SNEAKERS, è la mia prima, abbiate pietà

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salamandra940
view post Posted on 8/8/2009, 11:04




SNEAKERS


"Ognuno si assume le responsabilità delle proprie azioni e ne paga personalmente le conseguenze"; almeno così dicono.

Non è il mio caso.

Io ne pago solo le conseguenze.

Una grande città rinomata in tutto il mondo per la spettacolare bellezza dei suoi monumenti, può diventare fredda, agghiacciante, quando è la vita a costringerti ad avere a che fare con essa.

Era gennaio quando camminando per le strade deserte di quel piccolo quartiere notai per la prima volta il sole.

Non so cosa ci facesse, forse era lì solo per caso, in attesa di qualcuno o di qualcosa che attirasse la sua attenzione altrove.

Non mi ero ancora accorta del sole, da quando i miei genitori furono costretti a trasferire la famiglia, me compresa, in quella grande città che, almeno in parte, riusciva ad offrire abbastanza lavoro per vivere dignitosamente.

Avevo lottato contro me stessa, avevo gridato, protestato, tirato pugni, ma non avevo ancora visto il sole.

Il sole mi si presentò a sorpresa, quella fredda mattina di gennaio, vestendo i panni di una ragazza minuta, non alta, non bella, ma nella quale mi rispecchiavo senza comprenderne la ragione.

Stava spazzando con una lentezza estenuante la parte di marciapiede antistante il negozietto di abiti presso il quale lavorava come commessa. Otto delle dieci dita delle mani serravano saldamente il manico del suo strumento di lavoro, le altre due reggevano, con una delicatezza quasi incompatibile con la forza impressa dalle altre dita, una sigaretta appena accesa.

Era quello il motivo di tanta lentezza, pensai, l'incombenza sarebbe dovuta durare abbastanza a lungo da consentirle di consumare quel tabacco di cui così tanto l'espressione del suo volto mostrava il gradimento intenso.

Stretta nel suo semplice cappotto che la fasciava per intero, non staccava lo sguardo dalla pavimentazione stradale, quasi come se cercasse in ogni dettaglio del marciapiede un appiglio a cui agganciare i suoi sogni, le sue speranze, o forse, chissà, le sue delusioni.

Decisi di entrare in quel negozio, non so bene ancora oggi il perchè, ma sentivo l'impulso irrefrenabile di parlare con quella ragazza, di chiederle come aveva fatto, lei, ad adattarsi alla vita di città, lontana dal proprio paese, lontana dai propri affetti, o forse vicina, chissà.

Attesi che l'ultimo sbuffo di fumo e il lancio della cicca verso un'auto in sosta decretassero la fine della pulizia della strada, ed entrai.

- Buongiorno, desidera? -

- Quanto costa quel giaccone là? - chiesi

- Settanta euro -

- Posso provarlo? -

- Certo. -

La ragazza scomparve nel retro del negozio, io provai il giaccone, facendo in modo da convincermi che non mi calzasse bene, ed uscii dal negozio non prima di aver dato una fugace occhiata al contenuto del mio piccolo portafoglio.

Due euro e quarantacinque centesimi.

***********

Le strade di una grande città, quando non le conosci, sembrano quasi tutte uguali tra di loro.

Fanno eccezione le grandi strade legate in qualche maniera alla storia, alla tradizione, alla cultura.

Prova ne sia il fatto che non è necessario specificare in quale delle città italiane si trova Via Condotti, Via Montenapoleone, Viale Ceccarini.

Le strade anonime di periferia sono invece tutte uguali tra di loro, a prescindere dalla locazione geografica, dal tempo e dallo stato d'animo con cui le si percorre.

Camminavo molto per le strade di periferia di quella grande immensa città che, suo e mio malgrado, mi ospitava ormai da interminabili mesi.

Il freddo dell'inverno aveva ceduto il suo posto ad una primavera anomala, di quelle che per i meteorologi preannuncerebbero imminenti catastrofi.

Quel giorno non era nè caldo nè freddo, era anonimo, anonimo come quella ragazza appena adolescente che si aggirava per altrettanto anonime strade di periferia.

Il paio di jeans elastici consumati dal tempo non lasciava dubbi sul contenuto delle tasche: un telefono cellulare, ed un pacchetto di Camel da 10 che faceva tristemente capolino da una tasca posteriore tanto stretta da essere incapace di contenere altro.

