| .Jada. |
| | Grazie a tutte. Prima di postare vorrei mostrarvi due cose: la prima è Heike, a cui da il volto mia cugina. La seconda è Tom, il Tom di questa FF. Grazie ancora. Capitolo 2 Fare la spesa era tra le cose che la rilassavano di più, pari solo al guidare. Amava perdersi tra le corsie dei supermarket e comprare le cose più svariate, ed inutili. Certo, doveva stare attenta a non spendere troppo, ma ogni tanto di concedeva qualche strappo alla regola. Come quella sera: aveva comprato due scatole di cereali, ed ora se ne stava stravaccata sul divano mentre ne mangiava una manciata, direttamente dalla scatola di uno. Adorava mangiare i cereali così, senza latte; fin da bambina, quando andava a fare la spesa con la mamma e poi tornava a casa, apriva il pacco e ne prendeva due pungi interi, ingurgitandoli velocemente per paura di essere scoperta da sua madre, e puntualmente si strozzava. Tornò al presente, e al futuro. Domani avrebbe iniziato a lavorare con quei quattro. Ancora le sembrava strano pronunciare il nome della band. Avrebbe lavorato per i Tokio Hotel. Suonava così strano. Lei, che in fin dei conti ci aveva sempre sperato in qualcosa del genere, ora si trovava a ridere solo al pensiero; di una cosa era certa, sarebbe stata un’esperienza unica. Come unico è stato il modo in cui l’ha conosciuti. E, doveva ammetterlo, pensava ancora a Tom. Piaga della sua esistenza. Se a tutti voleva un gran bene, per Georg qualcosa di quasi fraterno, pur non conosciendolo, provava per l’ormai l’ex rasta un misto di sentimenti al quale, a distanza di anni, ancora non sapeva dare un nome. Odio? Forse. Amore? Escluso, non si può amare chi non conosci. Non si può amare una persona che non sa neanche il tuo nome eppure ti fa commuovere ad ogni stronzata che dice. Non si può amare una persona come Tom Kaulitz. Eppure era così. Per quanto lo negasse, per quanto si poteva incazzare, lei provava un sentimento che andava molto vicino all’amore, troppo; e lavorarci insieme non sarebbe stato d’aiuto, tutt’altro.
_____ Tutti erano in studio, tutti tranne uno. Se c’era una cosa che Atena odiasse più di ogni altra era il ritardo. Lei, per qualche arcano motivo, era sempre puntuale; anche quando si svegliava in ritardo. Se Bill aveva cominciato così il primo giorno, con un appuntamento fissato per le tre del pomeriggio, alla fine di tutto la ragazza si sarebbe suicidata, ne era certa. «Dove accidenti è tuo fratello?» Chiese a Tom, che stava impiegando il suo tempo cercando di risolvere un sudoku su un vecchio giornale. «Non ne ho idea.» Rispose il ragazzo, «Merda. Questo coso è difficilissimo.» Sbuffò poi. «Ce ne sono tre, e tu stai facendo quello con la difficoltà più alta, prova a fare quello più facile.» Consigliò Atena, sbuffando a sua volta; lui alzò gli occhi e la guardò di sottecchi, gli faceva venire il prurito alle mani, con quei modi del cavolo. Chi accidenti si credeva di essere? Cosa la rendeva diversa agli occhi di tutti? Niente. Lei era solo una fan, e lui era arrivato al punto di odiare quelle come lei; eppure sembrava essere l’unico. Era l’unico a vivere in paranoia, l’unico che perdeva tranquillamente le staffe. “Ehy ragazzi, se siamo così, è colpa loro, di quelle come lei!” Avrebbe voluto gridare, ma i suoi amici sembravano non volergli dare ascolto, suo fratello sembrava non cogliere i segnali, e lui trovava conforto solo nell’alcool. Rum, Whisky, Vodka, Gin. Loro si che l’ascoltavano. In silenzio, certo. Ma era questo quello di cui aveva bisogno. Ascoltatori silenziosi pronti a non giudicare. «Scusate il ritardo!» Urlò Bill entrando dalla porta. «Dove diamine ti sei cacciato?!» Sbraitò Atena, «Sei in ritardo di un’ora, Bill Kaulitz.» «Non è colpa mia.» Si giustificò lui, poi si scansò lentamente, e da dietro la sua gamba spuntarono dei capelli biondo cenere e un