Grazie care! *_*
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Poco prima di mezzanotte, un messaggio di Sue raggiunse i cellulari di Lea e Mandy per comunicare loro i dettagli del volo. Sarebbero partite alle dieci, direzione Berlino. Nessuno scalo, volo diretto. Check in alle otto. Una comunicazione veloce, sbrigativa e sintetica, in puro “stile Sue”.
Era ormai l’una e Lea non aveva ancora comunicato a Marie la sua decisione. Era rientrata da un’ora, insolito per lei dato che avrebbe dovuto finire il turno non prima dell’una, ma Phil e Marie dormivano e non si erano accorti del suo arrivo.
In punta di piedi, per non svegliare il nipote, raggiunse la camera della sorella ed entrò. Si avvicinò a lei e le tocco una spalla, gentilmente. La ragazza emise un grugnito che fece sogghignare Lea, ma al secondo tocco si svegliò e accese la luce.
“Lea” borbottò “Ma che cosa succede? Che ore sono?” poi, senza aspettare risposta, guardò la radiosveglia e aggiunse “Ma è solo mezzanotte, che ci fai a casa?”
“Sono uscita prima da lavoro, perché ho preso una decisione importante”
Marie si passò una mano fra i capelli e si mise a sedere sul letto, squadrando la sorella con un’espressione che oscillava fra la preoccupazione e la curiosità.
“Cosa?” chiese, poi.
“Domani mattina vado a Berlino, non so quando torno”
“Scusa?”
“Hai capito, Marie. L’ho deciso stasera e… grazie”
“Grazie? Lea, non capisco nulla”
“Sai il libro che mi hai regalato? Leggendolo, ho capito di avere sbagliato tutto, con lui”
“Mi riesce difficile seguirti” rispose Marie.
“Lo so, ma fidati di me. Vado da Bill” disse, pronunciando per la prima volta, dopo mesi, il suo nome. Poi la strinse in un lungo abbraccio e le diede un bacio sulla guancia, prima di sgattaiolare via.
“Lea” la chiamò Marie, quando la ragazza era ormai fuori dalla stanza. Lea tornò indietro e si affacciò all’uscio “Buona fortuna, piccola”
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Berlino in inverno è molto simile a qualsiasi altra città che faccia parte del medesimo emisfero, ma secondo la percezione di Lea, qualcosa la rendeva più speciale di tante altre. Non sapeva dire cosa fosse con esattezza, né se sarebbe mai stata in grado di scoprirlo, ma un piacevole senso di eccitazione l’aveva pervasa, facendola sentire libera come mai si era sentita prima.
Secondo Mandy, l’inguaribile romantica, il merito era di Bill che, per Lea, era molto simile al Principe Azzurro che faceva assomigliare quella metropoli ad un regno delle fiabe. Sue e Lea avevano riso quando l’amica aveva esposto la sua teoria ma forse non era poi così sbagliato il suo pensiero.
Con un taxi, si fecero portare all’indirizzo che Georg aveva dato loro, dopodiché scesero dalla vettura, pagarono la corsa e rimasero in piedi di fronte alla casa dei gemelli senza muoversi.
Era una piccola villetta a due piani, di mattoni a vista, circondata da un cancello di ferro oltre al quale si poteva scorgere un prato ben curato e un albero d’alto fusto. A sinistra, si intravedeva un garage chiuso e nessuna delle tre ragazze seppe dire se ci fosse qualcuno in casa.
Lea si accese una sigaretta mentre pensava al da farsi, quando una porta a pianterreno si aprì e ne uscì una donna di età imprecisata, stretta in un cappotto marrone. La videro armeggiare con i bidoni della spazzatura e gesticolare vistosamente, mentre pronunciava parole che le ragazze non captarono. Poi, così come era comparsa, sparì di nuovo all’interno della villetta.
“E quella chi era?” chiese Mandy.
“La governante?” ipotizzò Sue.
“Magari la madre” continuò Mandy.
“La madre dovrebbe essere bionda” disse infine Lea “Non credo sia lei”
“Ecco, esce di nuovo” Mandy indicò con un dito la signora che, a differenza di poco prima, ora si avvicinava al cancello “Oh cazzo, esce proprio!”
