente di qualunque regola!”
Voleva andarsene, tornare a casa.
Casa.
Aspetta un secondo, casa non c’è più.
Non c’è più una casa dove andare a rifugiarsi, quel luogo non esiste.
Il suo corpo perse in pochi secondi il suo punto di orbita. L’emicrania esplose e lei divenne di pietra. Smise di parlare e fissò il preside non avendo più parole.
Era tutto insensato.
“Qualcuno, qualcuno venga a salvarmi.”
Il preside Hertz prese un sospiro, con calma fece segno a Lyric di tornarsene a sedere. Lei ubbidì, raccattò la sedia da terra e si sedette, il suo cervello era sospeso in una nebbia.
“Comprendo che in questo momento sia sconvolta. Che ne dice se ne riparliamo una volta ripresa un po’ di calma? Chiamerò sua zia per informala della situazione e con lei discuteremo come approntare al problema.” Prese una pausa in cui Lyric lo guardò con occhi vuoti “Vada pure a casa.”
Non se lo fece dire una seconda volta. Si alzò dalla scomoda sedia di legno e si diresse alla porta senza mai voltarsi. Una volta uscita camminò come un automa, guardando dritto davanti a sé.
Senza sapere come avesse fatto era già arrivata in classe.
L’ultima campanella era già suonata da un pezzo e tutti i suoi compagni erano già andati via.
Sospirò di sollievo pensando che non sarebbe riuscita a sostenere ancora gli sguardi derisori di quei bambocci.
Ora avrebbe preso le sue cose e se ne sarebbe andata via da quell’edificio, lontana dagli avvenimenti accaduti, lontana dal resto del mondo. Entrò dentro l’aula andando dritta al suo banco, arrivata lì si mise a fissare in trance il legno del tavolo finché dopo qualche secondo cercò la sua borsa dei libri. Non c’era.
“Te lo tenuta io.” Pronunciò una voce.
Un momento, chi aveva parlato?
“Bill…” lo disse prima ancora di voltarsi a vedere chi fosse. Naturalmente qualcuno lassù si divertiva davvero tanto a prendersi gioco di lei.
Cosa ci faceva lì? L’orario scolastico era concluso da ormai mezz’ora e di solito lui scappava più veloce di un centometrista quando si trattava di andarsene.
“Quelle deficienti delle amiche della Gruguer volevano gettartela nel water. Glielo ho sottratta prima che facessero qualcosa.” Spiegò il ragazzo arricciando la bocca in una smorfia di ribrezzo, era schifato dalla meschinità di cui era capace la gente.
Bill stava dall’altra parte della stanza, seduto sopra al proprio banco e con le gambe penzolanti.
Lyric non era certa di essere tornata normale. Era ancora sospesa tra la se stessa razionale e la se stessa irrazionale. Chi al momento delle due stesse effettivamente interagendo con Bill non lo sapeva.
Di una cosa però ne era certa: l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare in quelle condizioni era proprio lui.
“Mi hai aspettato?” Lyric glielo chiese in modo brusco.
“Bhe, sì.” Bill rimase fermo, sbattendo le palpebre
“Potevi anche evitare. Cosa diamine vuoi, eh? Vuoi che ti racconti ogni singola tragedia personale che ho vissuto?! Vuoi sapere veramente se sono un'orfana e se sono stata abbandonata dalla mia famiglia?!” rabbia, solo rabbia, c'era solo questo in lei. Proprio davanti a lui che le alterava l'equilibrio emotivo, proprio con l'unico che avesse mai cercato di avere un contatto sincero con lei, proprio contro Bill non riusciva altro che riversare la sua rabbia.
Rabbia violenta e furiosa. Una rabbia che ruggiva.
“Ehi! Calma! Non pensare che io sia in grado di fare una cosa talmente insensibile!” protestò Bill alzando leggermente la voce.
“Allora cosa vuoi da me?!” Lyric alzò ancora di più il tono. La bestia nera che dimorava nel suo petto si mise a digrignare i denti, una risata divertita “Spiegami cosa vuoi che faccia?!” abbassò il volto verso il pavimento. Ci fu una pausa di qualche nanosecondo, la sua mente vagò in un indefinito spazio di confusione.
“Perché non mi accetti per quello che sono?” lamentò in una supplica.
“...io non ho mai fatto niente del genere. Lyric, di cosa stai parlando?” Bill ebbe il fugace dubbio che la ragazza non si stesse rivolgendo a lui.
Infatti Lyric aveva volto le ultime domande alla bestia nera che si era risvegliata in lei. Quella creatura era la sua paura, una creatura dal volto ben preciso.
“Ehi, sei sicura di sentirti bene?” Bill scese dal banco e si avvicinò con pochi passi. Le sfiorò il volto con una mano facendola così risalire verso i suoi occhi.
Difficile.
Era tremendamente difficile guardarlo negli occhi. Perché quando il tuo unico desiderio è nasconderti allo sguardo dell'intero universo, un Bill Kaulitz che ti osserva senza mezze misure dritto negli occhi è semplicemente una prova troppo difficile da sostenere. Persone più coraggiose di lei e magari meno stressate di lei, in quel momento, non ce l'avrebbero fatta comunque.
“Tenersi tutto dentro alla lunga è stancante.” Bill sistemò una ciocca dei capelli neri di Lyric dietro il suo orecchio, fu un gesto lieve e delicato, un gesto troppo intimo “Non serve assolutamente a nulla.” la voce di Bill fu di un cadenza sottile e quasi lenta, come una dolce ninnananna.
“Potresti perfettamente evitare tanti scrupoli e mandare a fanculo tutto ciò che non sopporti. Lo preferirei sai.” nel dirlo Bill inclinò leggermente la testa, aprendo sul viso l'abbozzo di un vago sorriso di conforto “Molto meglio che vederti sempre così triste.”
“Sei troppo vicino. Troppo.”
Questo pensiero fu come una spina dall'allarme, un lampo spaventoso nella nebbia del suo inferno. Doveva fermarlo.
“Perché lo fai? ” Bill aggrottò la fronte formando una particolare rughetta sopra al sopracciglio destro. Quello che conteneva il suo percing. Era un'espressione di così infantile perplessità, simile a quello di un bambino che si chiede il perché delle cose.
“Te lo già detto un milione di volte se non mi sbaglio. Voglio la tua amicizia.” nel dirlo fu come se dicesse qualcosa di pateticamente scontato, quasi ridicolo doverlo spiegare ancora una volta. Per Bill era ormai una verità concreta e reale. Ne era proprio convinto.
Le finestre rispecchiavano un cielo che a poco a poco diventava sempre più grigio plumbeo. Le nuvole attanagliavano in una morsa gli ultimi raggi del sole e la luce che veniva emanata aveva un che di spettrale.
Una luce morente.
“Rinuncia.” decretò Lyric in quello che all'inizio era solo un fievole respiro tra le labbra.
“Rinuncia.” ripeté divenendo più diretta.
Si allontanò da lui, andando a prendersi la borsa e la giacca “Rinuncia, è per il tuo bene.” calcava sempre di più sulla parola -rinuncia- come se fosse un verdetto incontestabile “Rinuncia, Bill. Se non mi sbaglio, te lo detto un milione di volte anche io. Sono l'ultima persona che si dovrebbe avere per amica.” indossò la giacca senza mai guardarlo in faccia. Perché avrebbe ceduto se l'avesse fatto. Gli avrebbe permesso di provarci, gli avrebbe concesso di starle accanto.
Non voleva esporsi.
Bill seguì tutte le sue mosse, completamente interdetto dalla durezza delle sue affermazioni. Era così radicata in lei la convinzione di non poter accettare una loro amicizia che rifiutava a priori di provarci. Per lui invece era vero il contrario, lui era così certo che tra loro un rapporto del genere poteva esistere, anzi, c'era già.
Forse distorto, complicato e momentaneamente unilaterale ma per Bill era più che sufficiente.
L'ultima cosa che sarebbe riuscito a fare sarebbe stata ignorarla. Invece Lyric era sicura di poterlo fare e questo portò una certa dose di irritazione in Bill.
Odiava essere ignorato.
“Perché?!” proruppe fermandola prima che mettesse piede fuori dall'aula. “Perché dici queste fottutissime stronzate?” l'influenza volgare di interi pomeriggi con Georg e Tom si fecero sentire in tutta la loro forza “Perché stiamo parlando di immani cazzate!” Bill aveva alzato la voce, nella sua tipica modalità di inizio incazzamento, che il suo gemello definiva molto affettuosamente “isterismo pre-mestruale”.
“Hai sempre detto così ma non mi hai mai spiegato perché. Voglio una ragione! E la voglio ora!”
Lyric prese tutta l'energia che le rimaneva, determinata a porre fine ai loro contatti con un taglio netto e deciso. Un rifiuto fatto con estrema decisione doveva per forza funzionare.
“Perché sono un essere completamente diverso da te!” si mise ad urlare anche lei, divenendo leggermente rossa in viso, quasi le tremarono i denti mentre lo diceva.
“Buttiamo tutto all'aria, distruggiamo tutto quanto, ogni cosa.”
“Siamo completamente agli opposti. Tu sei sempre così dannatamente sorridente, allegro e spigliato! Io invece sono gelida, silenziosa e con un gran desiderio di buttarmi in mezzo a delle macchine in corsa!”
“Mostragli quanto sei penosa. Fagli vedere le ragioni per cui tutti ti abbandonano. Dimostragli che hanno ragione quelli che pensano di te in questo modo. Rivelagli la verità che ti ha inculcato quella persona!”
“Non possiamo avere un rapporto di amicizia noi due! Non possiamo perché sono fatta così, lo dicono tutti! Sono un esserino malinconico, Bill. Un esserino degno solo di essere abbandonato a se stesso.” mentre sputava tutte queste parole lo guardò dritto negli occhi, con sfrontatezza e aggressività, come se lui non potesse ribattere con nessun argomento a ciò che stava dicendo “Io non mi merito il tuo interesse, lo dico per il tuo bene. Rinuncia.”
“Respira, ricordati di respirare, non svenire proprio ora. Trattieniti.”
Tra me e te c'è un muro.” fu il verdetto finale.
Poi scappò, veloce come avrebbe voluto essere nel sogno, il più lontano possibile.
Quello che successe dopo fu qualcosa di altamente imprevedibile. Quasi privo di logica. Assolutamente contro ogni razionalità. Ma tanto si sapeva che Bill Kaulitz era un alieno.
Gli ci volle un minuto intero per ricapitolare velocemente ciò che era successo in quell'aula, gliene servì la metà per accendere in lui una rielaborazione approfondita dei fatti, quasi un decimo del tempo per arrivare ad una conclusione.
L'impulsività mista ad un sentimento combattivo di testardaggine primitiva lo portò a prendere il suo zaino e cominciare a correre all'inseguimento della ragazza. Con un pensiero molto chiaro in mente: “Col cazzo che mi lasci così!”
Fuori intanto aveva cominciato a piovere.

