Before the dawn, Short-fic

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~• s h y n e e|
view post Posted on 12/1/2009, 14:34




Mi sono sempre chiesta cosa mi avrebbe riservato la vita.
Quando, da piccola, coricata sul mio letto, pensavo al futuro, mi immaginavo una vita colma di gioia e sorrisi, perfettamente in armonia con la mia indole romantica.
Mi vedevo avvolta in un grembiule da casalinga, alle prese con bambini, pappe e pannolini, circondata da gente che mi amava e affiancata dall’uomo che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita.
Era il mio più grande sogno.
Non sapevo quanto mi sarebbe costato, realizzare quel sogno.
Sono arrivata a soffrire, urlare, lottare, perfino annichilire me stessa per trasformarlo in qualcosa di più reale di semplici fantasie dovute al poco sonno e a tanta immaginazione.
In certi momenti me ne sono pentita con tutta la forza di cui ero capace; ma ora, a distanza di anni e guardando indietro, posso dire, con orgoglio e dolore, di esserci riuscita.



BEFORE THE DAWN



Lipsia, 1 Settembre 1989.

Simòne se ne stava coricata sul divano, infagottata nel piumino azzurro in cui si avvolgeva ogni sera dopo il lavoro, quando l’aria cominciava a profumare d’autunno. Jörg sarebbe ritornato solo tra due settimane, per cui le sarebbe toccato rimanere a casa da sola.
Bizzarro, pensò Simòne grattandosi il naso con un’unghia, si erano sposati da pochi mesi e già non avevano il tempo necessario per stare insieme, a causa del lavoro del marito.
Il rumore stridulo del campanello la fece sobbalzare. Sbuffò e si sollevò per dirigersi verso l’entrata, mentre il piumino si adagiava al pavimento, frusciando.
Aprì la porta e le sue iridi cervine si schiantarono subito contro due occhi imploranti uguali ai suoi, incastonati in un viso accartocciato in una smorfia di dolore.
- Aiutami! – gracidò la ragazza piegata in due di fronte a lei, la voce rotta dal pianto e satura di dolore.
Le lacrime attraversavano le guance chiazzate di rosso, i capelli castani e riccioluti sfioravano le spalle ingobbite.
Scossa da fitte lancinanti, stringeva una mano sulla pancia oltremodo tonda e sporgente.
Simòne capì, e fu come una doccia ghiacciata.
Quella ragazza perse ancora più valore ai suoi occhi di quanto non ne avesse prima, ma, forse per l’istinto, o forse perchè un po’ di bene gliene voleva ancora sul serio, le venne naturale aiutarla.
Le passò un braccio intorno al proprio collo per farla entrare e la accompagnò sullo stesso divano dove era appisolata prima lei. La ragazza urlò mentre si accasciava sudata e ansimante sui cuscini. Gli arti di Simòne si trasformarono in pesi di piombo appena si raddrizzò: non si sarebbe mai aspettata di rincontrare sua sorella dopo due anni. Non in quelle condizioni, almeno.
- Chiamo... chiamo un’ambulanza – biascicò, ancora sbigottita. Quando provò a dirigersi verso il telefono in cucina, sentì delle dita fredde e sudaticce circondare il suo polso. Si voltò verso sua sorella e vide con stupore che la sua mano tremante le porgeva una busta bianca.
- Ti servirà – esalò a fatica la ragazza, ansimando. Simòne la afferrò distrattamente e si diresse in cucina. Si sentiva intorpidita e incapace di pensare, come dopo un brusco risveglio.
Poggiò la busta accanto al telefono e compose il numero del Pronto Soccorso, mentre le urla impregnate di dolore giungevano dall’altra stanza. Le straziavano le orecchie, in un modo insopportabile.
Non aveva il tempo per pensare, per chiedersi qualcosa. Doveva solo agire e basta, non soffermarsi sul gusto amaro di ricordi e delusione che cominciava ad avvertire in bocca.
Dettò l’indirizzo all’uomo dall’altra parte dell’apparecchio e corse di nuovo nel salotto: sua sorella cercava di respirare regolarmente nel tentativo di dominare il dolore delle contrazioni.
S’inginocchiò di fronte a lei, le accarezzò la fronte sudata. La ragazza strinse la sua mano per scaricare il dolore. Simòne non poté fare a meno di notare piccole cicatrici nella piega del braccio lasciata scoperta dalla manica.
- Silke, che cosa hai fatto... – mormorò.
Perchè non riusciva ad odiarla? Perchè nemmeno dopo il calvario che aveva fatto patire a lei e alla sua famiglia riusciva a guardarla e a non sentirsi disgustata?
- Simòne, ascoltami – la richiamò la ragazza affannata, tra una scossa di dolore e l’altra. - Stanno... devono... venire a prendermi – sfiatò prima di un’altra contrazione, più violenta delle precedenti. Dalla pelle del divano gocciolava già da qualche minuto un liquido denso e trasparente.
- Chi? Chi deve venire a prenderti? – domandò ansiosa.
- Loro – un altro urlo – Vogliono i soldi – terminò con voce strozzata.
Simòne sgranò gli occhi, incredula.
- Promettimi che porterai la busta alla polizia – pigolò Silke in un’ultima preghiera, prima di lanciare un altro grido. Simòne annuì, come un automa.
Il citofonò stridette. In pochi secondi tre uomini stavano già posizionando sua sorella sulla barella, suggerendole parole che le sfuggivano.
Osservò tutto dall’esterno, come in un sogno: gli uomini, abbaglianti in quei loro completi arancioni che si muovevano con velocità frenetica; Silke, fasciata da vestiti neri e informi che prima di sparire dietro la porta le aveva urlato di portare una certa busta alla polizia; e lei, immobile ad un lato della stanza che fissava la scena, completamente passiva.
Non riuscì per parecchio a dare un senso a ciò che era avvenuto nell’ultimo quarto d’ora. Rimase in piedi nel salotto, cercando di razionalizzare.
Quando finalmente tutto ciò che era successo trovò un senso, la forza fisica l’abbandonò. Cadde sulle ginocchia, e le spalle cominciarono a sussultare contro la sua volontà.