paio di occhi azzurro cielo. «Faceva troppi capricci, non la potevo lasciare con mamma.» Spiegò il moro prendendo la bambina in braccio. «Oddio. Heike.» Sbiascicò Atena, incantata dal volto di quella bambina che la guardava di sottecchi sotto i boccoli indefiniti dei propri capelli; poi la piccola si guardò attorno e quando vide il chitarrista il suo sorriso si aprì: «Tio!» Urlò sporgendo le braccia verso il ragazzo, lui le sorrise e la prese in braccio. «Heike, quante volte ti ho detto di non fare i capricci?!» La rimproverò lui, ma il tono della sua voce era tutt’altro che severo. Il tono della sua voce incantò Atena. Il tono della sua voce fece fare una piroetta alle farfalle che sentiva nello stomaco. «Ma io volevo tare con papà.» Frignò lei, «E con te.» Aggiunse stringendo le piccole braccia al collo del ragazzo, lui rise e le riempì le guance di baci. Era la prima volta, in due giorni, che Atena lo vedeva così spensierato, Bill le strizzò l’occhio, lui l’aveva sempre detto che sua figlia faceva miracoli. «Amore di papà, voglio presentarti una persona.» Disse il moro, sottraendo sua figlia dalle braccia del fratello, «Lei è Atena, per un po’ di tempo lavorerà con papà e con gli zii.» Aggiunse portando la bimba ai piedi della ragazza, quest’ultima, alta quasi quanto il Kaulitz maggiore, si abbassò sulle ginocchia e accarezzò il nasino della piccolina. «Tao.» Le disse Heike, allungando di molto le vocali. «Ciao tesoro. Io sono Atena.» Le sorrise la ragazza, «Spero che diventeremo grandi amiche.» Aggiunse facendole l’occhiolino, e la piccola rise; poi si girò e con la sua andatura goffa andò a salutare Georg e Gustav, restando poi a giocare sulle gambe si quest’ultimo. «Scusa Ate, non voleva stare con la nonna.» Sospirò il moro, togliendosi il cappotto. «Tranquillo. Oggi non dobbiamo ne girare, ne scattare nessuna foto, dobbiamo solo scegliere il singolo e, volendo, iniziare a discutere del video.» Gli spiegò lei, sorridendo, poi si avvicinò al grande tavolo dov’erano seduti i ragazzi e prese posto tra Georg e Gustav, gli occhi del chitarrista puntati addosso. «Allora uomini...» Iniziò, «Abbiamo bisogno di un singolo: proposte?» Chiese prendendo in mano una matita e aspettando che qualcuno parlasse. Fu Georg a parlare per primo: «Che ne dite di Wir sterben niemals aus? Infondo incarna alla perfezione il messaggio che vorremmo mandare al pubblico: noi ci siamo ancora.» «Che ne dite?» Chiese la ragazza. «Sbaglio o sarebbe compito tuo scegliere il singolo, idealizzare il video, lo shoot promozionale eccetera?» Domandò Tom, guardandola con aria di sufficienza. «Sì, ma sarete voi quelli che lo suoneranno davanti il pubblico, Tom.» Gli rispose lei, marcando sul suo nome. «E quindi, Atena perché ti pagano?» «Se vuoi, giralo tu il video. Occupati dello shoot, della promozione pubblicitaria... Invece di dire cazz...» Si bloccò guardando la bambina, «Cavolate... Usa il cervello, ammesso che tu ne abbia uno.» Aggiunse, poi fece una smorfia di disgusto e tornò a guardare gli altri tre, sorridendo, «Che ne dite dell’idea di Georg?» Domando ai ragazzi, e quel sorrisetto iniziò a far prudere le mani del Kaulitz maggiore, di nuovo. «Mmh... Buona.» Annuì Bill, «Ma la trovo scontata.» Aggiunse, «Nel senso che... tutti si aspetterebbero una canzone simile.» Fece una pausa e si inumidì le labbra, mostrando il piercing sulla lingua, «Penso che dovremmo tornare con una canzone che ribadisca il fatto che noi per le fan ci siamo sempre. Anche dopo tutto quello che ci è successo...» Stava continuando a parlare, ma un botto secco dato sul tavolo lo interruppe, quel botto era la mano di Tom. «Vorresti dire: quello che ci hanno fatto succedere!» Specificò il chitarrista, urlando. «Tom, falla finita...» L’ammonì Gustav, pacato. «No Gustav, fatela finita voi. Tutto questo finto perbenismo è