Dopo di te...

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Kate ~
view post Posted on 9/1/2009, 12:50




Ecco qui una delle mie ff più recenti. Sono molto legata a questo scritto e spero possa piacervi!
Buona lettura e... siate spietate!


Lea aveva sonno.
Non era il sonno di chi, stanco dopo una giornata di lavoro, desidera solo andarsene a letto. Il suo era un sonno indotto, quasi coatto. Aveva ingurgitato due pastiglie di sonnifero, sperando di riuscire a recuperare le ore che aveva perso le notti precedenti, quando il capo l’aveva costretta a fare gli straordinari.
Detestava il suo impiego, ma il mercato non offriva di meglio. Aveva dovuto scegliere fra un posto in un call center e quel lavoro di barista. La scelta era inevitabilmente ricaduta sul secondo impiego, dato che il primo l’avrebbe sicuramente uccisa di noia.

Sdraiata sul letto, nella casa che divideva con la sorella Marie, scrutava il soffitto. All’improvviso, proprio mentre le palpebre stavano per chiudersi, un ciclone moro la investì.

“Zia Leaaaaa!!!”

Philip, il suo nipotino di cinque anni, era appena entrato nella sua camera, irruente come al solito. Invidiava la vitalità di quel frugoletto e lo amava con tutta sé stessa, così aprì gli occhi e accese la luce.

“Phil, che c’è?”
“La mamma chiede se vieni a mangiare il gelato con noi”
“Sto morendo di sonno, Phil…” borbottò.
“Dai zia…”

Era impossibile resistere a quegli occhi da cerbiatto, così si alzò, si vestì e raggiunse la sorella in salotto. Philip la precedeva, saltellando.

“Tesoro non volevo disturbarti, ma Phil ha insistito tanto” spiegò Marie.
“Nessun problema, un gelato lo mangio volentieri!”

Adorava sua sorella, la sua ancora di salvezza. Si sarebbe fatta in quattro per lei e per Philip, senza ombra di dubbio.
Marie aveva 33 anni e un figlio di 5. Il padre di Philip l’aveva lasciata non appena saputo della gravidanza, così Marie si era fatta in quattro per mantenere il suo bambino e ora, a distanza di cinque anni, poteva dirsi soddisfatta. I primi tempi erano stati difficili, Philip richiedeva molte cure e Marie temeva di non riuscire a crescerlo come avrebbe voluto, ma Lea si era resa disponibile fin dall’inizio, anche se all’epoca della nascita del nipote aveva solo 17 anni.

Quando Lea aveva raggiunto la maggiore età, aveva lasciato la casa in cui viveva con la madre e si era trasferita da Marie. Ora, a 23 anni compiuti, continuava a vivere con la sorella, lavorando e studiando nei ritagli di tempo, concedendosi ogni tanto una serata con Sue e Mandy, le sue migliori amiche.

In pochi minuti, raggiunsero la gelateria preferita da Philip e si accomodarono al tavolo, aspettando che la cameriera portasse loro la lista dei gelati.

“C’è qualcosa che non va?” domandò Marie.
“Sonno, solo sonno. Anche ieri ho finito di lavorare alle due del mattino. Per fortuna che oggi è il mio giorno libero, altrimenti sarei collassata dietro al bancone”
“Ma perché lo fai? Io sono in grado di mantenerti fino a quando non avrai terminato gli studi…”
“Lo sai che non mi va. Ma ti ringrazio, Marie…” rispose Lea, riconoscente.
“Io voglio la coppa cioccolato e panna!!!” si intromise Philip “Mamma me lo compri?”
“Certo tesoro. Tu Lea, che prendi?”
“Una granita… ho cambiato idea, non voglio più il gelato…”

Dalle ampie vetrate della gelateria, le due ragazze osservavano i passanti che affollavano il centro della città. Le luci dei lampioni proiettavano ombre asimmetriche sulla strada e Lea si incantò osservando un ragazzo che rincorreva, ridendo, il suo cane.