***



Note dell'autrice: ed eccomi quaaaaaa!! Bene, questa è la mia nuova (non tanto visto che sono più di quattro mesi che cerco di scriverla) opera. E' una slash-fic, il che significa che è di soli tre capitoli che sono in fase di scrittura. Ho terminato già il secondo.
Il titolo è ispirato al titolo della canzone degli Evanescence, ma non ha niente a che vedere con i contenuti.
Che dire, spero vi piaccia!

Edited by Shynee - 30/7/2009, 11:25
 
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Fee1702
view post Posted on 12/1/2009, 17:54




Cavolo Niky! Mi piace l'idea di vedere le cose dal punto di vista di Simone. Per ora siamo solo al primo capitolo, ma promette bene... Continua presto.
Tschuss!
 
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rok1
view post Posted on 12/1/2009, 22:00




Una fanfction così non l' ho mai vista, mi ha lasciata di stucco (fee prendi esempio da lei!)
 
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~• s h y n e e|
view post Posted on 12/1/2009, 22:50




Perchè deve prendere esempio da me? XD
 
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rok1
view post Posted on 13/1/2009, 16:51




Lei una fiction così non l' ha mai fatta!
 
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Lullaby;
view post Posted on 13/1/2009, 19:01




Before The Dawn, canzone degli Evanescence *.*
Comunque è una ff particolarissima Niki, brava!!!!
 
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.Blue Nacht;
view post Posted on 13/1/2009, 20:54




CITAZIONE (rok1 @ 12/1/2009, 23:00)
Una fanfction così non l' ho mai vista, mi ha lasciata di stucco (fee prendi esempio da lei!)

Esempio per che cosa?
 
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~• s h y n e e|
view post Posted on 14/1/2009, 19:55




CITAZIONE (rok1 @ 13/1/2009, 16:51)
Lei una fiction così non l' ha mai fatta!

Ma dai, credo che ognuno abbia il proprio stile e di conseguenza le proprie idee.
Lo prendo comunque come un complimento, grazie!



Lipsia, 2 Settembre 1989.

