Hamburg.

« Older   Newer »
  Share  
; Lady ;
view post Posted on 14/2/2010, 09:59 by: ; Lady ;




Capitolo 5.



Possibile che mi metta paura l' idea di entrare in macchina? Da un anno a questa parte, questa è la prima volta che starei volentieri a casa piuttosto che andare al lavoro. Le indicazioni che il grande capo mi ha inviato per email per arrivare direttamente al loro studio – uno dei tanti – sono in bella mostra sul volante della mia macchina.
Ok, ora devo girare a destra. Peccato che, alla mia destra, ci sia un muro dei cemento.
E' un modo molto fine e indiretto che ha usato il mio capo per mandarmi a morire?
O ero io che semplicemente stavo leggendo la cartina al contrario?
La risposta è la numero due. Io stavo leggendo male la cartina.
Feci retromarcia e tornai al punto di partenza. Ora, tecnicamente, dovrei imboccare la strada giusta.
Come avrebbe fatto sicuramente qualsiasi essere umano con condizioni psichiche normali, avrei dovuto accendere il TomTom e farmi dire direttamente la strada. Ma solo il nome mi faceva irritare; poi non avevo alcuna idea di dove mettere le mani, perciò era comunque impensabile questa alternativa.
In ogni caso, comunque, riuscii ad arrivare allo studio.
Parcheggiai praticamente di fronte all' entrata (unico posto libero di parcheggio), visto che un' Audi r8 occupava l' altro lato del viale.
Scendo dalla macchina, togliendomi gli occhiali da sole e aumento la presa sulla mia borsa.
Giungo davanti alla porta.
Potrei bussare oppure suonare un campanello che noto solo ora come inesistente. Non c'è nessun campanello.
Un ragazzo biondo, un po' cicciotto, si piazza di fronte a me. Lo guardo dal mio misero metro e sessanta con aria innocua. Più o meno.
- Sono Chiara Mill e... -.
- Sì, lo so. Vieni, entra. Gli altri sono in riunione – dice, spostandosi dalla porta per farmi entrare.
Tolsi il cappotto e lo appoggiai insieme alla borsa sull' appendiabiti.
Seguii Gustav fino alla sala riunioni, o almeno così l' aveva definita lui.
Appena entrai, erano tutti seduti attorno al tavolo rettangolare al centro della stanza.
Gustav si mise a sedere accanto a Georg e io contemplai, per qualche secondo, la scena.
Un sedia vuote era stata piazzata tra il menager e Bill, che intuii come la mia.
- Eccoti. Stavamo per iniziare la riunione – dice il menager, voltandosi verso di me.
Tutti si girarono a guardarmi, come se fossi il...giocattolino nuovo.
- Riunione? - chiedo, incerta.
Sì, ci siamo riuniti per discutere di alcuni dettagli riguardanti l' album.
- Siediti, abbiamo lasciato la sedia apposta per te -.
Possibile che mi sentissi una stupida?
Con una lentezza snervante, mi sedetti al mio posto. Sentii addosso gli sguardi di tutti, compresi quelli del cane che se ne stava sdraiato bello comodo sul cuscino del divanetto.
- Io sono Bill, piacere -.
Una voce alla mia destra mi fa voltare, quasi sobbalzando.
- Oh, ciao. Io sono Chiara – dico, ricambiando la stretta di mano.
- Io sono Tom, ti ricordi di me, no? – dice l' altro, strizzando l' occhio.
- Io Gustav, ci siamo già presentati prima, comunque -.
- Io Georg -.
Sì, certo, come se non lo sapessi.
Salutai tutti quanti e poi tornai al menager, che sfogliava tutto preso i fogli di fronte a sé.
- Bene, direi di cominciare. Bill, che hai portato oggi? -.
- Ho qui un paio di testi. Tom sta lavorando sugli arrangiamenti, dopo potremmo provare – comincia Bill, tutto serio.
Sto per scoppiare a ridere ma mi trattengo.
- Sì, poi abbiamo avuto delle idee sulla copertina dell' album – continua il fratello, rivolgendosi al menager.
- E dovremmo discutere sul primo singolo da far uscire – aggiunge Gustav, pensieroso.
- Sì, mi piacerebbe che il video venisse fuori come...come se fosse una specie di film, ecco -.