patetico, e inutile. Se ora siamo qui, se ci ritroviamo a discutere per scegliere un singolo come ultimo appiglio per la nostra carriera, la colpa non è nostra, non credi?!» Chiese retoricamente, sotto gli sguardi basiti di tutti, Heike compresa. «Ma poi, a che serve questo ritorno? Noi non dobbiamo dimostrare nulla a nessuno, sono loro che devono farsi un esame di coscienza, che devono riflettere su quello che ci hanno fatto...» «Adesso basta!» Tuonò Atena, e gli sguardi basiti si spostarono su di lei, «Brutto ipocrita che noi sei altro! Non è colpa nostra se tu hai preso il vizio del’alcool. Non è colpa nostra se Bill rischiava di morire per anoressia. Nulla di quello che vi è capitato è stata colpa nostra; o per lo meno non è stata tutta nostra. Sbaglio o alla bottiglia ti ci attacchi di tua spontanea volontà!?» Gli chiese, ma non lo lasciò neanche rispondere, «Noi, quelle vere, ci siamo sempre state. Ti abbiamo difeso con la storia delle stalker, vi siamo state vicine durante la malattia di vostra mamma, durante l’aggressione di Gustav, e l’unica cosa che chiedevamo era di non fare di tutta l’erba un fascio.» Spiegò gesticolando, «Per cui, se sei venuto qui per sputare sentenze, per dare colpe... Beh, puoi tornartene da dove sei venuto. Mi sarebbe piaciuto conoscere il Tom Kaulitz che mi fece perdere la testa a diciassette anni, ma evidentemente una persona così era inesistente...» Concluse sospirando. «Tu non sai proprio niente di me.» «E tu non sai nulla di noi! Di quelle che si emozionavano solo al suono della voce di tuo fratello, o al battere del tamburo di Gustav... Ma tu, Dio eccelso, eri troppo occupato per preoccuparti di queste cose, no!?» «Ma tu cosa ne sai di quello che passavo io, eh?!» Chiese lui, alzandosi e sbattendo di nuovo il pugno sul tavolo, tanto che Heike si rannicchiò al petto di Gustav. «Nulla, infatti. Ma neanche tu sapevi quello che passavamo noi.» Rispose lei, serafica, «Ora, se hai finito, abbiamo del lavoro da fare.» Aggiunse con un sorrisetto, e fu la goccia che fece traboccare il vaso. Tom si girò di scatto e se ne andò dall’ufficio, sbattendo la porta, suo fratello era impietrito al suo posto, per due secondi non volò una mosca, poi il silenzio fu spezzato dal pianto di Heike, che si era spaventata dalle grida; Atena si sentì terribilmente in colpa per aver fatto piangere la bimba, ma non per quello che aveva detto, erano anni che doveva togliersi quel peso dallo stomaco. «Ehi piccolina, scusa se ti ho spaventato.» Sussurrò prendendo Heike tra le braccia. «Dov’è tio?» Chiese lei, singhiozzando, «Pecchè litigavate?» Chiese ancora. «Perché ha la testa vuota tuo zio.» Rispose lei, «Una zucchina.» Aggiunse annuendo, la piccola sembrò rifletterci su e poi scoppiò a ridere, Atena sospirò guardando Bill, che era stato in silenzio per tutto questo tempo. «Forse ho esagerato.» Biascicò a denti stretti, «Ho il maledetto vizio di dire sempre quello che penso.» Mugugnò, come per giustificarsi. «Tranquilla, in fondo, hai detto una mezza verità. Quello che mi ha colpito è stata la freddezza con cui l’hai detto.» «Bill non volevo, però è quello che pensavo. A prescindere dal fatto che io cercavo di capire i motivi di quello che vi stava accadendo, ci sentivamo da schifo, prese in giro. Poi abbiamo capito un po’ le motivazioni, ma l’amaro in bocca c’era comunque.» «Tranquilla, ho capito.» Sorrise lui, come per rassicurarla, «Vado a cercare quella zucchina di mio fratello, torno subito.» Disse alzandosi, diede un bacio sulla fronte di Heike e uscì dalla stessa porta che aveva sbattuto Tom qualche minuto prima. Fumava nervosamente seduto sul terrazzino, al diavolo la pioggia. Al diavolo il freddo. Estrasse la fiaschetta dalla tasca della felpa e bevve un lungo sorso di Rum. Al diavolo tutti. Sentiva il sangue pulsare forte nelle vene, il battito