L’orario delle visite non era ancora cominciato, ma in quell’ospedale era comune consuetudine far visita ai pazienti al di fuori degli orari prestabiliti.
Erano le nove passate.
Simòne indugiava davanti a quella porta ormai da un’ora. Si avvicinava, decisa ad entrare, ma prima che gli occhi oltrepassassero la soglia per sfiorare una qualche immagine della stanza, si bloccava e ritornava seduta sulla sua sedia, mangiucchiandosi le pellicine delle dita. Le persone che stazionavano nel corridoio del reparto Ostetricia la osservavano: chi con scetticismo, chi con curiosità e chi addirittura con compassione, pensando che fosse pazza, ma lei non se ne curava. Non aveva motivi per farlo. Dopo aver passato la notte in ospedale, agitata e nervosa, camminando per il reparto come un leone in gabbia, ponendosi un milione di domande a cui non aveva risposta, proprio non riusciva a preoccuparsi dell'opinione pubblica.
Chi glielo avrebbe mai detto che a venticinque anni non avrebbe avuto la forza di parlare a qualcuno, nonostante una parte di lei fosse cosciente che non era un semplice “qualcuno” chi aspettava in quella stanza.
Sua sorella…
La ragazza che molti anni prima aveva cullato di notte, nel tentativo di calmare una colica fastidiosa. Quella che aveva accarezzato, amato.
La stessa ragazza che due anni prima aveva spezzato il cuore a lei e alla sua famiglia, scappando senza lasciare nessuna traccia. Quella che aveva insultato lei e sua madre, sbraitando che le stavano rovinando la vita con le loro proibizioni, senza rendersi conto che la vita se la stava rovinando lei con le sue stesse mani. Scosse le onde dei suoi capelli. Scacciò via quei ricordi dolorosi ed entrò, imponendosi di non pensare.
L’ambiente era abbastanza piccolo: due letti vuoti addossati alla parete destra e un letto a quella sinistra, tutti affiancati da piccoli mobiletti bianchi. In una nicchia a sinistra c’erano un piccolo armadio, un fasciatoio e un lavandino. Le pareti, i mobili, le lenzuola, tutto emanava un odore dolce con un retrogusto fruttato.
- Sei venuta... – una voce spezzò il silenzio della stanza, priva di inflessioni. Seduta sul letto addossato alla parete sinistra, le ginocchia piegate e la schiena poggiata su diversi cuscini, sua sorella aveva lo sguardo perso. Simòne raccattò una sedia da qualche parte e le si sedette accanto. Le guardò gli occhi gonfi, il viso smunto; le labbra bianche e screpolate, solo un vago riflesso di ciò che erano state. Era impressionante. Era straziante.
Guardò oltre il letto, in cerca di qualcosa.
- Non ci sono – sentì mormorare Silke, gli occhi ancora persi nel bianco delle lenzuola.
Lei aggrottò la fronte.
- Si, sono... sono due gemelli. Maschi – chiarì la sorella.
Per la prima volta dal giorno prima, Simòne sorrise. Un sorriso vero, generato da una felicità morbida, leggera. Avrebbe voluto abbracciare sua sorella e condividere quell’emozione con lei, ma qualcosa la fermava. Forse il suo volto, inespressivo come quello di una statua.
- E’ una bella cosa, no? – si azzardò a chiedere.
La ragazza annuì appena, ma non sembrava dare troppa importanza alla cosa. Fu lì che qualcosa cominciò ad agitarlesi dentro.
– E’ successo qualcosa? – domandò, posando una mano sulla spalla della ragazza.
Silke non rispose e il cuore cominciò a battere appena più veloce.
– Silke, rispondi – le disse scuotendola appena, le mani che cominciavano a tremare.
