Dopo di te...

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rok1
view post Posted on 17/1/2009, 20:17




sorry, avevo capito un altra parola (ma non potevi dire chiù?)
 
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Kate ~
view post Posted on 19/1/2009, 13:29




Grazie ragazze!!! *_*

**



“Sì, è magnifico. Il mio capo ha personalmente ideato il progetto. Desiderava che anche l’esterno del locale fosse accogliente. Non sembra nemmeno di essere a Roma. Pochi metri più in là, oltre al cancello, c’è la città con tutte le sue luci e i suoi rumori, ma qui è tutto ovattato”
“Un’idea geniale!” rispose il ragazzo, non trovando nulla di meglio da dire.
“Bene, io adesso dovrei andare…”
“Non hai tempo per fumare una sigaretta con me?” chiese allora Bill, titubante.
“Ma non stavi fumando un attimo fa?” lo punzecchiò Lea, stupendosi per essere riuscita a scherzare con lui.
“Beh sì, ma dentro non si può fumare, così le concentro!”
“Non dovresti farlo! Sei un cantante, ti rovini le corde vocali” rise Lea.
“Fumi anche tu! Ti ho vista prima, mentre passavi!” la rimbeccò Bill, ritrovando pian piano il suo naturale charme.
“Ma io non sono una cantante! Ad ogni modo, sto scherzando! Quel che fai nella vita, sono solo affari tuoi”
“Alcuni giornali hanno criticato questa mia scelta, dopo l’intervento che ho subito”
“Intervento?” chiese Lea.

Fu in quel momento che Bill capì che Lea non era una fan dei Tokio Hotel, perché la notizia era rimbalzata da uno stato all’altro, facendo agitare tutte le loro sostenitrici.

“Sì, mi hanno operato alle corde vocali questa primavera. Abbiamo dovuto sospendere un’intera tournee per questo motivo” spiegò Bill, con una nota di rammarico nella voce.
“Mi dispiace” mormorò Lea “Mi auguro che ora sia tutto risolto”
“Sì, grazie. Era solo una ciste, ma sono dovuto restare in silenzio per dieci giorni e credimi, per me è stata una tortura!”
“Immagino! Insomma, non ti conosco, ma da quanto ho capito sei un buon oratore!”
“Mi piace molto parlare. Lo faccio di continuo!”
“Io sono piuttosto taciturna, invece. O meglio, alterno periodi di mutismo a periodi in cui non disdegno di certo una bella chiacchierata. Comunque” continuò la ragazza “non ci siamo presentati! Io sono Lea, piacere” e gli tese la mano.
“Bill” sorrise il ragazzo, stringendo la mano di Lea “Ma mi sa che il mio nome lo sapevi già! A dire il vero, anche io sapevo il tuo”
“Il mio?”
“La maglietta” disse Bill, indicando la polo di Lea, sulla quale era stampato, in piccolo, anche il suo nome oltre al nome del pub.
“Ah già” rise Lea, toccandosi la fronte con una mano “La maglietta…”
“Lavori qui da molto?” domandò Bill, cercando di spostare la conversazione su temi più personali.
“Cinque anni. Mi trovo bene, il mio capo è quasi come un padre, per me” confessò Lea “E tu, canti da molto?”
“Da una vita intera” sorrise Bill “Fin da bambino ho sempre sognato questo mondo. Aver raggiunto la popolarità e riuscire a vivere facendo questo mestiere, è un sogno che si avvera”
“Sei molto fortunato! Migliaia di ragazzi vorrebbero essere al vostro posto…”
“Sì, me lo ripeto sempre. Non voglio perder di vista la realtà e crogiolarmi nel mio sogno. Abbiamo lavorato tanto per ottenere tutto questo, ma non posso scordare che il merito va anche alla fortuna. Se le nostre canzoni non fossero piaciute o se nessun discografico ci avesse mai notato, saremmo rimasti nell’ombra per sempre”
“Toglimi una curiosità” disse Lea “Da cosa deriva il nome Tokio Hotel?”

Bill scoppiò a ridere, facendo battere il cuore di Lea ad una velocità inaudita.