***



Tom se ne stava sotto la tettoia, all'ingresso della scuola, in attesa che suo fratello decidesse di comparire. Dovevano andare alle prove della band ed erano fortemente in ritardo. Immaginò con una smorfia sul viso la paternale assurda che avrebbe fatto quel rompicazzo di Georg. Come se lui non arrivasse mai in ritardo, rimbambito di un bradipo sempre mezzo addormentato!
Mentre rifletteva sul modo di chiudere la fogna a quello scemo, nel momento stesso in cui avesse cercato di sparare una delle sue boiate, una presenza gli passò accanto con velocità quasi disumana, facendogli quasi perdere l’equilibrio.
“Ehi! Ma che caz...” si bloccò perché la riconobbe.
Era Lyric e stava piangendo.
Anche se l'aveva scorta per un secondo, quelle che aveva visto erano proprio lacrime. Rimase basito chiedendosi cosa diamine fosse successo per ridurla così. Non si era fermata neanche per scusarsi, cosa che invece avrebbe fatto in una situazione normale e aveva continuato a correre verso i cancelli. Totalmente incurante della pioggia che aveva iniziato a picchiettare verso il suolo.
Era la prima volta che la scorgeva piangere. In un mese che la conosceva (conoscere per modo di dire) era la prima volta che scorgeva in lei una debolezza tanto evidente. Prima di quel giorno aveva sempre visto la Lyric agguerrita.
“Chissà cosa le è preso?” si chiese sinceramente curioso di sapere la verità. Si sistemò sulla spalla lo zaino che il passaggio della ragazza aveva fatto calare ma, nell’istante in cui lo fece, qualcun altro pensò di venirgli nuovamente addosso.
Questa volta era Bill.
“Ehi! Bill! Ma cosa vi prende? Prima la Hörderlin e adesso tu!” il fratello si volse verso di lui mostrandosi in tutta la sua alterata condizione emotiva.
“Dov’è andata?” chiese in una sottospecie di ruggito da fiera. Tom rimase a fissarlo sorpreso dall’espressione che si ritrovò davanti, sbatté ritmicamente le palpebre in una muta riflessione.
In un punto non preciso del suo encefalo, due neuroni si mandarono un impulso elettrico con cui Tom poté arrivare a comprendere.
“Cosa le hai fatto?” domandò lui, invece di rispondere alla sua domanda “Stava piangendo.” aggiunse con le pupille spalancate, era come se si fosse trovato davanti ad un fenomeno unico nel suo genere, era la prima volta di fatti che sentiva qualcosa di estremamente nuovo. Qualcosa che avrebbe recepito soltanto in futuro.
Bill rimase fermo “Stava piangendo?” chiese non avendo altre parole.
“Sei stato tu.” esclamò Tom corrucciando le sopracciglia, in una affermazione colpevolizzante.
Nessuno dei due stava difatti interagendo con quello che l’altro diceva. Erano su due piani completamente diversi.
“Merda!” proruppe il ragazzo “Cazzo!” Bill declamò una successione riguardevoli di imprecazioni alquanto scurrili prima di tirare il suo zaino in faccia a Tom e riprendere a correre.
“Dove vai?!” gli urlò dietro l’altro. Bill si voltò verso di lui soltanto quando arrivò ai cancelli.
Tom sospirò in un moto di rassegnazione “A sinistra!” urlò il rasta ponendo così risposta al dubbio dell’altro.
Bill riprese a correre, lasciando il gemello turbato e privo di spiegazioni.
La pioggia prese a cadere più forte.


***



Non aveva la minima idea di dove stesse andando.
Semplicemente correva, correva il più forte possibile, con l'insensato pensiero di potersi annullare a forza di correre sempre più forte. Se avesse usato tutte le sue energie nell'azione di correre, magari, sarebbe arrivata veramente a dissolversi nell'atmosfera.
Questo pensiero fantasioso nel fondo della sua coscienza le dava la spinta a continuare.
Se si si fosse fermata sentiva che sarebbe stata spacciata, sentiva che si sarebbe bloccata e avrebbe smesso di sentire di essere viva. Ricercava l'inesistenza eppure voleva a tutti costi mantenere la vita, un classico dilemma, oppure, della semplice irrazionalità.
A rendere le cose più difficili ci si era messa la pioggia: un secondo prima le gocce d'acqua cadevano come piccole tintinnanti pietre trasparenti, fievoli, senza dare fastidio mentre ora scrosciavano a terra fitte e pesanti. Era quasi completamente bagnata e questo non la aiutava a correre. I suoi naturali capelli a boccolo si erano tramutati in tanti umidi ricci, appiccicati fastidiosamente al suo capo mentre il resto del corpo veniva sottoposto ad una doccia indesiderata.
Correre risultava molto più faticoso se si contava la pesantezza degli abiti inzuppati ma seppur con difficoltà, non pensava in nessun modo di smettere.
I suoi passi avanzavano uno dopo l'altro, sempre in avanti, incuranti di perdersi tra le vie d'asfalto. Il mondo aveva smesso di emettere suono, dentro le sue orecchie non arrivava il più piccolo rumore. C'erano solo la pioggia e lei sotto di essa.
Sarebbe dovuta restare davanti all'ingresso della scuola, aspettando l'arrivo della sua cadillac ma una volta che si era messa a correre qualunque altro pensiero era stato estraniato.
Il cuore batteva con il ritmo incalzante di un tamburo giapponese. Primitivo e spasmodico, tramortente ed impressionante ed ogni singolo respiro era una lama che feriva da parte a parte.
Ad un certo punto, senza che lei vi avesse messo il minimo controllo di volontà, i piedi rallentarono l'andatura e dopo qualche secondo si fermarono del tutto.
In quel momento alzò il volto verso l'alto, rivolgendo il mento verso l'immensità di quel cielo piangente. Durante quel contatto visivo espirò un soffio lunghissimo, proveniente direttamente dalla profondità dei suoi polmoni annacquati.
Cosa doveva fare? Anzi no: cosa voleva fare?
Bella domanda. La risposta però non era molto più semplice da dare.
Poteva starsene ferma lì e continuare a farsi il più freddo bagno all’aperto della storia, non era male come opzione, però c’era l’inconveniente che era del tutto sconsiderato. Avrebbe finito di sicuro per ammalarsi…
Ma cosa gliene fregava di ammalarsi oramai?
Le gocce lasciarono lunghe scie invisibili e fredde sulla sua pelle, attraversando incontrastate il suo viso, come su una statua. Erano così leggere eppure scaturivano un suono tanto forte, tutta quella pioggia rumoreggiava in modo frastornante.
Fu proprio nel momento in cui sentiva che sarebbe caduta a terra, ormai spossata, che lo vide. Correva, proprio come l'altra volta e proprio come un mese prima la stava rincorrendo. Non ci poteva credere ma come aveva fatto a raggiungerla?
Perché?!
Perché stava ancora inseguendo lei?!
Non c'era ragione! Nessuna ragione sensata per inseguirla! Ma cosa aveva in testa quel Bill?
Una serie lunghissima di domande si produssero una dietro all'altra, nei pochi istanti che li separavano dall'essere uno di fronte all'altro. Domande dettate dallo shock, a cui seguirono ragionamenti su come affrontare il nuovo attacco imminente.
Bill, che in lontananza era apparso correndo, rallentò man mano che la distanza tra di loro diminuiva. Una cosa però non mutò: la sua espressione. Era un concentrato indefinito di emozioni che vibravano ad un centimetro dalla superficie, sempre più vicini ad esplodere.
Lyric avrebbe voluto mettersi nuovamente a correre, fuggire le sembrava un'idea più che consona al suo poco entusiasmo nel volere discutere nuovamente con lui.
Non lo fece o meglio non poté farlo, perché Bill la inchiodò con un'occhiata appena fu ad un passo da lei.
“Non ti azzardare, sai?” fu la prima cosa che disse il ragazzo tra un respiro e l'altro mentre riprendeva fiato. A quel tempo Bill e Lyric erano ancora alti nello stesso modo, quindi mentre si fronteggiavano sotto alla pioggia i loro occhi si guardarono sempre direttamente.
Da una parte il nocciola sfumato di ambra, deciso e irremovibile in quello che desiderava. Dall'altra il blu incantevole di uno zaffiro, stanco e spaesato .
“Non ti azzardare mai più a lasciarmi in quel modo.” la voce di Bill suonò inizialmente aspra “Non provarci mai più.” il suo pomo d'Adamo fece un leggero movimento su e giù mentre si prendeva una pausa “Perché ne ho già ascoltate troppe di stronzate nella mia vita!”
“Bill..” iniziò Lyric, cercando di far uscire una qualche voce dalla gola. L'acqua veniva giù così forte che quasi non riuscivano a tenere gli occhi aperti.
“No! Ora mi lasci parlare!” alzò la voce, spostando poi i capelli bagnati che gli impedivano la visuale “Hai detto che tra di noi c'è un muro! Hai detto che sono sempre allegro, spigliato e sorridente...” assieme alla voce alzò anche le mani, agitandole nel classico modo di quando riteneva che le parole dovessero essere supportate dalla gestualità fisica.
“TUTTE FOTTUTISSIME STRONZATE!” lo buttò fuori con tale irruenza che Lyric credette che da un momento all'altro lui sarebbe scoppiato. L'aveva fatto arrabbiare, era evidente eppure vederlo così incazzato era uno spettacolo affascinante.
Era stata lei?
Era stata proprio lei a far uscire quel Bill?
“Io.” Bill puntò un dito verso di sé “Non sono sempre sorridente! Io...” ripuntò il dito verso se stesso “Non sono sempre allegro! Io...” scosse la testa in modo febbrile “Non sono sempre spigliato!!”
Se avesse alzato ancora di più la voce avrebbe potuto superare la potenza di un fulmine ma fortunatamente non lo fece “Non sono sempre così! Non sono solo questo, cazzo! Tutti hanno momenti in cui vorrebbero spaccare tutto quanto, pure IO! Merda!”
“Bill...” cosa avrebbe potuto dire per fermare quel fiume in piena?
Non la lasciò neanche proseguire “Io e te non siamo agli opposti per queste tre minchiate! Fammi il favore di trovare altre argomentazioni perché quelle che hai elencato non reggono...” le guance di Bill erano ormai amaranto e tutto quel suo urlare a pieno volume non veniva aiutato di certo dall'acqua a catinelle.
Insistentemente però proseguiva.
C'era una cosa che voleva assolutamente dire a Lyric. Una cosa che gli premeva esternare a discapito di qualunque effetto potesse ottenere dirlo. Era un tipo così lui: o tutto o niente, in qualunque caso non avrebbe mai rinunciato ad essere se stesso. Neanche in quel momento, neanche davanti a un rifiuto.
Bill prese una pausa molto più lunga delle altre, in cui il suo petto si sollevò a prendere l'aria prima del tuffo nelle profondità. Lyric attese, aspettò con gli occhi ormai completamente appesantiti dall'azione dell'acqua, attese come se avesse trovato una risposta.
“Ogni persona a questo mondo è unica, questo lo dico perché ne sono convinto con tutte le mie forze e non perché voglia fare una stupida frase fatta del cazzo.” iniziò Bill con il tono della voce tornato normale “L'unicità significa che siamo anche diversi e questo è innegabile. Quindi, quando hai detto che sei un essere completamente diverso da me, avevi ragione ma questo non vuol dire niente. Non vuol dire affatto che noi due non possiamo essere amici, non è una ragione per cui io dovrei rinunciare a volerlo essere.” deciso e semplice, indubbiamente non si potevano fraintendere le sue parole.
“Non sei tu a potermi dire quando e perché rinunciare a qualcosa. L'unico che può prendere una decisione del genere sono io stesso e nessun altro. So decidere con la mia testa quando rinunciare e perché...” proseguì Bill “E sinceramente non ho proprio nessuna voglia di rinunciare. Ficcatelo nella testa Lyric Hörderlin, il qui presente Bill Kaulitz non rinuncerà solo perché gli gridi addosso quattro cavolate in croce sul fatto che siamo diversi e bla-bla simili. Tra me e te non c'è nessun muro, a dividerci c'è solo la tua paura e nient'altro.”
“Solo la mia paura?” era vero. Lei aveva una paura enorme.
“Finché sarò sicuro di questo, stai certa che mi vedrai sempre insistentemente ronzarti attorno.”
“Perché?” fu la prima cosa che riuscì a dire dopo quel lunghissimo ed incisivo monologo. Non capiva cosa pensare eppure era quasi certa di essere del tutto d'accordo con quello che aveva detto.
Quelle cose che le stava dicendo avrebbe volute sentirle tanto tempo addietro. Nel momento della perdita avrebbe tanto voluto che le persone andassero oltre al muro che si era eretta. Avrebbe voluto che nessuno la bollasse come esserino malinconico, quell'appellativo di sua nonna martellava nella sua testa come un dogma a cui non poteva opporsi. La influenzava a tal punto da seguirla persino oltre Atlantico.
“Perché continuerai a insistere? Perché, anche se tutti gli altri hanno già rinunciato?” nel dire quello Lyric fu ad un passo dal crollare a terra. Non sapeva cosa aspettarsi da lui, non aveva nessuna certezza. Sapeva solo che avrebbe fatto in modo che i suoi nervi resistessero fino alla sua risposta.
Bill alzò gli occhi al cielo pensando alla risposta da dare, dopo qualche secondo di riflessione fece scendere nuovamente lo sguardo su di lei “Perché io non sono gli altri. Io sono Bill e come me stesso desidero continuare ad insistere. Perché fin dall'inizio non sono mai riuscito ad ignorarti.” si spostò nuovamente un ciuffo nero dalla fronte bagnata.
“Semplice, questa è la mia risposta. Se c'è qualcosa che non riesci a distogliere dai tuoi occhi che puoi fare?”
“Già, che puoi fare?” qualcosa nel suo animo cominciò a farle male, non un male doloroso piuttosto un male necessario se messo di fronte alla realtà. Dopo mesi passati sotto sguardi che la ignoravano sempre, di fronte alla dichiarazione di Bill si sentì persa.
“Nulla, l'accetti perché ha attirato la tua attenzione, le vai accanto e cerchi di comprenderla.”
“Perché?” la parola tremò nella sua bocca.
“Perché non vuoi ignorarla. Perché io non voglio ignorarti.”
Quella risposta fu più che sufficiente. Fu la risposta che aveva aspettato a lungo.
Lyric si avvicinò a Bill, allungando le braccia verso di lui. Appoggiò le mani sui suoi avambracci e strinse i palmi attorno ad essi. Molto lentamente posò poi la fronte sulla spalla sinistra di Bill.
Lui non fece il minimo movimento, lasciando via libera alle mosse di lei.
La pioggia precipitava a terra rumorosa come prima, fu per questo motivo che quello che le uscì dalle labbra si confuse nel suono delle gocce che cadevano. Bill però lo udì comunque.
“Grazie.”
____________________________________