“Fingete indifferenza” ordinò Sue “Io faccio finta di parlare al telefono”
La buffa scenetta messa in piedi da Sue funzionò, poiché la donna passò loro accanto senza degnarle di uno sguardo e si allontanò a piedi, borbottando.
“E’ andata” sospirò Mandy “Queste cose mi mettono l’ansia!”
“Adesso devi entrare, Lea. Vai, tocca a te”
“Se non fosse in casa?”
“Aspetteremo che ritorni, ma almeno prova a suonare”
“E se…”
“Lea vai!” la spinse Mandy, noi andiamo a cercare un bar o qualsiasi cosa che ci somigli e aspettiamo tue notizie, ok?”
“Ok” mormorò la ragazza, tremando “Vado”
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“Tom!!!”
La voce squillante di Bill raggiunse il fratello, intento a sfogliare un giornale sul divano. Quel tono significava solo una cosa: guai. Ormai conosceva il suo gemello fin troppo bene, del resto erano la stessa persona ma divisa in due. Ma da un paio di giorni a quella parte, Tom cercava di non prendersela troppo per le sue sparate, dato che stranamente sembrava aver ripreso vita.
“Cosa c’è?” urlò, di rimando.
“La maglia nera!!!”
“Che maglia?” chiese il gemello.
“Quella nera con la scritta bianca! Dov’è?”
“Come cazzo faccio a saperlo, Bill?” rispose Tom.
“Era qui e adesso non c’è più! L’hai presa tu?” continuò Bill, comparendo in salotto a petto nudo.
“Primo: non metto le tue maglie. Secondo: è molto probabile che l’abbia presa Rosalie, non credi?”
“Cazzo! Volevo mettere quella!” protestò Bill.
“Hai l’armadio pieno di maglie, scegline un’altra! E sbrigati, ho detto ad Andreas che saremmo stati da lui alle tre!”
Mentre Bill tornava, sbuffando, in camera, il campanello squillò.
“E adesso chi c’è?” protestò Tom.
“Che ne so! Vai ad aprire, io vado a vestirmi. Se è Rosalie, chiedile della maglia!”
“Sì certo, come no” commentò Tom ironico, alzandosi dal divano e raggiungendo il citofono “Sì?” chiese quindi.
“Tom?”
Sul subito, il ragazzo non riconobbe quella voce. Del resto, aveva parlato poche volte con Lea e c’erano dei giorni in cui nemmeno ricordava con esattezza il suo viso. Per quanto fosse bella, non aveva mai posato gli occhi su di lei con troppa attenzione, per rispetto nei confronti del gemello.
“Sì” rispose, stando in guardia. A volte era capitato che qualche ragazza, che chissà come aveva scoperto il loro indirizzo, suonasse alla loro porta in cerca di un autografo.
“Sono Lea”
Tom si immobilizzò. Lea. In un attimo,il suo cervello collegò quel nome a quel viso, per poi unire il tutto in un unico filo conduttore che portava a Bill.
“Chi è?” urlò Bill, dalla stanza. Tom non rispose e sottovoce, disse: “Quella Lea?”
“Ne conosci altre?” chiese la ragazza “Sto cercando tuo fratello”. Il “click” della porticina del cancello fu l’unica risposta che Lea ottenne.
“Tom chi è?”chiese di nuovo Bill, uscendo, questa volta dal bagno, con in bocca lo spazzolino da denti e il dentifricio che gli colava sul mento.
“Pulisciti e mettiti una maglia, cazzo!” lo rimproverò Tom, bonariamente.
“Sei scemo? Piuttosto, chi cavolo era?”
“Il postino” mentì Tom, uscendo dalla porta d’ingresso.
“Il postino?! E dove vai?”
“Aspetta, torno subito”
Bill, perplesso, rimase in piedi in mezzo al corridoio, mentre il dentifricio gli sporcava ulteriormente il mento. Qualche istante dopo, la porta si aprì di nuovo ma Bill non vide il gemello.
Continua...