Le scarpe da tennis di bassa fattura fasciavano piedi agili e veloci, consumando chilometri di strada tutta uguale, senza gioia, senza speranza, senza futuro se non nei rari cartelli stradali che indicavano l'imminente apertura di un cantiere edile.

Negozi senza pretese si susseguivano lenti, contornati da persone senza volto e senza identità. Due giovani nigeriane sedevano accanto a un portone, vestite di sandali e shorts, attendendo qualcuno che in cambio di soldi chiedesse attenzione.

Sto bene, pensavo, sto bene, in mezzo ai tombini del mondo, dove il degrado ha l'indubbio vantaggio di farmi sentire accettata, di farmi sentire importante, di farmi sentire in armonia con il resto del mondo.

Al di là dei binari metropolitani, una ragazza, commessa di un negozio di fiori, bagnava il selciato sciogliendo con l'acqua i residui di terra caduti chissà quando.

Ricordai all'improvviso di non aver mai più rivisto quel negozio di giacche e vestiario, pur essendoci passata ancora davanti molte volte, e di aver scorto distrattamente nella vetrina oggettistica più simile a una ferramenta che a una boutique di bassa moda.

Non posseggo neanche i miei sogni, pensai.

La calura del giorno mi aveva riarso la gola, e come in un film d'altri tempi, lo sguardo aveva cercato e raggiunto una fontana.

Le fontane di Roma sono particolari, uniche al mondo. In barba al risparmio idrico gettano via tonnellate di acqua buonissima da bere, freschissima, di ottimo sapore, una vera ricchezza.

Infilai un dito all'estremità del cannello d'uscita, tappandone il flusso, e, secondo lo schema di chissà quale geniale progettista, l'acqua iniziò a zampillare da un buco posto a metà dell'ugello. Tutte le fontane di Roma funzionano così.

Iniziai a deglutire un sorso dopo l'altro... uno, due, tre sorsi, quattro, cinque, sei sorsi, e così via fino a perderne il conto.

All'improvviso si fece strada nella mia testa una idea a cui non avevo ancora mai pensato prima.

Potevo bere di quell'acqua fin quando avessi voluto, senza alcun limite.

Avrei potuto godere di quella frescura senza alcun limite che non fosse la mia stessa capacità di ingurgitare liquidi.

Potevo decidere io cosa farne, potevo decidere io quando smettere, potevo decidere io, potevo goderne io, potevo farci tutto ciò che volevo.

Quell'acqua, in un certo senso, era mia.

Mi dicevo che non c'è alcuna differenza fra quella fontana e il possesso esclusivo di essa.

Un quadro, ad esempio, è mio, e me lo guardo tutte le volte che voglio, senza alcun limite che non sia la mia stessa capacità di guardare. O la durata della mia stessa vita. Non c'è differenza, pensai, dal momento che l'acqua di quella fontana la posso bere tutte le volte che voglio, senza alcun limite che non sia in me stessa.

Possedevo l'acqua di Roma.

Finalmente possedevo qualcosa.

************

Presto le strade, i muretti, i cespugli che un tempo mi erano tanto ostili, o a cui forse ero io così ostile, iniziarono a diventare famigliari come fossero umani abitanti della tua stessa zona, iniziai a conoscerli, a riconoscerne i dettagli, a sentirne il profumo, a percepirne le speranze.

Già, le speranze.

Le speranze che si nascondono negli angoli di un muretto, o le speranze che si celano sotto una panchina per strada.

La gente sola ha sempre speranze, fino a che non collassa e cede il posto alla malinconia.

"Spesso il male di vivere ho incontrato..."

Io avevo speranze.

Nel giro di poco quella città così apertamente ostile e straniera era diventata un po' più mia.

Possedevo l'acqua, possedevo le strade, possedevo le vetrine di alcuni negozi, possedevo le lanterne, possedevo i marciapiedi e gli alberi di platano che così pervicacemente sfidavano il caos e l'inquinamento urbano, ostinandosi a vivere.

Quanti chilometri avranno macinato le mie scarpe di tela per portare la regina a visitare il suo regno? Seduta in un angolo di periferia sconosciuto alla gente perbene, ritrovavo affetti, ritrovavo ricordi, ritrovavo la voglia di credere in me stessa, di costruire qualcosa per raccontarlo a qualcuno.

