Hamburg.

« Older   Newer »
  Share  
; Lady ;
view post Posted on 1/2/2010, 22:15 by: ; Lady ;




Capitolo 3.




Berlino non è una brutta città, ma a ogni passo che faccio la tentazione di tornare ad Amburgo è tanta.
Per oggi non ho il trasporto e mi tocca andare a piedi fino all' ufficio.
Giro l' angolo e mi soffermo all' inizio delle strisce pedonali, mentre attendo che qualche santo si fermi e mi lasci attraversare la strada.
Stringo la borsa ancora di più, mentre comincio a battere ritmicamente il piede sull' asfalto per scaricare la tensione.
Arriva il momento di attraversare e mi fulmino immediatamente dall' altra parte della strada.
Cinque minuti dopo, sono in ascensore.
Un uomo e una donna sui quaranta mi scrutano attentamente come fossi un giocattolo nuovo.
Probabilmente mi credono un' imbecille.
E il fatto che io sia qui dimostra che c'è del vero nascosto dietro quell' espressione.
Non sono sicura di riuscire a sopravvivere, ma sono certa del fatto che, se proprio va male, saranno loro a cacciarmi via.
Non posso fuggire da dove mi trovo adesso.
Esco dall' ascensore senza rivolgere uno sguardo ai miei due compagni di viaggio – per giunta sconosciuti – e mi incammino verso l' ufficio del capo di questa sede.
- E' arrivata la signorina Mill. La faccio entrare? Certo, come vuole -.
Una donna mi fa cenno di entrare nell' ufficio e, prima di andare in pasto alla belva, busso.
- Venga, si accomodi -. Indica la poltrona di fronte a me e, senza dire nulla, mi siedo.
- Benvenuta a Berlino, spero si trovi bene. Oggi avrà il compito di assicurarsi che le persone che ora le indicherò, svolgano per intero il loro lavoro. Mi spiego meglio, se permettere. Qui ci occupiamo di tenere sotto controllo il lavoro dei nostri...dipendenti, per così dire. Ora, lei non dovrà fare altro che telefonare a questa persona e assicurarsi che i lavori siano a buon punto -.
Guardo il foglio che mi ha appena dato e osservo attentamente il nome inciso e il numero di telefono.
David Jost.
Il nome non mi è nuovo, il numero invece sì.
- Quindi io dovrei chiedere al menager dei Tokio Hotel a che punto sono con la registrazione? Tutto qui? Lei mi sta dicendo che dovrò fare solamente una telefonata in tutta la mattinata? -.
Mi guarda sorridendo, beffardo.
- Certo che no. Lei sarà...lei dovrà visionare il lavoro e assicurarsi che il materiale ci venga inviato in tempo -.
- Certo... - biascico, stringendo il foglietto nella mano destra.
- Bene, quando ha finito, voglio che scriva una relazione su quanto detto. Più tardi le verrà assegnato di controllarli più da vicino, ma questo sarà da vedere -.
- Mi metterò subito al lavoro -.
A dirla tutta, non ero affatto convinta che quello che mi era stato assegnato fosse un lavoro, ma non avevo alternative.
Arrivai alla mia scrivania e presi in mano il telefono.
Composi il numero, mezza spaventata all' idea di poter turbare un uomo a quest' ora del mattino.
Un menager non può svegliarsi così presto.
Ma evidentemente, questo menager, era diverso.
- David Jost, chi parla? -. Una voce squillante dall' altra parte del telefono mi fa crollare le spalle.
A quanto pare non è normale.
- La chiamo dall' Universal, sono Chiara Mill -.
- Sì, mi hanno informato della sua chiamata. Bene, ora le spiegherò brevemente il lavoro svolto fino ad... -.
- Non può spiegarmi brevemente, devo farne una relazione! - strillo, irritata.
Mi rendo di aver alzato eccessivamente la voce dal suo sospiro.
- Come vuoi. Posso darti del tu, no? -.
- Cambia qualcosa? -.
- No -.
- Appunto, ti do del tu allora -.
Respiro profondamente, cercando conforto psicologico per quello che sembrava essersi dimostrato il più arduo dei compiti: andare d' accordo con il famoso menager dei Tokio Hotel.
La cosa mi spaventava, ma non dissi nulla per evitare eventuali litigate e cose simili.
- Bene. Con le registrazioni siamo a buon punto, direi. Abbiamo inciso e registrato per intero due brani. Bill ha molte idee per i testi e Tom per le musiche e le composizioni, perciò ci sarà ancora molto lavoro da fare...ma direi che entro la fine dell' anno sarà finito -.
Annuivo e scrivevo, mentre lui si dilettava a parlare. Non era poi così male.
Non stavo facendo assolutamente nulla di faticoso.
- E poi stiamo pensando di progettare nuove idee per il palco e lo scenario per il nuovo tour. Ma direi che queste sono cose di cui ci occuperemo, eventualmente, una volta terminato il lavoro, o almeno quando avremo in mano qualcosa di più concreto -.
Continuo a scrivere, senza sosta.