“Cosa c’è?” chiese la ragazza, incuriosita.
“Non sei una nostra fan, vero?” domandò Bill, continuando a ridere.
“Ehm… a dire il vero non vi conoscevo nemmeno! Voglio dire, avevo sentito una vostra canzone alla radio o in televisione… è imbarazzante tutto questo, lo so!” ridacchiò.
“Ma no, figurati! I gusti sono gusti!” rispose Bill.
“No no” si affrettò a spiegare Lea “Non è che non vi conoscessi per scelta. E’ che, negli ultimi cinque anni, non ho avuto il tempo di fare nulla se non lavorare e studiare. Quindi, non sono afferrata sull’argomento!”
“Sei stata in Antartide per cinque anni?” chiese Bill, ridendo.
“Quasi!” rispose Lea “Insomma, ho aiutato mia sorella dopo il parto poi, appena maggiorenne, ho iniziato a lavorare pur continuando a studiare. Insomma, cinque anni di esilio dal resto del mondo, in pratica”
“Capisco. Non dev’essere stata facile la vita, per te…”
“Sotto certi aspetti no, per nulla. Ma non rimpiango le mie scelte. O almeno, non totalmente. Sono fiera di quel che ho fatto fino ad adesso perché mi sono guadagnata tutto con il sudore della fronte, ma ho perso di vista tante altre cose…” e poi pensò “Compreso te” senza, ovviamente, dirlo.
“Anche io, seppur in modo diverso, mi sono chiuso nel mio mondo. Mi manca la mia famiglia, la mia casa, le piccole cose di tutti i giorni, il piacere di andare a comprarsi un gelato senza temere di venir inseguito dai fotografi”
“Torni raramente a casa tua? Aspetta… mi sono documentata… Lo-loi…”
“Loitsche!” finì Bill, ridendo “Hai davvero chiesto informazioni su di noi?”
“Beh, non potevo sfigurare, insomma! Ho rimediato! Ma dicevi di Loitsche…” lo esortò Lea, che aveva già capito da un pezzo quanto Bill amasse chiacchierare… e quanto lei amasse ascoltarlo.
“Sì, ecco. Ci torniamo raramente. Mia madre ora non vive più lì, così passiamo qualche volta a salutare gli amici. Ora io e mio fratello abbiamo casa a Berlino, ma ci stiamo davvero pochissimo. Siamo sempre in giro, costantemente. E se abbiamo un lungo periodo di vacanza, preferiamo passarlo su qualche isola deserta”
“Alla faccia del mio campeggio al lago!” rise Lea.
“Non volevo sembrarti borioso” si scusò Bill.
“Ma figurati, hai detto solo la verità! Insomma, è evidente che facciamo due lavori pagati in modo assolutamente diverso! Ora però, a proposito di lavoro, devo davvero scappare…” aggiunse Lea, a malincuore “Sono fuori da mezz’ora, la mia collega sarà nera e spero che il mio capo non se ne sia accorto”

Fu in quel momento che Bill decise di giocare l’asso che teneva nella manica, quello che temeva di non avere il coraggio di esporre.

“Mi piacerebbe rivederti, dopo la chiusura"

Continua...
 
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rok1
view post Posted on 19/1/2009, 17:04




Questo sarà il mio capitolo preferito!
 
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Lullaby;
view post Posted on 19/1/2009, 20:34




CITAZIONE
Bill scoppiò a ridere, facendo battere il cuore di Lea ad una velocità inaudita.

La sua risata argentina *.*
 
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Fee1702
view post Posted on 19/1/2009, 21:13




“Toglimi una curiosità” disse Lea “Da cosa deriva il nome Tokio Hotel?”


Oddio povero Bill aahahha xD
 
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Kate ~
view post Posted on 20/1/2009, 13:04




Grazie ragazze!! *_*

**



Lea rimase completamente spiazzata da quella domanda. L’errore che commise, fu di interpretarla in maniera fin troppo superficiale. “Se mi chiede di vederci, vorrà portarmi a letto. Certo, lui è una rockstar in viaggio, cosa vuoi che cerchi da una cameriera?” pensò.

Delusa, lo guardò velocemente negli occhi e rispose la prima cosa che le venne in mente:

“Mi dispiace, ma non posso. Finirò molto tardi”
“Capisco” balbettò Bill, intuendo la bugia di Lea “Mi ha fatto molto piacere conoscerti”

Si strinsero la mano velocemente per poi tornare ognuno al proprio posto. Il posto che apparteneva loro. Bill nel suo mondo fatto di tournee e tanti soldi e Lea dietro al bancone del bar a pensare a quanto fosse stata stupida a mitizzare una persona che nemmeno conosceva. Bill, continuava a ripetersi, era come tutti gli altri.