Lea si sentiva italiana al cento per cento, anche se le sue origini erano, almeno per metà, inglesi. Il padre, Edward, era un famoso imprenditore londinese, che aveva conosciuto la loro madre tanti anni prima, in occasione di una vacanza. Avevano vissuto per dieci anni a Londra ma, quando era nata Lea, si erano trasferiti in Italia e, nello stesso anno, il padre aveva lasciato la moglie ed era tornato in Inghilterra. Lea lo vedeva due volte all’anno e non poteva di certo dire di avere un buon rapporto con lui, però cercava in tutti i modi di mantenere dei buoni rapporti, più per amore della madre che del padre. Madre che desiderava che le figlie continuassero a vedere il padre, senza rimproverargli nulla.

Marie, invece, detestava suo padre. Non lo aveva nemmeno avvertito il giorno in cui era nato Philip e, quando se l’era trovato sulla porta della stanza d’ospedale, con un mazzo di fiori in mano, aveva mostrato tutto il proprio disappunto, rispondendogli a monosillabi e mantenendo un’espressione corrucciata per tutto il tempo della sua visita.

Quando uscirono dalla gelateria e si diressero verso casa, i loro sguardi vennero catturati da un’ampia folla di ragazze che stazionavano di fronte all’ingresso dell’hotel più prestigioso della città.

“Che cazzo succede?” chiese Lea.
“Mammaaaaa! La zia ha detto quella brutta parola che inizia con la C…”

Lea scoppiò a ridere.

“Perdonami, Phil… Intendevo dire: che cosa succede?”
“Ci sarà qualche personaggio famoso. Magari un attore o un cantante…”
“Già, come quella volta in cui Brad Pitt è venuto a promuovere il suo ultimo film! Ti ricordi che casino? La strada bloccata, ragazze in delirio! Io dovevo andare a lavorare e nessuno mi faceva passare!”
“Andiamo a dare un’occhiata” propose Marie “magari c’è Sean Connery!”
“Ancora persa per Sean Connery?!” la scherzò Lea “Ad ogni modo, mi si stanno chiudendo gli occhi, quindi preferirei andare a casa. Tanto, domani mattina leggeremo sulla pagina degli spettacoli il nome del vip di turno”

Arrivate a casa, Lea si diresse subito in stanza, mentre Marie accompagnò Philip in cameretta, lo aiutò a infilarsi il pigiama e gli diede la buonanotte.

Poco prima di chiudere gli occhi ed addormentarsi, la mente di Lea volò per un istante alla folla assiepata di fronte all’albergo, domandandosi come sarebbe stato vivere un solo giorno nei panni di una celebrità. Ma Lea non sapeva che, prima di quanto avrebbe mai immaginato, QUELLA celebrità sarebbe piombata nella sua vita come un fulmine a ciel sereno.

Continua...
 
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rok1
view post Posted on 9/1/2009, 18:27




bella! non ce che dire anche se mi domando come incontrerà Bill?
 
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Fee1702
view post Posted on 9/1/2009, 18:51




Oh kate, questa storia è bellissima, ma del resto, tutte lo sono! Ti ho conosciuto tramite questa fanfiction e non mi sono più staccata dalle tue storie!
 
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† Werewolf
view post Posted on 9/1/2009, 21:42




Io ho letto la tua ff sulla schizofrenia e devo farti i complimenti per il talento!!!!
 
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Kate ~
view post Posted on 10/1/2009, 13:54




*_____________*
Grazie ragazze! Siete gentilissime!!
Eccovi un altro capitolo!

Saki si era appena sistemato nella sua stanza. Era stanco, decisamente molto stanco. Erano a Roma solo da poche ore, eppure avvertiva già il cambio d’aria, di abitudine, di odori. Era ormai assuefatto ai continui spostamenti, eppure ogni volta che lasciava la Germania, una fitta gli trafiggeva lo stomaco. Ma il suo lavoro era quello: doveva seguire e garantire la sicurezza dei ragazzi ovunque andassero. Non che si fosse stancato, eppure con il passare degli anni sentiva il bisogno di fermarsi, di insediarsi in un posto fisso e smetterla di essere un nomade senza fissa dimora.