Ecco a voi il terzo capitolo. Uno dei miei preferiti, soprattutto per le ultime scene in cui si mette tutto in gioco e le cose per Lyric e Bill si muovono un poco.
Cosa dire? Al momento non riesco a pensare lucidamente perché è piuttosto tardi e io dovrei andare a dormire xD
Grazie a tutti quelli che leggerano, mi farebbe piacerebbe sapere cosa ne pensate (ovviamente quando avrete tempo.)
Ci vediamo dopo-domani, presumibilmente. Baci!
 
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Gillian Kami
view post Posted on 17/3/2010, 22:06




Capitolo 4: The Fabolous Four.


Si era addormentata.
Un momento era lì con gli occhi aperti, aspettando che lui arrivasse con la promessa tazza di tè bollente, e il momento successivo era già con la guancia distesa sul cuscino del divano e le palpebre dolcemente calate. Neanche il tempo di chiederle quale tipo di miscela preferisse che era già in viaggio nella valle dei sogni.
Lyric doveva essere veramente stanca.
Dopo aver fatto una doccia calda ed essersi asciugati per bene da tutta quell'acqua prese a fiotti, era naturale che venisse un po' di sonno. Anche lui sentiva il desiderio di andarsene a dormire ma anche se fu molto tentato di coricarsi nel suo lettuccio non lasciò il salotto. La coprì con un plaid di lana prima di mettersi a sedere sul poggia piedi di fronte al divano, dove lei era sdraiata. Una volta seduto cominciò a sorseggiare con calma il tè preparato.
Quando erano arrivati non c'era stata traccia di anima viva in casa. Probabilmente sua madre era ancora al lavoro e Gordon pure. Fu un bene che fosse stato così, sarebbe stato troppo lungo dare una spiegazione logica alla entrata di due ragazzi spolti da cima a fondo e poi Lyric, di sicuro, non aveva le energie necessarie per affrontare le mute espressioni di domanda che avrebbe fatto sua madre.
Portò alla bocca un altro goccio di tè.
Era stata in silenzio per tutto il tempo, neanche il minimo accenno a voler aprire le labbra lungo il tragitto fino a casa sua e nemmeno quando vi erano arrivati. Si era chiusa in mutismo che l'aveva allarmato leggermente. Si era quasi chiesto se prima non avesse esagerato, quando le aveva gridato addosso, ma poi si era reso conto che non c'entrava nulla quello che era accaduto.
Come lo avesse capito non era chiaro nemmeno a lui, però sapeva. Sapeva che Lyric restava in silenzio perché ne aveva bisogno. Non era al corrente di tutti quelli che erano i suoi problemi, non aveva ancora ricevuto spiegazioni ma Bill sentiva che le avrebbe ricevute quelle risposte.
C'era tempo. Nessuna fretta. Avrebbe atteso.
Questo perché il blu di Lyric aveva cominciato a smettere di nascondersi a lui.
Perché per ora bastava che lo avesse accettato.
Non c'era proprio nessuna fretta.
Si portò alle labbra dell'altro tè riflettendo su come spiegare l'assenza alle prove agli altri ragazzi. Gli dispiaceva molto non esserci andato e poi aveva lasciato Tom da solo, per di più con il suo zaino.
Stava già immaginando cosa lui avrebbe detto una volta incrociatolo, sicuramente gli avrebbe lanciato addosso la borsa, gridando imprecazioni per la pioggia che aveva dovuto sopportare (portando il peso dei suoi averi) e contemporaneamente lo avrebbe guardato come se fosse stato il più grande idiota che avesse mai incontrato sulla sua strada. Avrebbe sicuramente detto una cosa del tipo:
“Sei un idiota, rincoglionito! La prossima volta getto il tuo zaino dritto dentro un fiume! Porca miseria! Sarai mica stupido?! Cosa cazzo mi lasci da solo a portare le tue cose?! e per di più non ti presenti alle prove! Se non fossi mio fratello ti avrei già castrato! La prossima volta faccio la spia alla mamma e glielo dico che le freghi il kajal o come cazzo si chiama quella dannata matita nera.. ”.
Di certo, si diceva Bill, non avrebbe resistito dal correggerlo e gli avrebbe fatto notare che il kajal e la matita nera erano di fatto due cose diverse. Tom sicuramente avrebbe sclerato ancora di più per l'appunto indesiderato e avrebbe cominciato a gracchiare altre parolacce mentre lui, molto poco sportivamente, avrebbe lasciato la stanza per non doverlo ascoltare.
Sarebbe andata sicuramente in quel modo, certo al cento per cento.
Bill bevette ancora, scuotendo contemporaneamente la testa, gli occhi che guardavano verso l'alto in un'espressione a metà tra l'esasperato e il divertito. Il gemello era molto prevedibile, almeno non avrebbe ricevuto sorprese.
Lyric si mosse sotto la coperta, in un movimento quasi impercettibile aveva spostato la testa ed emesso nello stesso tempo un sospiro. Bill rimase fermo per paura di svegliarla, o meglio, per paura che svegliandosi si fosse accorta che lui era lì a osservarla. Si rilassò immediatamente vedendo che lei proseguiva a navigare nel regno di morfeo.
Gli angoli della bocca di Bill incurvarono poi verso l'alto, in un sorriso a fior di labbra, pensando che la stessa ragazza che qualche ora prima scappava da lui come una gazzella in fuga, ora, era tranquillamente addormentata sul divano del suo salotto.
Così calma, senza più quella frenetica tensione che le tirava il volto.
Così rilassata, priva dello sforzo che l'aveva sostenuta per non frantumarsi.
Così distesa, lontana per un poco dalla sua inquietudine.
Era in pace?
Provava un po' di serenità, adesso?
Pregò che fosse veramente così. Pregò realmente che lei stesse bene.
Non la conosceva, non ancora almeno ma anche se era quasi una sconosciuta pregò lo stesso, che in quel momento, fosse davvero serena.
Si avvicinò al divano con pochi passi, lasciando il tè appoggiato da qualche parte, con una mossa che non avrebbe ricordato di aver fatto. Si piegò in basso, mettendosi a sedere a gambe incrociate sul pavimento.
“Forse ha freddo.” allungò la mano sulla coperta per coprirla meglio “E se avesse la febbre?” pensò ancora. Molto cautamente portò il palmo della mano sulla fronte di lei per controllare.
No, aveva una temperatura normale.
Rimase immobile in quella posizione, sbattendo un paio di volte le palpebre per allontanare momentaneamente la sonnolenza che avanzava.
La sua mano era ancora appoggiata sulla pelle di Lyric, non l'aveva allontanata.
Sbatté ancora le ciglia in una pausa meditativa in cui effettivamente non pensò a nulla, prima di far scorrere quella indugiante mano verso l'alto, passando così con un piccolo gesto a sistemarle una ciocca di capelli che le cadeva sulle palpebre.
Intrappolò volontariamente le dita tra i quei fili corvini, giocherellando in modo infantile con una delle sue ciocche ondulate. Se Lyric avesse aperto gli occhi proprio in quel momento, Bill non avrebbe avuto nessun tipo di giustificazione per spiegare quello che stava facendo. Rise flebilmente a quella possibile prospettiva imbarazzante. Se rideva per una cosa simile non doveva esserci molto con la testa.
Di certo c'entrava il sonno, che passettino dopo passettino, raggiungeva il centro del suo sistema nervoso in un attacco a tradimento per farlo crollare. O almeno doveva essere così.
C'era uno straordinario silenzio in casa, nessuno avrebbe interrotto quell'atmosfera così insolitamente pia e Bill avrebbe potuto proseguire a giocare con i capelli di Lyric ancora a lungo. Unici testimoni di quella scena ci sarebbero stati solo la luce del sole finalmente libero dalla nubi e il ticchettio ritmico delle lancette dell'orologio a pendolo che segnava le sedici e mezza.
Nessuno avrebbe avuto ricordo di quel momento, sarebbe rimasto un segreto della sua memoria.
Solo lui avrebbe ricordato Lyric addormentata in modo tanto pacifico. Solo lui avrebbe ricordato di aver fatto da custode al suo sonno. Questo sarebbe stato un suo ricordo. Solo suo.
Senza neanche accorgersene, Bill, appoggiò il capo sul divano facendo scendere le palpebre verso il basso. Senza rendersene conto finì anche lui tra le nuvole dei sogni.