Un errore. Lea aveva commesso un errore senza nemmeno saperlo, dando per scontato che le intenzioni di Bill fossero di natura sessuale. Era proprio vero: Lea non conosceva Bill.

Tornando al tavolo, imbarazzato e confuso, Bill rischiò di inciampare nel tappetino dell’ingresso. Maledizione, pensava, che diamine mi è venuto in mente di chiederle di vederci dopo il lavoro? Nemmeno la conosco! Evidentemente, non le piaccio. Oppure, avrà pensato che volessi solo approfittarmi di lei. Oddio, sono un idiota!

Appena le sue natiche toccarono la sedia, Tom gli domandò a bassa voce: “Che è successo? Nat è tornata da sola…”
“Ero fuori con la ragazza che ci ha servito da bere” sussurrò Bill, avvicinandosi all’orecchio del gemello.
“Vedo che inizi ad apprezzare le bellezze di Madre Natura!” gongolò Tom “Fai sempre il sostenuto, ma le belle ragazze piacciono pure a te, eh?!” concluse, dandogli di gomito.
“Ho fatto una figura di merda. Le ho chiesto se potevamo vederci dopo il lavoro”
“Eh bravo il mio fratellino! Era anche ora che seguissi i miei consigli!” ridacchiò Tom, destando la curiosità dei ragazzi al tavolo.
“Ha detto di no, Tom”

Tom scoppiò a ridere.

“Non ci posso credere!” continuò, ridendo “Per una volta che prendi una cazzo di iniziativa, ti senti anche rifiutato! Non demordere, fratello. Sono certo che capiteranno altre occasioni” concluse, dandogli una pacca sulla spalla.
“Non è divertente, Tomi. Avrà pensato che sono un cretino. Non volevo portarmela a letto, lo giuro. Volevo solo parlare con lei ancora un po’”
“Ci risiamo” disse Tom, scuotendo la testa “Ancora con questa storia del parlare. Bill, quando inizierai a dar retta a tuo fratello?”
“Tu dovresti dar retta a me. Io non so nulla di quella ragazza, ma qualcosa mi dice che non è amante delle scappatelle. Avrebbe potuto accettare il mio invito, se avesse voluto provarci con me”
“Forse non sei il suo tipo!”
“Ma se sono così carino!” rise Bill, per cercare di eludere il discorso “Sono il più carino qui dentro!”
“Credici!” lo rimbeccò Tom.

Furono interrotti dall’arrivo di alcuni amici che si accomodarono al loro tavolo e impedirono ai gemelli di continuare la conversazione.

“Dove cazzo sei stata fino ad adesso? Sei andata in Grecia a buttare la spazzatura?! Ti cercava Tino, aveva bisogno di aiuto con il tedesco. Ringrazia che gli ho detto che eri in bagno perché avevi la nausea!” sbottò Miriam, appena Lea ricomparve.
“Hai ragione, scusami. Non capiterà più”
“Dove cazzo eri?” continuò Miriam, curiosa di sapere dove fosse rimasta Lea per tutto quel tempo.

Lea non voleva raccontare a Miriam del suo incontro con Bill, così minimizzò:
“Ero fuori a chiacchierare con un tizio dello staff”
“Mi auguro non ricapiti più! Siamo qui per lavorare!” tuonò Miriam.
“Ti ho già detto che mi dispiace! In cinque anni di lavoro, non ho mai sgarrato, quindi non farmi la paternale Miriam!”

Miriam, spiazzata dalla risposta di Lea, le voltò le spalle e riprese a pulire il bancone.

Finalmente, quella lunga serata volse al termine. Intorno alle quattro del mattino, il locale si svuotò. Gli ultimi ad uscire, furono i ragazzi del gruppo. Bill, passando davanti al bancone, guardò timidamente Lea e le fece un mezzo sorriso. La ragazza rispose nella stessa maniera, continuando ad asciugare un bicchiere con il canovaccio che teneva in mano.
Non avrebbe mai più rivisto quel sorriso e, con rammarico, capì che non avrebbe nemmeno più visto quel ragazzo.
Per un attimo, ebbe la tentazione di rincorrerlo e dirgli che era disposta ad uscire con lui, a vederlo anche solo per due ore, a farsi usare in una lussuosa suite di un altrettanto lussuoso hotel, pur di bearsi della sua presenza, ma il suo moralismo e le sue rigide convinzioni, le impedirono di compiere quella scelta.
Quando il locale fu ormai completamente vuoto, Tino si avvicinò a Lea.