Si recò di malavoglia nella stanza di ognuno dei quattro ragazzi, per informarli circa il programma del giorno seguente: sveglia alle otto, intervista con un noto quotidiano italiano alle dieci, sessione fotografica e nuova intervista con un settimanale alle undici, pranzo, breve riposo e una comparsa in un programma radiofonico alle quattro del pomeriggio. Dopodichè, incontro con le fan alle sei e cena alle otto. Saki era già stanco ancor prima di iniziare. Fortuna che poteva contare anche sulla presenza di Toby, che era molto più giovane di lui e sicuramente all’altezza del compito.

Dopo il giro delle camere, si concesse un drink al bar dell’albergo e poi si infilò dritto dritto nel letto, addormentandosi come un bimbo.

Lea si svegliò all’alba. Dopo una rapida doccia e una veloce colazione, afferrò i suoi libri e si chiuse in camera a studiare. Alle sette anche Marie si alzò, preparò la colazione per lei e per il figlio e alle otto, prima di andare a lavorare, accompagnò Phil all’asilo.

“Phil finisce alle due. Lo vado a prendere io, non preoccuparti” disse Marie alla sorella “Tu a che ora inizi stasera?”
“Alle 21.00, come sempre…”
“Allora ci vediamo nel pomeriggio”

Poco dopo l’ora di pranzo, il telefono di casa squillò, facendo trasalire Lea, intenta a lavare i piatti. Si asciugò frettolosamente le mani nel canovaccio appeso di fianco al lavello e corse a rispondere.

“Sì?”
“Lea, sei tu?”
“Ciao Tino!” rispose Lea, riconoscendo la voce del suo datore di lavoro.
“Dove diamine hai il cellulare? E’ da un’ora che cerco di chiamarti!”
“E’ ancora spento… ma che succede?”
“Succede” spiegò Tino, con un’ombra di eccitazione nella voce “che stasera abbiamo degli ospiti importanti!”
“Chi?”
“I Tokio Hotel!!!” trillò Tino “Sai cosa significa!? Significa che il locale farà il salto di qualità!”
“Ma chi sono?”
“Come chi sono?! Ma non leggi i giornali?” la rimproverò scherzosamente Tino.
“Aspetta… sono quelli che cantano quella canzone sul vento?”

Una risata squillante le perforò quasi il timpano.

“Monsoon!”
“E beh, non mi ricordavo il titolo!” spiegò Lea “Comunque sì, ho presente. Solo che se dovessi incontrarli, non credo che li riconoscerei. In questi ultimi anni sono stata parecchio occupata, sai… Non ho avuto molto tempo da dedicare alla musica o ad altri hobby”
“Sai, dicono che il chitarrista abbia la fama di playboy. Magari stasera rimorchi, sarebbe anche ora!” la scherzò di nuovo.
“Va’ a cagare! Non ho bisogno di rimorchiare, sono troppo occupata! Ma mi hai chiamata solo per dirmi questo?”
“No, anzi, quasi mi scordavo: stasera inizi prima. Ti aspetto al locale per le 19.00. Voglio che sia tutto perfetto!”
“Uff…” sbuffò Lea “Va bene. A stasera allora”

Il suo sogno di concedersi una bella cenetta con la sorella e un piccolo momento di relax sul divano, dopo la cena, si infransero. Tornò a studiare e rimase china sui libri fino al ritorno di Marie e Phil.

“Stasera non ci sarò a cena” esordì Lea, non appena la sorella entrò in casa e Phil le saltò in braccio.
“Esci con Sue e Mandy?”
“No… Inizio a lavorare alle 19.00. Pare ci siano ospiti importanti”
“Ma dai?! Chi?”
“I Tokio Hotel, conosci?”

Marie si strofinò il mento con una mano, poi esplose:

“Das ist der letze Taaaaag!!!”

Lea assunse un’espressione interrogativa.