- No, non è successo niente. Li hanno portati via per i controlli di routine – la tranquillizzò sua sorella. Simòne sospirò, sentendosi già più sollevata. Sollievo che durò poco, appena il tempo di accorgersi delle cose in sospeso che c’erano tra lei e sua sorella. C’era una mole immensa di cose da spiegare, da chiedere. Ed era conscia che il passo più difficile sarebbe stato quello di iniziare.
Si sentì di nuovo irrequieta, tentata dalla voglia di annodarsi le dita delle mani. Sua sorella invece appariva così rilassata… così spenta. Sembrava un involucro svuotato. Qualcosa corrompeva i suoi lineamenti, ma non seppe identificare cosa.
- Sai, pensavo che forse dovrei lasciarli qui – disse all’improvviso Silke, spezzando il silenzio.
- Cosa? – chiese, presa alla sprovvista.
- Ho detto che forse non dovrei fare loro da madre – ripeté tranquillamente. Sembrava stesse parlando delle condizioni meteorologiche.
Sperò con tutte le sue forze di aver capito male.
- Perché? – chiese, la voce appena incrinata. Lo stomaco le si attorcigliò. Non era sicura di voler conoscere la risposta.
- Perchè credo che sia meglio così –
A quel punto sentì un moto di rabbia e di irritazione crescerle dentro. Non solo per il tipico atteggiamento di sua sorella, quello di parlare, parlare e non spiegare mai, ma anche perchè non capiva troppe cose. Troppi passaggi le erano oscuri.
- Non dire stupidaggini. Quei bambini hanno bisogno di te. E poi, dimmi, quale madre abbandonerebbe i suoi figli? –. Rimproverandola, scoprì di avere lo stesso tono severo ma amorevole che usava due anni prima.
Silke serrò la mascella, i pugni che stringevano le lenzuola.
- E io, da sola, che futuro potrei garantirgli? Pensi che abbandonarli non mi costi niente? – ringhiò.
Simòne per poco non la prese a schiaffi.
- Tu non sei sola. Hai la tua famiglia, hai me. Insieme possiamo farcela –
La ragazza fece saettare il suoi occhi verso di lei e la guardò come se avesse detto un’eresia. La sua espressione fu così convincente che per un attimo credette davvero di aver bestemmiato.
- E con che coraggio tornerò a casa con due bocche in più da sfamare e nemmeno uno straccio di lavoro? Come guarderò in faccia i nostri genitori? Dopo tutto quello che ho fatto… - s’interruppe, voltando la testa dall’altro lato. La maschera impassibile che Silke si era dipinta in faccia si sciolse e la ragazza si coprì gli occhi con una mano. Dopo qualche secondo, si vide una lacrima rotolare sulla guancia scavata, seguita da sussulti soffocati.
Simòne sapeva che si sentiva in colpa, che i rimpianti la stavano divorando da dentro con morsi dolorosi. E fu come se stessero divorando anche lei. Non poteva fare niente se non guardarla soffrire.
Le aveva sempre detto che si sarebbe pentita di tutto solo quando fosse stato troppo tardi. Lei stessa aveva urlato in preda alla rabbia il giorno prima della sua sparizione che non avrebbe trovato nessuno, quando si sarebbe pentita, che aveva sopportato anche troppo.
In quel momento, però, tutti i ricordi colmi di rancore, tutte le raccomandazioni verso se stessa perdevano di significato. La promessa di odiarla per tutta la vita si infranse quando si accorse che provava solo comprensione per quella giovane donna che aveva l’unica colpa di essere umana. Solo amore. Lo percepiva in modo quasi violento.
Si sollevò dalla sedia cigolante e la circondò con le sue braccia. Posò la guancia sui suoi capelli, chiudendo gli occhi, qualche lacrima impigliata tra le ciglia.