“Stai meglio adesso?” domandò, comprensivo.
“Eh?”
“Prima non eri in bagno con la nausea?”
“Ah sì… Cioè… No. Non è vero, non ero in bagno. Miriam mi ha coperta…”

Tino sorrise. Era affezionato a Lea, come se fosse la figlia che lui e la moglie non avevano mai avuto. Si sporse oltre il bancone e le diede un buffetto sulla testa.

“Apprezzo la tua sincerità, Lea. E’ uno dei tuoi migliori pregi”
“Mi dispiace, Tino. Ti giuro che non ricapiterà mai più”

Miriam, poco distante da loro, aguzzava le orecchie, pronta a cogliere ogni dettaglio della storia. Tino fece un cenno a Lea ed entrambi si appartarono nel retro, lontano dalla curiosità di Miriam.

“Sono uscita a portare la spazzatura” cominciò Lea “e ho incontrato il cantante del gruppo. Mi ha fermata, abbiamo iniziato a chiacchierare e mi sono persa”
“Capita, tesoro. Non sono arrabbiato, credimi” sorrise Tino.

Lea scoppiò a piangere come una bambina, come non faceva da secoli. Le spalle scosse da violenti singhiozzi, gli occhi rossi. Tino, stupito, la abbracciò senza saper cosa dire.

“Lea che succede?”
“Scusami. Scusami” continuava a balbettare la ragazza “Posso andare a casa? Verrò domani a pulire, ma ti prego, fammi andare a casa”
“Certo piccola…” mormorò Tino “Vai a casa e riposati. Forse ti ho fatto lavorare troppo in questo giorni. Domani ti lascio una giornata libera”

Lea strinse forte Tino, gli posò un bacio leggero sulla guancia e, asciugandosi gli occhi come meglio poteva, sgattaiolò via dal locale.

Guidando verso casa, stringendo il volante fra le mani, le lacrime continuarono a scendere copiose dai suoi occhi, bagnandole le guance. Non l’avrebbe rivisto mai più e quella sera, per la prima volta, scoprì cosa significasse avere il cuore spezzato a metà.

Continua...
 
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rok1
view post Posted on 20/1/2009, 13:17




Dico solo una cosa W.O.W!!!!!!!!!
 
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Lullaby;
view post Posted on 20/1/2009, 21:31




Anche io lo so cosa vuol dire il cuore spezzato a metà...
Troppe volte...
 
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Kate ~
view post Posted on 21/1/2009, 20:09




Grazie care! ^^
Lullaby... ç_ç

**



Bill, seduto sul retro dell’auto che l’avrebbe riportato in albergo, guardava fuori dai finestrini, assorto in una miriade di pensieri difficili da riordinare.
Aveva decisamente tutto dalla vita: l’amore della sua famiglia e degli amici, un lavoro che amava, tanti soldi, la possibilità di girare il mondo e di far valere le proprie idee con la sua musica, e allora perché il rifiuto di Lea l’aveva demoralizzato così tanto?
Bastava un “no” per far crollare il suo castello dorato?

“Bill!” Tom lo riscosse dai suoi pensieri “Siamo arrivati, ti muovi?”

Il ragazzo scese dall’auto, firmò un paio di autografi, acconsentì a fare qualche foto con le ragazze che aspettavano il loro rientro davanti all’albergo ed infine, raggiunse l’atrio dell’hotel.
Salì frettolosamente sull’ascensore e si chiuse in camera, dando la buonanotte in maniera distratta ai suoi compagni di viaggio.

Steso sul letto, a pancia in su, ripensò alla sua vita, ai suoi sogni di bambino, a sua madre e alla sua casetta di Loitsche. Ora aveva tutto… un tutto che sapeva tristemente di niente.

