Bene, dato che sono ispirata e ne ho scritto un altro, posto, ma poi non se ne riparla fino alla prossima settimana XD
Buona lettura ^^
2)
Il profumo di Waffeln appena sfornati le regalava sempre una sensazione di benessere. Non sapeva il motivo, ma quella fragranza dolce e zuccherosa le ricordava casa sua. Le ricordava la domenica mattina, quando, alzatasi tardi raggiungeva sua madre in cucina e sedeva per ore con lei di fronte alla colazione, che, puntualmente l'attendeva a tavola.
Salutò Heinz con un sorriso accennato, ma l'uomo paffuto del bar, non si aspettava mai nessun altro tipo di saluto il lunedì mattina.
Vale di lunedì aveva solo bisogno di uno dei caffè più ristretti che potesse fare e del suo croissant alla crema per iniziare bene la giornata, o quantomeno, per provarci.
Le piaceva osservare le persone, aveva sempre avuto talento nell'individuare il carattere che si celava dietro ad ogni figura, poche volte si sbagliava. Adorava origliare le ragazzine che si scambiavano le ultime confidenze prima di dirigersi verso scuola, forse per compensare quello che a lei era mancato.
C'erano sempre le solite tre.
Una ragazza magrolina dai capelli rossi e la pelle chiara, leggermente lentigginosa, e due ragazze dai capelli castani, una un po' in carne e dal viso tondo, sempre perfettamente truccata, l'altra un po' più semplice. Portava sempre un fermaglio tra i capelli per riprendere la falda che le avrebbe coperto l'occhio color miele e Vale pensò che avesse uno stile assai carino e le piaceva il fatto che abbinasse sempre il fermaglio al colore della maglia. Quel giorno era una farfallina celeste che riprendeva il colore della lana del suo maglioncino aderente.
Mentre Valentina portava alle labbra la sua tazzina di caffè, le tre amiche commentavano il look di un cantante visto in tv la sera prima.
Doveva essere un tipo bizzarro. Parlavano di cresta, ombretto scuro, matita pesante intorno agli occhi.
“Sì, ma cioè, lasciate stare li stivali, avete visto o no che braccia ha messo su?” Domandò la rossa, con aria sognante.
“EH in effetti non ho potuto non notarle... poi quel gilet di paillettes gli stava da Dio.”
Rispose quella paffutella.
Vale non potè fare a meno di chiedersi chi fosse il genio che riusciva a far sognare così il genere femminile, nonostante ostentasse un look così esuberante e femminile a sua volta.
Pensò che avrebbe dovuto fare qualche ricerca, una cosa del genere non poteva certo sfuggirle.
Non ebbe comunque tempo di sentire altro, perchè il tempo, si sa, non ti aspetta e quindi, la ragazza dovette incamminarsi, volteggiando sulle sue parigine grige, verso la redazione di “Vogue”, inforcando gli enormi occhiali da sole e regalando un altro sorriso ad Heinz, stavolta addolcito dalla crema.
Entrò nell'enorme edificio a vetri, salutò un po' chiunque, sorridendo, ma senza guardare praticamente nessuno, tanto di quelle facce ne conosceva sì e no, meno della metà.
Spalancò la porta del suo ufficio e si sedette alla scrivania, sulla poltroncina molleggiante in pelle nera, accese il computer e imprecò alla prima telefonata della giornata. Amava il suo lavoro, ma era assai stressante.
Aveva sempre odiato parlare al telefono, ma ormai era diventata, per forza di cose la sua attività principale.
Corresse alcune bozze di articoli che avrebbero dovuto essere pubblicati sul nuovo numero della rivista, chiamò il fotografo per il servizio fotografico della prossima settimana e fece la relazione al capo delle cose già fatte e che, quindi, non avrebbe dovuto fare lui.
Ormai prendeva iniziative, conosceva il boss come le sue tasche, sapeva cosa, sicuramente, si sarebbe dimenticato di fare e, finito quello che le spettava, alleggeriva anche un po' del suo lavoro.
Klaus era un figlio di papà che si era trovato la strada spianata dal padre, aveva preso le redini della baracca senza fatica. Una laurea ad una facoltà sconosciuta, e che nessuno osava chiedere dove fosse e quale fosse, un po' di apprendistato ed il gioco era fatto, infondo a lui era bastato circondarsi di bravi assistenti. Tutto sommato, però, a Vale andava a genio, alla fine era soltanto un ragazzo fortunato che non aveva dovuto sudare sette camice per arrivare dove voleva. Era facile giudicare una persona così, dall'esterno: macchinone, donne, abiti firmati e bell'aspetto. Ma chi non ne avrebbe approfittato?
La ragazza era convinta che, solitamente i pregiudizi fossero soltanto espressione di invidia e quindi era facile etichettare un personaggio e disprezzarlo, ma in pochi avrebbero ammesso con sincerità che sarebbero stati volentieri al suo posto. Raccomandazioni o meno.
In più era un tipo simpatico e aveva un rapporto umano con i suoi dipendenti, non era il classico tiranno al quale piace sentirsi potente. Non era per niente formale e parecchie volte, Vale lo aveva trovato spaparanzato sulla sua poltrona con le ruote e i piedi incrociati sulla scrivania a rigirare il filo del telefono tra le dita, mentre sussurrava parole dolci a qualche sconosciuta di là dalla cornetta, con sguardo malizioso.
