Scusate per il ritardo e, come sempre, grazie! *_*
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Mandy subodorava guai e Mandy era infallibile su questo. Il suo sesto senso era marcatissimo e finiva sempre per avere ragione così, nonostante non sentisse Lea dalle cinque e mezza di quel mattino, cioè da quando erano sbarcate, si diresse a casa sua.
Suonò il campanello e la ragazza le aprì poco dopo, sul viso i segni di una giornata cominciata male.
“Lea, ho un sospetto. E dalla tua faccia, credo di non sbagliarmi”
“Mi chiedevo quando saresti arrivata, infatti” rispose Lea, facendola entrare e dirigendosi verso la sala. La casa era vuota, Marie non c’era e Philip era ancora all’asilo.
“Sei sola?” chiese Mandy.
“A quanto pare… Marie è sparita e penso di sapere dove sia”
“Cosa succede?”
“Ho parlato con mia madre e con Edward. Risultato: ho rimediato uno schiaffo e un gran mal di stomaco. Ora credo che Marie sia da loro”
“Hai sentito Bill?”
“Non parlarmene. Mi ha praticamente sbattuto il telefono in faccia!”
“Per quale motivo?” chiese Mandy, dubbiosa. Per come lo conosceva, non si sarebbe mai aspettata un simile comportamento a meno che non ci fosse stato un motivo ben preciso.
“Mi ha chiesto perché non ho voluto che venisse a Roma ed io gli ho semplicemente detto che non volevo che sprecasse tempo per i miei problemi, che è una questione che non lo riguarda. Dopodiché, mi ha salutata in malo modo e ha interrotto la comunicazione. Ci mancava solo lui”
“Lo sapevo…” sbuffò Mandy “Lo sapevo!”
“Cosa? Cosa sapevi?”
“Capisco che è la tua prima relazione importante, ma…”
“La prima in tutti i sensi” la corresse Lea.
“Ecco, appunto. E dicevo, capisco che questa sia la tua prima relazione importante, ma non è un’attenuante, Lea. Anche se non hai esperienza in questo campo, dovresti essere più malleabile, dovresti renderti conto che in amore si divide tutto, anche i problemi” sentenziò Mandy, con aria da vera esperta.
“Non credo di seguirti… o forse sì. Stai forse dicendo che è colpa mia?”
“In parte sì. Lui voleva starti accanto e tu, invece, l’hai rimesso al suo posto, come fosse un amico impiccione. Lui non è un tuo amico, è il tuo ragazzo, capisci la differenza?”
“A scapito di essere presa per superficiale, credo che la differenza stia nel semplice fatto che con lui condivido anche l’intimità, mentre con un amico no” mormorò Lea, quasi imbarazzata.
“Ecco dove sta l’errore!” proruppe Mandy “Tu credi che Bill sia un amico con il quale vai a letto, ma in realtà è molto di più! Lui dovrebbe essere la tua spalla, quello a cui raccontare i tuoi dispiaceri, le tue paure, quello a cui fare riferimento quando il mondo ti volta le spalle”
“Per questo ci siete tu e Sue, le mie migliori amiche”
“Certo Lea, ma ora c’è anche lui. E la differenza fra noi è Bill sta nel fatto che noi ti vogliamo bene, come se fossi nostra sorella, ma lui ti ama”
“Non capisco, Mandy. Che differenza fa? Anche voi mi amate, sebbene in modo diverso” disse Lea, cominciando a sentirsi vagamente in colpa.
“L’hai detto tu stessa: in modo diverso. Io, per quanto ti voglia bene, non avverto la necessità di averti accanto costantemente e, con questo, non fraintendermi Lea”
“Ho sbagliato a non permettergli di venire a Roma?” chiese Lea, in un sussurro “Lui è pur sempre Bill Kaulitz, fatico a pensare che sia semplicemente Bill. O meglio, lo penso quando siamo soli, ma in mezzo alla gente… non lo so”
“Capisco Lea, ma ora, prima di essere Bill Kaulitz, sarà sempre Bill per te. Quando pensi a lui, dovresti immaginartelo come un normalissimo ragazzo di Berlino e non come la rockstar che infiamma le arene”
“Facile dirlo, Mandy! Non potrei mai passeggiare per Roma con lui, ci assalirebbero o meglio, LO assalirebbero in meno di un minuto!”
“Lui non ti ha chiesto di passeggiare per Roma. Sono certa che se ne sarebbe stato in hotel, calmo e tranquillo, ad aspettarti, ma con la consapevolezza di essere nella tua stessa città. Così, invece…” non fece in tempo a finire la frase che la porta di casa si aprì violentemente ed entrò Marie, rossa in volto e tremante.