del cuore gli rimbombava nelle orecchie e le mani gli prudevano in un modo allucinante. “Noi, quelle vere, ci siamo sempre state. Ti abbiamo difeso con la storia delle stalker...” Le parole di Atena gli frullavano in testa, ma cosa diamine ne sapeva lei di quei minuti in quella maledetta stazione di servizio? Cosa ne sapeva lei dei conati di vomito che il ragazzo aveva ogni qualvolta che passava li davanti? Cosa ne sapeva lei delle sedute dallo psicologo? Niente. Non ne sapeva niente, come del resto non lo sapeva nessuno, fuorché suo fratello; neanche Gustave e Georg erano al corrente delle sedute, in quel periodo si sentiva terribilmente male, e comunque doveva riuscire ad avere il sorriso davanti le telecamere, anche quando avrebbe voluto mandate tutto a fanculo. E poi c’era stato il filtr con la bionda americana, Chantelle. Iniziava a piacergli sul serio, ma ovviamente le fan delirarono e la casa discografica si vide costretta a giustificare quei baci come “trovata pubblicitaria”. Aveva perso un’altra battaglia. Non capivano che Tom Kaulitz aveva una voglia fottuta di innamorarsi. No. Tom Kaulitz, a vent’anni e passa, doveva essere ancora il Casanova che era a quindici anni, e perché? Perché sennò loro non erano felici. «Imbecille, entra dentro o ti prenderà un colpo.» Lo ammonì Bill, alle sue spalle. «Voglio stare solo.» Rispose Tom, apatico. «Sai di aver esagerato.» «Lei no?!» Gli chiese il chitarrista, furioso. «Sì, lei lo ha appena ammesso, e tu?» «Io, ho il maledetto vizio di dire sempre quello che penso , lo sai.» Bill rise sguaiatamente e suo fratello non ne capì il motivo: «Atena ha detto la stessa identica cosa, in fin dei conti, non siete così diversi...» Gli disse il moro, facendogli l’occhiolino, «Ora entra dentro.» Aggiunse prendendolo per il gomito e trascinandoselo dietro. I gemelli rientrarono nella stanza con il tavolo ovale e Tom prese nuovamente posto davanti la ragazza, che lo guardava incantata. Le goccioline di pioggia che gli si erano depositate nei capelli ora gli scendevano liberamente sulle punte e sul naso; il ragazzo si passò una mano sui capelli, scompigliandoli e tirando l’acqua addosso alla nipotina. «Stai fermo, che poi si ammala!» Lo ammonì il fratello, dandogli uno schiaffo sul braccio. «Che rompi scatole.» Sbuffò lui, poi posò il suo sguardo sugli occhi castani della ragazza, «Comunque, secondo me, potremmo uscire con Zoom.» Disse scrollando le spalle. Atena alzò gli occhi e lo sospirò, guardò i ragazzi annuire, uno per uno, riprese la matita e scrisse il titolo della canzone sul foglio. «Bene.» Annunciò, fece una pausa e poi, come se le si fosse accesa chissà quale lampadina, sorrise. «Il video. Ho un idea!» Esclamò, «Allora, voi sarete in questa stanza, a suonare...» Iniziò a spiegare, gesticolando e facendo attenzione alla bimba, seduta sulle sue gambe, «E inizialmente si vedrà solo Tom, con il piano forte, poi lentamente il campo si ingrandisce e ci siete voi... Sistemeremo la canzone aggiungendo qualche nota di basso acustico e di batteria, qualcosa di leggero, come la melodia originale... Poi il campo si rimpicciolirà solo su Tom e lentamente inizieranno a scorrere immagini in bianco e nero di vecchi concerti, per poi tornare, alla fine della canzone, al presente, con voi più in forma che mai.» Fece una pausa e poi con un sospiro riprese, «Che ne pensate?» Domandò. Era molto agitata. Da quella folle idea sarebbe dipesa l’intera carriera dei ragazzi. Ma quello non sarebbe stato l’ultimo video, lei se lo sentiva dentro, in ogni fibra del proprio essere. «E’ magnifico.» Disse Bill con gli occhi lucidi. «Questa sera stessa cercherò di aggiungere qualche arrangiamento.» Propose Georg, giocando con una ciocca di capelli. «Non dovevi uscire con Kate?» Gli chiese Gustav, alzando un sopraciglio. «Capirà.» Annuì lui, convinto.; aveva