“Ma no Marie, sono quelli che cantano quella canzone sul monsone”
“Mica cantano solo quella! Fidati, li conosco! La radio trasmette spesso le loro canzoni e tu sai benissimo che io ascolto musica anche quando vado in bagno!”
“Ma perché sono l’unica a non conoscerli?” chiese Lea.
“Perché negli ultimi cinque anni, non ti sei mai concessa un minuto di sosta, un minuto solo per te. Ti stai perdendo un sacco di cose che, alla tua età, dovresti provare. Dammi un minuto e ti faccio vedere chi sono, non vorrai mica presentarti impreparata?”

Dopo pochi istanti, Marie raggiunse Lea in cucina, con il computer portatile in mano. Lo appoggiò sul tavolo e si connesse ad internet. Digitò solo due parole e, improvvisamente, milioni e milioni di risultati apparvero sullo schermo.

Marie scelse una pagina a caso e l’aprì. Sulla schermata comparve una foto gigante di quattro bei ragazzi, ma uno in particolare catturò l’attenzione di Lea, facendola arrossire.

Come per Cenerentola, anche per Lea l’ora del ballo stava per arrivare.

Continua...
 
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† Werewolf
view post Posted on 10/1/2009, 16:23




Continua presto Kate!!! (sono sempre Amy XD)
 
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Kate ~
view post Posted on 11/1/2009, 13:25




Grazie mille Amy! *_*

“Allora, li riconosci adesso?” chiese Marie, sorridendo.
“Mmh… forse. Mi sa che ho visto il video di una canzone oppure li ho intravisti su un giornale dalla parrucchiera”
“Questo è carino, vero?” disse, indicando il bassita dai lunghi capelli lisci.
“Marie! Potrebbero essere tuoi figli, lo sai?!” la rimproverò Lea, scherzosamente.
“E allora? Una trentatreenne non può apprezzare le qualità fisiche di un bel ventenne?”
“Marie stavo scherzando!”
“Dai dai, che poi mi racconterai tutto nei dettagli! E se fai conquiste, non tirarti indietro come al tuo solito…” la ammonì Marie.
“Non farò conquiste. Sarò dietro al bancone, sudata e indaffarata! Chi vuoi che si interessi a me?!”
“Sciocca, nemmeno ti accorgi di come ti guardano i maschi…” bofonchiò Marie.
“Piantala! Dai, spegni sto computer… Io adesso vado a farmi una doccia e poi cercherò di dormire almeno un paio d’ore. Si prospetta una lunga serata”

Alle 18.00, la sveglia di Lea suonò, imperterrita. La ragazza si alzò di malavoglia, raccolse i lunghi capelli neri in una coda di cavallo, si passò una mano di rimmel e completò l’opera con un tocco di matita, intorno agli occhi azzurri. Si guardò a lungo allo specchio, come se si aspettasse che quel pezzo di vetro le desse la sua approvazione, dopodiché si infilò un paio di jeans, la maglietta del locale, le sue adorate Converse nere e partì alla volta del pub.
Alle 18.50 varcava l’ingresso del suo posto di lavoro, tirato letteralmente a lucido per la grande occasione. Il locale vantava una vasta clientela e un’ottima reputazione, ma quella serata era importante per l’immagine del pub e, soprattutto,perché avrebbe attirato, in futuro, altri avventori.

“Ciao Lea! Puntuale come sempre!” la salutò Miriam, l’altra barista.
“Ciao Miriam”

Lea e Miriam non avevano un gran bel rapporto ma, per amore del posto di lavoro e del senso di responsabilità, fingevano di piacersi. O meglio, fingevano di non sapere di non piacersi. Miriam era l’esatto opposto di Lea: prosperosa, bionda platino, grosse labbra sempre pitturate di rosso, occhi truccatissimi, un’elevata stima di sé stessa e poco senso del pudore. Nonostante avessero la stessa età e si conoscessero ormai da anni, non avevano nulla in comune, se non la reciproca antipatia.