Lea parcheggiò l’auto nel garage di casa e aprì la portiera lentamente. Il pianto l’aveva stancata ancor più di quanto avesse fatto il lavoro. Si trascinò pesantemente fino alla porta di casa, la aprì cercando di non fare rumore e raggiunse il bagno.
Allo specchio vide un viso sconosciuto: una ragazza in lacrime, occhi rossi e cerchiati, matita e rimmel sbavati. Chi era?
Lea non si era mai vista in quelle condizioni o, almeno, non lo ricordava. Perché negli anni in cui aveva smarrito il divertimento e l’amore, aveva anche smarrito il senso di dolore, di paura, di tristezza. Il piacere liberatorio di un pianto sincero, la libertà di concedersi una giornata “no”, il calore di un abbraccio consolatorio dopo una storia finita male. Non c’era stata gioia ma non c’era stato nemmeno dolore in tutto quel tempo. Semplicemente, non c’erano stati sentimenti, di nessun tipo. A pensarci bene, per quanto lo amasse, Lea non aveva mai mostrato nessun tipo di sentimento nemmeno a Philip. Mai una carezza, mai un bacio sulla testa, mai un buffetto sulla guancia: c’era da correre, lavorare, studiare, pulire la casa, aiutare Marie. C’era da crescere. Crescere e basta. Ed ora, Lea si ritrovava sterile, come un terreno mai irrigato.

Si trascinò fino alla doccia, dalla quale uscì solo mezz’ora dopo e si buttò sul letto. Si scordò di tirare giù le tapparelle, così vide il sole sorgere. Solo quando l’alba rischiarò la Capitale, Lea si addormentò.

“Coraggio Bill!” la voce di Saki tuonò da dietro la porta della stanza del ragazzo “Manchi solo tu! Gli altri sono pronti!”
“Arrivo!” Bill spense il phon, lo sistemò in valigia e, controllando di non aver dimenticato nulla, uscì dalla camera.
“Sei in ritardo” lo rimbeccò affettuosamente Saki.
“Scusa, mi sono addormentato tardi”
“Beh dai, qualche minuto in più di ritardo non farà la differenza. Fermati al bar a prendere un caffè. Ti servirà” concluse Saki, in tono affettuoso.

Dopo dieci minuti, il ragazzo era pronto. La dose di caffeina ingurgitata non lo aveva rimesso in piedi completamente, ma sicuramente aveva contribuito a svegliarlo. Uscendo dall’albergo e accendendosi una sigaretta, vide Hans, l’autista del tour bus, imprecare a gran voce.

“Non è possibile! Certo che no! E come facciamo? Ma sta scherzando!? A Ginevra! Eh sì! E come faccio, li carico in spalla?!”

Bill non riusciva a capire con chi stesse parlando l’uomo, ma avvicinandosi si accorse che teneva il telefono appiccicato all’orecchio, rosso in volto e sudato.

“Sì va bene! Ma non di più! Grazie!”

Saki si avvicinò all’uomo.

“Che succede, Hans?”
“Succede che il bus non va!” sbottò l’uomo.
“Cosa?!” tuonò Saki “Come sarebbe a dire?”
“Non va! E’ partito il motore! Questo è un vero guaio, credimi! Non ci possiamo muovere da qui!”
“Ma non è possibile! Ha funzionato fino a venerdì”
“Cosa vuoi che ti dica, Saki. Non va! Ho controllato, per quel che me ne intendo, e pare che il motore sia fuori uso! Ero giusto al telefono con un meccanico. Mi hanno dato il numero quelli dell’albergo, ma lui non è a casa. Tornerà solo in serata. E’ domenica, qui le officine sono chiuse”
“Oddio” mormorò Saki.
“Cosa?” strillò Bill, in preda al panico “Non va il bus? E adesso come facciamo? Domani mattina dobbiamo essere a Ginevra, abbiamo l’intervista, la sessione di autografi nel pomeriggio e il concerto! Oh cielo” aggiunse, portandosi le mani alla bocca.
“Calma! Adesso chiamo subito l’aeroporto e prenotiamo un volo. Sono certo che riusciremo a trovare qualcosa” commentò Saki “Non preoccupatevi ragazzi”

Nel frattempo, anche Tom, Gustav e Georg scesero dal bus e si unirono ad Hans, Saki e Bill.

“E ora che facciamo?”
“Per ora, salite sul bus e aspettate che chiami l’aeroporto. Ma soprattutto, calmatevi!”
“Io sono calmo” disse Tom “E’ lui che deve respirare!” aggiunse, indicando Bill, che camminava avanti e indietro torcendosi i capelli e parlottando a bassa voce.
“Taci Tom!” lo rimbeccò Bill “Sono già agitato! Non ti ci mettere anche tu!”
“Salite sul bus!” tuonò Saki, visibilmente preoccupato “E’ un ordine! Qui fate solo confusione!”

I ragazzi ubbidirono e, con la coda fra le gambe, salirono sul bus in silenzio.