***



“Come cazzo fai ad aver perso le chiavi di casa dentro i tuoi pantaloni?” il proprietario di quella voce non si trattenne dal guardare il suo interlocutore con un'espressione che era tutto un programma (qualunque messaggio poteva essere recepito, di sicuro, c'entrava un'opinione piuttosto visibile sulla stupidità del altro).
“Vedi cosa succede, Tom, a portare quegli zavagli indecenti?” il ragazzo che parlava fece no-no con la boccuccia mentre quello che si sorbiva la solfa armeggiava dentro alle sue tasche per ritrovare le chiavi di casa.
“E poi non ti servono a nulla, non c'è niente là sotto che necessiti di così tanto spazio...” aggiunse ancora in una delle ennesime battute che di solito scambiava con l’altro. Un ragazzo biondo al loro fianco, in attesa di poter entrare, non trattenne una risata divertita mentre con una mano si stava sistemando gli occhiali da vista.
“Certo come nel tuo cranio, Georg. Là dentro è tutto spazio sprecato per soli due neuroni, no?” rispose il suddetto interlocutore cogliendo al balzo l'opportunità di rispondere per le rime all'amico. Georg fece una smorfia “Ah-ah vuoi un applauso? ti ricordo che quello che ha perduto le chiavi dentro i propri vestiti sei tu.”
“Se stessi zitto un secondo potrei concentrarmi, non credi?” era riuscito a trovare le chiavi, erano intrappolate nell'angolo più lontano della tasca destra dei pantaloni. Si tirò in su i jeans per poterle raggiungere più in fretta.
“Ah già, è vero. Sei capace solo di un pensiero alla volta.” Georg proseguì a canzonarlo, nel dire questo sul suo viso espose un sorriso fintamente innocente. Tom, che era riuscito alla fine ad afferrare le chiavi, si voltò verso di lui sorridendo allo stesso modo “Almeno io penso di tanto in tanto. Per te invece è già un miracolo se un neurone si accende per caso.”
Gustav intervenne prima che Georg potesse decidere di risponde alla provocazione, se li avesse lasciati fare non avrebbe avuto nessuna remota possibilità di entrare in casa e posare gli zaini (il suo e quello di Bill). Con la sua solita calma si intromise per fare da pacere.
“Ragazzi.” li richiamò all'ordine con lo stesso entusiasmo di una madre che dopo una giornata stancante di lavoro deve convincere i figli a fare i compiti “Non ho voglia di stare ancora qui in piedi solo perché avete desiderio di battibeccare tra di voi. Entriamo in casa e poi vi lascio proseguire una volta che ci siamo seduti.” I due si voltarono verso di lui come due stoccafissi. Entrambi poi puntarono il dito verso l'altro.
“Ha cominciato lui!” esclamarono all'unisono.
Gustav schioccò la lingua per esprimere un lamento. Quando ci si mettevano quei due erano veramente una lagna e fortunatamente non c'era Bill a dar manforte, perché se lui ci fosse stato, avrebbero veramente proseguito all'infinito.
Il trio restò qualche secondo a fissarsi e in lontananza si udì il suono delle macchine che passavano sulle pozzanghere formate dalla pioggia.
“Continuiamo a fare le belle statuine oppure entriamo?” chiese Gustav sistemandosi ancora una volta gli occhiali, gli cadevano troppo spesso verso la punta del naso, il che per lui era un fastidio.
Georg fece spallucce sistemandosi i capelli ondulati dietro l'orecchio “Entriamo.” fece con tono normale, prendendo in mano la custodia del basso “Non ricordo neanche più perché ci siamo bloccati.”
Tom evitò di commentare quello che era appena uscito dalla bocca di quel tizio e finalmente aprì la porta di casa.
Noto subito che c'era molto silenzio.
Questo significava che Bill non era in casa.
Pensò mentre teneva la porta aperta per gli altri due. Si chiese dove diamine fosse finito quello scemo, erano già le diciotto e da lì a mezz'ora sarebbero rincasati la mamma e Gordon. Avrebbe dovuto inseguirlo quando si era messo a correre dietro la Hörderlin, così ci avrebbe capito qualcosa di quello che era accaduto.
Si era trattenuto dal farlo ripensando che la Hörderlin piangeva, non sarebbe stato di grande aiuto con una ragazza in lacrime, se poi era quella ragazza in lacrime la cosa era del tutto fuori dalle sue capacità.
Quando Bill si fosse deciso a tornare gli avrebbe chiesto cosa diamine avesse combinato.
“Tom, ho una sete boia.” fece Georg in modo piuttosto “elegante”, emettendo nel contempo un verso lagnoso “Portami immediatamente qualcosa.”
Tom appoggiò la giacca sull'appendi abiti prima di rispondergli “Se me lo chiedi così l'unica cosa che ti offro è un dito medio alzato.” gli fece lui in modo molto affabile.
“Oh ma dai! Sei permaloso come una braga!” sentenziò l'altro.
“E che cazzo sarebbe una braga? Parla in modo normale. Non ha senso dire che sono permaloso come una braga!” Tom cominciò a muoversi verso la cucina seguito a ruota da agli altri due.
“Sì che ha senso! Sei solo troppo stupido per riuscire a capirne il significato...” arrivati nella cucina, il didietro di Georg prese possesso di una delle sedie del tavolo mentre il possessore di tale cosa emetteva risolini con la sua voce da baritono. Tom, che intanto si era diretto verso una credenza per prendere dei bicchieri, bloccò i suoi movimenti e si voltò verso l'amico “Perché non hai di meglio da fare che rompermi le palle?” nel dirlo la sua faccia esprimeva “Ma quanto sei coglione?” Georg lo guardò allo stesso modo.
“Io vado in bagno.” si intromise Gustav, prendendo al balzo la pausa di silenzio tra una cavolata e l'altra per poter tirarsene fuori qualche secondo.
Si divertivano troppo.
Come era da schema quei due proseguivano ininterrottamente a prendersi per il culo. Se fosse esistito uno sport che aveva come obbiettivo canzonare l'avversario con scemenze spruzzate di volgarità loro due sarebbero stati dei maestri e se avessero potuto avrebbero continuato a rimbeccarsi anche per via telepatica.
Già, si divertivano troppo.
“La strada la conosci?” disse Tom.
Gustav annuì mentre era già fuori dalla stanza “La porta a destra, infondo al corridoio.” volle essere sicuro che non se lo fosse dimenticato.
“Lo so. Ricordo dove sta il bagno.” era venuto così tante volte in quella casa che lo ricordava perfettamente, non c'era bisogno di quell'appunto.
Fece dietrofront per dirgli un'ultima cosa “Vorrei della cioccolata, non è che ne potresti preparare?” domandò il biondo fornendo così qualcosa da fargli fare invece di scherzare soltanto con Georg.
Infatti aveva una voglia tremenda di riscaldarsi lo stomaco dopo aver attraversato l'intemperie per arrivare a casa dell'amico.
“Ottima idea Gus!” fu d'accordo Georg battendo le mani in un sonoro schiocco “Anche io gradirei della cioccolata!”
“D'accordo, te la faccio Gustav. Ne avevo giusto voglia anch'io” gli rispose Tom “Invece tu ti attacchi.” si rivolse all'altro.
“E perché?!” Georg rizzò la postura sulla sedia, come se avesse appena ricevuto una minaccia alla sua vita.
“Perché hai detto di avere una sete boia!”
“Appunto, la cioccolata è un liquido.”
“Non disseta.” fu la sua risposta piatta di Tom mentre tirava fuori il latte dal frigo.
“Vabbè, dettagli. Non puoi lasciarti influenzare da quello che ho detto prima. Ora siamo ad adesso e io voglio della cioccolata.”
“Col cazzo.” sostenne Tom mentre tirava fuori un pentolino ed accendeva il gas “E poi ti ho detto di parlare tedesco normale. - Ora siamo ad adesso- non ha senso. Analfabeta.”
“Tom, a volte sei acido come una vecchia in menopausa.”
“Grazie. Tu invece sei sempre acido come una vecchia in menopausa e per di più ne hai anche l'odore.”
Arrivati a questo punto Gustav si era già voltato per continuare la sua scappatella verso il bagno, pensando che sarebbe rimasto là dentro giusto il tempo di far finire a quei due il primo round di cavolate.
Tom li aveva invitati a rimanere a cena per farsi, diciamo, perdonare l'assenza di Bill e poi soprattutto perché Georg doveva far provare all'amico un nuovo picchia-duro per play station che aveva comprato da qualche giorno.
“Una figata assurda! Il sangue schizza in modo impressionante!” aveva detto il basista della band, decantando quella che secondo lui era la qualità migliore del gioco. Ovviamente Tom aveva abboccato all'amo fin da subito.
Passando davanti all'ingresso del salotto Gustav notò di sfuggita che qualcosa era appoggiato al divano ma non ci diede peso perché i richiami della natura erano impellenti, preferì dare ascolto a questi. Una volta finiti i bisogni corporei, nel fare la strada di ritorno verso la cucina, decise di controllare cosa avesse effettivamente visto dieci minuti prima. Di sicuro non poteva essere Kasimir, il gatto dei gemelli, gli era sembrato qualcosa di più grosso.
Era quasi sicuro che fosse la sagoma di una persona quell'agglomerato indistinto e goffamente posizionato. A passo molto leggero entrò nel salotto, bloccandosi quasi subito.
Aveva visto giusto: era una persona la cosa che aveva visto prima, anzi, le persone erano due ed entrambe completamente addormentate. Una di queste era Bill, seduto per terra, con la schiena incurvata verso il divano e la testa appoggiata a qualche centimetro in basso rispetto al volto dell'altro addormentato. Diciamo pure addormentata. Quello era indubbiamente un essere umano di sesso femminile.