A mia nonna Jolanda.

*************

Nonna Jolanda era morta da un pezzo, lasciando mio padre erede universale di due armadi e di un letto.

A me aveva lasciato la sua dolcezza, la sua semplicità, e quel senso di appartenenza tribale a un paesello di poche migliaia di anime, da cui mai si sarebbe allontanata, neanche per amore.

Il medico, il farmacista, il salumiere, non erano ruoli da svolgere ma persone reali, chiamate per nome.

Magari un giorno ce l'avrei fatta anch'io a dare i nomi alle persone.

Ci stavo riuscendo.

Roberta era una ragazza semplice, mai truccata, che per mestiere (manco a dirlo) faceva la commessa in un supermercato.

Il mondo è delle commesse.

Aveva iniziato come cassiera di quel supermercato, fino al giorno in cui un malvivente le portò via la cassa minacciandola con una pistola che aveva appena sparato forando la controsoffittatura del negozio e fugando ogni dubbio sulla sua perfetta funzionalità.

Passò al banco salumi a tagliare prosciutti e formaggi.

C'era un che di sublime nel suo modo di essere donna. Avrà avuto vent'anni, ma si muoveva con la prudenza e la saggezza di chi aveva alle spalle una vasta esperienza di dolore.

Mi guardava, e mi sorrideva di un sorriso speciale.

Non era il solito sorriso di ghiaccio compreso nel prezzo del pane, era un sorriso vero, autentico, significativo.

Ci vedevamo talvolta per caso negli istanti di pausa, sul retro del negozio, dove i lavoranti trascorrevano i pochi minuti strettamente necessari a consumare una sigaretta. Ero contenta di aver preso quel vizio, così potevo condividerlo con lei, che mi parlava dei suoi sogni, del suo ragazzo sempre in giro per il Lazio, dei soldi che non bastavano mai, e della voglia di sfondare nella vita e di avere un negozio tutto suo, un giorno.

Un negozio tutto suo.

I maschi da bimbi sognano di fare l'astronauta, le bimbe la modella, o la regina. Da grandi i sogni cambiano e si vestono di un pragma difficile da decifrare.

Io sognavo una amica, lei una bottega da salumiere ma che fosse tutta sua.

Volevo bene a Roberta, o forse volevo bene ai suoi sogni. Mi dicevo che se un giorno avessi avuto un sogno come il suo, allora sarei diventata grande.

Roberta potevo incontrarla ogni volta che volevo, bastava conoscerne i tempi, e aspettare il momento opportuno, accendino, sigaretta, e via per le vette della nostra fantasia, fino a che durava il tabacco.

Roberta era mia.

Un giorno che chiesi come mai da un bel pezzo non c'era, mi dissero che aveva preso un lungo periodo di ferie, che era andata lontano, che era tornata al suo paese, che era emigrata, che era via, che era assunta in un altro negozio, che sarebbe tornata l'indomani.

La incontrai dopo mesi, smarrita per strada, lo sguardo perso nel vuoto, e un pancione da settimo mese. Mi riconobbe a stento, mi salutò a malapena, le chiesi come stava, dove stava, mi disse "tutto bene", e per nascondere le lacrime che iniziavano a scendere, andò via.

Non l'ho mai più rivista.

**********

Roberta non era mia, non era mai stata mia. Lo era il suo sogno di mettersi in proprio. Lo era il mio sogno di essere ricca da poterle regalare questo sogno.

Ma non puoi regalare alcun sogno, se la vita ti costringe a correre dietro a un furgone per autotrasporto, a trasferirti altrove, a spiantare e ripiantare te stessa più volte.

**********

Giacomo era così.

Incurante delle sue origini meridionali simili alle mie, si presentava al mondo in maniera asettica.

Non una parola fuori posto, non una inflessione dialettale, mai un concetto che andasse al di là del perbenismo che tanti respingono e che per lui era un valore. O almeno così credevo.

A guardarlo con occhi innocenti appariva un ragazzo timido, impacciato, insicuro, di quelli che puoi prendere a sberle nella certezza che mai te ne restituirebbe neanche una.

Un ragazzo di gomma.

Lo conobbi a scuola, era due anni avanti a me come classe, tre anni avanti a me come età, la sua fama di studente modello lo precedeva dappertutto, e non sempre in maniera positiva.