- Con lo stesso coraggio con cui hai guardato me. Noi non ti lasceremo da sola, siamo la tua famiglia – rispose dolcemente, mentre Silke singhiozzava sotto le sue braccia. Non sapeva nemmeno lei come avrebbero fatto, ma in quel momento ci credeva davvero.
- No… non capisci… - sussurrò la ragazza, ma troppo confusamente perché Simòne capisse. Si scostò da lei e posò le mani sulle guance arrossate e umide di Silke: la guardò negli occhi e le rivolse un sorriso rassicurante.
- Andrà tutto bene - sussurrò.
In quel momento qualcuno bussò alla porta. Si voltarono entrambe e videro una donna vestita di bianco che sorrideva, mentre spingeva una culletta di plastica trasparente poggiata su un carrello metallico a quattro ruote.
- Posso entrare? – chiese l’infermiera con voce gentile. I muscoli di Silke si rilassarono e finalmente sorrise anche lei. Sembrò quasi la ragazza di due anni prima.
- Prego – rispose asciugandosi le lacrime con le dita.
La donna avanzò e spostò la culla accanto a Simòne. Sorrise un’ultima volta, poi uscì, salutando.
Gli occhi di Simòne videro qualcosa che non avevano mai ammirato prima: infagottati in due tutine azzurre, c’erano due bambini. Uno sembrava dormire, l’altro dimenava le piccole braccia emettendo brevi lamenti. Due pelli morbide e arrossate, due teste ricoperte da una soffice patina bionda. I loro visi paffuti erano identici, entrambi corrucciati in una smorfia.
Simòne aveva già visto dei bambini nella corso della sua vita. Aveva già avuto a che fare con dei neonati. Ma nessuna delle sue esperienze era equiparabile a ciò che provò nel vedere quei due esserini, così fragili, così innocenti… Così puri che aveva quasi paura a toccarli. L’emozione fu tanta che coprì con le mani il sorriso che era nato sulle sue labbra. Rimase senza fiato.
Si voltò verso sua sorella, che li guardava, ma diversamente da lei. Il suo sorriso era stanco ma sereno, pieno di dolcezza; i suoi occhi traboccavano d’amore. Tese le braccia e sollevò uno dei due bambini in un gesto naturale, attirandolo a sé e stringendolo al petto. Poi lo distese tra le braccia, raccolte a formare una sorta di culla.
- Come… come li hai chiamati? – sillabò Simòne, masticando le parole.
- Lui è Tom – rispose indicando il bimbo che aveva tra le braccia, - Invece… lui è Bill – e fece un cenno verso il fagottino azzurro che dormiva nella culla.
- Sono bellissimi – mormorò sinceramente. – Posso chiederti chi è il padre? – domandò con tutta la delicatezza possibile.
La ragazza abbassò lo sguardo, contraendo le labbra. Simòne capì di aver fatto la domanda sbagliata. La magia e la gioia del momento si persero.
- Va bene, non fa niente - disse, ma Silke non si rasserenò. Anzi, si mostrò ancora più turbata. Sembrò che quella domanda le avesse ricordato qualcosa.
- Simòne, devi promettermi che porterai quella busta alla polizia. E’ molto importante – disse con tono serio.
Quella frase le fece ritornare in mente il pomeriggio del giorno prima. Scavò tra i ricordi, in cerca della busta di cui parlava sua sorella, ma rinvenne solo poche e frammentarie immagini. Non ricordava quasi niente, se non urla, lacrime e terrore.
- Va bene – affermò comunque. – Lo farò, quando uscirai da qui -
Silke non sembrò soddisfatta, ma annuì ugualmente. - E devi promettermi anche un’altra cosa -
La incitò con il capo a continuare.
- Se dovesse accadere qualcosa, qualsiasi cosa… tu ti dovrai prendere cura dei bambini. Devono avere tutto quello di cui avranno bisogno -
- Ma cosa stai dicendo? – domandò accigliata e anche un po’ spaventata. – C’è qualcosa che… -
- Promettimelo – la incalzò.
Sospirò. - Promesso –