Lea si alzò di scatto dal divano.
“Sei andata da loro, vero?”
“Vogliono trasferirsi in Inghilterra!” urlò, gettando la borsa per terra e bestemmiando, cosa che non faceva mai.
“Marie calmati” Lea cercò di accarezzarle una guancia ma la sorella si divincolò.
“E sai cosa mi ha detto? Che vorrebbe portare anche Phil a Londra, per fargli studiare l’inglese! Io lo odio, Lea, lo odio!” e senza aspettare risposta, si precipitò verso il bagno e vi si chiuse all’interno.
Lea chiuse gli occhi. Le sembrava di essere tornata bambina, quando la sorella rincasava ubriaca fradicia e si chiudeva in camera, seguita a ruota da sua madre che le urlava improperi di ogni tipo, salvo poi scoppiare a piangere di fronte ad una figlia che aveva smarrito il senso della sua vita.
Nonostante fosse davvero piccola, capiva perfettamente ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo. E quella vita era durata per anni, fino a quando non era nato Philip, in pratica.
Solo allora, forse per senso del dovere, Marie aveva ritrovato la “retta via”, aveva riposto in suo figlio ogni speranza e aveva iniziato a sentirsi meno sola.
Aveva chiuso con le storie sbagliate, con le sbronze serali, con il sesso occasionale ed era diventata una mamma a cinque stelle. Ma dentro, qualcosa continuava a divorarla e quel qualcosa, adesso, era tornato in carne ed ossa.
“Lea, io vado” mormorò Mandy, ancora scossa dalla scena alla quale aveva appena assistito “Ti chiamo domani”
“Sì, scusa Mandy. E grazie” Lea la abbracciò forte.
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Marie non era ancora uscita dal bagno, Lea la sentiva piangere sommessamente. Era quasi ora di andare a recuperare Phil all’asilo, così informò la sorella dalla porta del bagno e poi si diresse all’asilo.
Quindici minuti dopo, faceva ritorno a casa.
“La mamma?” chiese Philip “Oggi abbiamo fatto dei disegni e ne ho uno per lei e uno per te!” trillò.
“Tesoro, la mamma sta facendo la doccia” mentì Lea “Adesso vai a cambiarti e poi glielo mostri, ok?”
Il bambino annuì e si recò, diligentemente, in camera. Lea lo seguì con lo sguardo, mentre calde lacrime le facevano brillare gli occhi.
D’improvviso, avvertì la necessità di sentire la voce di Bill. E capì perfettamente il discorso di Mandy: era quella la differenza fra lui e un amico. Di lui aveva
BISOGNO.
Il primo tentativo di chiamata non andò a buon fine e Lea pensò che il ragazzo fosse ancora arrabbiato. Sul subito, decise di lasciar perdere, ma qualcosa in lei le suggerì di ritentare. Al quarto squillo, uno scontroso Bill rispose.
“Ciao” biascicò.
“Bill… senti, mi dispiace per prima”
“Non importa”
“No, importa invece. Non è che non ti volessi qui, è che devo ancora abituarmi all’idea. Sono… sono una frana in questo senso, lo ammetto”
“Non volevo impicciarmi dei fatti tuoi, Lea. Credevo solo che ti avrebbe fatto piacere avermi lì. So che ci sono le tue amiche, ma è come se tu mi avessi tagliato fuori dalla tua vita. E’ vero” continuò, parlando velocemente “ci conosciamo, tutto sommato, da poco, ma a me sembra di conoscerti da sempre. Chiamami idiota, ma…”
“No, no, Bill! Non sei idiota! Oddio, sono io che… che ti tratto come se fossi un mio amico” e pensando alle parole di Mandy, continuò “ma non lo sei. Sei molto di più”
Bill non disse nulla, Lea sentì solo un sospiro. Era un sospiro di sollievo.
“Ti ricordi di Parigi, all’aeroporto? Mi avevi detto che, se mai avessi sentito la tua mancanza, avrei dovuto chiamarti, in modo da permetterti di raggiungermi ovunque fossi. Ricordi?”
“Certo, come fosse successo ieri”
“Mi manchi” mormorò Lea “E ho bisogno di te”
Lea sentì una risatina dall’altro lato della cornetta, ma non una risata di scherno. Era qualcosa di molto simile ad una risata di gioia.
“Arrivo” fu tutto quello che il ragazzo disse.
Continua...