La cosa non mi spaventava affatto, per una qualche misteriosa ragione genetica la fama della secchiona impenitente aderiva perfettamente alla mia persona al punto tale che potevo farne, con lui, un improbabile punto di partenza.

Per un'altra di quelle misteriose ragioni che la vita ti pone dinanzi ma non ti spiega, frequentavamo gli stessi posti: la scuola, la sala computer nelle ore buche, il muretto insudiciato e nascosto dello stesso quartiere.

Indossavamo perfino lo stesso modello di scarpe di bassa fattura.

La prima volta che lo vidi lì, seduto sul muretto, incurante della polvere stradale accumulatasi sopra, aveva in mano un libro, e ne stava divorando le pagine incurante dell'ambiente circostante. Ebbi la netta impressione che pioggia o grandine non lo avrebbero distratto da quelle pagine, che nessun essere umano, con le sue grida o con le sue azioni, avrebbe potuto neanche scalfire la sua attenzione tutta concentrata nelle profonde verità di quel libro misterioso che stava leggendo.

Ne intravvedevo a malapena il titolo: "Ossi di seppia".

Non si può avere nulla a che fare con uno così. Uno così è disumano.

Non feci in tempo a cambiar strada che lui alzò gli occhi, quasi sapesse che ero là (me lo confessò molto tempo dopo, mi aveva visto arrivare, ed il suo cuore aveva accelerato sperando di avere a che fare con me).

Iniziammo a parlare di tutto e di niente, delle cose più assurde di cui un maschio e una femmina parlano quando quello che conta non è il contenuto ma ascoltare la voce rassicurante dell'altro.

Tentai inutilmente di condividere con lui una sigaretta, e capii che quel vizio ormai, in me, aveva le ore segnate.

Iniziammo a condividere le idee, a condividere le frasi, a condividere le ore, a condividere le azioni, a condividere i sentimenti, a condividere la lingua, la saliva, il contatto della pelle sotto le mani.

La città eterna che odiavo stava iniziando a donarmi qualcosa di più.

Stavo diventando grande.



 
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....:GiulY:....
view post Posted on 8/8/2009, 11:51




Carina :-)
 
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Fee1702
view post Posted on 8/8/2009, 12:54




"carina" non mi sembra l'aggettivo più appropriato. Questo è un capolavoro, secondo il mio modestissimo punto di vista.
Ho lavorato tutta la mattina (tra l'altro come commessa xD ed ho spazzato il marciapiede anch' io come la ragazza al'inizio della storia) quindi non sono in grado di mettere in riga due parole decenti, sono stanca.
Però posso dire che la semplicità delle azioni della vita quotidiana, scritte da te, sono diventate qualcosa di più.
DIetro ai piccoli gesti c'era sempre un dietro... dietro il "bere acqua" c'era un possedere una città, un possedere tutto. DIetro una lacrima di Roberta c'era la nascita di un bambino, una storia difficile che non racconterà a nessuno, forse. DIetro l'apparente apaticità di fronte alla moltitudine di strade identiche di periferia, ci sono i sogni di una ragazza che sta diventando grande e se ne rende conto iniziando ad amare.
Insomma Salamandra, spero che tu ci delizi di nuovo con un qualcosa di tuo, perchè credimi se ti dico che io, oggi, con questo scritto, ho trovato la scrittrice che mi ha trasmesso di più in questi anni di storie e fanfiction.
Fee
 
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Grace (L)
view post Posted on 9/8/2009, 21:50




Dunque.
Ricordi quando dicevi che la mia storia era bella?
Bhè sbagliavi del tutto.
Una storia bella è quella che ti prende, che ti lascia a bocca aperta- scegli tu se in senso letterale o no-, qualcosa che ti fa riflettere davvero su ogni cosa, ma soprattutto è qualcosa che ti fa sentire parte di tutto questo, è quando ti metti a letto col dubbio, pensando se tu quella Roberta col pancione l'hai incontrata davvero.
Ecco cosa è una storia bella.
Ma tempo prorpio che la tua sia molto di più.
Brava Salamandra!
Grace è fiera di te. (L)
 
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Fee1702
view post Posted on 9/8/2009, 22:07




Grace, per poter postare devi esserti presentata nell'apposita sezione come da regolamento, altrimenti devo cancellare il commento.
 