Edited by Shynee - 30/7/2009, 11:26
 
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rok1
view post Posted on 14/1/2009, 20:41




stò immagginando com' erano appena nati billera al 1.000.000% e tom al 1.000.00% meglio bill!
 
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Fee1702
view post Posted on 14/1/2009, 21:25




Brava Niky, mi piace un sacco questa storia. E' davvero molto originale!
 
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~• s h y n e e|
view post Posted on 14/1/2009, 22:22




Grazie mille! ^^
 
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Lullaby;
view post Posted on 15/1/2009, 12:52




CITAZIONE
Gli occhi di Simòne videro qualcosa che non avevano mai ammirato prima: infagottati in due tutine azzurre, c’erano due bambini. Uno sembrava dormire, l’altro dimenava le piccole braccia emettendo brevi lamenti. Due pelli morbide e arrossate, due teste ricoperte da una soffice patina bruna. I loro visi paffuti erano quasi identici, entrambi corrucciati in una smorfia.
Simòne aveva già visto dei bambini nella corso della sua vita. Aveva già avuto a che fare con dei neonati. Ma nessuna delle sue esperienze era equiparabile a ciò che provò nel vedere quei due bimbi, così fragili, così innocenti… Così puri che aveva quasi paura a toccarli. L’emozione fu così tanta che coprì con le mani il sorriso che era nato sulle sue labbra. Rimase senza fiato.
Si voltò verso sua sorella, che li guardava, ma diversamente da lei. Il suo sorriso era stanco ma sereno, pieno di dolcezza; i suoi occhi traboccavano d’amore. Tese le braccia e sollevò uno dei due bambini con un gesto naturale, attirandolo a sé e stringendolo al petto. Poi lo distese tra le braccia, raccolte a formare una sorta di culla.
- Come… come li hai chiamati? – sillabò Simòne, masticando le parole.
- Lui è Tom – rispose indicando il bimbo che aveva tra le braccia, - Invece… lui è Bill – e fece un cenno verso il fagottino azzurro che dormiva nella culla

.
Niki è bellissimo questo pezzo *.*
 
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Esty92
view post Posted on 16/1/2009, 15:14




Finalmente un po' di tempo libero, da dedicare alla lettura!
Bella, molto originale. E poi pensando ai gemelli da piccoli, mi inteneriscono sempre. *-*
 
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kaulitzina92
view post Posted on 19/4/2009, 10:21




k bella!! Brava!
 
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~• s h y n e e|
view post Posted on 23/7/2009, 23:17




Lipsia, 8 Settembre 1989.

Simòne aprì il portone di casa sua con le buste della spesa strapiene e la stranissima sensazione che qualcosa non andava.
Aveva mantenuto la promessa fatta alla sorella: era riuscita a trovare un modo per consegnare in forma anonima quella dannata busta (che aveva rinvenuto sotto il telefono fisso) alla polizia, e l’aveva fatto con il cuore in subbuglio e consumato dalla paura. Non l’aveva aperta, per timore, ma non era stupida e riusciva a capire che sua sorella era stata coinvolta in qualcosa di molto grosso e pericoloso.
Silke e i gemelli erano usciti dall’ospedale due giorni prima e lei aveva insistito perché la sorella si fermasse a stare da lei, invece che dai loro genitori, almeno finché non fosse tornato suo marito. Inoltre aveva chiesto una settimana di permesso dal lavoro, proprio per poter godere insieme di quei momenti di tranquillità apparente.
Nell’arco dei due giorni in cui erano state insieme, Silke non aveva voluto rivelare nulla del suo passato. Simòne, dal canto suo, non aveva insistito affatto. Conosceva Silke e sapeva che aveva solo bisogno di tempo per metabolizzare il rapido susseguirsi degli eventi. Si era ritrovata sorella, figlia e madre in poco tempo e doveva adattarsi alla nuova situazione creatasi, prima di affrontare ciò che si era lasciata dietro. Le era capitato di osservarla nei tempi morti, e cioè in quei pochi momenti in cui i bambini dormivano, e aveva notato che a volte fissava lo sguardo nel vuoto, la mente persa altrove. Altre volte, invece, era inquieta, turbata da qualcosa che lei non riusciva a capire.
In quel momento, mentre saliva le scale, si sentiva attanagliata dalla stessa sensazione di panico. Panico che aumentò vertiginosamente quando arrivò sul suo pianerottolo e vide la serratura di casa sua forzata e la porta socchiusa.
Si congelò sul posto, gli occhi sgranati e la gola secca come un deserto. Tutto di lei si era bloccato, perfino i pensieri razionali, cristallizzati in una paura folle. La parte più incosciente di sé corse subito ai bambini: ricordò vagamente che erano stati affidati alla vicina per la mattinata. Si spiegò perché Silke non avesse assolutamente voluto rimanere da sola in casa con loro, nemmeno un momento.
A passi piccoli e meccanici, spalancò la porta con una mano ed entrò nel piccolo salottino, introducendo lentamente solo la testa. Tutto sembrava a posto, nella stessa posizione di quando era uscita. Mettendo cautamente un piede avanti all’altro, fece qualche altro passo ed entrò nella piccola cucina.
E le buste della spesa le caddero a terra. Qualcosa, al loro interno, si ruppe.
Gli occhi rossi fuori dalle orbite, la bocca spalancata nell’atto di urlare e un coltello da cucina abbandonato in una mano. Crivellato e straziato in tutti i punti possibili, il corpo esanime e rosso di Silke giaceva a terra, affogato in una densa pozza di sangue.
Passò solo qualche secondo. Poi, il silenzio del palazzo fu squarciato da un urlo agghiacciante.