“Stasera serata importante, dunque” disse Miriam, che cercava sempre di instaurare una sottospecie di dialogo con la taciturna Lea.
“Già. Ci toccherà fare le ore piccole. Non potevano scegliere un altro locale?” ridacchiò Lea.
“Non scherziamo!” Tino comparve dal retro del pub, portando un grosso fusto di birra “Ragazze, non capite quanto è importante? La pubblicità! Un’enorme pubblicità! Magari diventeranno clienti abituali tutte le volte che torneranno a Roma, senza contare che altri artisti potrebbero seguire il loro esempio e scegliere noi per le feste private! Sento già il profumo dei soldi…” concluse Tino, fingendo di sventolarsi delle banconote sotto il naso e ridendo.
“Sei pazzo!” rise Lea “E materialista! Non si vive di soli soldi”
“Ma aiutano!” si intromise Miriam.
“Dai Lea, lo sai che scherzo… Ma più soldi, significherebbe anche un aumento del vostro stipendio!”
“Oh beh” aggiunse Lea “se la metti su questo piano, ben vengano!!!”

Tra una chiacchiera e l’altra, ben presto arrivarono le 22.00, ora d’apertura del locale. La folla assiepata all’ingresso cominciò ad entrare e ad accomodarsi ai tavoli e al bancone, ma delle famose e attese rockstar, nemmeno l’ombra. Intorno a mezzanotte, mentre Lea era intenta a servire un boccale di birra ad un ragazzo dall’aria annoiata, le porte si aprirono e la ragazza scorse un uomo vestito di nero, con un paio di occhiali da vista, seguito a ruota da un giovane con un cappellino in testa e dei lunghi rasta biondi.

“Guarda Lea!” le disse Miriam, dandole di gomito “Sono loro!”
“Evviva” rispose Lea, con scarso entusiasmo e fingendo di sventolare una bandierina “Era ora. Pensavo quasi che Tino avesse sbagliato giorno!”

Fu in quell’istante, appena terminò di parlare, che Lea lo vide. Era esattamente come lo aveva visto sulla schermata del computer, solo che dal vivo era ancora più bello. Camminava con leggerezza, come se stesse passeggiando su una soffice nuvola, mentre parlava con il ragazzo dai capelli lisci, quello che piaceva a sua sorella. Imbambolata, non si accorse che l’ennesimo boccale di birra che stava spillando, era colmo.

“Attenta!” la ammonì Miriam “Stai facendo uscire tutta la birra!”
“Oh cazzo” mormorò Lea.

Le bastò distogliere lo sguardo un attimo, per perderlo di vista. Il locale era colmo, gente che sostava di fronte al bancone, gente che ballava, gente che passeggiava. Era difficile scorgerlo, fra quella folla. Dal bancone del bar, Lea riusciva ad osservare quasi tutto il pub, tranne che gli angoli più nascosti, quelli più appartati, dove era probabile che si fossero accomodati.

“Miriam, vado un attimo in bagno”

Lea scese velocemente dal bancone, si fece strada fra la folla e si diresse alla toilette. Conosceva il locale come le sue tasche e sapeva che, per raggiungere i bagni dalla sua postazione, era necessario attraversare l’intero pub. Con un pizzico di fortuna e una rapida occhiata, pensò che avrebbe facilmente individuato il gruppetto.
Difatti, dopo essersi infilata fra mucchi di persone danzanti, scorse la combriccola tedesca e LUI.
Abbassò la testa e passò accanto al loro tavolo velocemente. Ancora pochi passi la separavano dalla porta dei bagni. Quando la raggiunse, la aprì frettolosamente e si fermò per un attimo nell’atrio della toilette, appoggiando le mani ai lavandini candidi e bagnandosi i polsi. Lea si agitava facilmente. Bastava così poco per farle aumentare i battiti cardiaci e farle mancare il fiato.
Aspettò qualche minuto, poi uscì di nuovo dai servizi e si preparò per raggiungere il bancone.

“Scusa!”

Una voce, appena udibile in mezzo a quel frastuono, la riscosse dalle sue meditazioni su come raggiungere il bancone senza farsi notare da lui.

Continua...
 