sempre capito e l’aveva sempre motivato ad andare avanti, per questo le aveva chiesto di diventare sua moglie, perché sapeva che lei era quella giusta. «Domani potremmo iniziare a fare qualche scatto, poi dovremmo fare una scaletta, chiamare la troupe ed iniziare a girare...» Iniziò Atena, poi si bloccò, «Accidenti, devo chiamare Jost.» Sbuffò poi dandosi uno schiaffo sulla fronte; presa dall’eccitazione si era dimenticata di una delle persone più “importanti”. Era sempre stata neutrale nei riguardi del manager, sapeva che fosse uno stronzo, però aveva portato i ragazzi ad alti livelli per cui non poteva odiarlo, almeno fino all’uscita di Reset fu così... «Ci vediamo domani, quindi?» Le chiese il bassista, alzandosi, «Vorrei andare subito a casa...» «Oh sì, certo. Domani mattina alle dieci.» Annuì la ragazza, cercando il numero del manager nell’agenda, «Portate qualche vestito a vostra scelta... Tanto saranno delle prove.» Aggiunse guardando Bill. «Ok.» Annuirono tutti e quattro, assieme. «Andiamo Heike.» Disse il moro, allungando le mani verso la bambina, che era rimasta in braccio ad Atena. «No.» Mugugnò la bimba, stringendosi alla ragazza. «Dai su, non fare i capricci.» Sospirò il padre, cercando di impostare la voce. «Tiamo un altro po’ qui...» Annuì la piccolina, giocando con i capelli di Atena, Bill la guardò, in cerca d’aiuto. «Ah,per me non ci sono problemi.» Scrollò le spalle lei. «Va bene.» Sospirò Bill, accasciandosi nuovamente sulla sedia, infondo non aveva nulla da fare a casa, guardò suo fratello, speranzoso che sarebbe rimasto. «Io...emh... Io a questo punto, andrei.» Sbiascicò il Kaulitz maggiore. «Retta anche tu tio!» Frigno nuovamente Heike, sfarfallando gli occhi in direzione dello zio. «Volevo andare un po’ dalla nonna.» Cercò di giustificare il ragazzo, guardando gli occhi della nipote. «Uffa.» Sbuffò lei. «E sia.» Sbuffò a sua volta il chitarrista, quella bambina stava iniziando ad essere un’ promblema, lo condizionava in un modo assurdo; neanche il fratello aveva tutto quel potere su di lui. Atena di alzò e andò a poggiare la bimba sulle gambe del padre, poi prese il telefono e compose il numero di David, mentre aspettava che l’uomo rispondesse giocava con una ciocca di capelli, amava fare dei piccoli nodini e poi scioglierli subito, era un gesto rilassante. «Pronto David? ... Ciao sono Atena. Volevo dirti che abbiamo scelto il singolo... Sì, è Zoom.» Ogni tanto arricciava le labbra in una smorfia che faceva ridere Heike, «No, ma credo che sia la canzone migliore... Ah... Ma veramente...» Iniziava a spazientirsi, fece un respiro profondo e cercò di calmarsi, «Bè, penso che la scelta tocchi a loro, l’hai detto tu... Capisco che tu sia il suo manager, ma guarda come sono finiti. Falli decidere per loro una buona volta.» Gli suggerì con una punta d’acidità, mentre guardava Tom di sottecchi, e anche il ragazzo la osservava, «Bene, domani iniziamo a fare degli scatti non ufficiali, e inizierò a chiamare la troupe... Volevamo solo che tu lo sapessi... Passa una buona serata.» Concluse, poi attaccò il telefono. «E’ fatta. Se tutto va bene, fra tre mesi sarete di nuovo sulla piazza.» Disse sorridendo. «Bene, ci vediamo domani.» Disse Tom alzandosi e cercando di snobbare le lamentele di Heike. Scese nel parcheggio e salì in macchina, abbandonandosi sul sedile. Che accidenti significavano i pensieri che aveva avuto guardando Atena al telefono? “Nulla” Si disse. Lei non era, e non sarebbe stata mai, il suo tipo. Troppo goffa. Troppo fan. Troppo normale. Sospirò e bevve un sorso dalla fiaschetta, poi ripartì verso il suo loft di Berlino, non vedeva l’ora di arrivarvi e di gettarsi sul letto, lo aspettavano giornate più lunghe di quella che aveva avuto. Continua...Edited by .Jada. - 30/1/2010, 12:04
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