***




Sventato giro di donne e prostituzione a Berlino: arrestati i capi dell’organizzazione.



Più di quaranta persone arrestate nel giro di due giorni grazie alla testimonianza di una delle loro vittime.



Distruggevano e rovinavano vite di migliaia di loro. Giovani ragazzi, di solito polacchi o rumeni, attiravano giovani donne conosciute “per caso” in stabili collocati nelle periferie di Berlino. Da lì, per loro, cominciava il calvario. Le più sfortunate venivano rese tossicodipendenti e poi costrette a vivere la loro vita sul ciglio della strada; le ragazze illibate, invece, venivano drogate e vendute a prezzi vertiginosi ad acquirenti esteuropei.
Ma l’organizzazione berlinese che gestiva uno dei giri di donne più grandi di Brandeburgo è stata finalmente neutralizzata la sera dell’8 settembre, grazie ad una lettera consegnata alla stazione di polizia di Lipsia da un anonimo.
La polizia ha preferito non sbilanciarsi con le notizie, ma per ora sappiamo che essa conteneva la testimonianza diretta di Silke Reube, una prostituta tossicodipendente pregiudicata per vendita e acquisto di droga, che racconta di come sia stata coinvolta nel giro e di come sia miracolosamente riuscita a fuggirne, più una lista di nomi e numerosi documenti, necessari all’arresto dei capi dell’associazione a delinquere.
La suddetta ragazza, appena ventenne, è stata trovata morta dalla sorella maggiore la mattina dell’8 in un appartamento di Lipsia, brutalmente assassinata da due uomini, in seguito identificati grazie al sistema di telecamere a circuito chiuso del palazzo.
Anche riguardo l’identità degli aggressori, che sicuramente hanno compiuto l’atto per evitare la fuga di notizie, comunque avvenuta, non si sa quasi nulla, tranne la nazionalità rumena e la stretta relazione con l’organizzazione berlinese.
La polizia tedesca, in collaborazione con quella polacca e rumena, sta continuando e continuerà a svolgere le indagini, in virtù della documentazione che Silke Reube ha fornito, pagando il caro prezzo della sua vita.