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salamandra940
view post Posted on 10/8/2009, 09:57




Mi state veramente emozionando amiche mie. Fee, tu sei stata la prima in assoluto a mostrarmi simpatia ed amicizia, mi hai aiutato quando per un problema tecnico (mai risolto ma bypassato) non riuscivo a postare neanche la mia presentazione, ho imparato a conoscerti attraverso i tuoi scritti e so che questa ia prima "original" è vicina ai tuoi gusti e alla tua sensibilità, e ti ringrazio per le parole di apprezzamento, me le appunto al cuore.

Grace, ti prego, presentati urgentemente, così evitiamo la cancellazione del tuo commento.

Mi fate arrossire, davvero, non credo di meritare tutto questo.

Voglio intanto raccontarvi due cose.

In primis, come è nata questa oneshot. Stavo tranquillamente chattando con Shynee (a cui va tutta la mia gratitudine e sincera ed incondizionata ammirazione) ed avevo il desiderio di raccontarle alcune cose di me, così le ho proposto di farlo in una oneshot, eccola.

In secundis, non ho intenzione di scriverne altre, almeno fino a che nella mia vita non accadranno cose degne di essere raccontate in questa forma.

Mi accontento, dopo mesi in cui leggo e commento le vostre meraviglie, di poter dire a me stessa: non sei una lettrice del tutto sprovveduta, sai di che cosa si tratta perchè anche tu ci sei riuscita, a modo tuo, ma ci sei riuscita.

E' stata più, come dire, una prova per poter tranquillizzare me stessa che, in fondo, posso commentare lecitamente e che non si tratta di un mondo che non capisco.

Così, ogni volta che qualcuno cercherà di sotterrarmi per una opinione espressa (non è il caso di questo forum così validamente gestito e monitorato), mi lascerò sotterrare con meno dolore. O forse non mi lascerò sotterrare affatto.

Ringrazio ancora Shynee per il sostegno e per aver letto (ma non commentato) in anteprima la mia piccola creaturina.

Sciolgo anche un dubbio: Roberta è esistita davvero, non è frutto della mia fantasia, e le cose sono andate esattamente come le ho raccontate. Solo non si chiamava Roberta.
 
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Fee1702
view post Posted on 10/8/2009, 10:43




Mi spiace che tu non abbia intenzione di scriverne altre, anche se, mi rendo conto che chi scrive deve davvero aver bisogno di dir qualcosa attraverso le parole, quindi capisco il tuo punto di vista e lo apprezzo. Grazie per i complimenti al forum e, se ti ho mostrato simpatia è perchè lo meriti. I complimenti che ti ho fatto io sono stati spontanei, perchè davvero, cose del genere non si leggono tutti i giorni. Per me è un onore averti in questo piccolo spazio virtuale, non è molto, ma è tutto il mio mondo.
SPero tu continui a frequentarlo ^^
E se ti va mandami il tuo indrizzo msn, se ce l'hai xD
 
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Monique;
view post Posted on 10/8/2009, 13:25




Dunque.
Un mio amico, di nome Nicola, ha letto questa tua meravigliosa creatura e non potendo commentare perchè non registrato, mi ha gentilmente chiesto di postare la sua recensione al suo posto. Eccola qui, la metto sotto citazione.

CITAZIONE
One shot deliziosa, sembra più un album di fotografie che un'opera monografica, pur avendo argomenti forti che la sottendono dalla prima all'ultima parola.

Il tema della solitudine, ad esempio, a me tanto caro per aver vissuto anch'io il trauma dell'emigrazione, la lenta scoperta di se stessi, l'osservazione attenta di un mondo completamente nuovo alla ricerca della propria personale e specifica collocazione, la mancanza di denaro per il superfluo, condizione ideale per valorizzare quanto si possiede e imparare a viverne la pienezza.

Assolutamente dense di significato le immagini della vita quotidiana catturate in dettagli a noi tutti familiari ma sui quali mai ci soffermiamo a riflettere, una per tutte il sorriso di cortesia compreso nel prezzo del pane.

Intrigante il profondo contrasto tra il Montale interiorizzato dalla protagonista ("spesso il male di vivere ho incontrato") e il Montale intravisto nella vita di Giacomo ("Ne intravvedevo a malapena il titolo: "Ossi di seppia". Non si può avere nulla a che fare con uno così. Uno così è disumano.")

