La tua schiena è liscia, lunga, sottile.La tua schiena è liscia, lunga, sottile.
Riesco a vederla bene dal mio banco, l'ho subito notata dalla prima volta che ti sei seduto in quel posto. È sempre lo stesso, come il mio.
Hai una maglietta nera. Porti sempre magliette nere, tu.
E non sarebbe certo una stranezza, se non abbinassi le tue solite “magliette nere” alla matita intorno agli occhi e allo smalto sulle unghie.
Te ne stai ingobbito sul tuo foglio, con la penna in mano e il tappo fra i denti.
Sorrido tra me e me, graffiata dal dolore amaro che mi porto dentro. Anche lui è sempre lo stesso.
Chissà cosa stai pensando. Chissà cosa scrivi.
Probabilmente tenti una via di fuga da questo posto squallido e asfittico, probabilmente sai di dover seguire la lezione e non te ne importa.
Sospiro e abbasso gli occhi sul mio quaderno di matematica. La luce al neon è piatta e noiosa, contribuisce a rendere l'atmosfera pesante. Sento il brusio dei miei compagni di classe, alcuni tentano di capirci qualcosa, altri parlottano tra loro.
Vorrei essere almeno un po' come te. Vorrei riuscire a fregarmene, come fai tu.
Tu ti trucchi, ti dipingi le unghie e ti tingi i capelli. Scrivi cose che non leggerò mai, hai un mondo del tutto tuo e ti ci rifugi quando gli altri ti prendono in giro e ti insultano. Hai tuo fratello, qualcuno che ti capisce e con cui puoi condividere i tuoi stessi sentimenti. Lo so, so che non ti ritrovi in questo mondo troppo comune e troppo piatto, so che sai che il tuo posto non è qui, e lo so anch'io.
Io non riesco ad essere coraggiosa come te. Io seguo parametri comuni e convenzioni, e so che il mio destino rientra nella mediocrità.
Ti guardo ancora, sei annoiato. Fai finta di seguire.
Vorrei trovare il coraggio di alzarmi e venire a parlarti, magari durante la pausa pranzo. Vorrei tanto riuscire a sorriderti, invece di abbassare lo sguardo ogni volta che, per caso, mi guardi. Mi guardi, ma non mi vedi. Non mi vedrai mai, e so anche questo.
Non mi interessa il giudizio degli stupidi superficiali qui intorno. Parlare con il diverso di turno non è una cosa che mi disturba. È che ho paura, una paura terribile di essere rifiutata. Conoscendomi, arrossirei e scapperei via, o non riuscirei a parlarti. È la sensazione costante di non essere mai abbastanza per nessuno.
Riporto lo sguardo sulla mia mano. Una goccia calda è caduta sul dorso e scivola di lato.
Tento di contenermi, di non piangere. So che non è proprio il luogo e il momento adatto.
Poggio il mento sul mio braccio e strizzo forte gli occhi. Posso farlo, sono all'ultimo banco e i compagni davanti a me mi coprono dalla vista de professore che parla. Altre lacrime mi si raccolgono negli occhi, ma tento di ricacciarle giù.
Io so che non appartieni a questo posto. La tua voglia di scappare, il tuo entusiasmo e la tua determinazione ti porteranno lontano. Chiunque, perfino una ragazzina di tredici anni come me riesce a capirlo.
Non so quali siano i tuoi sogni, ma so che farai strada. E io sarò quella che tu hai sempre guardato e che non hai mai visto. E tu sarai quello che ho sempre visto e a cui non ho mai parlato.
E quanto tu sparirai da questa scuola, da questa cittadina mortificante, io rimarrò qui, a ricordare te e la parte di te che conosco meglio, più del tuo sorriso, più dei tuoi occhi, la parte su cui ho indugiato di più in tutti questi mesi. Ricorderò che eri bello, sì, che paradossalmente, nonostante l'odio dei professori e della classe, eri anche bravo. Mi hai sempre dato le spalle. E io ricorderò sempre che la tua schiena è liscia, lunga e sottile.
Note dell'autrice: piccolo delirio del sabato pomeriggio. Non ha necessariamente un senso, però è sentito. Spero che vi abbia colpito abbastanza da spingervi a lasciare un commento, o qualcosa.
Edited by Monique; - 12/2/2011, 15:41