“Questa non ci voleva” commentò Georg, sedendosi “Se non riusciamo a partire, ci toccherà annullare la data”
“Non scherzare!” esplose Bill, terrorizzato “Non possiamo annullare la data! E’ assurdo, impensabile, inconcepibile, ass…”
“BILL!” Tom lo richiamò all’ordine “Stai calmo! Saki troverà un volo, stasera saremo in Svizzera e domani suoneremo a Ginevra, ok?”

Rincuorato dalle parole del fratello, Bill si accomodò sui divanetti del bus e cercò di rilassarsi. All’improvviso, gli occhi di Lea si fecero strada nella sua testa.

“Non adesso, non lei” pensò.

Continua...
 
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Fee1702
view post Posted on 21/1/2009, 20:34




"Ora aveva tutto… un tutto che sapeva tristemente di niente."

Questa frase è bellissima Kate... E vorrei tanto non fosse vera.
 
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rok1
view post Posted on 21/1/2009, 21:03




''i ragazzi ubbidirono con la coda fra le gambe''

Hahaha! Peccato che non era successo veramente vedere Bill,Tom,George Gustav con la coda fra le gambe sarei morta da ridere!!!!
 
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Lullaby;
view post Posted on 21/1/2009, 22:00




Non credo che Lea riuscirà ad andarsene dalla mente di Bill, la sua semplicità e la sua dolcezza e tenerezza, che nonostante non espanda possiede, la rendono diversa tutte le altre ragazze con cui è venuto a contatto Bill!!!
 
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Kate ~
view post Posted on 22/1/2009, 13:23




Grazie!!! I vostri commenti sono bellissimi! ^^
Questo capitolo è corto, ma necessario ^^

**



“Ziaaaaaaaaa!”

Phil prese a trotterellare in camera di Lea, con in mano un tamburello e indosso un pigiamino blu notte. Lea aprì un occhio, controllò la situazione e lo richiuse, fingendo di non essersi accorta della presenza del nipotino.

“Ziaaa!” tuonò Philip, dando un colpo al tamburo.
“Phil ti prego” mormorò Lea “Sto morendo di sonno”
“Dai zia! Ricordi cosa mi avevi promesso?”

Lea cercò di riordinare le idee, proprio mentre Marie si affacciava alla porta della stanza.

“Phil lascia dormire la zia! Andrete domenica prossima al parco!”
“Ma mamma” piagnucolò Phil “la zia me lo aveva promesso”
“Ok ok” biascicò Lea, scostando le coperte “Mi cambio e andiamo”

Un quarto d’ora dopo, Lea usciva di casa con Phil per mano, diretti verso il parco giochi, proprio come gli aveva promesso.

Lea respirava a pieni polmoni, nonostante l’aria romana non fosse delle più pure. Chiese e ottenne, dal nipotino, il “permesso” di fermarsi a bere un caffè, prima di raggiungere il parco.

“Va bene, zia” cinguettò il piccolo “Ma fai presto!”

Ripresero la marcia verso la verde area romana. Lea fumava nervosamente una Marlboro, assaporando il tabacco come se fosse la sua ultima sigaretta.
Philip la guardava, pensoso.

“Nonna dice che non devi fumare. E non deve neanche la mamma”
“Nonna dice troppe cose” bisbigliò Lea.
“E nonna dice anche che dovresti trovare un uomo, ma non so cosa vuol dire”

Lea arrossì. Come diamine si spiega ad un bambino di cinque anni, il significato della frase “trovare un uomo?”.

“E tu come fai a saperlo?”
“Ieri sera la nonna è venuta a trovarci e ho sentito che lo diceva alla mamma”
“Non dovresti ascoltare le conversazioni degli adulti” lo ammonì Lea.
“Ma cosa vuol dire?”
“Nulla Phil, non vuol dire nulla. E’ una stronzata, una delle solite stronzate della nonna” Lea si accorse di aver parlato troppo solo dopo che il bambino iniziò a sillabare la parola “stronzata”.

“Phil non si dicono queste parole!”
“Ma l’hai detto prima tu!”
“Io… io sono grande e posso” poi si pentì di quella frase. Non aveva senso. I “grandi” non hanno il diritto di fare o dire cose che ai più piccoli sono vietate. Hanno solo la facoltà di sapere cosa quella determinata parola significhi realmente e, quindi, usarla di conseguenza, così si corresse: “Volevo dire che sarebbe meglio che tu non lo dicessi, perché non sta bene che un ragazzino della tua età ripeta certe cose”
“Capito. Ma io quindi sono già un ragazzo grande?”