Nel complesso un'opera graziosa, semplice, curata sotto l'aspetto grammaticale, di piacevole lettura.

 
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salamandra940
view post Posted on 10/8/2009, 13:36




Monique, grazie per esserti resa tramite, ma questo tuo amico com'è? bello? alto? e soprattutto è libero? fammelo conoscere XD

SPOILER (click to view)
e se ti va dammi il tuo commento personale
 
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Monique;
view post Posted on 10/8/2009, 13:39




Cara, dal tuo commento carico di sarcasmo è palese che non credi a ciò che ho detto. Potrei dirti un sacco di cose di questa persona, ma ovviamente non lo faccio per rispetto personale. Inoltre, da una persona evidentemente brillante come te e con delle belle idee che emergono, un commento come questo ti fa cadere e affogare nel qualunquismo.
Tanto per informazione, sono stata io stessa a proporgli la shot via mail, perchè mi sembrava un'opera degna di essere condivisa. E con questo, chiudo.
 
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salamandra940
view post Posted on 10/8/2009, 13:46




No, ti prego, non fraintendere, lascia stare il sarcasmo, non volevo offendere nessuno, era solo un pensiero, così, ma me lo rimangio in toto, davvero.

Non giudicarmi così in fretta, per favore...
 
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Monique;
view post Posted on 10/8/2009, 14:01




Non è mia abitudine giudicare così in fretta la gente, ho solo espresso un mio parere riguardo alla tua risposta, ma per me tu rimani comunque un nickname, al limite un'autrice che ha scritto qualcosa che mi è piaciuto.
Il mio parere personale, visto che l'hai richiesto, è che che in fondo da questo tuo scritto non si intravede la grinta di uno scrittore, ma la semplicità di una ragazza qualsiasi, che mette solo giù i suoi pensieri in forma di prosa, senza grandi pretese.
 
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salamandra940
view post Posted on 10/8/2009, 14:11




Sono stata impulsiva, sono stata fuori luogo, sono stata frettolosa, insomma la salamandra di sempre.

Scusami davvero, ci sto lavorando su questo lato del mio pessimo carattere

Sono contenta delle parole che mi scrivi, davvero, non mi sento una scrittrice, ma sono fiera, anzi fierissima di essere una ragazza semplice come mi hai definito tu.

Ringrazia quel tuo amico da parte mia, da emigrante può capire cosa si prova.

Pace fatta?
 
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Monique;
view post Posted on 10/8/2009, 14:14




Non c'è mai stata nessuna litigata, per quanto mi riguarda.
Prego per il resto e non mancherò di ringraziare.
 
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Shynee
view post Posted on 10/8/2009, 14:49




Beh, cosa dire. Volevi la mia recensione ed eccola qui.
Te lo confesso, non mi sono stupita, quando l’ho letta, del modo in cui hai proposto il punto di vista della ragazza protagonista, né tantomeno mi sono stupita che fosse riuscita a colpirmi. Hai uno stile che ti rispecchia più di quanto immaginassi, e questo non è comune, perché a volte le persone, le autrici come gli autori, sono presi da ciò che vogliono apparire e si dimenticano che oltre a l’immagine di sé che vogliono dare, c’è anche l’essenza di se stessi, che a spesso è cento volte più plausibile.
Avevo intuito delle capacità dietro le tue parole e ho avuto le mie conferme leggendo questo scritto, che ti viene dall’anima, ed è evidente. E’ uno di quegli scritti da gustare. Non so come altro esprimere questo concetto. Ci sono tanti sapori, qui dentro. Tanti. L’amarezza di non possedere la vita che si sogna, che fa storcere la bocca, e la sapidità agrodolce della speranza, che comunque fa da sfondo ad ogni cosa.
E’ vera, salamandra, è vera. Tu sei vera. Purtroppo non posso comprendere appieno il trauma dell’emigrazione come te, però posso dirti che ti ammiro davvero tanto. Tu hai ancora la speranza, almeno, io l’ho vista sopita in questo scritto. Io, al posto tuo, l’avrei persa. Un brava sentitissimo per la shot, e un altro per il coraggio che dimostri.
 
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20 replies since 8/8/2009, 11:04   224 views
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