La mano destra dell'amico teneva per le punte delle dita un ciuffo di capelli neri appartenenti alla ragazza che occupava il sofà. Gustav pensò immediatamente che sarebbe stato meglio coprire Bill con un coperta, per evitare che si buscasse un raffreddore indesiderato. Non gli passò neanche per un nanosecondo di chiedersi cosa ci facesse una ragazza addormenta là dentro, con Bill al fianco, come invece avrebbero fatto gli altri due scemi.
Gustav non era mai stato un tipo che si impicciava troppo degli affari degli altri. Se ci fossero stati dei chiarimenti da avere, si diceva sempre, prima o poi sarebbero spuntati. Gli amici non dovevano per forza chiedere sempre ogni cosa su tutto.
Dopo un'ultima occhiata si diresse verso la cucina per chiedere a Tom dove poteva trovare una coperta.
“Ti dico che la brucerai se non la mescoli bene, rimbambito!” ecco cosa stava gracchiando Georg quando Gustav mise piede nella stanza.
L'amico si era alzato dalla sedia e si trovava in piedi di fianco a Tom. Aveva l'espressione di un comandante dell'esercito che rimproverava un suo sottoposto per la negligenza che ci metteva nel ubbidire agli ordini impartiti.
Tom, che stava battendo un piede come un canguro a dimostrazione della sua sopportazione agli sgoccioli, fu sul punto di tirargli addosso l'intero pentolino bollente “Senti, grattugia-balle, ti ho già detto che so farla da solo la cioccolata. Tu devi stare zitto e guardare il maestro all'opera.”
“Maestro nel preparare veleni? Dì la verità, dillo che con quella brodaglia marrone hai intenzione di avvelenarmi...” lo accusò Georg indicando la cioccolata come se fosse il colpevole di un orrendo omicidio.
“Guarda, anche se vorrei tanto mandarti all'altro mondo, purtroppo ho finito il veleno per topi l'altro giorno. Ma se ci tieni tanto vado prendere dei lassativi e te li infilo nella tua tazza. Contento?” Tom e Georg si diedero un'occhiata prima di scoppiare in una risata simultanea.
Gustav decise che era il momento migliore per parlare “Tom sai dirmi dove posso trovare una coperta?”
Il rasta, ancora intendo a ridacchiare seguito a fianco da Georg gli rispose senza prestare troppa attenzione “Ehm...credo che puoi trovarne una nella cabina armadio di fianco al porta-abiti.”
“Ok, grazie.” Gustav si era già voltato per uscire nuovamente.
“Sbrigati che tra qualche secondo la cioccolata è pronta.” disse Tom ritornando a mescolare.
“Sì, certo. È pronta per mandarci tutti al cesso.” Georg riprese a far battute.
“Invece di dire cavolate tira fuori delle tazze, perditempo. Sono là sopra.” gli indicò una delle credenze mentre lui spegneva il fuoco.
Nel giro di pochi minuti tre tazze fumanti comparvero sopra il tavolo della cucina in attesa di essere bevute. Gustav nel frattempo aveva fatto ritorno.
Si sedette anche lui con gli altri e poi cominciarono a bere.
“Volete qualcosa da mangiare?” domandò Tom dopo dieci minuti che restavano in silenzio tra i rumori della bevanda bevuta. Il piacevole odore della cioccolata cominciò ad evaporare intorno a loro.
“No, grazie.” rispose Georg “Credo che aspetterò la cena di tua madre. Evitiamo di rovinarci ulteriormente l'appetito.” Gustav annuì pacatamente per dimostrare il suo essere d'accordo con Georg, mentre si gustava l'aroma della cioccolata che si scioglieva lentamente sulla lingua.
“Buona.” fu il commento di apprezzamento di Gustav, lanciando a colui che l'aveva preparato un sorriso.
Tom sorrise di rimando, prendendo un altro po' della sua creazione dalla tazza.
Sarà stato un tipo di poche parole ma Gustav riusciva veramente bene nell'essere gentile. Non era un tipo chiassoso ed estroverso come lo era lui però riusciva a far sentire a loro agio le persone, in quel suo modo affabile di porsi. Era veramente piacevole e per questa ragione gli si potevano perdonare i suoi momenti da permaloso cronico. Inoltre, pur avendo una figura così piccola (era decisamente più basso di lui, anche se aveva un anno in più), possedeva un caratterino al quanto forte.
“Naa, io gli darei la quasi decenza. Al limite del bevibile. Non te la prendere Tom, non sei destinato a fare la massaia. Mi dispiace di aver distrutto il tuo sogno nel cassetto.” ed ecco invece Georg. Il classico tipo simpatico con cui è praticamente impossibile non ridere e fare fancazzeggio dalla mattina alla sera. Sempre lì a fare l'idiota e a divertirsi come più poteva. Un tipo da compagnia, il classico tipo che a Tom piaceva avere come amico.
Con Georg ci si poteva dare alla pazza gioia, praticamente il compagno ideale per una sbronza. Ovviamente non era sempre così, di tanto in tanto faceva il serio e dimostrava di avere in qualche modo una certa maturità sotto quell'ammasso di capelli.
Non li avrebbe cambiati di una virgola, se glielo avessero chiesto, non li avrebbe cambiati in nessun modo.
“Oh, chiudi quella fogna una volta tanto. Lo sappiamo tutti che dici queste cose per nascondere i tuoi profondi desideri.” Tom fece una delle sue classiche occhiate furbette “Però non devi preoccuparti, un giorno riuscirai a diventare una vecchia acida suocera. Sei sulla buona strada per quanto riguarda l'acidità, per il resto farà la chirurgia plastica.”
Gustav quasi affogò, aveva fatto la cattiva scelta di inghiottire e contemporaneamente ridere. Tom e Georg, naturalmente, ripresero a darsi addosso come due vecchie.
Come aveva detto prima, si divertivano troppo.
Gustav li lasciò fare, ricominciando a bere in modo del tutto tranquillo. La cioccolata era proprio buona, avrebbe dovuto chiedere quale marca avesse usato Tom. Tra un sorso e l'altro Gustav si mise a viaggiare nei suoi pensieri, ricordandosi che avrebbe dovuto ripassare gli spartiti per le lezioni in conservatorio.
“A proposito, a cosa ti serviva la coperta?” Tom smise un secondo di battibeccare con l'altro. Gustav sbatté gli occhioni marroni dietro gli occhiali poiché non si era aspettato la domanda.
“Già. A cosa ti serviva?” Georg si intrufolò nel discorso.
Cosa avrebbe potuto dire? In qualunque modo l'avesse messa quei due si sarebbero precipitati in salotto, svegliando gli addormentati nel modo più brusco possibile. Quei due avevano una delicatezza pari all'invasione di cavallette descritta tra le piaghe d'Egitto, li avrebbero spaventati a morte. Più che altro Bill era abituato, era la ragazza il problema, come poteva darla in pasto ad un destino talmente infame?
“Yuhuuu!” Tom si era messo a passargli la mano davanti alla faccia “Batti un colpo se ci sei.”
Gustav mandò giù quello che aveva bevuto prima di rispondere “Ho pensato che potesse avere freddo quindi lo coperto un pochino.” la mise sul generale per guadagnare tempo.
“Coperto chi?” Tom corrugò la fronte.
Gustav non poté evitare la domanda diretta “Bill.” lo disse nel modo più normale possibile, sperando che Tom se ne stesse buono e non facesse nulla di brusco.
Invece fece proprio il contrario, lui si alzò dalla sedia così irruentemente che Georg quasi saltò dalla sua (molto flebilmente aveva mormorato anche un “Cazzo, ho un infarto.”).
“Il coglione è in casa?” ringhiò con una smorfia “Quel coglione è in casa?” ripeté spalancando gli occhi. Gustav non avrebbe mai potuto immaginare per quale motivo Tom avesse quella reazione, passò lo sguardo verso Georg, perplesso “Ehm, sì. È nel salotto che dorme.”
“Il coglione sta dormendo?” ma perché continuava a dire coglione? Gustav se lo chiese mentre annuiva.
“Ora vado a svegliarlo io...” e Tom si mosse, deciso a far crollare suo fratello da qualunque superficie piana avesse fatto appoggiare il suo corpo, nel modo meno delicato che potesse esistere.
“No...Tom...aspetta...non farlo...” Gustav non riuscì a fargli sentire neanche le prime due parole.
Georg, che era rimasto seduto a bere dalla sua tazza, gli fece segno con la mano di starsene calmo “Non preoccuparti, non gli farà del male. Sai come sono fatti quei due. Si meneranno per un po' e poi tutto bene come prima. Bill ci è abituato alle maniere manesche di Tom.”
“Bill di sicuro ma la ragazza non credo che la prenderà tanto positivamente.” Gustav si tolse gli occhiali per pulirseli.
“...” Georg guardò l'amico cercando di capire se avesse recepito bene il messaggio “Ragazza?” lo disse come se fosse stata una parola completamente nuova nel suo vocabolario “Quale ragazza?”
Gustav fece spallucce “La ragazza che dorme con Bill in salotto.” si rimise gli occhiali e quando lo fece vide che sulla faccia di Georg era spuntato un sorriso diabolico. Oddio e adesso cosa era successo?
Un paio di occhiate tra di loro e poi Georg e Gustav si alzarono contemporaneamente dalle sedie. “Georg, te lo proibisco.”
“Cosa? Non volevo fare assolutamente niente.” il sorriso crebbe.
“Non puoi infilarti in salotto anche tu. È solo una ragazza che dorme. Avrà già un brusco risveglio con Tom, se poi sbuchi tu che sei un estraneo penserà che è finita in una gabbia di matti.”
“Siamo una gabbia di matti, questo non possiamo cambiarlo però possiamo presentarci, così non saremo più degli estranei...”
“Georg! Per una volta fai il maturo.”
“Ma io sono maturo...” così dicendo aveva fatto i primi passi verso quella che sarebbe stata la stanza più affollata della casa. Gustav lo seguì, rassegnato a vedere l'ennesima figura di liquame della band.
Ma non poteva farsi degli amici più normali?