- Non sai quanto è frustrante l' idea di dover rendere conto a una bambina del lavoro che svolgo con i ragazzi -.
Rimango accigliata di fronte alla parola bambina.
Mi ha definita una bambina.
- Non sono una bambina. Tra un mese esatto avrò 20 anni e lei mi sta definendo una bambina – rispondo, irritata.
Ho esattamente diciotto anni in più di te, potresti essere mi figlia -.
- Ma ringraziando dio non lo sono – sbuffo, mentre l rabbia man mano si affievoliva.
In fondo aveva la risposta pronta sempre, così come l' avevo io e ciò non faceva che rendere sempre più difficile intraprendere una conversazione normale.
Ammesso e non concesso che le conversazioni normali esistessero.
- Passerò nei prossimi giorni per consegnare di persona il materiale. Pensate voi della sede ad inviare alle altre sedi negli altri paesi? -.
- Lo chieda al capo, io sono solo una bambina, dico bene? - rispondo, con sarcasmo.
Ride e fa una piccola pausa, ma poi riprende.
- Sì, sei soltanto una bambina -.
Chiude la telefonata e rimango un altro po' a fissare il telefono che emette quel lieve “tu tu tu tu” snervante.
Lo rimetto apposto e comincio a scrivere la relazione. La invio via mail al capo, anche se si trova dalla parte apposta del corridoio dove si trova il mio nuovo ufficio.
Uno scatolo grande e uno piccolo è appoggiato accanto all' appendiabiti.
Dentro ci sono le mie cose, quelle che ho fatto trasferire qui per evitare di perdere con l trasloco della casa.
Comincio a sistemare le varie cartelle sugli scaffali, la foto della mamma sulla scrivania l' ho accuratamente sistemata accanto a quella della nonna.
Sembra un vero ufficio e mi chiedo come io abbia ottenuto un posto così adesso.
Ero entrata nel team della sede di Amburgo come apprendista, e ora ho un ufficio tutto mio.
Giuro sul cane di mia nonna che non ho corrotto nessuno.
Bussano alla porta.
La segretaria di prima entra con un piccolo bicchiere di plastica in mano.
Anche lei giovane, non avrà più di trentacinque anni.
- Ho pensato che ne avessi bisogno – dice, appoggiando il bicchiere sulla scrivania.
- Grazie, anche se non ho fatto praticamente nulla. Ho chiamati un menager e mi sono fatta spiegare il lavoro che sta svolgendo con la band. Ho scritto la relazione al capo e glie l' ho spedita via mail, così non ho avuto nemmeno la scusa per alzarmi da questa sedia. E non ho avuto ordini precisi per le prossime quattro ore – sbuffo, sorseggiando il caffè.
Sospira e si siede sulla sedia di fronte alla mia.
- All' inizio è così, ma poi ti ci abitui – risponde, con un sorriso.
- E' molto che sei qui? - chiedo, curiosa.
- Non molto, a dire la verità. Sono arrivata cinque anni fa -.
Wow, cinque anni. L' idea di rimanere per un tempo così lungo è quasi spaventosa.
- E come hai fatto a sopravvivere nei momenti di noia come questi? -.
Ero sempre più curiosa di saperne di più sui suoi metodi di sopravvivenza. In fondo potevano servire anche me.
- Ti assicuro che non tutti i giorni, qui dentro, sono uguali. Ci son giorni che entri e ti spediscono dall' altra parte della città per incontri da parte del direttore. Altri in cui stai seduto a questa scrivania per ore senza fare assolutamente nulla. Le segretarie del piano di sotto si fanno i giri su facebook. Ma ti sconsiglio di fare una cosa così. Sei nuova e il capo ti controlla. Ci sono giorni in cui, invece, hai talmente tanto da fare che per fare pipì devi aspettare di vedere il bagno di casa tua, non so se mi spiego -.
Sapevo perfettamente come si svolgeva il lavoro, ma i ritmi erano certamente diversi qui.
- Grazie...anche ad Amburgo capitavano giorno così, ma non così spesso -.
- Buona fortuna. Ora devo andare, la mia pausa sta per finire e credo che stia per iniziare la tua – dice, alzandosi dalla sedia.
Annuisco, dando un' occhiata veloce all' orologio.
- Ne approfitto per chiamare a casa. Mia mamma è in ansia per ogni minuto che trascorro in questa città -.
- Non le piace Berlino? - domanda, alzando il sorpacciglio.
- No, non è quello il problema, ma mia mamma è più il tipo che preferirebbe tenerti sotto la sua ala a vita piuttosto che vedermi scappare in un' altra città -.
- Ma tornerai ad Amburgo, no? -.
- Appena il collega o la collega rientra io me ne torno a casina – affermo, con un sorriso.
Esce dall' ufficio e sprofondo di nuovo sulla poltrona.
Sbuffo, guardandomi in torno. Non mi piace per niente. La persona che aveva preso posto prima di me non possedeva il benché minimo senso estetico.
Lo schermo del computer si illumina. E' arrivata un' email.
E' di Giulia. Scoppio a ridere notando la foto che ha allegato.