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Fee1702
view post Posted on 11/1/2009, 13:27




Oddio, chissà come dev'essere vedere Bill dal vivo a distanza così ravvicinata! Me lo chiedo spesso... Credo che non reggerei simile visione!
Il mio pasticcino al cioccolato fondente *__*
 
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† Werewolf
view post Posted on 11/1/2009, 20:48




CITAZIONE (Fee1702 @ 11/1/2009, 13:27)
Oddio, chissà come dev'essere vedere Bill dal vivo a distanza così ravvicinata! Me lo chiedo spesso... Credo che non reggerei simile visione!
Il mio pasticcino al cioccolato fondente *__*

Vale, ti posso assicurare che è qualcosa di inspiegabile, che le parole non possono descrivere pienamente...
Ti dico solo che sembrava emanare luce propria...
 
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Kate ~
view post Posted on 12/1/2009, 13:08




Grazie ragazze! *_*

Lea voltò lo sguardo in direzione del tavolo tanto temuto, pregando che la voce non giungesse proprio da lì. Invece, contro ogni sua speranza, si accorse che il ragazzo dai capelli lisci, di cui ignorava il nome, stava chiamando proprio lei.
Ripassò mentalmente le sue conoscenze tedesche e benedisse sua madre, docente universitaria, per averle insegnato quella lingua così difficile.

“Dimmi” disse, avvicinandosi al gruppo e cercando di non guardarsi troppo in giro.
“Potremmo ordinare? Tu lavori qui, giusto?”

Lea si chiese come diamine avesse fatto quel ragazzo a capire che lei lavorava lì. Pensò di avere la faccia da barista, o forse di essere vestita in maniera poco elegante per essere una cliente. Poi, proprio mentre si guardava la punta delle scarpe, capì: indossava la maglietta del locale, con tanto di nome e un piccolo grembiulino in vita. Stupida!

“Sì certo, ditemi…”

Con fare professionale, nonostante le mani tremanti, estrasse dal grembiulino un blocchetto con penna e aspettò che il gruppo decidesse. Mentre i ragazzi le sciorinavano i vari cocktail, Lea pensava:

“Ok, il piastrato vuole la birra, quello biondino con la faccia simpatica vuole una vodka liscia, il ragazzo con i rasta beve la birra come il piastrato e… no cazzo no… tocca a LUI… devo guardarlo? No che non lo devo guardare, io tengo la testa bassa e ascolto…”

“Io invece vorrei una vodka alla fragola. Ce l’avete?”

Doveva rispondergli. Era necessario rispondere. Non poteva fingere di non aver sentito o, peggio ancora, grugnire in segno di risposta. Oltre a sembrare un maialino, avrebbe anche corso il rischio di fargli una brutta impressione e non sarebbe stata una bella mossa. Non pretendeva nulla, di certo non chiedeva che lui la rapisse e la portasse via, per favore, alla favole aveva smesso di credere quando aveva compiuto dieci anni, però desiderava fare una bella figura, sperava che, se LUI se la fosse mai ricordata, avrebbe ripensato a lei con un sorriso.

“Sì… fragola, menta, pesca…” prese ad elencare.
“Va bene alla fragola, grazie!” rispose il ragazzo, sfoderando un sorriso smagliante.

“Adesso cado… cado, me lo sento” pensò nuovamente Lea “Cado, mi si strapperanno i pantaloni, rimarrò con il culo di fuori in mezzo a tutta questa gente e LUI riderà come un pazzo”

Sorrise, si allontanò dal tavolo e riuscì a raggiungere il bancone senza cadere, né tantomeno inciampare o rimanere con il sedere di fuori.

“Dove sei stata? C’era la coda al cesso?” chiese Miriam.
“No… solo che uno dei Tokio Hotel mi ha fermata per ordinare da bere”
“L’ho detto a Tino che dovrebbe assumere una cameriera in più! Quelle che abbiamo non bastano!”
“Strano che non abbia mandato una ragazza al tavolo, però… Non è da lui”

In quel momento, un trafelato Tino le raggiunse al bancone.