Lea sorrise e accarezzò la testolina del bimbo.

“Certo. Sei l’uomo di casa!” sorrise.

Soprapensiero, persa dietro ai discorsi del nipotino, Lea attraversò la strada senza accorgersi che un automobilista distratto, non aveva rispettato il semaforo rosso.

“Achtung!!!” un vocione la riscosse appena in tempo. Un attimo ancora e sarebbe avvenuta una vera e propria tragedia.

Terrorizzata, con il cuore in gola e Phil stretto al petto, Lea vide un omone di grossa corporatura, alto e con gli occhiali, attraversare la strada e raggiungerla.

“Wie geht’s?” chiese l’uomo.
“Gut” mormorò Lea e poi, sempre in tedesco, aggiunse “Non mi sono accorta dell’auto! Quello stronzo! Era verde cazzo!”
“Certa gente non dovrebbe guidare” commentò l’uomo “Sicura di star bene? Vuoi un bicchiere d’acqua? Il bambino sta bene?”
“La ringrazio, è tutto a posto…” sussurrò Lea, ancora sotto shock. Guardò l’uomo in volto: dove l’aveva già visto?

Attraversarono la strada insieme, poi l’uomo la salutò cordialmente e si avvicinò ad un altro ometto, piccolo e con la faccia buffa, che imprecava al telefono.
Lea rispose al saluto e riprese a camminare in direzione del parco.
Improvvisamente, un’illuminazione: “Oddio! E’ la SUA guardia del corpo!” strillò, nella mente.

Continua...
 
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rok1
view post Posted on 22/1/2009, 17:01




hihihihi.., e il destino li fece incontrare di nuovo e la vecchietta forse si metterà a vociare! Ha!
 
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Kate ~
view post Posted on 24/1/2009, 14:11




Grazie cara!! *_*

Una precisazione: parlo di Roma ma, non essendoci mai stata, sto spudoratamente inventando i luoghi... di conseguenza, chiedo venia a tutte le romane!! XD

**



Philip raggiunse subito l’altalena del parco e prese a dondolarsi. Lea cercava di prestargli attenzione, sapeva che doveva assolutamente occuparsi di lui, non perderlo di vista, assicurarsi che non gli si avvicinassero degli estranei, che non scappasse. Eppure, la sua mente era altrove.
Cercò con gli occhi quell’uomo, del quale peraltro non sapeva nemmeno il nome, ma non lo vide. Si era allontanata troppo.
Per una frazione di secondo, pensò di lasciare Phil sull’altalena e sgattaiolare via, ma resistette. Sarebbe stato incosciente ed estremamente rischioso.
Afferrò dunque il cellulare dalla borsa e cercò il numero di Mandy in rubrica.

“Mandy?”

La ragazza rispose immediatamente.

“Ma buongiorno! Sei tornata fra i vivi? Io e Sue pensavamo ti fossi scordata di noi!”
“Mi dispiace. Avete ragione, vi sto trascurando decisamente troppo. Però, ho bisogno di aiuto”
“Che succede, Lea? Non ti ho mai sentita chiedere aiuto a qualcuno!”
“Non lo so. Mi sono successe delle cose strane in questi ultimi due giorni. Adesso sono al parco giochi con Phil. Ti scoccia raggiungermi?”
“Passo a prendere Sue e siamo da te!”

Lea si sedette su una panchina, dalla quale vedeva perfettamente il nipote e lasciò che la sua mente vagasse.

Mandy e Sue, alias Maddalena e Susanna, erano le sue amiche storiche. Le conosceva da tutta la vita e aveva dato loro dei soprannomi inglesizzati per non scordare le sue origini d’oltre Manica. Si sentiva italiana, completamente, ma non disdegnava di certo la patria di suo padre.
Mandy era cicciottella, aveva due guance paffute e rosee e due occhi verde smeraldo. Non si era mai preoccupata dei suoi chili di troppo, nemmeno quando alle elementari i compagni la sbeffeggiavano. Mandy era bella. La pelle ambrata e soffice, i capelli mossi, le mani curate. Mandy era morbida e gentile. Mandy era il ritratto della felicità, sempre.

Sue, invece, pesava decisamente troppo poco. Nel periodo dell’adolescenza, i professori avevano convocato i genitori in seguito ad uno svenimento della ragazza, temendo l’anoressia. In realtà, la costituzione di Sue era esattamente quella. Non un chilo di più, non un chilo di meno. Lunghi capelli biondi, grandi occhi neri, labbra che parevano disegnate e dita affusolate, da pianista.