Mentre tu te ne rimani felice a Berlino, io mi devo sorbire...guarda che disgrazie!

La foto ritraeva lei con ricoperta di neve. Probabilmente Ste si era divertito parecchio a lanciarle palle di neve.

Comunque, le cose procedono abbastanza bene, nulla di strano o losco.
Per si sente la tua mancanza e perfino il pesce rosso si rifiuta di mangiare. Dimmi che cosa devo fare!
Al lavoro tutto ok, hanno licenziato un paio di persone e spero di non far parte dei prossimi cinque. In alternativa toccherò mantenermi. No scherzo, comprerò un cane – se questo dovesse succedere, di licenziarmi intendo – e andrò a fare la barbona.
Allettante come prospettiva, no?
Ti saluto che ora devo uscire a fare la spesa. Il frigorifero è praticamente vuoto!
Ti voglio bene
Giulia.

Decido di rispondere dopo, una volta arrivata nel mio appartamento.
Prendo la borsa e mi avvio al bar. E' l' ora della pausa.
Quando passo davanti alla segretaria di prima, mi fa cenno di avvicinarmi.
- Dimmi -.
- Il capo ti vuole nel suo ufficio, dopo. Stavo chiamando infatti per avvisarti -.
- Ok, grazie – sorrido e mi allontano, dirigendomi verso le scale.
Scendo i gradini con calma, tanto non ho alcuna fretta.
Mi siedo al tavolino e ordino il solito cappuccino con brioche.
 
Top
80 replies since 16/1/2010, 22:27   699 views
  Share