David annuisce e annota sul suo computer.
Mentre rifletto sul mio compito da svolgere oggi, la loro conversazione va avanti.
- Mi piacerebbe poter parlare con il regista con cui abbiamo parlato qualche mese fa. Ha avuto delle idee che mi interessano parecchio -.
Sembrano tutti molto presi da questa conversazione. Immagino che al mio posto vorrebbero esserci un sacco di fans che là fuori non aspettano altro che qualche gossip.
Ah, ma mi dispiace, i retroscena me li godo solo io, stavolta.
Stupide mucchine in calore.
Espressione che generalmente veniva usata da Giulia per definire le fans ai concerti dei Tokio Hotel.
Finalmente, si degnano di dare un senso alla mi presenza qui.
- Vedi, qui noi annotiamo tutte le idee. Poi le riguardiamo, buttiamo giù altre idee e infine si passa ai fatti. La settimana prossima i ragazzi avranno uno shot e tu potrai vedere come funzionano queste cose. Praticamente, il tuo compito sarà quello di aiutarmi a coordinare i lavori -.
Sei soltanto una bambina.
Eccerto.
- Oh bene. Ehm, volevo chiedere, ma dovrò venire in tour pure io? -.
Mi fissano per qualche secondo, sembrano sull' orlo di una crisi isterica di risate.
- Tesoro, certo che verrai con noi tutti in tour. Mi sarai molto più utile in giro per il mondo che qui – mi fa osservare il menager, con un sorriso tirato.
Ok, probabilmente la mia domanda è stata in modo devastante fuori luogo, ma cosa potevo farci se mi ignoravano completamente senza darmi spiegazioni?
Dopotutto, ero stata mandata qui senza alcuna specificazione sul mio lavoro da svolgere, a parte “sarà l' assistente del signor Jost”.
- Bene, ora facciamo una pausa – annuncio David, chiudendo la cartellina blu.
Guardai l' orologio. Erano passati esattamente dieci minuti da quando ero lì dentro e avevano appena iniziato. Se ogni dieci minuti fanno una pausa – pausa intesa come, molto probabilmente, una lunghissima pausa – forse entro domani sarei tornata al mio accogliente appartamento.
Forse.
Guardai gli altri alzarsi, sorridermi, e uscire dalla stanza. David mi fece segno di seguirlo ed entrammo tutti e sei in una stanza poco illuminata, che intuii come la sala registrazione.
- Chi viene a giocare a ping pong con me? - urla Tom, avvicinandosi a un' altra porta.
- Vengo io. Mi devi una partita – risponde Georg, seguendolo.
La porta si richiude e io rimango sola con Bill, Gustav e David.
Mi sentivo un piccolo folletto in confronto a loro.
Sono così esageratamente alti.
- Bene, vuoi che ti mostri tutto lo studio? -.
Mi volto. Bill mi sorride, con aria gentile.
- Certo, uhm...d' accordo – esclamo, forse con troppo entusiasmo.
Devo avergli fatto l' impressione di una psicopatica.
- Nella stanza di prima registriamo. Di solito ci sono i tecnici e gli addetti, ma oggi è il loro giorno libero. Io e Tom abbiamo una piccola stanza di registrazione dentro casa, ma preferiamo registrare qui. Là proviamo e basta – comincia, gesticolando con le mani.
Io annuisco, seriamente curiosa.
- Questa è la sala prove, io mi metto lì, al centro dove c'è il microfono. Gli altri si siedono ai loro posti e suonano. A volte capita che le idee vengano mentre suoniamo, perciò non è detto che una canzone esca da qui nelle stesse condizioni con le quali è entrata – ammicca, sorridendo.
- Wow... - riesco finalmente a dire.
- Già, siamo così fortunati. Qui c'è la cucina, o almeno ci assomiglia, più o meno. Il fornello non lo usiamo mai, perchè siamo troppo pigri per cucinare. Ordiniamo le pizze e le scaldiamo nel forno. E' molto più semplice -.
- Magari un giorno vi cucino qualcosa io – improvviso, sorridendo.
- Sì, magari... - risponde, sorridendo a sua volta.
Usciamo ed entriamo in un' altra stanza, più grande della precedente.
- Qui ci riposiamo, anche se forse il termine riposare non è tra i più appropriati. Visto che riposiamo ovunque -.