“Mio dio mio dio mio dio mio dio! Non ho mandato una ragazza al tavolo dei Tokio Hotel! Oddio santissimo! Sono un deficiente!”
“Tino calmati!”
“Lea puoi andare tu? Ti prego! Sono un’idiota!”
“Tino!!” urlò Lea “Datti una calmata! Guarda che sono persone come me e te! Il fatto che siano famosi, non significa che non possano aspettare un attimo! Tranquillo che non si prosciugheranno la gola, nell’attesa”
“Ma…”
“Niente ma!” lo rimbeccò Lea “Ad ogni modo, mentre uscivo dal bagno mi hanno fermata e ho preso io le ordinazioni. Adesso preparo il tutto e poi mando una delle ragazze al tavolo”
“Sono tutte impegnate! Devi andare tu! E poi, qui dentro sei l’unica che parla il tedesco!”
“Sapranno sicuramente anche l’inglese” commentò Lea, mentre preparava la vodka alla fragola “Vacci tu! Io ho da fare!”
“Ma scherzi? Io non posso andare! Non indosso la divisa!”

Lea sbuffò vistosamente.

“Mando Miriam, allora”
“Miriam non parla tedesco”
“Birra e vodka non sono così difficile da capire, anche se dette in inglese! Inoltre, è difficile scambiare un boccale di birra per un bicchiere di vodka di colore rosa cazzo!”
“Lea, in qualità di tuo superiore, ti ordino di portare loro da bere!” disse Tino, sghignazzando.
“Mi devi un favore, sappilo!” lo rimbeccò Lea, puntandogli l’indice contro.

Poi scese dal bancone e, inspirando profondamente, attraversò di nuovo il locale con il vassoio in mano, diretta verso il gruppetto tedesco.

Continua...
 
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Fee1702
view post Posted on 12/1/2009, 19:06




Oddio quando Lea crede di cadere mi ha ricordato troppo me! Io di sicuro avrei fatto una figura del genere XD

Brava come sempre tesò
 
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† Werewolf
view post Posted on 12/1/2009, 21:37




CADO CADO CADOOOOOOOOO XD
Comunque molto brava Kate!
 
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Kate ~
view post Posted on 13/1/2009, 13:39




Grazie mie care! *_*

Quando arrivò al tavolo, con estrema professionalità e scioltezza, cominciò a servire le bevande tenendo il vassoio in bilico su una mano sola. Mancava ormai solo la vodka alla fragola da servire, quando il telefono del ragazzo con i rasta squillò. Lea non capì quel che stava per succedere, vide solo una furia alzarsi di scatto e il vassoio volare oltre la testa del ragazzo con i capelli lisci. Inevitabilmente, il bicchiere di vodka con tutto il suo contenuto, cadde a terra, frantumandosi.

“Mi spiace, scusa! Colpa mia!” balbettò, imbarazzato, il ragazzo con i rasta.
“No, figurati” mormorò Lea, chinandosi per raccogliere i cocci di vetro.
“Sei sempre il solito, Tom!”

Era LUI. LUI che parlava. Tom, ecco come si chiamava quello con i lunghi dread. Ma LUI? Qual era il suo nome?

“Taci Bill!” lo rimbeccò Tom.

Bill. Si chiamava Bill.

“Aspetta, ti do una mano. Fai attenzione a non tagliarti” disse Tom, chinandosi a fianco di Lea.
“Non disturbarti, ho finito. Ti ringrazio” rispose Lea, con un sorriso. Poi, si alzò e, preparandosi all’incontro con gli occhi di Bill, esordì: “Ti porto subito un’altra vodka”
“Grazie! Mi spiace, ma mio fratello è sempre il solito!” sghignazzò Bill, seguito a ruota dagli altri.

Suo fratello. Effettivamente, a pensarci bene i due ragazzi si somigliavano parecchio. Sorridendo, Lea tornò al bancone, preparò un’altra vodka, afferrò anche uno straccio e uno spazzolone e si precipitò dai ragazzi. Dopo aver servito la vodka a Bill, pulì il pavimento.

“Dovresti farlo tu, quel lavoro!” commentò il piastrato.
“Georg, falla finita! Mi sono già scusato! La vibrazione del telefono mi ha spaventato! Ce l’avevo in tasca, proprio attaccato al culo!”