***



“Ecco, vedi...te l'avevo detto di fare più piano! Sei un cretino con la delicatezza di un pachiderma.”
Una voce che mormorava, anzi no, più voci che mormoravano. Tentavano il più possibile di non farsi sentire ma il modo in cui lo stavano facendo dava l'effetto contrario.
Chi poteva essere?
“Se non mi fossi venuto addosso forse avrei evitato di colpire questa dannata tazza con il piede! Ma chi cazzo la lasciata qui? E poi non rompere che è tutta colpa tua. Non ti è mai venuto il dubbio,Tom, che sei la causa della maggior parte dei problemi del genere umano?”
Tom? C'era Tom?
Non aveva proprio nessuna voglia di affrontare l'altro gemello Kaulitz. Avrebbe potuto ignorare quei brusii vacui e ritornare a dormire come se non fosse successo nulla. Erano così impegnati a cercare di fare il più piano possibile che non si erano accorti che lei aveva cominciato a muovere la testa nel classico modo di chi sta per svegliarsi.
No, non c'era proprio nessuna voglia di vedere Tom Kaulitz. Si ordinò di riaddormentarsi.
“Georg tu sei la causa di quei problemi. Se invece di metterti a gracchiare per svegliare Bill te ne fossi stato semplicemente al tuo posto non sarei stato costretto a tapparti la bocca, pirla.”
L'ordine non era stato recepito. Questa volta riconobbe distintamente la voce di quell'essere.
L'ultima cosa che si ricordava al riguardo di Tom era che l'aveva vista piangere. Cosa più imbarazzante non ci poteva essere. No, non aveva proprio nessuna voglia di incontrare lo sguardo di quell'essere.
Le venne quasi il panico.
“Ragazzi state facendo più casino di prima. Ora usciamo da qui e lasciamo che si sveglino da soli.”
Ecco, buona idea. Chiunque l'avesse detto lo ringraziò di cuore.
“Ha ragione Gustav. Andiamo via e lasciamo che facciano da soli.”
Sì, vattene. Pensò tenendo le palpebre serrate.
“Non eri stato tu a dire che avresti svegliato Bill ad ogni costo? Prima di venire qui sei andato persino in bagno a riempire un secchio per poterglielo rovesciare in testa!”
“Georg, è stato prima di vedere che c'era anche la Hörderlin. Non ho per niente voglia di dover capire cosa ci fa sdraiata sul divano di casa mia.”
“E Bill allora?”
“Bill cosa?”
“Non vuoi sapere cosa ci fa addormentato nel salotto di casa tua?”
“No! Voglio solo evitare che lei si svegli.”

Sentendo il nome di Bill, Lyric aveva aperto repentinamente gli occhi per constatare di persona cosa c'era di vero in quello che avevano detto. Appena il mondo ritornò ad essere visibile alla sua vista riconobbe i lineamenti di lui. Era a qualche centimetro sotto al suo volto, addormentato.
Lyric restò qualche secondo fissata su quella immagine. Anche se era praticamente sveglia da molti minuti, all'apertura effettiva dei suoi occhi, il suo cervello si era nuovamente spento, tanto che riuscì a focalizzare alla bene e meglio solo il pensiero che Bill stava dormendo accanto a lei.
Notò distrattamente che il ragazzo stringeva una ciocca dei suoi capelli prima che un numero sufficiente di collegamenti neurali si riaccendessero. Una volta avvenuto ciò, Lyric alzò il busto per potersi mettere in posizione da seduta e nel farlo scostò il plaid di lana che l'aveva coperta fino a quel momento. Passò gli occhi su di esso prima di concentrare la sua attenzione verso coloro che l'avevano svegliata.
Il primo che vide fu un ragazzino con gli occhiali e i capelli biondi che accolse la sua occhiata interrogativa con un sorriso pacato “Ehm...Tom, temo che sia troppo tardi.” nel dirlo ticchettò con un dito la spalla di lui.
“Già, hai ragione, è troppo tardi. È la volta buona che ammazzo per davvero Georg. Saremo costretti a cercarci un altro basista. Pazienza.” mentre diceva questo Tom si era avvicinato pericolosamente ad un ragazzo castano con la chiara intenzione di usare violenza fisica su di lui. Non si era voltato.
Lyric non sapeva assolutamente cosa stesse succedendo, per questo non faceva altro che guardarli in modo perplesso, complice anche la sonnolenza che stava scivolando via un po' troppo lentamente. Il ragazzo con i capelli ondulati notò finalmente di cosa stesse parlando l'altro sconosciuto.
“Ehm...Tom, nella tua enorme stupidità ti faresti il favore di girarti.”
“Perché?” chiese lui del tutto ignaro. Il tipo chiamato Georg gli fece segno con la testa nella direzione di Lyric.
Quando poi Tom si girò e constatò con i suoi occhi che lei si era svegliata, restò immobile, circondato da una cupola di enorme imbarazzo. Scoperto in fragrante come un guardone, si sentì colpevole di averle tolto il sonno di cui molto probabilmente aveva bisogno. Il flash degli occhi tristi di lei in quel corridoio passò tra i suoi pensieri come una macchina in corsa, provocandogli così una sgradevole sensazione. Decisamente era nato per sbagliare in tutti i modi con Lyric Hörderlin.
La triade di rumorose sveglie trattenne quasi il fiato mentre Lyric li guardava uno ad uno, cercando di capire cosa fare. A questo quesito rispose l'improvvisa necessità di andare in bagno.
Nel modo più lento che riuscissero a fare i suoi muscoli, scese dal divano e si mise in posizione eretta. Ad ogni suo movimento, per una strana ragione, il trio di statue di sale si irrigidiva.
Tom, in particolare, non aveva la benché minima idea di cosa dire per sciogliere il ghiaccio. Aveva quasi paura che se avesse aperto bocca se ne sarebbe uscito con una delle sue solite battute per provocarla. Sembrava ancora mezza addormentata, probabilmente non era ancora sveglia del tutto.
D'improvviso notò che quelli che aveva addosso erano un paio dei suoi pantaloni da ginnastica mentre sopra indossava una delle magliette di Bill. Tom inarcò le sopracciglia.
“Scusa mi sai dire dove si trova il bagno in questo piano?” l'addormenta parlò con la voce appesantita dal sonno. Tom era ancora sconvolto dalla vista dei suoi pantaloni usurpati che non provò neanche a dare aria alla bocca.
“Porta a destra, infondo al corridoio.” rispose Gustav al suo posto. Lyric fece cenno di sì con il capo (dimostrando di aver capito) e a passi un po' incerti li superò, evitando accuratamente di guardare Tom per tutto il tempo.
Una volta sparita dalla porta, il rasta fece l'unica cosa che sentiva essere necessario fare: si avventò su Bill.
“Svegliati! Immane coglione...” lo prese per il colletto della maglia, facendo cadere la coperta per terra ed iniziò a scuoterlo come se fosse stato un panno da stendere. In poco tempo il gemello riemerse dal mondo vellutato del suo sonno “Ma che c'è?!” incespicò con la voce impastata.
“C'è che sei la più grande testa di minchia che abbia mai incontrato lungo la mia strada.” Bill, per niente sveglio, aveva la bocca semi-aperta in una poco intelligente espressione da cerebroleso, gli occhi semi-chiusi e completamente incapaci di riconoscere chi lo stesse sbattendo come uno strofinaccio.
“Eh? Cosa? Come? Sei Tom?”
“Mmmm...io lo uccido. Lo uccido. Adesso lo uccido.” Tom con tutta calma prese a scecherarlo un altro po' “Sei un idiota rincoglionito! Non solo mi lasci sotto la pioggia dopo avermi lanciato addosso il tuo fottutissimo zaino e non ti presenti alle prove anche se ti ho chiamato sul cellulare più di una volta. Hai anche la faccia tosta di portami in casa Lei!” Bill mugugnò qualcosa del tipo “Lo sapevo che avresti fatto così...pfff...che rompic..” si tolse di dosso le braccia del gemello e si sfregò poi gli occhi. Notò dopo qualche secondo la presenza dei suoi due amici, a cui poi rivolse uno sbilenco saluto con la mano.
“E ascoltami quando ti parlo...” inveì Tom.
Georg nel frattempo stava scommettendo quanto ci avrebbe messo Tom a prendere il tavolo e tirarlo sulla capoccia del loro cantante, Gustav gli mollò un colpo sul fianco per farlo tacere. Era difficile gestire la situazione con Tom inspiegabilmente sclerato, Bill drogato che non capiva una mazza di ciò che stava succedendo e Georg che in modo molto maturo si godeva lo spettacolo lamentandosi per la mancanza di pop-corn con cui accompagnare la visione della comica. Gustav cominciò a fissarsi i piedi, pensando che una volta rialzatosi dallo studio approfondito dei suoi lacci forse si sarebbe ritrovato magicamente in compagnia di persone normali. Sapeva da sé che era mera illusione.
“Tom faresti il favore al mondo di startene calmo? Non capisco tutta questa agitazione” Bill sbadigliò finemente in faccia al gemello “Con tutto questo baccano finirai per svegliare Lyric.”
“Idiota, la Hörderlin si è già svegliata da un pezzo.” Bill spalancò gli occhioni come un cerbiatto sul procinto di essere investito da un camion “Cosa?”
“È in bagno in questo preciso momento. Mi spieghi cosa cavolo ci fa con indosso i nostri vestiti?!...” Bill ancora con l'espressione di poco fa, si voltò verso il divano per constatare con i propri occhi che Lyric non c'era, ignorando che Tom gli stava ancora parlando.
“Ehi! Mi hai sentito? Sbaglio o quelli erano i miei pantaloni?!...” imperterrito nella sua azione di completo ignoramento del fratello, Bill si era messo a guardare l'orologio a pendolo del salotto chiedendosi se per lei non fosse un po' tardi. Forse avrebbe potuto rimanere a cena da loro, in modo che l'asciugatrice sistemasse i suoi vestiti prima di tornare a casa.
“Come mai voi due siete qui?” chiese Bill, dopo qualche secondo di riflessione, ai due che se ne stavano in disparte in un angolo della stanza. Tom non prese bene il fatto che le sue parole fossero state pronunciate ad un muro. Gustav era troppo concentrato a fissare interessato i lacci bianchi delle sue scarpe per potersi accorgere di qualcosa, per tanto rispose Georg (che tra parentesi stava sghignazzando come una bertuccia).
“Ci ha invitati Tom e poi dovevo fargli provare un nuovo gioco per playstation.”
“Ah, capisco. Come sono andate le prove?” Tom continuò a non prendere bene il totale disinteressamento di suo fratello, anzi.
“Uno schifo che non ti posso descrivere a parole. Visto che non c'eri abbiamo pensato erroneamente che ti potesse sostituire Tom, almeno per oggi. Mai errore più grande fu fatto dall'uomo.” Georg fece una smorfia “Sul serio, la prossima volta che ti assenti avvertimi così cancelliamo del tutto le prove.”
“Perché?” domandarono all'unisono i gemelli. Bill perché non capiva di cosa stesse parlando, Tom perché sentiva il leggero odore di una presa per il culo nell'aria.
“Perché la voce di Tom è intonata quanto è piacevole sentire le unghie che graffiano su una lavagna. Uno strazio senza paragoni. Sono ancora traumatizzato.”
“Non è vero! Io sono intonatissimo! So cantare benissimo!” protestò il diretto interessato della critica “Guarda che potrei perfettamente fare il cantante del gruppo ma lo lascio fare a Bill perché se no non c'entrerebbe nulla con la band.”
“Pfff...” espressero Georg e Bill contemporaneamente “Credici, Tom, credici.” dissero sempre in sintonia i due ragazzi.
“Sinceramente ha ragione Georg. Non te la prendere ma fai un pochetto schifo a cantare, se fossi in te continuerei solo a suonare la chitarra. Ti viene in modo più decente.” intervenne Gustav, ritornato dallo studio dei suoi lacci.
“Sentito la bocca della verità?”
“Chiudi quella fogna Georg!” Tom ritornò a rivolgersi solo a suo fratello “Allora, perché ha i miei pantaloni?”
“Perché i suoi vestiti erano bagnati dalla pioggia e gliene servivano altri, no? Mi sembra così semplice” Bill lo guadò come se fosse la risposta più ovvia che uno potesse dare.
“Potevi dargli i tuoi pantaloni...”
“Ah Tomi! Sei una lagna. Non ci ho pensato in quel momento. Ho afferrato le prime cose pulite che ho trovato nella pila delle cose stirate dalla mamma.” Bill continuava a guardarlo come se fosse così talmente semplice. E lo era, il problema di Tom non era di certo quello. Più che altro la domanda sulla punta della sua lingua era cosa ci facesse Lei lì da loro. Se lei era lì, sei lei aveva dormito beatamente sul loro divano era chiaro che alla fine quei due avevano stretto confidenza.
Ovvio.
Banalmente ovvio.
Eppure c'era qualcosa che lo allarmava, era la stessa sensazione provata quando aveva parlato con Bill sotto la tettoia della scuola qualche ora prima. Era come se Tom dovesse arrivare a capire qualcosa di imprecisato e indefinito, inoltre c'era anche quell'altra questione ma quella l'aveva buttata in un meandro sperduto del suo cranio.
E lì doveva restare a marcire.
“Tomi, ci sei? Ti sei improvvisamente bloccato.” Tom in un nano secondo smise di lamentarsi con il gemello e si tranquillizzò velocemente così come si era arrabbiato.
E così quei due alla fine avevano stretto amicizia? Era ufficiale, entrava nelle loro vite. Perché la vita di suo fratello era legata alla sua.
Lyric Hörderlin, sarebbe stata un gigantesco casino.
Sentiva che sarebbe andata proprio così. Un gigantesco casino e non sapeva neanche perché la pensava in quel modo.
“Rimane per cena?” fu l'unica che Tom disse dopo il silenzio.
I gemelli si guardarono negli occhi, parlandosi in quel modo unico e impareggiabile che avevano solo loro due. Il linguaggio muto e segreto dei gemelli Kaulitz. Uno nella testa dell'altro. Però quella volta fu un discorso visivo più criptato del solito.
Bill non seppe bene cosa in quel momento passasse nei pensieri di Tom però era chiaro che c'era qualcosa. Quella volta non ebbe nessuna voglia di indagare. Distolsero gli occhi dall'altro nel medesimo istante mentre Gustav e Georg facevano da spettatori.
Bill inspiegabilmente ebbe voglia di sorridere e lo fece. Sorrise nel suo personale modo mentre rispondeva “Non lo so, però glielo chiedo subito.”
Tom emise un sospiro scocciato “Smettila di sorridere in quel modo. Sei una lagna.”
Bill, che era rimasto seduto per terra tutto quel tempo, si rialzò “Chiama la mamma. Digli che saremo piuttosto numerosi questa sera.” continuò a sorridere, senza dare ascolto alle parole del fratello. Tom annuì grugnendo qualcosa con la voce mentre Georg e Gustav, non sapevano di preciso cosa si fossero detti in quel silenzio, si ritrovarono senza preavviso i due gemelli di solito.
Valli a capire i Kaulitz.
Intanto Lyric era tornata da poco e si era affacciata alla porta del salotto.
Bill le venne incontro sorridendo “Dormito bene?” chiese con una inspiegabile allegria. Lyric annuì silenziosamente mentre seguiva i passi di Tom, defilato verso il telefono nel preciso momento in cui l'aveva scorta.
Bill che notò il tutto, scosse la testa dicendole che non doveva pensarci. Avevano tutto il tempo di sistemare le cose con Tom. Con il tempo avrebbero trovato un modo per andare d'accordo. Senza lasciarle il tempo di dire qualcosa il ragazzo la prese per mano conducendola così dinanzi a Georg e Gustav.
“Facciamo le presentazioni: questo energumeno si chiama Georg Listing mentre il biondino con gli occhiali è Gustav Schäfer. Sono rispettivamente il basista e il batterista della mia band, oltre che miei carissimi amici.”
“Lei invece è Lyric Hörderlin.” si voltò a guardarla sempre con un sorriso “La mia nuova amica.”
Dietro di loro Tom osservava la scena mentre spiegava a sua madre che avrebbero avuto degli amici a cena. Proprio nel secondo in cui appoggiava la cornetta Lyric si voltò verso di lui, investendolo in pieno con il suo sguardo blu-zaffiro.
Fu un contatto troppo rapido, meno di un istante o di un respiro, così breve che lei si girò subito per ritornare a parlare cortesemente con Georg e Gustav ma Tom continuò a fissare la sua schiena sentendo nuovamente quella sensazione.
“Cazzo fottuto.” con questo pensiero nella mente andò ad un unirsi al gruppo chiassoso proprio nel momento in cui Georg diceva “Se fossi in te, li brucerei in un gigantesco falò quegli orrendi pantaloni.”
Quando quella sera la zia di Lyric venne a riprenderla a casa Kaulitz trovò la nipote beatamente intenta a battere per la decima volta Tom al picchia-duro di Georg mentre il suddetto ragazzo rideva come uno scemo, prendendo piacevolmente in giro il rasta sconfitto. Quella sarebbe stata soltanto la prima di tante altre serate passate assieme ai Devilish, futuri Tokio Hotel. I primi amici dopo lungo tempo.
Uno dei tanti ricordi portati nel cuore.