Mandy e Sue avevano sostenuto Lea in ogni momento, anche se la ragazza tendeva a non chiedere aiuto, a non esporsi troppo, a resistere nonostante la stanchezza la opprimesse. Forse, al posto loro, altre ragazze avrebbero scaricato Lea, ma Mandy e Sue la adoravano e le perdonavano le sue lunghe assenze. Sempre. Perché Lea era davvero una perla rara.

Il rumore di un motorino fece sussultare Lea.

“Lea! Cazzo Mandy, vai piano! Guarda che c’è l’albero!”
“Ma l’ho visto!”

Mandy frenò accanto alla panchina.

“Lea! Scusa il ritardo! Ma la tua amica pigra” disse Mandy, indicando Sue “era ancora in pigiama!”
“Ciao ragazze” mormorò Lea, con gli occhi lucidi.
“Oh cielo. Cosa stai facendo?” chiese Sue, togliendosi il casco e sgranando gli occhi.
“Piangi? Lea stai piangendo?” rincarò la dose Mandy.
“Aiutatemi…”

Le due ragazze abbracciarono Lea di slancio, sconcertate. Lea piangeva? Lea chiedeva aiuto? Cosa diamine le era capitato?

“Lea, adesso ci spieghi tutto… ma prima, fammi salutare quell’ometto!”

Mandy corse da Phil e lo prese in braccio, spupazzandoselo come fosse un peluche. Il bambino rideva, felice. Lo stesso fece Sue, anche se in maniera più pacata rispetto ai modi vulcanici di Mandy. Quando tornarono alla panchina, Lea si stava asciugando le lacrime con un fazzoletto di carta.

“Adesso ci racconti? No aspetta, prima ti racconto io una cosa!” la fermò Mandy “Mentre stavamo venendo qui, abbiamo visto una scena fantastica! Hai presente l’Hilton? Ecco… lì davanti, c’era un ometto altro un metro e mezza banana che sbraitava al telefono come un pazzo! Sai che lì c’è il semaforo, no?” continuò Mandy, gesticolando.

Lea annuì. Lo sapeva, eccome se lo sapeva.

“Ecco” continuò Mandy, mentre Sue sghignazzava “Eravamo ferme al semaforo e questo urlava come un pazzo al telefono, in tedesco credo… beh, non importa. Resta il fatto che, ad un certo punto, spegne il telefono e lo lancia dall’altra parte della strada! Io credevo di morire dal ridere! Una scena assurda! Dopo che questo ha lanciato il telefono, ne arriva un altro, alto, con gli occhiali, uno che tra l’altro assomiglia a qualcuno che ho già visto da qualche parte, e cerca di calmare il piccoletto! Poi cazzo è scattato il verde e siamo partite” rise Mandy, concludendo.
“Davvero Lea, una scena assurda! Ma forse non ti interessa molto… insomma… che succede?”
“Niente e tutto” riassunse Lea.

Mandy assunse un’espressione comicamente perplessa e si grattò il mento. Sue accavallò la gambe magre e si infilò in bocca una cicca.

“In altre parole?” chiese Mandy.
“Al lavoro…”
“Quella stronza di Miriam? C’entra lei? Se è così, sappi che la vado a prendere subito! Quella mi è sempre stata sulle palle, credimi!” sbraitò l’esuberante Mandy.
“No, non c’entra lei”
“Ah bene! Mi stava già ribollendo il cervello!”
“Mandy, lasciala parlare!” la rimproverò bonariamente Sue “Dai Lea, che succede? A noi puoi dirlo? E’ capitato qualcosa con Tino?”
“No, assolutamente. Anzi, oggi mi ha concesso il giorno libero. Insomma, ho conosciuto una persona e…”
“Nooooooooo!” sbottò Mandy, alzandosi in piedi “Tu hai fatto cosa?!”
“Mandy dio del cielo! Non è il momento di scherzare!” sbottò Sue “Calmati!”
“Ma dai Sue! Cioè… io non la conosco più! Sei Lea?” disse Mandy, toccando il viso dell’amica “O ti hanno rapita gli alieni e hanno mandato un clone in sostituzione?”
“Sono io, sempre io. Ma temo di essermi presa una cotta gigantesca”
“Lui chi è?” chiese Sue, con tenerezza.
“Bill Kaulitz”

Continua...
 
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