Lea trattenne una risata. Georg, aveva scoperto anche il nome del terzo ragazzo. Ora mancava solo il biondino taciturno.

“Come minimo, per averti creato tanto disturbo” disse Tom, mentre Lea finiva di pulire “ti meriti una foto con me!”

Lea girò la testa in direzione di Tom e, con tutta la sincerità possibile e con un tono volutamente ironico, rispose: “Quale onore!”

Gli altri tre scoppiarono a ridere, mentre Tom finse di mettere il broncio.

“Non sai che ti perdi!” la rimbeccò.
“Posso immaginare, ma concederò questo onore a qualche altra ragazza. Io devo lavorare”
“Tom, ti è andata male!” disse il biondino.

Lea sorrise di nuovo al gruppetto, poi raccolse lo straccio e, prima di tornare al bancone, chiese: “Volete altro?”
“Beh… effettivamente vorrei…”
“Tom smettila! Che figure! Possibile che tu ci debba provare con tutto ciò che respira?” lo rimproverò Bill.

Lea arrossì, poi sorrise per l’ennesima volta ai ragazzi.

“No, siamo a posto, ti ringrazio” si affrettò a dire Bill “Nel caso in cui volessimo altro, verremo direttamente al bancone. Grazie!”

Tornando alla sua postazione, Lea si sentì improvvisamente infelice. La luce calda che gli occhi di Bill emanavano, le fece capire quanto si fosse estraniata dalla realtà negli ultimi anni, quanto avesse chiuso il suo cuore a qualsiasi emozione, troppo presa dal lavoro, dagli studi, da Philip e dal desiderio di mostrarsi matura a tutti i costi.
Scosse la testa e pregò che quella serata finisse in fretta. Non c’era spazio per i sogni nella sua frenetica vita.

Le ore passavano lentamente, la folla danzava, le luci le facevano male agli occhi e tutto quel frastuono le aveva procurato un forte mal di testa. Ma forse non era colpa della musica alta e del chiacchiericcio. Forse la sua testa stava pensando troppo, a troppe cose in troppo poco tempo.
Quand’era stata l’ultima volta che aveva sperimentato la dolcezza di un bacio? O la piacevole sensazione di una mano che stringe la tua? Quando aveva fatto l’amore?

Con suo immenso dispiacere, si accorse di non aver mai provato nulla di simile. Mai.
Non aveva mai concesso ad un ragazzo di avvicinarsi a lei, semplicemente perché non si concedeva nulla. Nemmeno a scuola, mai un flirt con un compagno, uno scambio di pareri. Nulla. C’era Phil da curare, Marie da aiutare, c’era il lavoro e poi l’università. E prima di tutto questo, prima dei 17 anni, non si era mai sentita pronta. Le sue amiche cercavano sempre di trascinarla fuori da tutta quella frenesia ma, a parte qualche serata insieme, non riuscivano a scucirle granché. Era come se tutto quello le si fosse appiccicato addosso, come se fosse parte di lei.

“Ci sarà tempo per l’amore” pensava. Ma la verità era che il tempo passava e solo il cielo sapeva quante occasioni avesse sprecato. Poi aveva visto LUI. Stupido vero? Accorgersi di tutto questo solo quando si incontra una persona che non potrà mai starti vicino. Osservarla da lontano e sentirsi già fortunata per quello, perché a pochissime altre ragazze era concesso un incontro così ravvicinato.
Intorno alle due, mentre era intenta a preparare un cocktail analcolico per una ragazza bionda seduta al bancone, lo vide avvicinarsi.

Continua...
 
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rok1
view post Posted on 13/1/2009, 17:52




W.O.W troppo fighetta! ma, io che sono di roma ed ero al concerto dei tokio non mi pare che poi erano anda ti in un locale la sera? o sbaglio?
 
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† Werewolf
view post Posted on 13/1/2009, 18:58




Lea sembra così tanto me...
 
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115 replies since 9/1/2009, 12:50   1088 views
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