Claudia Kölhn




Epilogo




Non ricordo tutto del giorno in cui persi mia sorella. D’altronde, si sa, più forte è l’emozione, più sbiadita e indefinita è l’immagine che ne accompagna il ricordo. Tutto ciò che mi resta è la vista di lei, distesa senza vita sul pavimento, e la sensazione di soffocare con l’aria stessa. E poi solo un grande, immenso buco nero.
Per giorni, settimane, mesi interi mi sono macerata del dolore.
Ero scioccata e distrutta, corrosa da una rabbia cieca, perché sentivo che mi era stata crudelmente strappata una delle persone più importanti della mia esistenza, una persona che avevo appena ritrovato.
In quel periodo compresi il vero valore della vita. Non era giusto che qualcosa di così importante e meraviglioso fosse stato spento così, anzi, mi sembrava inconcepibile e inaccettabile.
Silke non avrebbe più respirato, non avrebbe più sorriso, non avrebbe mai più parlato. La sorella che avevo visto crescere non ci sarebbe stata mai più e questo mi faceva così male che a volte temevo di poter morire schiacciata sotto il peso del dolore.
Chi siamo noi uomini? Con quale autorità decidiamo chi deve vivere e chi morire?
Continuavo a ripetermi queste domande come un disco rotto, perché mi sembrava che la vita di Silke fosse stata stroncata senza motivo.
Poi, un giorno, successe qualcosa che mi fece riflettere.
Ero seduta sul balcone della cucina dei miei a fissare il nulla, come ormai facevo spesso, all’ombra di un albero di cui non ricordo il nome. Erano passati tre mesi dalla morte di mia sorella. Non so perché, ma alzai gli occhi dal pavimento e nella parte interna del ramo dell’albero vidi un nido. Era vuoto, o almeno, mi parve vuoto finché non sbucò la piccola testa pennuta di un uccellino. Lo vidi sporgersi dal nido, spiegare le ali e prendere volo dopo un paio di tentativi.
Può sembrare stupido o poco importante, ma quell’uccellino mi rivelò apertamente qualcosa che non avevo visto per tanto tempo.
Silke non era stupida. Era perfettamente cosciente di correre dei grossi rischi, ma aveva accettato di farlo per uno scopo preciso e io lo capii solo in quel momento. Mia sorella non si era affatto sacrificata inutilmente, anzi, la sua vita era servita a permettere a molte altre ragazze di poter spiccare il volo più liberamente.
Per un momento mi sentii ancora più arrabbiata, perché il mondo avrebbe continuato comunque ad essere il posto pericoloso di prima, ma durò solo un attimo. Perché immediatamente dopo fui riempita da una sensazione di beata serenità. Ne fui così ricolma da scoppiare in lacrime. Mio padre mi raggiunse sul balcone e mi sfogai tra le sue braccia, perché volevo liberarmi, gettare via una volta per tutte ciò che mi faceva male.
Quando le lacrime si esaurirono, gli sorrisi e sentii di essere pronta a mantenere la promessa fatta a mia sorella. Mi sciolsi dal suo abbraccio e mi recai da mia madre, che dava il biberon ad uno dei gemelli seduta sul divano. Mi resi conto di non saperli distinguere, ma mi ripromisi di imparare al più presto.
- Posso? – chiesi, tendendo le braccia verso il bambino.
Mia madre mi guardò preoccupata un attimo. – Te la senti? – mi chiese con tono amorevole.
Le sorrisi per rassicurarla e mi sedetti accanto a lei. – Certo – risposi serenamente.
Ricordo che quando il piccolo mi fu messo fra le braccia mi sentii ricolma di gioia. Pura felicità, beatitudine, come la famosa quiete dopo la tempesta.
Io ero in debito verso mia sorella. Lei si era riscattata pienamente. Adesso, toccava a me.

FINE




Note stremate: non ci credo. Davvero, non ci credo. Dopo esattamente un anno che l’ho cominciata, questa storia-supplizio è finalmente giunta al termine. Non speravo più di riuscire a terminarla, perché cambiavo continuamente idea, non trovavo l’ispirazione giusta, non mi piaceva la tecnica narrativa e cose così, ma ieri, 23 luglio, mi sono appiccicata allo schermo ed è venuto tutto da sé. Si distanzia parecchio dal mio stile abituale, non tanto nella tecnica narrativa, quanto nel modo di vedere le cose del personaggio femminile Simòne, molto più emotivo, più distaccato dalla realtà e incentrato sull’interiorità. Ma, ahimè, lei mi è venuta fuori così. Perché, in fondo, l’ho sempre immaginata così la mamma dei gemelli Kaulitz, un po’ con la testa tra le nuvole ed estremamente sensibile e comprensiva.
Comunque, c’è da precisare che non credo affatto che in realtà Bill e Tom siano i figli di una prostituta ex tossicodipendente morta uccisa e di un nessuno qualunque. Tutto questo è solo frutto della mia macabra immaginazione e ovviamente non guadagno nulla nello scriverlo, a parte tutte le emozioni dei miei personaggi.
Precisato questo, mi eclisso. Fatemi sapere cosa pensate dettagliatamente, perché a questa storia sono davvero, davvero legata profondamente. E per questo andate a giudicare non solo una breve storia, ma anche una profonda parte di me.

Edited by Shynee - 30/7/2009, 11:29
 
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