La faceva sorridere e si trovava bene con lui. Avevano spesso passato del tempo insieme, a volte per pranzi di lavoro, nei quali finivano, poi, per finire a parlare di tutt'altro con la bocca piena di qualche schifezza, a volte erano proprio usciti insieme, ma senza mai varcare il confine. Erano semplicemente diventati amici, Vale era restia a rapporti di altro genere. Per lei esisteva solo la carriera in quel momento della sua vita e l'amore sarebbe stata solo una distrazione che le avrebbe fatto perdere del tempo prezioso e Klaus era il classico donnaiolo, sapeva bene che la maggior parte delle donne che frequentava stavano con lui solo per il suo portafoglio e non per altro. Per questo le trattava così come dovevano essere trattate. Una notte di passione e poi, tanti saluti.
Ovviamente le malelingue si facevano mille film su quelli che erano i rapporti tra “Il capo e l'assistente” e ovviamente Valentina ne era ben al corrente, ma ovviamente non se ne curò.
Grazie al suo Prof era riuscita a superare il periodo in cui il giudizio altrui le sembrava la cosa più importante. Lui le diceva sempre di camminare a testa alta e che se qualcuno parlava di lei era solo perchè in qualche modo si era resa interessante agli occhi degli altri.
Così, non badava più al resto delle persone, anzi, rispondeva col sorriso alle pettegole che trovava intente a parlarle alle spalle.
“Klaus, ti ho portato la relazione.”
Esordì, entrando nell' ufficio del ragazzo, con la testa china sui fogli, intenta a controllare che ci fosse tutto quello che aveva scritto e che si leggesse in modo chiaro.
“Sushi o cinese?” Le rispose lui, con una mano sul lato della cornetta in cui si parla.
La castana lo guardò stranita, per poi alzare gli occhi al cielo.
“Sushi tutta la vita.”
“Sì, scusami tesoro, ti ascolto, no è che mi chiedevo se ti andrebbe di mangiare il sushi domani sera.”
Vale lasciò i fogli sulla scrivania e gli fece un cenno con la mano, per poi uscire dalla stanza ed andarsene via dall'edificio.
Il ragazzo le strizzò un occhio, di rimando e tornò alla sua piccante conversazione.
Camminando verso casa, si lasciò cullare dalla fredda aria di novembre, in Italia non sarebbe stato così freddo, pensò.
Comunque a lei l'inverno piaceva, le bastava una cioccolata calda, una bella sciarpa e un caldo cappotto, possibilmente colorato. Quel giorno aveva optato per quello grigio con tre bottoni enormi sul petto. Del resto, doveva abbinarlo alle sue “bambine”.
Svoltato l'angolo della strada, si ritrovò al solito chioschetto, dove si fermava la sera a prendere la sua cioccolata fumante quando non aveva intenzione di cenare a casa. Una volta avuto il bicchiere tra le mani, lo strinse un po', per scaldarsele e si sedette sulla panchina della grande piazza, ormai adibita a pista di pattinaggio, si perse nelle varie immagini che le vivano offerte. I bambini sorridenti che volteggiavano sulle lame dei pattini, i genitori apprensivi preoccupati per loro, le coppie di innamorati stretti in abbracci o con le mani intrecciate tre loro, sognanti. Sospirò e portò alle labbra il bicchiere, per l'ultimo sorso di quella adorata bevanda, poi si alzò, diretta a casa, come sempre.
Nella via di casa, un vicoletto tranquillo, quasi sempre deserto, incrociò due ragazzi piuttosto alti, intenti a parlare tra loro. Uno stava smanaccando in maniera concitata, parlando, rasentando la logorrea. L'altro camminava a testa bassa, con la testa tra le spalle e fumava una sigaretta. Vale giurò che non stesse ascoltando l'altro tizio.
Dovevano essere sicuramente due tipi freddolosi, dato che erano coperti più del dovuto, con cappelli di lana, sciarpe enormi, portate in stile bandito e occhiali da sole.
La ragazza pensò a cosa gli servissero a quell'ora, dato il buio ormai calato, ma poi non ci pensò oltre e scrollò le spalle, mentre i due si allontanavano.
Doveva smetterla di farsi gli affaracci degli altri.
Prima di entrare in casa, qualcosa destò la sua attenzione. Un foglietto piegato giaceva vicino al portone di casa sua. Lo raccolse e, in una calligrafia tipicamente maschile, un po' allungata verso destra, vi lesse sopra delle frasi:
Wir werden euch
Nie mehr gehören
Wir werden nie mehr
Auf euch schwören
Wir schlucken keine
Lügen mehr
Nie Mehr
Eure Wahrheit
Wollen wir nicht
Eure Masken
Unser Gesicht
Unsere Augen
Brauchen Licht
Viel mehr Licht
Lass die Hunde los
Ich warn dich
Lass die Hunde los
Folgt uns nicht
Lasst die Hunde los
Wir wissen den Weg
Ham Träume
Die ihr nicht versteht
Lasst los
Bevor was passiert
Unter euch
Ersticken wir.
Entrò in casa, non staccando gli occhi da quelle frasi, così vere, così vissute anche da lei. Così vive, tanto da spezzarle il fiato. Chiuse la porta alle sue spalle, ancora leggendo, ancora e ancora.
"Non vogliamo più la vostra verità. le vostre maschere.
l nostro viso, i nostri occhi hanno bisogno di luce... molta più luce."Dentro di sé ripeteva quelle parole e continuò anche quando i suoi occhi iniziarono a chiudersi, stesa sul suo letto.
Mai le era capitato di veder scritto quello che lei aveva provato per una vita.