Scoppio a ridere. Inciampo in qualche filo e improvvisamente mi ritrovo a una decina di centimetri dal pavimento.
- Devo ricordare a Tom di rimettere a posto l' amplificatore -.
- Gran bella presa, comunque -.
- Ho dei buoni riflessi, io – specifica, sottolineando quel “io” con una certa enfasi.
- Anche io ho i riflessi buoni – borbotto, sistemandomi la felpa.
Mettiamo da parte il discorso e proseguiamo, salendo le scale al piano di sopra.
Miseria, è solamente uno studio di registrazione, non può essere così grande!
- Qui, beh...ci sono tutti gli strumenti -.
Apre la appena di fronte alle scale.
Rimango sorpresa dall' infinità di strumenti all interno della stanza.
Chitarre, bassi, una batteria e, a sinistra, un pianoforte.
- Li teniamo tutti qui, per non ingombrare la sala prove -.
- Perchè, vorresti dirmi che portate da un piano all' altro il pianoforte? - domando, quasi ridendo.
- No, abbiamo un pianoforte anche in sala prove, non l' hai visto? -.
- No. Ma allora perchè lo tenete qui, se ne avete già uno là? -.
Perchè semplicemente ogni tanto ci piace venire a suonare anche qui -.
- Oh, capisco... -.
Finalmente scendiamo e ritorniamo in sala registrazione.
David è rimasto sempre seduto al solito tavolino, con gli occhi concentrati sullo schermo del suo portatile.
- E' molto grande, per essere uno studio -.
- Ci piacciono i posti grandi -.
- Manie di grandezza, dunque... -.
- Purtroppo sì – sorride, sedendosi su una poltroncina poco distante.
David sembra essersi accorto della mia presenza solo ora.
- Chiara, potresti andare a chiamare Tom e Georg, per favore? - chiede, guardandomi.
- Se qualcuno mi dice dove sono, sì – sbuffo, senza dare a vedere la mia irritazione.
Se il mio compito era fare a loro da baby sitter...
- Nella stanza di là – mi informa, indicando la porta di prima.
- Ok -.
Entro nella stanza al di là della porta.
Tom e Georg sono visibilmente presi dalla loro partita per accorgersi dell mia presenza.
- Georg, arrenditi, ho vinto io – urla Tom, alzando le mani in alto.
- Un' altra – dice, ritornando al posto di partenza.
Mi avvicino, con calma. Non vorrei che nella foga di giocare mi arrivasse una racchetta in testa.
- Ehm...scusate, dovreste venire di là – dico.
Finalmente si voltano e mi guardano, interrompendo il gioco.
- Ciao. Sì, arriviamo. Straccio per l' ennesima volta Georg e arrivo – risponde Tom, tornando al tavolo da gioco.
- Ok, io torno in sala -.
Faccio inversione e torno alla stanza di prima, dove ad attendermi trovo i soliti tre.
- Tom deve stracciare per l' ennesima volta Georg, poi arrivano – annuncio, sedendomi sulla prima sedia che mi capita sotto mano.
Di fronte a me, trovo un sacco di bottoni, tutti diversi. Sembrava la base di comando di qualcosa.
- Con questi regoliamo i suoni, voci e tutto il resto – dice, una voce alle mia spalle.
- Oh, sì, certo – annuisco, osservando la piccola stanza al di là del vetro.
Il pomeriggio passò in fretta. Non era poi così male visto che, apparentemente, sembravano umani.
Tornai a casa e mi buttai sul divano a peso morto.
Avevo i piedi intrappolati nelle converse da quasi sette ore e ora gridavano pietà. Come dar loro torto...
Mi levai le scarpe e le gettai da qualche parte nella stanza. Colpirono un vaso, credo.
In televisione non davano niente, perciò la spensi quasi subito.
Non sapevo cosa fare; d' altra parte, dopo un pomeriggio passato in loro compagnia, anche la cosa che più riusciva ad esaltarmi sembrava apparire insignificante ai miei occhi.
Mi addormentai così, sul divano del mio salotto, meditando una scusa decente da dare a Giulia per giustificare il mio voler rimanere qui ancora un po'.
 
Top
80 replies since 16/1/2010, 22:27   699 views
  Share