***

...La-lai-lai-lai...
...Una luna rossa splende in questo cielo di mezzanotte...
..segue i tuoi passi dentro questo grande buio..
..Guarda! Ti sta indicando una strada nel folto di quella foresta..
..non avere timore, segui il sentiero che ti sta indicando questa luna rossa..
..lascia le paure e i dolori dietro al tuo cammino..
..prosegui senza mai voltarti..
..la luce ti condurrà davanti ad un bivio..
..non preoccuparti, dai retta a ciò che senti, ragiona con il cuore..
..decidi senza ansia la strada da seguire..
..ricordati che non c'è tempo..
..il tempo non da concessioni a nessuno..
..fidati della luna rossa, lei ti vuole solo portare alla felicità...
..la quale si trova alla fine di questa radura disseminata di alberi intricati..
..Corri! Corri! Corri!..
..Corri fino a perdere il respiro, corri fino a sentirti morire..
..Ciò che sta alla fine di quel mare verde vale ogni tua pena..
..Tutto ciò che desideri è lì che ti aspetta..
..Corri! Corri! Corri!..
..Una luna rossa splende dietro i tuoi passi..
..Vai incontro alla felicità..
..lei ti attende disperatamente..
..cerca la scintilla per cui ogni cosa ha un senso..
..Il tuo ultimo sorriso prima dell'addio..
..il tempo è contro di te..
...Lai-lai-lai-lai-la...



Aprì gli occhi e quello che le si presentava davanti era un'altra realtà.
Quello era il presente, il passato apparteneva ad un altro mondo. Un luogo lontano a cui non avrebbe potuto far ritorno se non con la mente.
In quel presente non c'era nessun Georg, nessun Gustav, nessun Tom e di certo nessun Bill che le teneva stretto un filo dei suoi capelli mentre dormiva al suo fianco. Il presente che stava vivendo l'aveva scelto da sola.
Un presente scelto per non far soffrire nessuno con la verità.
Eppure sentiva che la malinconia si era risvegliata.
Dov'era? Ricordava di essere svenuta dentro la sua macchina dopo aver ascoltato quella canzone dei Tokio Hotel.
Perché si trovava su di un letto? Chi ce l'aveva portata?
Qualcuno stava cantando, era una voce dolce e tenera, impalpabile. Voltò il capo e riconobbe che al suo fianco destro, seduta sulla poltroncina della sua camera nella villa in campagna, c'era Diane.
Restò ad ascoltare quella malinconica ninna-nanna fino a che Diane non ebbe finito. Dopo di che la cara amica si accorse che lei si era svegliata. Le rivolse un sorriso.
“Ci hai fatto preoccupare piccola Sleeping Beauty. Kathleyn era già decisa a chiamare un elicottero della protezione civile e trascinarti a forza in ospedale.” Diane si avvicinò a lei, sedendosi sulla sponda del letto.
“Le ho detto che non c'era bisogno e che dovevamo solo lasciarti dormire un po'.” poiché nella testa di Lyric comparivano ancora le immagini di quel giorno non riusciva ancora a parlare e Diane in qualche modo lo sapeva.
“Kat è andata a dormire mezz'ora fa.” continuò a parlare tranquillamente senza pretendere di avere risposta. “Ti ho sempre detto che è una ninna-nanna tremendamente triste.” finalmente aprì bocca riferendosi alla canzoncina di prima. Diane allora si allungò sul letto per potersi sdraiare al fianco dell'amica e appoggiare il capo sull'incavo della sua spalla.
“Non è triste, è solo tremendamente sincera.”
“Già, infatti, ribadisco: è triste.”
“Penso però che sia anche un messaggio di speranza. Non credi?”
Lyric sospirò pesantemente mentre i suoi occhi divenivano lucidi “E la mia luna rossa quale strada mi indica di seguire?”
“Questo lo sai tu, i sentieri sono diversi per ognuno di noi.”
Ci fu silenzio e il suono del vento contro i vetri delle finestre.
“Diane...”
“Dimmi.”
“Voglio rivederlo.”
Ci fu del silenzio e solo dopo minuti contati a suon di respiri Diane ricominciò a cantare.

..Corri! Corri! Corri!..
..Una luna rossa splende dietro i tuoi passi..
..Vai incontro alla felicità..
..lei ti attende disperatamente..
..cerca la scintilla per cui ogni cosa ha un senso..
..Il tuo ultimo sorriso prima dell'addio..
..il tempo è contro di te..
...Lai-lai-lai-lai-la...



_____________________

Salve ragazze, continuo con l'aggiornnamento di questa mia piccola storia. Ho deciso che per una questione di comodità posterò il nuovo capitolo ogni martedì sera . Il prossimo martedì però non aggiornerò perché sarò in gita a Barcellona per cui non ne avrò la possibilità. Comincerò con questo nuovo sistema dalla prossima ancora.
Un bacio a tutte e spero che continuiate a leggere.
 
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Shynee
view post Posted on 20/3/2010, 15:11




Dunque. Sono spesso assente dal forum, almeno apparentemente, anche se lo visito con regolarità, quindi lascio segni della mia esistenza molto raramente, ma questa volta non me la sento di leggere e passare oltre. Ho letto da qualche parte che sei molto lenta nella scrittura, perchè hai un modo di affrontarla che richiede impegno e concentrazione. E' stata questa tua frase ad incuriosirmi, perchè anche io spesso non riesco ad essere celere perchè ho bisogno di concentrazione, quindi, ho letto qualcosa di tuo. Devo dire, sono rimasta molto sorpresa. Ho letto One day, in Tokyo per prima, lo confesso, ma la prima cosa che ho pensato una volta letta è che non trovavo un'autrice che scavasse in modo credibile nella psicologia di un suo personaggio da un sacco di tempo. Ne ho lette un sacco di boiate, perchè sono dappertutto, quindi trovare qualcuno che affrontasse la scrittura in modo così serio ha riacceso un barlume di speranza dentro di me. Ora, veniamo a questa fan fiction. A quanto ho capito è leggermente attempata, lo noto da leggeri errori grammaticali che non hai commesso altrove, ma sono rimasta davvero, davvero impressionata da Lyric. Io non conosco il tuo passato e non conosco te, ma hai descritto un dolore profondo, profondissimo, e, non voglio azzardare, ma credo che per dare un'idea così concreta di cosa si provi in situazioni del genere, bisogni avere oltre ad una grande tecnica narrativa, un bel po' di dolore alle spalle. Io ho compreso il dolore di quella ragazza da subito, ho provato una fortissima empatia. Più forte di quanto non sappia raccontare, ma posso provare a rendere dicendo che io SO benissimo cosa si prova in frangenti come quelli ed ero un po' stufa di leggere di gente che non sapeva come affrontarli e lo faceva all'acqua di rose. Invece qui sono rimasta toccata dal modo di affrontare il dolore e le reazioni di Lyric. Mi sono sentita lei, nella voglia di non sorridere più, di non lottare più e contemporaneamente di voler conservare quel principio vitale che ognuno di noi coltiva.
Sei riuscita a rendere anche abbastanza bene gli altri personaggi, seguendo ovviamente le linee generali di ciò che comprendiamo dei loro caratteri, come per esempio la pacatezza e la discrezione di Gustav. A proposito di lui e del suo modo di pensare, santa frase quella che dice: "Gli amici non dovevano per forza chiedere sempre ogni cosa su tutto". Tom mi è apparso abbastanza superficiale, per ora, ma suppongo faccia parte del suo essere, inoltre sono sicura che ci sia dell'altro sotto quel faccino strafottente.
E Bill... cioè, mi ha fatta sciogliere. Non perchè sia svenevole, perchè sia perfetto, anzi. Proprio perchè è umano e fallibile ed ha i suoi difetti come tutti, è riuscito a conquistarmi. Nè troppo stronzo, nè troppo dolce, nè troppo tutto. Equilibrato, plausibile.
Concludo dicendo che l'accostamento dell'ironia con cui descrivi i processi mentali di Lyric e della tristezza del suo personaggio, ha contribuito a conquistarmi. Ne ho leggermente piene le balle delle solite vittime xD
Brava, sono curiosa di vedere come continuerà, e non preoccuparti per i capitoli lunghi, anche se sono stancanti, se c'è la passione, si leggono lo stesso ;)
Oddei, ho scritto un testamento come al solito, scusa ma non sono riuscita a trattenermi. Spero che non ti sia annoiata XD
 
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Gillian Kami
view post Posted on 20/3/2010, 23:57




Prima di tutto Shynee per questo tuo commento, mi ha davvero fatto molto piacere ricevere la tua attenzione per qualche minuto.
Lascia stare la lunghezza del "papiro" ti comprendo benissimo, io dio mio non sono capace di lasciare un post breve neanche se mi pagassero con oro colato. Ani, la sua lunghezza mi ha fatto ancor più piacere perché per scrivere qualcosa del genere ci vuole dispendio di tempo e voglia di farlo quindi non posso di certo lamentarmi.

CITAZIONE
Ora, veniamo a questa fan fiction. A quanto ho capito è leggermente attempata, lo noto da leggeri errori grammaticali

"Attempata"? xD Sì, possiamo dire qualcosa del genere per i primi capitoli perché a loro tempo, quando li avevo scritti, ero appena tornata alla penna (o meglio la tastiera) e alla scrittura dopo un anno di fermo. Non ti sto raccontare la ragione del perché avessi lasciato da parte la scrittura (che io amo con tutta me stessa) per così tanto tempo ma quando ho deciso di pubblicare questa Fanfiction spinta dal desiderio di mettere per iscritto quell'ispirazione avuta per caso non ho fatto molta attenzione. Sono stata spinta dall'enfasi e dall'entusiasmo di riassaggiare nel mio animo del sapore delle parole che scorrono una dietro all'altra su una pagina bianca e creano una storia.
Ero vorace di scrivere quelle scene che mi fiondavano in mente anche se ho avuto cura di non perdere i sentimenti dei personaggi e le motivazioni dietro le loro ragioni.
Mi dispiace per gli eventuali errori grammaticali: sicuramente sono stati una svista (quando capita che mi viene voglia di leggere i capitoli passati mi accorgo di aver fatto delle castronerie immani e mi imbarazza che voi dobbiate vederle) oppure è possibile che sia tutta colpa della mia ignoranza grammaticale (probabile anche questa seconda opzione). Nei capitoli seguenti però ho fatto più attenzione e spero che se troverai ancora queste miei errori di sorvolare con pazienza. Sono imperfetta. xD

CITAZIONE
Io non conosco il tuo passato e non conosco te, ma hai descritto un dolore profondo, profondissimo, e, non voglio azzardare, ma credo che per dare un'idea così concreta di cosa si provi in situazioni del genere, bisogni avere oltre ad una grande tecnica narrativa, un bel po' di dolore alle spalle.

Grazie al cielo non ho mai provato un dolore così profondo, devastante, come quello di Lyric. Ho provato dolore nella mia vita di appena venti anni ma non è un dolore paragonabile con quello della mia protagonista. Ciò che voglio dire che (grazie di averci pensato) fortunatamente io non ho mai dovuto affrontare qualcosa del genere.
Conosco il senso della solitudine e so cosa significa sentirsi sola e averne paura come un nemico, quel sentimento è mio e in quseto senso non è stato difficile farlo di Lyric.
La sofferenza di Lyric invece appartiene solo a lei, io ho semplicemente cercato di venirle incontro e di sentirla sotto la mia pelle. Mi sono detta: "Ha quattordici anni e ha già perso il padre che amava tanto, la madre che le era ugualmente cara, è sola, ha paura, non è compresa dalla sua famiglia ed è catapultata in un paese che è non il suo. Uno non può stare bene. Lyric soffre." da ciò è venuto fuori naturalmente tutto ciò che ho scritto.
Per me funziona così, non sto tanto a rifletterci, i sentimenti che voglio scrivere solitamente vorticano sempre nella mia mente e una volta che sono davanti alla pagina, sapendo cosa succederà in quella scena, scrivo di getto una bozza che correggo un mucchio di volte (nel senso che cancello battute, riscrivo descrizioni), con un mucchio di aggiunte e poi esce la scena finale. Solitamente quando si fa silenzio e leggendo una parte dentro me non si agitano più quei sentimenti e quelle scene, quando sono in pace. xD
Ti capita mai?
E' una delle ragioni per cui amo scrivere. Mi permette di sentirmi in pace.
(Ho iniziato con un discorso e sono finita con un altro, perdonami. Ti confondo).

CITAZIONE
Invece qui sono rimasta toccata dal modo di affrontare il dolore e le reazioni di Lyric. Mi sono sentita lei, nella voglia di non sorridere più, di non lottare più e contemporaneamente di voler conservare quel principio vitale che ognuno di noi coltiva.

Già, esatto. Funziona così pure per me. Quando leggo ciò che scrivo devo provare ciò che provano loro e per questo ci metto molto a scrivere. Io scrivo ricercando di dare l'esatta tonalità di ciò che sentono. (Ne parlo come di persone vere ed effettivamente la penso così, in caso contrario non funzionerebbe a mio parere.)

CITAZIONE
Tom mi è apparso abbastanza superficiale, per ora, ma suppongo faccia parte del suo essere, inoltre sono sicura che ci sia dell'altro sotto quel faccino strafottente.

Lo fatto apposta a renderlo superficiale. Un po' perché il Tom reale vuole mostrarsi così poco profondo (anche se penso che sia un piccolo immaturo che deve crescere in certi aspetti) e un po' perché volevo mostrare la differenza tra lui e Bill e poi il Tom in questa parte della storia è un quattordicenne con i grilli nella testa xD.
Tom non è stato colpito da Lyric come invece è successo a Bill e in questo senso il comportamento con lei è diverso e le sue reazioni meno attente. Inoltre, lo capirete in seguito, Tom è turbato. Infatti non a caso ripete continuamente "Cazzo Fottuto" da due capitoli per colpa di Lyric.

Sono felice che Lyric ti abbia colpito, davvero felice perché ho sempre il dubbio che questa ragazza non sia compresa e invece mi sorprendo di come lei sia riuscita a farsi amare e di come abbia destato l'attenzione.
Bill ti ha fatto sciogliere? Wow mi sento fiera di ciò.
Spero che nel continuare questa fanfictio non vengano deluse le tue aspettative e perciò mi auguro che continui a leggere con piacere i miei capitoli.
Un grande bacio Shynee.


 
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22 replies since 28/2/2010, 23:12   395 views
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